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Conferenze di Swami Niranjanananda Saraswati
Satsang con Swamiji – 1
Rimini, Ottobre 1994

Satsang con Swamiji – 1
Rimini, Ottobre 1994
Invece di lottare, cercate di fluire.
Da nove anni pratico yoga con fede ed intensità, ma sono ancora preso dalle passioni e dagli attaccamenti ai piaceri della vita. Questo mi fa soffrire perché mi piacerebbe sentirmi più distaccato da queste cose. Cosa posso fare per procedere serenamente in questo cammino?
Per prima cosa cessa di sentirti in colpa. Vi è una dichiarazione nelle Upanishad che dice: Dio ha creato questo mondo e la Sua presenza può essere sentita ovunque nel mondo. E per coloro che vivono nel mondo ha creato i piaceri. Questi piaceri possono dare felicità o possono culminare nel dolore, ma ciononostante essi sono piaceri per i sensi e per la mente. E coloro che vivono nel mondo interagiscono costantemente con i piaceri. Quindi con chiarezza di mente e con distacco continua a fare esperienza dei piaceri e continua ad evolvere.
Qui vengono dati due concetti: uno del continuare a fare esperienza dei piaceri e l’altro del distacco. Ora, dalla domanda sembra che anche se il praticante ha praticato yoga per nove o più anni, sento che il praticante non conosca se stesso o se stessa, e che vi è una divisione tra la comprensione dello yoga ed il coinvolgimento della vita nel mondo. La mia richiesta è quella di non vedere lo yoga nella forma di pratiche, ma come un procedimento di vita. Se siete in grado di vedere lo yoga come un procedimento di vita allora le vostre azioni diverranno parte di Karma Yoga, e ogni comprensione diverrà parte di Gyana Yoga, ogni sforzo che farete diverrà parte di Raja Yoga ed ogni esperienza che avrete diverrà parte di Dhyana Yoga. Perciò è con questa comprensione che dovete cercare di includere yoga nella vostra vita.
Senza dubbi, nella vita vi sono attrazioni e repulsioni che portano piacere e dolore, ma non permettete a voi stessi di essere schiacciati da questi ma piuttosto cercate di divenire padroni dei vostri piaceri e dei vostri dolori, con una maggiore comprensione ed un migliore adattamento con voi stessi. Invece di lottare, cercate di fluire. Penso che questo vi possa aiutare.

Trovo molto difficile passare attraverso lo stato di pratyahara senza perdere la consapevolezza. Perché?
Questa domanda viene fatta in anticipo, non ho ancora finito di parlare a proposito di pratyahara, dharana e dhyana. E vi ho anche menzionato che vi è un aspetto, di cui discuteremo più tardi, che è quello dei guna, le qualità, le qualità naturali, le qualità innate con le quali veniamo in questo mondo. Ve ne parlerò brevemente ora e poi tratteremo l’argomento più dettagliatamente nel corso delle nostre discussioni. Normalmente questi guna sono suddivisi in tre gruppi: tamasico, rajasico e sattwico. Tamasico è un termine che per noi ha generalmente un significato negativo. Infatti tamasico significa cattivo, limitante, restrittivo, letargico, ottuso. Ma il significato effettivo di tamasico è stasi. E questa stasi è il risultato dell’essere condizionati ad un particolare schema di pensiero e di vita. Cercare di avere sicurezza è una tendenza tamasica, perché desideriamo e non vogliamo cambiare lo stato di sicurezza. E se il cambiamento ha luogo, vi è paura, vi è conflitto.
Anche rajasico ha un significato simile: è la supremazia del sé in un senso negativo, ma la natura di rajas è una natura dinamica. Tutte le nostre ambizioni, tutti i nostri desideri, tutte le nostre azioni e i nostri pensieri sono di natura rajasica, qui cerchiamo di soddisfare le nostre necessità, qui cerchiamo di soddisfare le necessità dell’ego e del sé limitato. Perciò, possiamo dire che una consapevolezza centrata su se stessi è rajasica. La paura di cambiare e divenire insicuri a causa di quel cambiamento è tamasico, e una consapevolezza nello stato di espansione è sattwica. Tutte le persone vogliono avere sempre un’immagine molto positiva di se stessi, voi ed io, tutti siamo inclusi. Se qualcuno dice qualcosa di buono di noi, ci sentiamo felici. Se qualcuno dice qualcosa di cattivo di noi, ci ritiriamo nel nostro guscio e ci creiamo un senso di sconforto mentale.
Nello stato di pratyahara dobbiamo riconoscere le nostre debolezza e le nostre forze. Per favore, ricordatevelo, ho già detto questo molte volte: non è il procedimento di chiudere gli occhi e andare dentro. Questo è il procedimento del riconoscere la propria natura, le proprie qualità e i propri comportamenti. In questo procedimento, non vi sono dubbi che un individuo possa andare oltre lo stato di pratyahara senza perdere coscienza. Ma se pensiamo che chiudendo gli occhi e ritirando i sensi, possiamo passare attraverso le pratiche di pratyahara, facciamo un errore perché manca la comprensione dei guna nella nostra vita e non siamo in grado di riconoscere le forze e le debolezze della personalità umana. Perciò, negli stadi preliminari di pratyahara diveniamo consapevoli delle nostre forze e le usiamo per progredire oltre. E diveniamo consapevoli delle nostre debolezze, che trasformiamo in qualità positive ed in questo modo passiamo allo stato di dharana. Sono chiaro?

Una sequenza di asana e pranayama dovrebbe prendere in considerazione il clima? E perché le persone giovani preferiscono praticare asana più complesse invece di pawanmuktasana?
In effetti queste sono due domande, una riguarda la pratica di asana e pranayama ed il clima. Secondo le regole della pratica di asana, lo yoga dice che la pratica di asana dovrebbe essere eseguita con una temperatura che non crei disturbi allo stato naturale del corpo. Il corpo non dovrebbe fare esperienza di temperature estreme nel momento della pratica di asana. E per favore ricordate che il sistema dello yoga si è sviluppato in un paese caldo, quindi la tradizione richiede che si pratichino le asana la mattina presto, quando l’atmosfera è fresca e piacevole. Se provate ad applicare la stessa regola in Groenlandia, ciò sarà più difficile, in quel posto sarebbe più indicato praticare il pomeriggio, e se avete una camera riscaldata, sarà meglio. Ma non vi dovrebbe essere una grande differenza di temperatura. Come ho già detto in precedenza, lo scopo delle asana è quello di fornire rilassamento ed armonia alle funzioni del corpo, e se vi sono differenze climatiche estreme allora questi cambiamenti avranno effetto sul corpo, sul sistema nervoso, sulla pelle e sulla circolazione del sangue. Inoltre, ciò creerà ulteriori stress agli organi fisici ed alle loro funzioni. Perciò, usate il vostro giudizio e sono sicuro che troverete un modo adatto per l’esecuzione delle asana.
In relazione all’altra domanda, perché alle persone giovani tra i venticinque ed i trentacinque anni, piace praticare asana complesse e non pawanmuktasana, io direi che è principalmente un problema di maturità.
Quando ero giovane, certamente sono ancora giovane, mi piaceva praticare asana e mi sentivo bene, e sono in grado di praticarle senza alcun problema. Questo gonfiava la mia immagine. Ancora adesso vi sono molte asana che pratico e che voi neanche vi sognate di fare, ma dopo averne capito il procedimento, mi sento più comodo con pawanmuktasana. Secondo la mia esperienza personale , direi che è una questione di maturità.
Cosa intendi per spiritualità?
Volete la risposta dei libri o la vera risposta? La parola spiritualità deriva da spirito. Spiritualità significa esperienza della natura dello spirito. E in definitiva lo spirito non è la mente. In effetti, da quello che capisco sono dell’opinione che la spiritualità sorge solo dopo che avete raggiunto uno stato meditativo, e non prima. Lasciate che cerchi di spiegarvelo in un altro modo, e se voi trovate un modo migliore allora per favore ditemelo. Noi impariamo a gestire le varie attività della mente dall’inizio alla fine dello stato di dhyana. Cerchiamo di sviluppare alcune qualità che possono condurre all’esperienza dello stato spirituale.
Queste qualità che noi evolviamo in forma di amore o di compassione o di affetto, non sono discipline imposte sulla propria natura. Negli stadi iniziali potremmo cercare di imporre al nostro stato naturale della mente alcune attitudini positive, e queste attitudini positive ci aiutano a canalizzare nella giusta direzione il nostro schema di comportamento; ma la tendenza di base o la natura di base della mente non è stata trasformata, la mente non ha attraversato un procedimento di purificazione. Una persona può andare fuori e rotolarsi sulla terra, nuda, rientrare in casa ed indossare abiti puliti appena stirati, potrebbe lavarsi il viso e le mani, mettere del profumo e apparire pulito. Ma con questo cambiamento esteriore abbiamo pulito o purificato il nostro corpo che è interiormente sporco? Per poter eliminare la sporcizia è necessario fare una doccia, un bagno, e pulirci.
Nello stesso modo, quando cerchiamo di imporci alcune qualità o attitudini è come fare indossare abiti puliti ad una mente impura, perché non abbiamo imparato a gestire nè la negatività e neanche le reazioni della mente naturale. Fino allo stadio di dhyana cerchiamo di purificare la mente e dopo che la mente è stata purificata facciamo esperienza dello stato di samadhi. Samadhi è lo stato pulito, puro e immacolato del corpo, della mente e dello spirito. E secondo me, la spiritualità inizia dopo il samadhi, perché da quel momento in poi abbiamo imparato a gestire la mente e abbiamo imparato a vivere l’esperienza spirituale nella vita quotidiana. Questa esperienza spirituale è allora un’esperienza vivente e non un concetto intellettuale. Se osservate la testa di Swami Anandananda li vi troverete delle cicatrici. Sapete come se le è procurate? No? Bene, se vi avvicinate a lui potete vederle. E se Swami Anandananda me lo permette vi dirò la storia di come si è procurato quelle cicatrici.
Quando venne in India la prima volta era una persona molto giovane e avventata, e aveva un intenso desiderio di realizzare il suo se divino. Durante il suo primo incontro con Paramahansaji egli disse subito “voglio essere realizzato istantaneamente”. Paramahansaji gli chiese “perché?” e Swami Ananda disse “Vedi, io vengo da una cultura dove abbiamo il té istantaneo, il caffè istantaneo e io voglio la realizzazione istantanea”. E ci fu certamente una lunga discussione di cui non vi racconto i dettagli, ma in qualche modo è riuscito, e mi domando ancora oggi come ha fatto, a convincere Paramahamsaji per il procedimento della realizzazione istantanea. E Paramahamsaji gli diede un mantra. Con il suo permesso vi dirò quale era il mantra e voi potete provare da stasera. Il mantra era ahambrahmasmi, che tradotto approssimativamente significa “io sono brahma o il se supremo”. E Paramahamsaji gli disse di ripeterlo finché sarebbe effettivamente riuscito a fare esperienza di ciò che stava ripetendo. Swami Ananda con la sua fretta di realizzare le sue qualità divine, si è seduto ed ha iniziato a ripetere ahambrahmasmi- io sono quello – io sono quello – io sono quello – per una settimana continuamente; certamente faceva delle pause per il pranzo, la cena e la colazione. Quando ha sentito di aver realizzato egli andò da Paramahansaji e gli disse: “ho completato la mia realizzazione”.
Paramahansaji disse: “faremo un test”. Gli diede una borsa e dei soldi e gli chiese di andare al mercato di Munger per comprare degli ortaggi. E Swami Ananda, molto felicemente uscì dal cancello pensando che tutto il mondo è magnifico, divino, sublime e non solo lui ma tutti erano parte di quella realtà suprema. A volte mi chiedo se aveva preso dell’LSD, perché guardava le foglie di un albero e osservava la luminosità attorno alle foglie e diceva: “Ah anche questa è una parte della realtà suprema”. E la strada, che generalmente è di asfalto, a lui sembrava dorata e sentiva l’energia divina emanare anche da essa. Nel suo stato di contemplazione arrivò al mercato di Munger, dove vide che tutte le persone si allontanavano da un certo punto. Chiese ad una persona perché scappavano tutti, e la risposta fu: “guarda, dovresti scappare anche tu perché c’è un elefante impazzito nel mercato, che schiaccia tutto quello che trova sulla sua strada”. Swami Ananda iniziò a pensare: “io sono il se supremo; anche l’elefante è il se supremo; tutto il mondo è il se supremo. Che male può fare il se supremo ad un altro se supremo? Se si getta un secchio di acqua nell’oceano cosa succede? Niente, si uniranno uno nell’altro. Perciò che male può fare il se supremo dell’elefante al mio se supremo?” Così, nella sua contemplazione del se supremo andò dritto verso l’elefante. Sfortunatamente l’elefante non era di umore filosofico e non si fermò per ascoltare le teorie di Swami Anandananda, ma lo prese con la sua proboscide gli fece fare alcuni giri e lo scaraventò a terra. Così si fece male, le cicatrici si possono ancora vedere. Andò a finire all’ospedale di Munger dove gli misero dei punti, lo ingessarono e lo rimandarono zoppicando all’ashram, senza ortaggi.
Quando egli raggiunse l’ashram, Paramahansaji era al cancello e disse: “cosa è successo?” Swami Ananda iniziò a imprecare in italiano, e per fortuna nessuno capì ciò che diceva. Quando si calmò, Paramahansaji gli chiese di raccontargli tutta la storia. Swami Anandananda gli disse che il mondo gli appariva così meraviglioso, luminoso, brillante, dorato, mentre camminava verso il mercato.
Paramahansaji dopo avere ascoltato tutta la storia, gli fece una domanda. “Se sapevi che tutti quanti sono parte di quella natura divina, perché non hai ascoltato quella persona che ti ha avvertito? Anche egli era divino e ti avvertiva di scappare”.
Questa è una storia che dimostra che la comprensione razionale è molto distante dall’effettiva realizzazione e che quindi la vita spirituale non è una sorta di ginnastica intellettuale. Deve essere fatta l’esperienza nella vita dopo avere controllato ed essere andati oltre la natura della mente. Quindi, ho detto che per me la spiritualità ha inizio dopo aver perfezionato i differenti stati della meditazione. Questa è la mia opinione personale. E’ chiaro?

Come possiamo riconoscere una vera persona spirituale e le sue qualità?
Se volete riconoscere una vera persona spirituale non dovete guardare molto lontano, guardate Swami Anandananda sul palco.
Se studiate la Bhagavad Gita, troverete risposta a questa domanda. Nel 12° capitolo della Bhagavad Gita dal versetto 13 al versetto 20, vengono descritte le qualità dell’aspirante spirituale. E’ una bellissima descrizione di come vive un vero essere spirituale. Ve ne parlerò brevemente.
“Colui che vive senza la sensazione di “mio”, senza l’influenza dell’ego, con totale equilibrio nel dolore e nel piacere, con la qualità di perdonare gli altri, colui che considera amici e nemici con la medesima visione, è l’essere spirituale che mi è caro”.
Questo è un versetto di quella descrizione. In questo modo viene descritta una persona con qualità spirituali. Sono state descritte 36 qualità ed attributi di una persona realizzata, e se avremo l’opportunità nel corso del nostro tempo qui, potremo discutere di alcune di queste.
La qualità più importante di una persona spirituale è l’abilità di arrendersi alla volontà divina, e non alla volontà della mente. Quando un individuo si arrende alla volontà divina le sue proiezioni esterne nella vita sono di compassione, amore, affetto e devozione, e nella vita dei santi o di esseri spirituali, oltre ad avere altre qualità, vediamo che queste sono quelle predominanti. Amore non condizionato, compassione non condizionata, affetto per chiunque e devozione per Dio e per la Sua presenza in ogni essere vivente. Queste sono le 4 qualità naturali che si evolvono nella vita di un aspirante spirituale, oltre alle altre che sono state menzionate nella Bhagavad Gita.
Ora, potete capire da voi stessi che colui che è libero dai legami dell’ego ed è in sintonia con il Sé Cosmico si è arreso o ha permesso alla devozione per l’Essere Cosmico di manifestarsi entro se stesso. Potete anche immaginare che una persona che ha il medesimo comportamento sia per un amico che per un nemico, possiede l’abilità di esprimere una naturale compassione per tutti. Qualunque sia la qualità, è un fatto che un individuo si eleva nella realizzazione spirituale andando oltre gli effetti di attrazione e ripulsione.
Questo non è qualcosa che ho letto ma è qualcosa che vedo ogni giorno di più nel nostro guru Paramahansaji. Egli lasciò l’ashram nel 1988; l’8/8/’88, dopo avere creato un impero dello yoga, una catena di ashram. Un giorno mi chiamò e mi disse: “domani mattina me ne vado”. Certo, quello fu uno shock personale, ma egli disse molto chiaramente che aveva lavorato per lo yoga ma che era anche un sannyasin. Egli lavorò per portare la conoscenza dello yoga ma era solo per esaurire i suoi karma, e una volta che li aveva esauriti per quale ragione doveva continuare a rimanere nell’ashram? Solo per una vita piacevole, solo per avere il riconoscimento di guru? Quando lasciò l’ashram, partì con solamente due dhoti che gli erano stati dati dal suo guru Swami Shivananda. Quando lasciò l’ashram non accettò alcun aiuto finanziario, eccetto per 108 rupie che gli mettemmo nella borsa quasi per forza. La persona verso cui tutte le autorità avevano rispetto lasciò l’ashram da solo, camminando senza essere riconosciuto. Per un lungo periodo di tempo nessuno seppe dove era andato, cosa stava facendo o se era ancora in vita.
Questo cosa significa? Se egli fosse come uno di noi, sarebbe stato felice di svolgere il ruolo di guru e di dare una guida ai suoi discepoli. Sarebbe stato felice del riconoscimento e del rispetto che avrebbe ricevuto da chiunque. Ma disse no a tutto ciò, egli disse: “non è per questo che ho preso sannyasa; io ho uno scopo differente nella vita”. Certamente, quella volta molti di noi hanno sentito di essere stati lasciati senza sostegno e guida; e questo a causa del nostro attaccamento verso di lui. Ma egli ci spiegò in modo molto logico che chiedergli di rimanere era simile a dire ad un padre sul punto di morte: “se sapevi che dovevi morire perché ci hai dato la vita?”. Questo è qualcosa che non avremmo mai chiesto a nostro padre, perché sappiamo che la nascita e la morte sono realtà della vita a cui non si può sfuggire e deve venire un momento in cui dobbiamo reggerci sulle nostre gambe.
Nel corso del tempo abbiamo visto Paramahansaji evolvere in un tipo di essere differente, da guru egli è divenuto un siddha e da un normale essere umano egli è divenuto un essere sovrumano. Sono sicuro che voi siete consapevoli del suo invito di quest’anno per tutti noi. Bene, non voglio parlare molto di lui, perché questo può essere un argomento senza fine. Ma nel corso della sua vita ho visto manifestarsi le sue qualità spirituali; non dico questo perché è il mio guru ma perché l’ho osservato con un occhio critico. Nonostante tutto il mio criticismo, non ho mai visto in lui alcuna pecca. Non intendo un criticismo negativo, intendo un criticismo inquisitivo. Le qualità che si sono manifestate in lui sono divenute le linee direttive della mia vita. Sono sicuro che quando avrò terminato il mio mandato anch’io seguirò la stessa strada e forse, fra quarant’anni vi manderò un invito.
Ora termineremo con un breve Kirtan e Shanti Path. Se volete gustare la pratica di kirtan dovete cantare dal cuore. Sapete che quando andiamo a cena l’ambiente è carico, nello stesso modo adesso l’ambiente deve vibrare. In Munger pratichiamo mouna (silenzio) durante i pasti, non sto dicendo che dovreste praticarlo, sto solo dicendo che sono abituato ad un altro ambiente e che qui sento un ambiente differente. Lo stesso per i kirtan, l’arte del kirtan è quella di esprimere il mantra dal cuore, e se aprire il cuore è un problema allora potete iniziare con aprire bene la bocca. Una volta che riuscite ad aprire bene la bocca il cuore si aprirà automaticamente. Potete sperimentare con questo kirtan e potete anche tenere il tempo con le mani.
Hari Om Tat Sat