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Conferenze di Swami Niranjanananda Saraswati
Satsang con Swamiji – 3
Firenze, Ottobre 1994

Satsang con Swamiji – 3
Firenze, Ottobre 1994
Ogni giorno della tua vita dai il cento per cento e sii libero dai risultati delle azioni.
Non associare l’idea del piacere o della sofferenza con le azioni, ma trova l’equilibrio.
Che cosa si intende con ego?
Ego è un termine molto impreciso, usato in inglese per descrivere il senso dell’individualità. E questa individualità, che è rappresentata dall’ego, è consapevolezza solo auto-centrata o auto-orientata. E l’ego denota anche alcune forme di interazione egoistica o negativa del sé individuale con l’ambiente esterno.
In sanscrito c’è una meravigliosa parola che descrive questo processo dell’ego: ahamkara, che significa identità del sé, dell’essere individuale. E in accordo con la tradizione yogica si dice che quando uno vive nel mondo manifesto l’ego manifesta. E questo ego o ahamkara è il senso di individualità, che io sono un’unità, una distinta unità. Un’unità della realtà suprema o coscienza.
E quando questa autoidentità entra in relazione con i gunas cambia la qualità della vita o la sua espressione. Ciò che consideriamo ego è l’aspetto negativo o tamasico di quell’essere individuale. E occorre capire l’interazione dell’identità individuale con i gunas allo scopo di capire il processo dell’ego.
Lo yoga ha descritto 3 qualità principali o attributi che governano un essere individuale. Tali qualità sono conosciute come sattwa, rajas e tamas. Noi come esseri umani tendiamo ad essere più profondamente coinvolti in uno stato tamasico, che è fisso, che non permette ad alcun cambiamento di prendere posto nel comportamento normale della personalità umana; è un modello fisso di credenza, di azione, di comprensione; ed è anche un modello fisso di mente e interazione con la società. Questo non permette alla trasformazione del sé interiore di prendere posto naturalmente. E se c’è desiderio di cambiarsi, c’è anche paura e insicurezza. E sentiamo che queste paure e insicurezze sono la causa di molti problemi psicologici, personali ed emotivi. In altre parole potremmo dire che l’auto-identità tamasica o ego non procura opportunità per aggiustamenti nella vita.
La prossima auto-identità è rajasica per natura. Lavora per l’ottenimento di soddisfazione e compimento, che è ancora auto-orientato. Quello rajasico è uno stato di attività o dinamismo, ma attività auto-orientata. Il terzo attributo è sattvico, che vuol dire puro, equilibrato, armonioso e luminoso.
Normalmente noi ci muoviamo dallo stato tamasico o rajasico per tornare al tamasico per tornare al rajasico. C’è assenza di consapevolezza, espressione, comportamenti e comprensione sattvici. Lo scopo dello yoga è far evolvere la qualità sattvica nella vita. Questa qualità chiamata sattvica è uno stato armonioso ed equilibrato di percezione e comportamento, in cui la creatività interiore si esprime pienamente.
Allo scopo di giungere allo stato sattvico occorre praticare la meditazione, ma la meditazione in se stessa non è sufficiente, occorre cambiare attitudine e visione della vita. Questa attitudine è un aspetto molto importante e per cambiarla è necessario avere una visione am-pia e l’abilità di capire e interagire creativamente e positivamente con l’ambiente e le situazioni.
Allo scopo di giungere a questo stato di interazione con la vita, occorre definire le aree di forza e di debolezza, le ambizioni e le spinte della nostra personalità. Le forze sono qualità che possiamo utilizzare allo scopo di elevare la nostra natura, di trasformarla. Le debolezze devono essere cambiate e superate, fino a convertirle in forze. Per esempio l’indecisione deve essere trasformata in ferma convinzione. Perdita di volontà deve diventare pura e concentrata volontà. Insicurezza deve essere convertita in uno stato di armonia. E in questo modo le debolezze, quelle personali e individuali e le loro qualità devono essere cambiate.

Le spinte della natura umana andrebbero comprese per vedere qual è il risultato finale di una particolare spinta. Soddisfa il bisogno di uno o di molti? Contribuisco al mio ambiente personale o anche a quello della società e della comunità? E questa spinta, la consapevolezza di questa spinta è un aspetto del karma yoga.
Ovviamente anche le ambizioni devono essere incanalate. Cosicché siamo più in armonia con la realtà della vita e non le fantasie che dominano la nostra mente. In questo modo piano piano, cambiando l’attitudine si può cambiare la natura dell’ego.
Dunque la meditazione combinata con la consapevolezza di questi quattro aspetti della nostra natura aiuterà a procurare un’espressione armoniosa dell’ego.
Puoi parlarci dello yoga come terapia?
Ci sono tre aspetti della pratica yoga: curativo, preventivo e promozionale. La spinta principale dello yoga è la promozione della salute umana. E la salute umana non è confinata solo al corpo fisico, ma è l’aiuto totale della personalità umana. Dal fisico al mentale all’emozionale all’intellettuale al fisico allo spirituale. E le pratiche normali di yoga, se è una buona combinazione di tali pratiche, promuoverà la salute del praticante. Una cosa importante è che sia una buona combinazione di pratiche. Solo hatha yoga non è sufficiente, solo raja yoga non è abbastanza.
Dopo tutto un essere umano combina le qualità di testa, cuore e mani. La testa rappresenta l’interazione razionale e intellettuale. Il cuore rappresenta le sensazioni e la sensibilità emozionale e interazionale. E le mani rappresentano l’interazione esterna di corpo e mente con la società e il cosmo. E se noi cerchiamo solo di concentrarci su un aspetto della nostra vita siamo destinati ad essere squilibrati. Dunque una buona combinazione di pratiche dovrebbe promuovere la salute globale della personalità umana.
Un altro aspetto dello yoga che sta emergendo molto fortemente è l’aspetto curativo, l’aspetto terapeutico. E nell’aspetto terapeutico gran parte del lavoro è stato fatto sulla gestione di problemi ed elementi fisici. Qualche lavoro è stato fatto sulla gestione di disordini e problemi mentali. Ma tuttavia questi sono considerati aspetti specializzati dello yoga, che per avere risultati e aiutare devono essere seguiti appropriatamente da un insegnante yoga che capisca l’umana natura. In effetti, l’intero sistema dello yoga nella tradizione può essere considerato essere una forma di psicoterapia, in cui si impara a gestire i comportamenti della mente esterna conscia, subconscia e inconscia. Coloro che hanno studiato lo yoga tradizionale nell’opera Yoga sutra di Patanjali avranno incontrato all’inizio che yoga è il controllo delle modificazioni della mente. E quello è considerato essere il testo classico sullo yoga, dove l’intero approccio della pratica yoga è insegnare a gestire la mente umana. Le pratiche fisiche dello yoga giocano un ruolo piccolissimo negli Yoga sutras, infatti le pratiche di asana che sono state descritte sono solo quelle meditative.
Ci sono poi altri trattati che descrivono gli altri sistemi di hatha e bhakti, ma molta della letteratura sullo yoga hanno a che fare con la mente e il sistema si sta gradualmente evolvendo e diventando uno strumento potente per gestire i disequilibri mentali, emotivi e fisici. E dalla nostra comprensione è possibile trattare diversi squilibri mentali e raggiungere uno stato di normalità attraverso la pratica dello yoga. Ma occorre tempo, senza dubbio. Se qualcuno si sta curando con medicine o altri trattamenti, combinare con psicoterapia yoga può rivelarsi molto utile.
Il terzo aspetto dello yoga è quello preventivo. Raggiungere uno stato ottimale di salute ora, attraverso le pratiche, ed evitare sintomi di stress e tensioni, che possono creare un disequilibrio. E questo è l’aspetto preventivo dello yoga.
In un incontro di molti anni fa, Swami Satyananda mi disse come dovevo diventare uno swami. Egli disse. Che cosa significa questa frase concretamente?
Perché non lo sei diventato finora? Vedi, la parola uno swami non è una parola religiosa, ma è uno stato dell’essere. Rappresenta uno stato dell’esistenza. Non è vita monastica, piuttosto denota lo stato di controllo totale sulla mente. Swami significa maestro di se stesso. Sw significa sé e ami significa maestro, penso che ci sia una parola simile anche in italiano. In spagnolo c’è su amo, che vuol dire o rappresenta un praticante di yoga che aspira ad andare a fondo nel sistema e perfezionarsi. E perfino conducendo una vita normale è possibile avere l’attitudine di uno swami, lo stile di vita di uno swami. Naturalmente, ci sono certe discipline che devono essere seguite, nelle quali cerchiamo di osservare la natura della mente e sviluppare qualità di vita.
Naturalmente, tendiamo a identificarci con il concetto più che con la pratica. Se io inizio qualcuno in Sannyasa, loro pensano di essere già esseri evoluti e che hanno raggiunto un livello, dimenticando che nella tradizione di sannyasa il grado viene dato per primo e la tesi viene più tardi; e il grado che viene dato per primo rappresenta la speranza e la fiducia del maestro o del guru in voi. E il guru spera disperatamente che nel corso della vita voi possiate scrivere poche pagine della vostra tesi. Ma non appena abbiamo ottenuto il grado lo appendiamo alla parete e diciamo: siamo tutti perfetti. E quel modo invece di migliorare attualmente deteriora. Infatti ci sono molte persone che sono diventate più egoiste, auto-centrate, negative e orribili.
La comprensione o la conoscenza dello stile di vita sannyasa deve evolvere naturalmente dall’interno. E sannyasa significa armonia interiore, che si esprime esternamente e che riguarda ogni altro essere col quale siamo in contatto. E swami rappresenta un aspirante che sta cercando di raggiungere quel livello di perfezione. E quando avrete perfezionato lo stato di swami diventi un paramahamsa. E perfino dal livello di paramahamsa avete un lavoro duro per perfezionarsi in un’altra dimensione. Nel mondo prima di tutto dovete lavorare e poi raggiungere il vostro certificato. E nella vita spirituale prima prendi il tuo scopo e poi hai da camminare verso quello scopo. Perciò fin dal primissimo stato siete consapevoli della direzione in cui dovete andare. Dunque, siate aspiranti sinceri e in quel modo un giorno diventerete swami.
Come dovrebbe essere la relazione tra guru e discepolo?
Per prima cosa dobbiamo capire la parola guru e poi dobbiamo capire la parola discepolo. Guru significa una persona che può guidarci nel nostro processo di evoluzione e più specificatamente farci divenire stabili nella nostra vita spirituale. Al giorno d’oggi la parola guru viene usata in modo molto impreciso in quasi tutti i posti. In India perfino il portatore di risciò è conosciuto come guru, naturalmente nel senso che è una persona che può portarvi a destinazione; più che altro è un modo di dire. Così anche un taxista è un guru. Ma il significato attuale di un guru è: “dissipatore di oscurità”. Uno che può darvi una nuova, positiva, creativa visione della vita. Cosicché voi potete esperire la creatività universale interiore dentro di voi. E perciò il significato attuale di guru è in senso spirituale e non in quello fisico.
Ed anche la parola discepolo dovrebbe essere compresa. Non vuol dire persona, non vuol dire studente. Significa: qualcuno che ha urgenza di realizzare il proprio sé interiore. Ed è capace di seguire sinceramente le linee guide fornite dal guru. La parola in sanscrito è shishya che significa uno che può abbandonare l’ego. E quando uno può abbandonare quell’identità individuale o lasciar perdere quella identità individuale, allora egli è un discepolo.
La relazione tra guru e discepolo non è solo accademica, ma può anche accadere a livelli differenti. Avrete letto la biografia di Milarepa: il suo guru non gli insegnò meditazione, non gli parlò di alcun satsang. Piuttosto lo lavorò come uno schiavo. Trasportando pietre, costruendo case per distruggerle e rifarle in un altro posto. Ora considerate di essere un ricercatore spirituale e al posto di Milarepa. Per molti anni, se voi aveste solo il compito di trasportare pietre da un posto all’altro che cosa pensereste? Eh, questo guru è pazzo, io non sono venuto qui per questo tipo di lavoro, sono venuto qui per la mia realizzazione spirituale. E lo lascereste nel giro di una settimana andando a cercare qualcun altro che si accordasse con il vostro credo o con le vostre inclinazioni. Voglio dire per noi, il guru deve adattarsi nel nostro compartimento e non noi al compartimento del guru. E perciò non troviamo guru nel mondo ora, infatti, al giorno d’oggi le persone hanno perfino cominciato a divorziare dai loro guru. Così in questo modo non potrà mai crearsi alcun legame interno.
Il legame che è creato naturalmente tra guru e discepolo, è di semplicità e purezza. E questo legame è il fattore che unisce lo spirito del guru con quello del discepolo. E a livello spirituale loro diventano uno.

Se è possibile, potresti dirci qualcosa circa la visita di Swamiji in novembre e dicembre?
Swamiji: Bene, dovete aver ricevuto il suo invito, su cui sono indicate già molte cose. Questo invito da lui non è per lui ma per le persone che desiderano vederlo. Perché da quando la gente sa che egli vive dove si trova ora, hanno cominciato a bussare alla sua porta senza considerare che cosa egli stava facendo. Ed egli infine evolvette in un sadhana altissimo, andando oltre lo stato di paramahamsa e passando allo stato di Avadhuta. Avadhuta è una persona che trascende il corpo e la coscienza del mondo. E nello stato di avadhuta c’è un costante stato simile all’estasi.
Quando Parahamsaji lasciò l’ashram, come da direttive ricevute dal suo guru Swami Sivananda, cominciò a praticare i più alti sadhana spirituali e allo scopo di stabilizzarsi nella pratica e nello stato di consapevolezza doveva isolarsi da chiunque. Viene un tempo nella vita di un sanyasa quando deve esserci isolamento e si vive continuamente in uno stato perpetuo di sadhana. Quando ci sono distrazioni dovute a persone che vanno e vengono, allora la mente non è fissata su alcun sadhana e queste distrazioni alla fine non aiutano il processo di un aspirante spirituale.
Dunque lui diede precise indicazioni, che nessuno avrebbe dovuto disturbarlo, in modo tale che noi avremmo dovuto considerarlo morto. E disse molto chiaramente: “Non venite più per vedermi” . Questo perché tutto ciò che aveva da dire e da insegnare l’aveva detto, pubblicato e scritto. E le persone dovevano capire che cosa accadeva e come evolverei da quegli stati.
Ma come sempre accade le persone non sono mai soddisfatte da quel tipo di domande a causa dell’attaccamento emotivo, e ad ogni ora andavano a disturbarlo. Così lui disse “Okay, coloro i quali vogliono vedermi possono venire questo mese e io li vedrò, darò loro istruzioni poi non voglio vedere più nessuno”. Così quella fu l’ultima opportunità che avevamo di essere fisicamente in contatto con lui, o può essere che tra pochi anni lui dia ancora darshan, dipende da lui. Ed è un’opportunità che è stata data di connetterci non solo con lui, ma con il più alto scopo della vita.
Perché ciò che lui sta facendo ora non è lo yoga ordinario a cui siamo esposti. Le pratiche di Paramahamsa sannyasin sono molto diverse dalle pratiche degli studenti di yoga. E attraverso queste pratiche uno sviluppa un controllo molto forte sugli elementi fisici. Nello stato di siddha, uno controlla la natura e gli elementi, non solo esternamente ma anche fisicamente, dentro il corpo. Un esempio del suo sadhana è il seguente: da gennaio a giugno egli pratica un sadhana vedico particolare, in cui egli deve sedersi tra i fuochi (e non chiedetemi la ragione perché non ve la voglio dire e voi non dovreste voler capire altro perché appartiene a un livello differente di sadhana e di esperienza spirituale. Ma solo per descrivere ciò che si può provare, 4 fuochi sono accesi di fronte, dietro e ai lati e il quinto fuoco è il sole, il sole indiano d’estate. Quando egli siede nel mezzo la temperatura sale o 90° e lui pratica durante l’estate. Che cosa faccia là è un suo affare personale. Ma solo per darvi un’indicazione della sfida a cui il suo corpo, a 74 anni deve sopravvivere. E quando siede là alla fine del suo periodo sadhana il suo corpo sembra rame brunito e se guardate nei suoi occhi non siete capaci di guardare dritto a lui. Sono come palle di fuoco, che guardano dritte attraverso voi, o bruciano attraverso voi.
In questo modo ci sono altri Sadhana che sono destinati alle diverse stagioni dell’anno. E lui li sta praticando tutti. Non perché ne abbia bisogno, ma secondo me per creare una tradizione di sadhana per i sannyasi paramhansa. Perché c’è stato un declino nella tradizione di sannyasa, la gente ha cominciato ad essere coinvolta nella realizzazione di ambizioni attraverso sannyasa, costruire un impero e ha perso la visione originale, per la quale avevano preso sannyasa. E sannyasa rappresenta un processo evolutivo costante della coscienza umana. Naturalmente la purezza della tradizione viene stabilita da qualunque cosa egli stia facendo.
Questa è un’opportunità per ricollegarsi con lui -prima- e poi con sua direzione spirituale, in cui sta cercando di guidare tutti noi. Ciò non vuol dire che vi sarà richiesto di sedersi nei quattro fuochi. Avere una visione di quello che è la spiritualità e di quanto lontano potete andare.
Qual è la qualità per amare e per essere amati?
Swamiji: Comincio dal simbolo dell’amore. L’amore è qualcosa che io non ho capito completamente e in modo appropriato. Perché io sento che ciò che percepiamo, quello chiamato amore, l’espressione normale non è la soddisfazione sensoriale di ogni tipo in definitiva non è amore. L’appagamento emotivo non è amore, rapporto intellettuale non è amore. E queste invece sono cose che noi mettiamo insieme e diciamo che è amore.
Quando parliamo di amore pensiamo felicità e appagamento emotivo, rapporto intellettuale, appagamento sensoriale e perfino ap-pagamento sessuale. E con ciò la sensazione di possessività diviene anche molto forte. Tutto questo combinato insieme ci dà un senso di sicurezza esterna e crea attaccamento. Quando cerchiamo di proiettare l’amore su qualcun altro, lo facciamo con qualche tipo di attitudine personale, egoistica. E per favore non preoccupatevi, io posso essere ingiusto, assolutamente ingiusto, ma sto solo esprimendovi il mio discernimento, finora. E non sono mai stato capace di dire che queste occupazioni siano amore.
Io sento che l’amore è qualcosa di più profondo, una forza unificante. Nella mia sensazione ci sono pochissime persone nel mondo che hanno esperito il vero amore. Questo vero amore è una forza che domina l’intera natura umana. Swami Sivananda, nostro nonno-guru, usava dire che ci sono due tipi di amore: amore condizionato e amore incondizionato e nel primo ci sono categorie differenti: amore allo scopo di ottenere status sociale, allo scopo di ottenere soddisfazione emotiva, amore allo scopo di possedere qualcosa. E con molti altri tipi di descrizioni. E usava definire l’altro amore come incondizionato. Quell’amore incondizionato usa essere in relazione a un individuo e ad un essere divino, e darebbe origine a un sentimento universale. Affezione verso ognuno, amore per chiunque e non solo per i nostri vicini. Così è l’amore incondizionato che, quando siamo capaci di esprimerlo, ritorna a noi, mille volte tanto. Nell’amore condizionato possono esserci disaccordi ed è ancora affetto da attrazioni e repulsioni. Ma nell’amore incondizionato c’è solo il dare. Senza alcuna aspettativa del risultato. E questo è anche conosciuto come bhakti yoga. Bhakti yoga è dare la pura natura del tuo cuore agli altri. E allo scopo di dare quella pura natura di te stesso all’umanità e a Dio devi giungere a quel livello di perfezione. Tale è la mia sensazione circa questo.
Ho ricevuto il mantra da Satyananda, ma non riesco a sentirlo come mio e non sono capace di praticarlo intensamente. Puoi aiutarmi a sentirlo più profondamente?
Swamiji: Dovresti scriverlo, non è una domanda. Dovresti scrivere il tuo mantra, la tua data di nascita e tutto ciò, e allora vedrò che cosa fare. Molte volte questo accade perché tendiamo a razionalizzare il mantra. E il mantra deve confermare il nostro sentire. Ma se noi cerchiamo di sentire “quel mantra è adatto a noi o no” allora molte volte l’effetto del mantra diventa nullo. Perché noi stiamo ancora aggiungendo nostre simpatie e antipatie ad un particolare mantra. Quando il significato o lo scopo di praticare un mantra è quello di portare uno oltre le normali espressioni ed esperienze di attrazione e repulsione. Procurare una più ampia chiarezza mentale, risvegliare l’energia psichica interiore e i mantra sono vibrazioni sonore.
Ora molte volte accade che se noi siamo messi in una particolare espressione di energia nel nostro proprio sistema che è bloccato, fisso, e il seme del mantra è piantato quando esso cresce spinge lo stato bloccato e fisso dell’energia. Sapete come il seme rompe la terra quando diviene una pianta. Così quando cominciamo a sentirci a disagio e a sentire “quel mantra non è giusto per me” è perché il nostro modello fisso sta per essere rotto dall’effetto del mantra. E noi cominciamo a sentire che qualcosa è definitivamente sbagliato. Non mi piace questo, non sono capace di concentrarmi. Ma attualmente ciò succederà e succede.
Il mantra deve rompere il terreno della mente.

C’è un’espressione bloccata di energia, che regola e controlla il mondo esterno. Ma quando noi ci occupiamo del livello fisico, pranico e spirituale, allora questi livelli non coincidono col mondo esterno. L’espressione di questo mondo è diversa da quella manifesta. Allora quella sensazione di essere a disagio con un mantra è costretta a venire fuori. E se vi aspettate di ricevere un mantra in cui vi sentite benissimo state certi che il mantra non avrà effetto. Ah! Ma voi non dovete cercare quella sensazione. Non è che stasera, mentre praticate il vostro mantra cominciate a pensare “Mi sento bene o mi sento male?”. Dev’essere un’espressione naturale, spontanea.
E quando scalpelliamo una pietra per fare una statua, la pietra si fa male. Se la statua dice “Non scalpellarmi, non voglio essere una statua” viene proprio messa da parte, e tutti se ne dimenticano. Ma quando la bella statua è finita tutti la guardano, la ammirano e la adorano. Così io penso che come praticanti di yoga dovreste essere pronti a scalpellarvi cosicché più tardi un nuovo voi possa emergere e tutti possano ammirare e vedere la vostra propria bellezza.
Potresti dire qualcosa sul concetto di sankalpa?
Swamiji: Sankalpa aumenta la sensibilità e la potenzialità della mente. Io ho conosciuto nei giorni scorsi, e naturalmente molto di più nel corso degli anni, persone che vorrebbero cambiare il loro sankalpa dopo yoga nidra, ogni settimana. C’era una signora irlandese che diceva: “Ah! Questo è il solo yoga che mi piace. Perché non devo fare nulla: devo solo stare distesa a fare sankalpa e nel giro di una settimana ottengo qualunque cosa desideri”. Perfino i suoi rapporti con la famiglia e i bambini vennero positivamente trasformati. I conflitti che stava vivendo con dei suoi amici vennero armonizzati. Dunque sankalpa sensibilizza la mente, ha a che fare con le energie, che è lo scopo di sankalpa, energie che hanno effetto su di noi. Sankalpa focalizza le energie mentali che, consapevoli, diventano potenti come un raggio laser.
Ci sono dei libri che potresti consigliarci per la nostra crescita, accanto ai testi classici dello yoga?
Swamiji: Allo scopo di perfezionare il vostro proprio yoga, divenire fermi nello yoga, sono sicuro che dobbiate assumere il libro Asana, Pranayama in cui si trovano le pratiche di asana e pranayama che vi rendono capaci di perfezionarle. Poi c’è il libro Yoga nidra che vi renderà perfetti negli stati di rilassamento, mettendovi in grado di andare più in profondità nel vostro subconscio e inconscio e di rimuovere tutti i blocchi o gli squilibri che possono esserci. Poi, allo scopo di rendere consapevoli i potenziali energetici dentro di voi, di risvegliare i chakra ci sono due libri: I Chakra e Kundalini Tantra.
Penso che questi quattro libri possano offrire un quadro variegato delle differenti pratiche yoga, dal corpo fino al livello dei chakras e kundalini. In inglese c’è poi un altro libro Meditations from the tantras.
Come le pratiche yoga possono sviluppare la nostra creatività nell’arte e nella musica?
Swamiji: Si è visto che la meditazione può essere di aiuto nel perfezionare la creatività, ma naturalmente deve esserci un processo sistematico di meditazione. Le pratiche di meditazione nello yoga ci portano da uno stato esterno della mente a uno stato interiore più altamente ricettivo. In effetti si potrebbe dire che l’intero sistema dello yoga inizialmente aiuta a sviluppare la creatività umana. E questo è anche il punto di vista tradizionale delle pratiche yoga: aiutano a sviluppare i potenziali della coscienza.
Si è visto che quando pratichiamo lo yoga fisico nel corpo vie-ne attivato il prana.
La gente si avvicina allo yoga per varie ragioni: chi per migliorare lo stato del proprio corpo, chi per trovare flessibilità e stare meglio in salute, chi per imparare come affrontare e controllare stress e tensioni, chi con scopi altamente spirituali, chi perché vuole imparare la meditazione.
Allo stesso modo i professionisti dello yoga sprerano di ottenere diversi scopi tramite la loro pratica. Generalmente in tutto il mondo è stata attribuita più importanza ad alcune pratiche yoga. Per esempio hatha yoga viene considerato importante da chi vuole entrare in armonia con il proprio corpo, e oggigiorno le pratiche di asana e pranayama vengono ritenute parte dello hatha yoga. Invece gli argomenti tradizionali di raja yoga non sono stati diffusi adeguatamente e pochi li conoscono, mentre raja yoga è uno dei “sistemi” yoga più importanti per la società attuale. Nel raja yoga troviamo una serie di pratiche che partono dal corpo e vanno fino alla realizzazione della natura interiore.
Nel contesto vorrei parlarvi brevemente del raja yoga.
Raja yoga tradizionalmente viene descritto come l’ottava tappa del percorso le cui prime due pratiche sono yama (codice di comportamento esterno) e niyama (disciplina a cui aspirare nella vita). La terza e quarta tappa sono asana e pranayama che servono a incrementare la salute del corpo fisico e ad aumentare la ricettività del cervello umano. Dopo asana e pranayama nella quinta e sesta tappa di raja yoga ci sono le pratiche di pratyahara e dharana in cui focalizziamo le energie della nostra mente, così, con una maggiore concentrazione siamo in grado di agire in modo ottimale, usando la nostra creatività nella vita.
Dopo pratyahara e dharana ci sono le pratiche di dhyana e sa-madhi: la prima è meditazione elevata che culmina nella realizzazione del sé profondo conosciuta come samadhi.
Dunque vediamo che nella pratica di raja yoga veniamo in contatto con quattro aspetti della nostra vita: con yama e niyama si lavora sul comportamento umano e l’interazione nella società, anzi possiamo dire che avviene un affinamento della personalità con la pratica di yama e niyama. Questo aumenta le qualità che usiamo nella nostra vita normale e questo ci fornisce un più grande senso di stabilità interiore e disciplina.
Quindi il comportamento è governato con le pratiche di yama e niyama. Poi impariamo a governare i vari sbilanciamenti del corpo con le pratiche di asana e pranayama, infine la quinta e sesta tappa del raja yoga ci insegnano a governare gli stati psichici della nostra personalità. Per lo sviluppo di ogni tipo di creatività lo yoga dichiara che la mente deve essere governata in modo appropriato.
La definizione di creatività in yoga è dare il meglio nell’azione che stai facendo al momento, nella quale bellezza, armonia e forza vengono percepite. E con un’appropriata applicazione uno trova che c’è una profonda armonia tra un’azione individuale e lo scopo per il quale l’individuo sta cercando di raggiungere. Questa disarmonia nell’azione, fra idea e scopo indica una mancanza di creatività.
Così in meditazione o attraverso il processo meditativo cer-chiamo di armonizzare questi tre elementi. e penso alla storia di Michelangelo che una volta disse “Non voglio fare alcuna scultura, ma porto fuori, rivelo l’immagine che è già pronta nella pietra”. Rimuovendo i pezzi di pietra non necessari. Mettetevi nei suoi panni. Vorreste tirare fuori l’immagine della pietra, o scolpire l’immagine della vostra mente nella pietra. La maggior parte di noi cerca di scolpire la pietra in base al concetto che creiamo momento dopo momento nella nostra mente. La reale creatività non è applicare la mente a qualcosa, ma vedere la realtà dietro l’apparenza. E quando realizziamo la vera realtà e non la realtà apparente allora quella è l’espressione della creatività totale. Ma allo scopo di avere quella percezione, quel concetto è necessario trovare un’unione nella mente. Immaginate che quando accendiamo la TV vediamo dieci stazioni diverse in un solo canale e tutte insieme nello stesso tempo. Ciò succede nella nostra mente tutto il tempo, e la nostra mente normalmente non ha la capacità di identificare le diverse impressioni che si stanno generando in un canale della mente e quindi la natura della mente è sempre di dissipazione. Troppe cose vengono viste, osservate inconsciamente e le facoltà non sono capaci di focalizzarsi in un’unica direzione. Dunque la meditazione comincia un importante processo tramite il quale possiamo eventualmente identificare i diversi canali della mente e la meditazione comincia con lo stato di pratyahara.
Normalmente, quando noi cominciamo a praticare la medita-zione, senza un concetto chiaro della meditazione, questo rappresenta un processo di immaginazione e di fantasia, ma in accordo con i concetti dello yoga, la meditazione deve essere un processo di auto-scoperta; e tale processo comincia con l’estensione della consapevo-lezza al mondo intorno a noi e non tramite il ritirarsi dal mondo. Molti di noi fanno l’errore di cominciare ad estraniarsi dal mondo senza avere consapevolezza delle influenze ambientali. In meditazione c’è un graduale processo di addestramento per l’attenzione mentale.
E una delle pratiche di meditazione comincia con un mantra. Quando voi estendete la percezione esternamente allora c’è un’estensione di facoltà della mente nell’ambiente, ma tale estensione di qualità è combinata con l’aspetto di completa consapevolezza. Quando questa consapevolezza diviene attiva nella percezione e nell’azione, allora comincia il processo meditativo. Poi nello stato successivo cominciamo a focalizzare l’attenzione a un punto, quando possiamo focalizzare le energie mentali. E per aumentare naturalmente l’attenzione su un punto lo yoga suggerisce la pratica della meditazione su un mantra.
Con la pratica del mantra noi interessiamo diversi strati della nostra personalità allo stesso tempo: a un livello focalizziamo la nostra mente tramite il suo ritiro dal mondo dei sensi che abbiamo identificato e forniamo alla mente e all’attenzione un oggetto di concentrazione. A un altro livello alteriamo anche il normale stato della coscienza umana impressionando la sensibilità e la ricettività della consapevolezza. A un altro livello incrementiamo anche le qualità delle energie che sono innate in noi come l’abilità a trattare con tensioni e stress, a sviluppare il potere della volontà, la chiarezza di mente, il raggiungendo di profondi stati di rilassamento ed equilibrio e quindi fornendo un maggiore controllo sulle normali azioni e reazioni umane. Ed eventualmente il mantra ci insegna come agire e non agire. Normalmente la tendenza dell’essere umano è di reagire ed in questo processo noi non agiamo mai. Noi reagiamo all’ambiente, alle influenze, reagiamo alle nostre proprie espressioni di emozioni e comportamento e a quelle delle altre persone. Reagire è qualcosa di molto naturale nella nostra vita. L’azione è qualcosa che noi non abbiamo ancora imparato. Azione non è lavoro, o esecuzione, piuttosto è armonia che si esprime esternamente. Armonia in azione che porta alla perfezione è l’arte dell’azione. E nella meditazione è possibile giungere a quel livello di comprensione; applicare quella comprensione alla vita normale significa aumentare la creatività.
Dunque io suggerirei che prima di tutto in ogni genere di pratica yoga occorre cercare di aumentare il livello di consapevolezza, Introducete consapevolezza non solo nella pratica yoga, ma anche nelle normali attività giornaliere. E questa consapevolezza vi darà nel corso del tempo una maggiore comprensione delle cause e degli effetti di una particolare azione, attitudine e comportamento. E più tardi, seguendo un processo meditativo sistematico, in cui non cercate di evitare le situazioni esterne ritirandovi, ma siete capaci di sviluppare una comprensione profonda di voi e dell’ambiente. La perfezione in questo stato guiderà alla creatività.
Dunque consapevolezza e comprensione del processo meditativo sono due pratiche con le quali possiamo cominciare e quando ne avete l’opportunità, approfondite le pratiche di raja yoga.
Quali sono, secondo la tua opinione, le qualità di un vero discepolo?
Swamiji: Non penso che ci siano qualità specifiche di discepolo. Piutto-sto è l’uso e l’applicazione effettivamente delle qualità normali che rendono una persona discepolo. Questa mattina ho menzionato che il discepolo non è qualcuno che è studente o persona seguace di qualcu-no. Piuttosto è uno stato della mente, in cui c’è ricettività, armonia e unità. E questa ricettività e armonia è con se stessi e col mondo. Ricettività verso la propria natura e armonia con il mondo e unione con il concetto di guru o Dio. Quando queste tre cose si manifestano nella vita di una persona, allora la natura del discepolo si manifesta, sia esternamente che internamente. Uno non può essere un musicista senza la conoscenza della musica e la sua applicazione effettiva. Uno non può essere un dottore senza la conoscenza della medicina. E allo scopo di divenire un buon dottore deve esserci l’applicazione di tale conoscenza. E allo stesso modo uno non può essere un buon discepolo senza la conoscenza del legame di un individuo con la società, con la natura e con Dio. E la corretta applicazione di quella conoscenza prende posto nella vita di un discepolo in forma di ricettività, armonia, un senso di arrendevolezza all’unione o di completa unione. E arrendesi non significa lasciare andare il controllo su se stessi e seguire qualcun altro che ti dirige. Piuttosto ancora vorrei dire proprio la corretta applicazione della vostra conoscenza e della vostra forza.
Immaginate di dover attraversare un fiume a nuoto. Come fareste? Seguendo la corrente o andando controcorrente? Normalmente sfruttando la corrente. Dunque state nuotando con la corrente e non contro la corrente e questo vi aiuta a muovervi avanti. Questo è un esempio di arresa, di lasciarsi andare. Quando voi cominciate a fluire con la vita, naturalmente e spontaneamente, e insieme vi sforzate per andare avanti, la forza e il fluire, insieme, ti portano a destinazione. Dunque il tuo sforzo in armonia con una forza incontrollata. Noi non controlliamo la forza dell’acqua e la corrente, tuttavia possiamo muoverci al suo interno. Lo stesso principio si applica anche nella vita spirituale di qualcuno. Dunque arrendersi è armonia di sforzo personale con la forza che ti porta avanti. E normalmente tendiamo a combattere. E quella lotta crea più difficoltà mentali e problemi. C’è una canzone: The answer, my friend, is blowing in the wind (La risposta, amico mio, soffia nel vento) avete giusto da sintonizzarvi su quello, allo scopo di divenire buoni discepoli.

Quanto è importante avere un guru nella propria vita spirituale?
Swamiji: Nella mia opinione è molto importante. Ed è anche un bisogno, non è solo un concetto filosofico, ma anche un reale bisogno fisico. Quando vivevo negli Stati Uniti trovavo molte persone che mi dicevano: “Non si ha bisogno di un guru, si deve realizzare il guru interiore”. Allora io ero solito chiedere o raccontare una cosa: “Se voi pensate che il guru interiore è abbastanza per guidarvi nella vostra vita, allora sono sicuro che abbiate l’abilità di vivere con un marito o una moglie interiori senza averne un bisogno esteriore”. Proprio come c’è bisogno di un aiuto esterno per un senso di interazione e compimento allo stesso modo c’è bisogno di un guru esterno. Se il guru può essere interiore, allora marito e moglie in definitiva possono essere interiori e non c’è bisogno di averne uno esterno. E io non vedo la logica secondo cui la spiritualità è qualcosa di interiore e la vita pratica è qualcosa di esteriore. La spiritualità – di fatto – è una parte della vita pratica e la vita pratica è una parte della spiritualità.
Solo per stare in argomento per un attimo: Nei sistemi tradizionali del pensiero indiano, è stato detto che ci sono quattro aspetti della vita umana che devono essere soddisfatti per condurre una vita perfettamente equilibrata, sana, felice e spirituale. Questi quattro aspetti sono noti coi nomi di artha, dharma, karma e moksha. Artha significa sicurezza esterna, sicurezza sociale. E la sicurezza nella società è garantita dai mezzi di una famiglia, dalla finanza di una posizione, dallo status e dal rispetto; E anche il guru forma parte di questa sicurezza. Karma è la realizzazione dei desideri: i desideri coi quali noi normalmente ci identifichiamo, sono autocentrati o autorientati ed esteriori. Ma allo stesso modo ci sono desideri più profondi nella mente che impediscono di trovare pace in se stessi. E allo scopo di aiutare a canalizzare questi desideri interiori e per raggiungere uno stato di realizzazione un guru è necessario. Dharma significa conoscenza dell’impegno umano nella società e nella vita. Noi siamo ben consci degli impegni nella vita, perché siamo stati educati in quel modo, ma non siamo troppo consapevoli dell’impegno nella vita per la nostra propria crescita spirituale. E a causa di questo concetto poco chiaro generalmente c’è conflitto tra i nostri punti di vista morali, religiosi e spirituali. Ed è una ragione per cui vediamo così tanta disparità e disequilibrio tra diversi modi di pensare e anche nella comprensione umana di questi differenti modi di pensare. Allo scopo di sviluppare il concetto di dharma spirituale nella vita c’è bisogno di un guru. Moksha è il desiderio e la spinta ad ottenere libertà e liberazione. E allo scopo di guidare uno sulla strada di moksha c’è bisogno di un guru.
Dunque un guru è una parte integrante ed anche un bisogno di un essere umano. Ed ora dobbiamo capire chi può essere un guru, per-ché tendiamo a confondere la nostra idea di guru con il concetto reale del nome “guru”.
Il significato letterale della parola guru è dissipatore di oscuri-tà, e in questo senso il guru è una persona che ha sperimentato i diversi stati della vita, che ha perfezionato se stesso o se stessa nell’essere, che ha capito la natura umana, i suoi limiti e le sue potenzialità e che può ispirarvi ad intraprendere la strada spirituale con ferma convinzione e conoscenza. In questo senso il guru è la persona che vi guida spiritualmente. Gli insegnanti non sono guru, io sono un insegnante, non un guru perché lo stato di guru non è qualcosa che si ottiene, piuttosto è uno stato di esperienza e i guru non dicono mai di esserlo, essi sono sempre discepoli. Non c’è ego, non c’è livello che “io sono”. Una persona che può condurre una vita semplice con chiarezza mentale e semplicità e vivivere non circondato di comodità e lussi, può essere un vero guru. Esso può essere, in definitiva, nel mondo, ma non avere un’attitudine auto-centrata con le cose del mondo; ma avere una visione universale ed essere capace di tendere una mano che aiuta verso chiunque.
Come trovare un guru? Non chiedete a me. Dovete sentirlo intuitivamente.