Conferenze di Swami Satyananda Saraswati in Italia

Satsang con Paramahamsaji – 1

San Sicario (TO), Settembre 1982

Conferenze Satsang 1982 Satyananda Ashram Italia

Satsang con Paramahamsaji – 1

San Sicario (TO), Settembre 1982

Quando Dio, immanifesto e senza forma, per Sua grazia scende a livello umano, questo si chiama incarnazione divina o avatara.

Swamiji, cosa significa diventare un sannyasin?

Prima di tutto spiegherò il significato della parola sannyasa. Sannyasa significa completa dedizione. Ora vi darò un esempio di dedizione. Se avete molti soldi e li dedicate a uno scopo caritatevole, allora create un’istituzione caritatevole. Benché il denaro in precedenza vi appartenesse ora, a causa della vostra nuova volontà, è utilizzabile solo per lo scopo caritatevole. Non potete più spendere quel denaro per un vostro scopo personale poiché non è più vostro. Allo stesso modo, ciascuno ha in sé determinate caratteristiche, abilità ed energie. Le utilizza per se stesso, per la sua famiglia, i figli e i suoi scopi egoistici. Quando decide che dovrebbe usare tutte le sue risorse fisiche, mentali, emozionali e intellettuali per servire gli altri, allora diventa un sannyasin.

In India, la vita di un individuo è classificata in quattro stadi. Uno stadio è il raggiungimento della conoscenza. Il secondo è l’appagamento dei desideri e l’adempimento delle responsabilità. Il terzo stadio è l’astensione dal coinvolgimento attivo. Il quarto stadio è la dedizione totale a uno scopo più elevato.

La tradizione dei sannyasa è una tradizione dell’umanità molto antica, ma ora è preservata solo dagli Indù. In tutte le civiltà antiche c’erano degli individui che si dedicavano totalmente al servizio dell’umanità in forma di conoscenza. Nell’antica Grecia e nel culto degli Esseni è rappresentato lo spirito di sannyasa. Più tardi anche i cristiani accettarono la tradizione di sannyasa. I sannyasin cristiani erano conosciuti come monaci. La parola “monaco” ha origine dal derivativo greco mono, che significa “uno”. Sfortunatamente questi monaci sono rimasti solo come preti dediti a una particolare istituzione e non alla conoscenza. Tuttavia, quando fu fondata l’istituzione dei monaci aveva lo scopo di diffondere conoscenza e non semplicemente di formare un’organizzazione religiosa.

Nelle Pergamene del Mar Morto si fa riferimento al culto degli Esseni. Le parole “Esseni” e “sannyasin” sono molto simili. Vi farò una citazione tratta da questi rotoli di cui potreste non essere a conoscenza. Mezzo secolo prima della nascita di Cristo, vicino al suo villaggio, c’era un monastero degli Esseni. Improvvisamente il monastero non fu più visitato da nessuno e fu abbandonato. Cinque anni prima della nascita di Cristo, quel monastero riprese vita e i monaci del culto degli Esseni lo occuparono. I monaci Esseni avevano la stessa tradizione che abbiamo in India oggi. Essi praticavano due tappe: una chiamata brahmacharya e l’altra sannyasa. Quando un aspirante era ammesso al monastero, nell’istituzione, prima gli veniva dato un periodo di prova e solo dopo alcuni anni era accettato come sannyasin o monaco.

Cinque anni prima della nascita di Cristo, quando il monastero fu nuovamente riorganizzato, penso che sapessero della Sua venuta. Durante i suoi primi anni di vita, secondo le testimonianze e i documenti, Cristo visse in questo monastero. Poiché era un bambino divino, il capo del monastero lo capì quando ancora era in tenera età. Il monastero fu anche responsabile di aver mandato Cristo in India, poiché l’India è sempre stata la terra dove la spiritualità è stata insegnata, incoraggiata e praticata.

Gli scienziati stanno lavorando per scoprire i segreti della materia. I politici stanno lavorando per creare migliori sistemi politici. I governi stanno lavorando per la legge e l’ordine nel paese. Le religioni stanno lavorando per sviluppare la devozione in tutti. Così abbiamo dei dirigenti nella società che lavorano per esaudire i vari bisogni dell’umanità, ma chi sta lavorando per l’evoluzione della coscienza umana e del suo potenziale? Per questo scopo gli Indù hanno sempre incoraggiato e protetto i sannyasa. Non è stato a causa di una particolare religione o per una questione politica. Il sannyasin mira a realizzare qualcosa in lui e poi gira per il mondo per l’evoluzione dell’uomo, per l’evoluzione della società e dell’umanità.

Il sannyasin non è un rivoluzionario, non è un anarchico o un cinico. Egli è molto vigile e disciplinato, con bisogni ridotti al minimo, osservando se stesso in ogni momento, accettando la povertà, radendosi il capo, abbandonando l’appartenenza alle caste, indossando il colore gheru, vivendo di una dieta pura e naturale e focalizzando ogni pensiero su argomenti spirituali.

Conferenze Satyananda 1982 Satyananda Ashram Italia 04

Qual è il significato della purificazione della mente durante la meditazione?

Grazie per la bella domanda. Quando siete seduti con i vostri amici, i vostri pensieri non vi preoccupano. Questo significa che siete appesantiti. Quando andate in discoteca e ballate, bevete e mangiate, non ci sono distrazioni nella mente. Sembra che la vostra mente sia senza nessun samskara o karma.

Quando state godendo dei diversi piaceri della vita non vedete le distrazioni. Invece, nel momento in cui prendete il mala in mano e praticate Om Namah Shivaya, tutte le distrazioni, tutti i karma vengono alla superficie della mente. In quel momento non pensate solo alle cose importanti, ma vengono in mente anche i pensieri più insignificanti e privi di senso.

Se durante la pratica di mantra japa ci fosse una macchina che potesse registrare i pensieri, sareste terrorizzati nel vederne le immagini. In quel momento nessun pensiero è completo e ogni pensiero è sostituito da un altro pensiero ancora. Riflessioni riguardo al passato, previsione del futuro e le situazioni del presente, tutto questo si manifesta in un modo molto confuso. Alcune volte pensate “No! Non penserò nulla”. Come un cane da guardia osservate che nessun pensiero emerga e improvvisamente scoprite che state pensando. Siete davvero stanchi di queste cose buffe. Alla fine del vostro japa vi sentite frustrati.

Tutto questo significa spurgare. Quando non affrontate la mente e siete in compagnia di oggetti piacevoli, allora siete costipati. Si potrebbe anche dire che state scappando dalla vita, o piuttosto che state sfuggendo dall’immagine reale della vostra mente. Quando praticate il mantra, esso disturba la mente e ve la fa affrontare. Il mantra è un dosaggio leggero, non è pesante o potente. Ci sono certe pratiche che purificano la mente in maniera eccessiva. Qualche volta non siete in grado di gestire la purificazione. Qualunque cosa si manifesta nella mente durante mantra japa è una parte della vostra mente, della vostra personalità.

Qualsiasi sia la vita che conducete, essa lascia un’esperienza sotto forma di seme. Questi semi, queste esperienze diventano una parte della vostra mente. Essi influenzano il vostro comportamento, la vostra personalità, le vostre reazioni e le vostre aspirazioni. Quando praticate il mantra, c’è un progressivo rilassamento di questi samskara. Per questo, durante la pratica del mantra, non dovreste bloccare questa manifestazione. Con il passare del tempo, se praticate il mantra con questo atteggiamento, la vostra mente, da sola, entrerà nella meditazione.

Ci sono altri modi per purificare la mente molto velocemente. Quando avviene tale purificazione, le persone piangono, urlano, gridano, saltano e cadono, ma quello che ho trovato è che molte persone non riescono a gestire tutto questo e finiscono negli ospedali psichiatrici.

Io ho una filosofia che ho stabilito più di trent’anni fa. Sono anche un po’ un medico. Immaginate di soffrire di diarrea e dovete andare in bagno venti volte al giorno. Questo lo chiamo purificazione. Vengono fuori acidi cattivi e fermentati, mucose danneggiate e materiale infetto. In quel momento vi chiedo di non assumere alcun tipo di cibo. Se mangiaste carne o qualcosa che è difficile da digerire continuereste ad andare in bagno e ci sarebbero molte altre complicazioni. Quindi, ci sono due comportamenti: il primo è quello di permettere la purificazione, il secondo è quello di fermarla. Questi due comportamenti sono praticati uno accanto all’altro. Se lasciate che la purificazione continui, avrete un altro problema chiamato disidratazione.

In yoga ci sono due tipi di pratiche. Un guru deve conoscerle molto bene. Se affrontate l’estrema purificazione della mente, allora ci sarà quello che chiamiamo disidratazione nella forma di demenza. Pertanto, dobbiamo avere cura di due cose contemporaneamente, la purificazione della mente da una parte e l’equilibrio della mente dall’altra.

Quando state praticando il vostro mantra e sta avvenendo la purificazione, dovete anche riesaminare il vostro stile di vita, le intenzioni, i desideri e le reazioni. Forse c’è qualcosa di sbagliato nel vostro modo di vivere, nel vostro modo di pensare, nel vostro modo di mangiare e nei vostri comportamenti. Quindi, durante il mantra, non combattete con la vostra mente. Non controllate il processo di purificazione della mente subconscia. Se la purificazione è minima, allora non vi dovete assolutamente preoccupare. Se la purificazione è elevata, se le distrazioni sono molte, allora è meglio fare qualche analisi. Analizzate la relazione con vostro marito, moglie, figli e amici; analizzate il vostro comportamento verso il denaro, verso la vostra professione e verso i problemi e le difficoltà che state affrontando. Se vi accorgete che qualcosa nella vostra vita è poco scientifico, allora correggetelo un pochino. Facendo questo sarete in grado di eliminare la fase acuta della purificazione.

C’è un’altra cosa importante da ricordare se praticate japa. Se decidete di estirpare l’erba da questa valle, dovrete farlo per tutta la vita, perché l’erba e la vegetazione sono inerenti alle qualità del terreno. Se vedete una persona che continua a estirpare l’erba e dice: “Voglio rendere tutta la valle libera dall’erba”, questo è un uomo pazzo. Non potete rendere la vostra mente completamente libera dai samskara, impressioni o distrazioni.

Quello a cui miriamo in japa è di rimuovere gli arbusti e il bosco, le cose dense, cosicché il terreno sia libero per piantare bei fiori, frutti e alberi. Perciò, non provate a sradicare l’erba dalla valle per tutta la vostra vita, ma piuttosto piantate dei begli alberi e prendetevene cura. Purificate un po’ la mente con il mantra e poi sviluppate la consapevolezza di una divinità o di un simbolo. Quando la consapevolezza del simbolo è sovraccaricata dai pensieri, pulitela un poco. Questo è tutto.

Conferenze Satyananda 1982 Satyananda Ashram Italia 02

Meditare significa ricercare Dio? Cos’è importante?

Qualunque cosa pensiamo di Dio attraverso la nostra mente imperfetta, non è Dio. È la nostra stessa mente, perché non abbiamo sviluppato il nostro occhio interiore. Siamo ciechi e quindi non possiamo vedere. Da questo capite quanto siamo limitati. Quindi, dire di conoscere Dio grazie a questo discorso è un errore.

Quando si dona la vista a una persona cieca, egli può vedere molte cose. Può vedere alberi, montagne, fiumi, uomini, animali, ogni cosa. Similmente, la meditazione apre l’occhio interiore. Con questi occhi interiori, avete certe esperienze e comprendete l’intero universo. Comprendete molte vibrazioni. Poi, questa esperienza finisce e comprendete la vostra vera natura, non il vostro nome o la vostra forma, ma la vostra vera natura. Allora cominciate a percepire che non siete diversi dall’universo. Fate esperienza dell’intero universo come una vostra espressione. Poi arriva un momento in cui tutte le esperienze muoiono, le vibrazioni si fermano completamente. Non vi è nessuna consapevolezza del sé o di qualsiasi altra cosa. Ed è in quel momento che fate esperienza del divino. Nel momento in cui fate esperienza del divino, qualsiasi cosa si ferma.

Dovete ricordare che meditazione non è chiudere gli occhi. Non avrete successo nella meditazione solo chiudendo gli occhi e chiudendo la mente. Quando la meditazione diventa sempre più profonda, cominciate a divenire più consapevoli interiormente, così come prima lo eravate degli oggetti esterni. Nella meditazione la consapevolezza non diminuisce. L’unica cosa che cambia è che gli oggetti esterni, l’universo esteriore creato da Prakriti svanisce. Quando avviene la vera meditazione è come se vi foste svegliati da un sonno profondo. Per chi è in grado di meditare, l’esperienza del mondo è come un sonno profondo di ignoranza.

La meditazione, in Sanscrito e in yoga, è conosciuta come dhyana. Non significa “riflettere su qualcosa”, non significa “contemplare qualcosa”, significa “totale consapevolezza”. La vostra consapevolezza unita con la mente e i sensi è capace di fare esperienza di questo universo di oggetti. La vostra consapevolezza unita con la mente e i sensi è consapevole di tempo, spazio e oggetto. Quando la vostra consapevolezza diventa libera dalla mente e dai sensi, allora termina la percezione di tempo, spazio e oggetto. Quando la consapevolezza si disconnette dalla mente e dai sensi, allora è in grado di vedere all’interno. Perciò, negli Yoga Sutra di Patanjali, ci sono otto stadi: yama, niyama, asana, pranayama, che sono le pratiche esterne; pratyahara, dharana, dhyana e samadhi che sono le pratiche interne. Non è possibile praticare dhyana. Dhyana avviene da sola e una prolungata e protratta esperienza di dhyana si trasforma in samadhi.

Samadhi ha due categorie, samadhi con una traccia di ego e samadhi senza ego. Sono conosciute come savikalpa samadhi e nirvikalpa samadhi. È dopo aver raggiunto il nirvikalpa samadhi che potrete fare esperienza della divinità nella sua vera essenza. Molte volte, o il più delle volte, quando le persone parlano di Dio, sono ipotesi, perché il pensiero di Dio ci dona pace mentale. Quando ascoltiamo e parliamo di Dio, ciò eleva la nostra mente e la nostra vita. Se invece non parliamo e non pensiamo a Dio ci saranno più problemi psicologici e suicidi. Tuttavia, quello di cui parliamo riguardo a Dio, sono solo parole. L’uomo deve cercare Dio. Quello che i vostri pandit, monaci, swami e predicatori vi dicono di Dio è solo un bel passatempo. Viviamo all’inferno e parliamo di paradiso. Siamo immersi nel fango, ma parliamo di un bel giardino.

Lo scopo della vita umana è di conoscere questo. Non siamo nati per goderci la vita, perché il gusto che si ottiene dalla vita è molto temporaneo e termina con dolore. I piacere sensoriali, di qualsiasi tipo, non vivono con noi a lungo. Gli anziani non ci dicono la verità perché, se ce la dicessero, non ci potrebbero sfruttare.

Ci sono quattro cose importanti da ricordare. Queste quattro cose sono in comune tra gli uomini e gli animali: mangiamo, e così fanno gli animali; dormiamo, e così fanno gli animali; siamo sempre insicuri, e così sono gli animali; indulgiamo nella vita sessuale, e così fanno gli animali. Questi sono conosciuti come istinti e questi istinti sono comuni tra uomini e animali. Quindi, qual è la differenza tra i due? Ci deve essere qualcosa che dovrebbe fare la differenza tra uomo e animale. Si, forse l’uomo può costruire i computer. Cinquemila anni fa i vostri antenati non sapevano farli. Gli animali saranno anche loro in grado di costruirli tra ventimila anni, dandogli tempo e formazione. C’è una cosa solamente che distanzia l’uomo dagli animali, la consapevolezza del samadhi più elevato. Perciò, poiché è stata posta questa domanda, colgo l’opportunità di dirvi quello che c’è sempre stato nella mia mente. Solamente andare in un tempio non è abbastanza. Solo ripetere il Suo nome non è abbastanza; solo seguire una religione non è abbastanza. Chi lo sa, potreste sbagliarvi. Siamo ciechi, e anche i nostri insegnanti lo sono. Ciechi che guidano ciechi, così si finisce in un fosso.

C’è una parabola in India. Due ciechi decidono di andare in pellegrinaggio. Uno di loro era anche zoppo. Quello capace di camminare disse all’altro: “Perché non vieni sulle mie spalle?”. L’uomo gliene fu molto grato. Così continuarono nel pellegrinaggio. Improvvisamente arrivarono vicino a un fosso. L’uomo cieco inciampò ed entrambi caddero. L’uomo cieco e zoppo chiese: “Perché sei caduto?” e l’altro replicò: “Perché non ho visto”. Quindi, per poter guidare gli altri, avere l’abilità di camminare non è abbastanza, bisogna essere in grado di vedere.

Lo scopo importante della vita deve essere deciso da tutti coloro che cercano Dio e che parlano di Lui. Diversamente, tacete, non siate un ipocrita. È meglio essere ateo piuttosto che ipocrita. In fondo un ateo è onesto sulle proprie convinzioni mentre un ipocrita sa che non conosce, ma dice comunque di sapere.

La più elevata esperienza spirituale di Dio è la beatitudine. Basta un barlume di essa per immergervi completamente in ananda. C’è una storia meravigliosa, che è la base di una grande Upanishad, la Kathopanishad. Le Upanishad sono dialoghi tra guru e discepolo in relazione alla conoscenza più elevata. Dio in sanscrito si dice Deva, Ishwara, Paramatma, Brahman. Questi sono i diversi nomi designati alla realtà più elevata. In India il dialogo speculativo tra guru e chela continua da molte migliaia di anni. Nel libro più antico scritto nella storia, il Rig Veda, un rishi chiede: “C’è un creatore? Conosciamo cosa egli ha creato?”. A questa domanda presente nei Veda viene data risposta attraverso migliaia di libri.

C’è della bellezza nel modo di pensare indiano. Voi occidentali non potete comprenderlo. A voi è stato insegnato “supponiamo che ci sia Dio”. Nel modo di pensare indiano si inizia con “supponiamo non ci sia Dio”. Quindi, se non esiste Dio, ci sono molte domande.

Se non c’è Dio, allora arrivano i dubbi: “Ma allora cos’è tutto questo? Chi lo ha creato?” e la risposta afferma: “la Natura lo ha creato”. Quindi un altro dubbio: “Chi ha creato la Natura?” la risposta: “la Natura si è creata da sola” e la risposta successiva: “Non chiamatela Natura, chiamatela Dio”. Così vengono presentati argomenti ontologici, teologici e cosmologici. In questo modo, in India, hanno ricercato Dio. Qui questo non accade. L’ipotesi è la risposta: “C’è Dio, quindi c’è Dio”. Qui, la cosa meravigliosa è che questa è la fine della ricerca, voi proseguite con la fede.

Ho riflettuto su questo negli ultimi cinquantacinque anni. La fede ci ha reso compiacenti. Ormai non siamo più ricercatori. Siamo diventati così arroganti verso la nostra fede in Dio. Crediamo di avere cinquanta milioni di lire in banca, ma non c’è nulla. Ora, nella Kathopanishad la storia è la seguente.

Vi era un rishi, un veggente. Un giorno decise di devolvere tutti i suoi averi in beneficenza a tutti. Egli donò ogni singolo bene, incluso le mucche, i cavalli, le capre e le pecore. Egli aveva un figlio di sei anni che osservava cosa stava facendo suo padre. Vide che suo padre stava donando tutti i suoi averi, tranne lui, il ragazzo. Egli pensava che, forse, suo padre si fosse dimenticato di lui.

Gli chiese “Padre, a chi mi darai?”. Il padre lo guardò e rimase in silenzio. Il ragazzo chiese una seconda volta: “A chi mi darai?”. Il padre lo ignorò ancora. Quando pose la domanda per la terza volta il padre si irritò e disse: “Ti darò alla morte”. Era una specie di maledizione che fece a suo figlio. Perciò il ragazzo trascese il corpo ed entrò nel regno della morte. Nel regno della morte non riuscì a trovare il Signore della Morte, in quanto era andato via per il suo giro quotidiano. Questo ragazzo rimase lì e lo aspettò per tre notti. Quando il Signore della Morte tornò, venne a sapere che un bambino di sei anni lo aspettava da tre notti davanti alla sua porta. Il Signore della Morte si sentì molto a disagio e decise di concedergli tre desideri. Andò dal ragazzo e gli disse: “Mi dispiace che hai dovuto aspettare tre notti, ma ne sono felice e ti concedo tre desideri. Ti prego, chiedimi quello che vuoi”.

Il bambino gli chiese i primi due desideri. Furono esauditi. Non andrò a parlarvi di questi due perché sono fuori dal contesto. Poi chiese il terzo e disse: “Mio Signore, alcuni dicono che c’è e altri dicono che non c’è. Qual è la tua opinione, perché vivi in entrambi i mondi: questo mondo dove vieni a prendere la nostra vita e quel mondo dove ci porti tutti. Quindi, sono a porti la domanda. Dimmi, c’è o non c’è?”. Il Signore della Morte disse: “Ragazzo, mi stai chiedendo davvero una grande cosa. Grandi yogi, grandi maestri, grandi veggenti e grandi uomini non sono in grado di avere questa risposta da nessuno. Come osi fare questa domanda? Chiedimi qualsiasi altra cosa e ti risponderò. Mi sembri un bambino molto serio, perciò non ti chiederò se vuoi giocattoli, ma chiedimi oro, argento, cavalli, elefanti, fanciulle, terre, proprietà, piaceri eterni, lunga vita, buona salute, molti figli, tutto ti verrà concesso, ma per piacere, non chiedermi questo”. Il bambino disse: “O Signore, sono immortali tutte queste cose? Rimarranno con me per sempre? Mi dici che mi darai una lunga vita, ma quella lunga vita arriverà comunque a una fine. Mi prometti oro, argento, cavalli, elefanti, diamanti, quanto a lungo rimarranno con me? Quando i piaceri arrivano all’uomo, loro lo chiamano, ma appena l’uomo si avvicina ai piaceri, loro se ne sono già andati. Sono come un miraggio. Io voglio che tu mi dica quella cosa attraverso la cui conoscenza io possa divenire immortale”.

Il Signore Yama tentò il ragazzo in più di un centinaio di modi. Ma il ragazzo non si scoraggiò. Infine, il Signore Yama cedette. Questo è il tema della Kathopanishad. Il Signore Yama iniziò a istruire quel piccolo bambino sulla natura della realtà più elevata, che è oltre la mente e la materia. In una delle belle strofe dice: “Questo sentiero della realtà è la lama del rasoio”. È davvero incomprensibile, quindi rimanete sempre allerta e consapevoli della vostra esperienza interiore.

C’è un libro intitolato Il Filo del Rasoio di Somerset Maugham basato su questo sutra. È stato anche fatto un film su questo. Dovete leggere il libro. Il sunto e la sostanza sono che dobbiamo spostare l’enfasi e che lo scopo della vita deve essere deciso da noi. Il mio guru, Swami Shivananda, era solito raccontare una storia. Penso che possa essere applicata a tutti noi.

Un giorno la padrona di casa mandò il domestico in negozio con un po’ di soldi per comprare delle verdure. Il domestico prese i soldi alle nove di mattina e non fece ritorno. Lungo la strada vide il cartellone di un circo. Fu tentato e ci andò. Ci fu uno spettacolo di tre ore con leoni, tigri, elefanti e altri animali. Quando il circo terminò, uscì e vide una vineria. Entrò e bevve qualche bicchiere. Quando fu sazio, uscì e andò al cinema. Quindi, ovviamente, comprò un biglietto ed entrò. Il film fu molto carino, lungo circa due ore e mezzo. Finalmente uscì alla cinque in punto. Ormai aveva finito tutti i soldi e non sapeva cosa fare. Si sedette sul ciglio della strada. Era già tardi, il sole stava tramontando. La padrona di casa si stava preoccupando per la sua assenza e inoltre doveva anche cucinare la cena. Così andò al negozio e trovò il ragazzo seduto sul lato della strada a chiedersi che cosa fare. Lei gli chiese: “Dove sei stato?” lui disse: “Signora, sono andato al circo e al cinema”. Lei chiese: “Dove hai preso i soldi?” e lui disse: “Dal denaro che mi avevate dato”. E lei chiese: “E le verdure?” lui disse: “Ho sperperato tutto quello che mi avete dato”.

Questa storia continua ad accadere ancora oggi. Siamo tutti al mercato e stiamo sperperando tutto ciò che ci è stato dato.