Lo Yoga della Libertà
Tratto da Swami Satyananda Saraswati, “Bhakti Yoga Sagar”, ed. Shivananda Math, Fort, Munger, Bihar, India
Per chiunque voglia aver successo nello yoga, così come nella vita, i risultati personali raggiunti e la prosperità non sono sufficienti. Per ottenere il successo, sono richiesti solo tre elementi: impegno, dedizione e devozione a quello che è oltre se stessi. Se non saremo capaci di sviluppare queste tre qualità nel nostro yoga e nella nostra vita, non potremo mai trovare soddisfazione né appagamento. Il vero successo non si misura dallo status, dalla situazione economica, né da alcun raggiungimento personale, ma da quanto uno è capace di offrire agli altri nel momento del bisogno, per il loro sostegno e per l’eliminazione del loro dolore.
L’uomo non è un’isola o un’unità separata fine a se stessa. Siamo tutti parte integrante di questo mondo, di questo vasto universo. Siamo nell’universo e l’universo è in noi. Nessuno è in alcun modo diverso da un altro. Tutti siamo costituiti dalla stessa coscienza ed energia, dagli stessi cinque elementi. Tutti respiriamo la stessa aria, beviamo la stessa acqua, mangiamo lo stesso cibo, camminiamo sulla stessa terra. Tutti proviamo le medesime emozioni e pensiamo gli stessi pensieri. Allora, cos’è che ci fa sentire diversi l’uno dall’altro? La nostra illusione riguardo al sé, il nostro senso di individualità, di importanza individuale, di egocentrismo, che impediscono la nostra visione di totalità, di unione con l’umanità e con l’intera creazione. Quando saremo liberi? La libertà non è una merce che possa essere acquistata politicamente, socialmente o professionalmente. La libertà è una comprensione di se stessi in relazione agli altri, la parte in relazione all’intero. Mai saremo liberi finché non impareremo a condividere con gli altri. C’è sempre qualcuno che ha meno di noi, non conta quanto poco noi abbiamo. Ci sono migliaia di modi per condividere la nostra conoscenza, le capacità, le abilità, l’esperienza, la fiducia, la fede, il denaro, la proprietà, il cibo, gli abiti, i libri, le idee.
Non è accumulando e arricchendoci che diventiamo liberi. Diventiamo liberi dando agli altri ciò che abbiamo. Le differenze nei modi e nelle forme della nostra condivisione sono la misura della nostra libertà, della nostra capacità di realizzare Dio. Per Dio io non intendo il Padre Santo che vive da qualche parte in alto nel cielo, ma la divinità che risiede in noi e in tutti gli esseri, senzienti e non, in eguale misura.
Non c’è alcuna utilità nel costruire per noi stessi. Tutte queste accumulazioni diventano la nostra schiavitù, il nostro limite. Esse ci mantengono rinchiusi lontano dalla realtà superiore, dalla visione della totalità. Più diamo più grandi diventiamo, perché impariamo a vedere noi stessi negli altri. La loro sofferenza diviene la nostra sofferenza e la loro gioia la nostra gioia.
Una vita di acquisizioni egoistiche e di soddisfazioni materiali non merita di essere vissuta né di morire per essa. Al suo termine cosa avremo che sia ancora nostro? Niente. Né il denaro, né gli averi, né le proprietà, né la casa, né l’automobile, né il lavoro, né i rapporti personali, né gli amici potranno mai lasciare questa vita con noi. L’unica cosa che verrà con noi l’ultimo giorno saranno i nostri karma, le nostre azioni, siano esse positive o negative, egoistiche o altruistiche, e nient’altro.
Questo è il motivo per cui in questa vita è molto importante porsi sempre nella prospettiva di trovare delle opportunità per dare, servire e contribuire in qualche modo al benessere e al miglioramento di qualcun altro. Questo è il modo per ottenere felicità, appagamento e trascendenza, in questa vita e nella vita a venire. Con ogni azione positiva, rimuoviamo i legami di dieci anni di azioni negative. Diventiamo più luminosi, più giovani, più sani e più vitali.
Cos’è che ci rende cupi, vecchi, malati e oppressi? La causa non è esterna; sono le nostre limitazioni interiori che ci legano ad una visione della vita ristretta ed egoistica. Questa è la causa di tutte le nostre sofferenze. Per eliminare la nostra sofferenza dobbiamo rimuovere i nostri limiti. Dobbiamo vivere per aiutare e servire gli altri e non noi stessi. Dobbiamo andare oltre i nostri familiari più stretti e i nostri bisogni personali e sviluppare un’identità più ampia che comprenda l’intera umanità, l’intera creazione, l’intero cosmo. Questa è libertà, non una qualsiasi ideologia politica, sociale o religiosa.
Al giorno d’oggi, nei paesi occidentali, le persone hanno dimenticato lo spirito in cui lo yoga giunse loro inizialmente da questa terra. Hanno costituito proprie federazioni e associazioni di yoga, ed eretto alti steccati intorno ad esse. Ciascuno di loro dice: “Questo è il nostro yoga. Nessun altro yoga è permesso qui. Impara il nostro metodo, insegna nel nostro modo, o vattene”. Così troviamo yoga britannico, yoga francese, yoga greco, yoga tedesco, yoga svedese, yoga italiano, yoga giapponese, yoga statunitense, ma questi non sono gli yoga che io insegno né che ho mai insegnato.
Ho insegnato solo uno yoga, quello che conduce alla libertà. Tutti gli altri sono sentieri di schiavitù. Vi prego di non pensare che io stia parlando contro qualsiasi insegnante o istituzione di yoga, ma sento che l’attuale concetto e indirizzo dello yoga debbano cambiare. Lo yoga deve essere unificato, liberato da ideali separati, lotte di potere e limitati concetti di successo spirituale.
Gli atteggiamenti devono cambiare, le barriere devono crollare, così che possa emergere un nuovo yoga. Questo sarà lo yoga dell’unità, del dare, condividere ed elevarsi, come una squadra. Come organi e parti di un corpo, dobbiamo lavorare insieme in uno sforzo coerente e concordato per servire l’umanità, condividere la nostra conoscenza, i nostri doni, le nostre capacità, la nostra fatica, per il bene comune, per un mondo migliore.
Quando saremo capaci di vedere la malattia, la disarmonia e l’angoscia degli altri come nostra, e di iniziare ad alleviarla ed eliminarla con i nostri sforzi uniti, allora il nostro yoga avrà bisogno di un unico vessillo. Chiamatelo libertà, chiamatelo mukti, chiamatelo beatitudine. Se siamo impegnati in un qualsiasi tipo di yoga per uno sviluppo, conoscenza ed evoluzione personale, quello yoga non ci aiuterà. Alla fine dovremo lasciarlo e cercare un altro sentiero.
Le strade del mondo sono molte, ma la strada verso Dio, lo spirito, la divinità, è una. Dedicarsi all’innalzamento degli altri, vedere gli altri in se stessi e se stessi negli altri; questo è lo yoga finale. Non c’è nessun altro modo per trasformare la nostra visione limitata ed egocentrica in una visione cosmica. Questa è la via e questo è lo yoga per il prossimo secolo chiamatelo “yoga della libertà”.
Non c’è alcun bisogno di sprecare il tempo praticando altri yoga. La vita non ha abbastanza giorni, ore e minuti per mettere in atto tutte le buone azioni che devono essere fatte per equilibrare le cattive azioni che sono state fatte in precedenza. In questa nascita abbiamo l’opportunità di servire i poveri e gli oppressi offrendo cibo, abiti, denaro, medicine, libri, giocattoli, strumenti da lavoro, materiale edilizio, biciclette, mucche, vitelli, ed altre cose che possono aiutare ad eliminare il dolore dalla vita degli individui, famiglie e comunità.
Questo è il mio sentiero, e questo è lo yoga che desidero propagare per il prossimo secolo per il benessere di tutta l’umanità e per il più alto successo dello yoga. Non c’è altro nirvana, nessun’altra illuminazione. Questo è il sentiero per la libertà.
Non è mia intenzione insultare o offendere il punto di vista, il concetto o la pratica di yoga di nessuno. Tuttavia, dobbiamo tenere a mente che gli yoga espressi nel ventesimo secolo erano adatti ai bisogni e all’evoluzione dell’umanità di quel periodo. La forma di yoga, perciò, era limitata all’autodisciplina, all’introspezione e al miglioramento individuale.
Ora lo yoga sta facendo un altro passo avanti. Si sta espandendo oltre i confini personali, egoistici e ristretti della pratica, degli insegnamenti e degli ideali individuali per includere un ampio spettro di devozione, dedizione e partecipazione integrale all’emancipazione umana.
Questo non è un mio ordine. È stato deciso da forze che sono oltre di me. Non ci sarà altro modo per evolversi attraverso lo yoga. Tutti, alla fine, dovranno abbattere le loro diverse barriere e insegne ed iniziare a lavorare insieme in un unico, coerente sforzo per elevare e liberare l’umanità da ogni forma di privazione e degradazione.
La miseria degli altri è la nostra miseria. Liberare qualcun altro dalla sua miseria è la nostra libertà, la nostra felicità e il nostro appagamento. Per non parlare della liberazione d’intere famiglie, comunità, stati, nazioni e mondi. La libertà è infinita per quelli che camminano nella luce di questo yoga, che intraprendono il sentiero del dare e condividere, che dedicano il loro tempo e il loro denaro all’elevazione degli altri.
Lo Yoga come Controllo della Mente e del Sé (parte quarta – ultima)
Satsang di Paramahansa Niranjanananda, Bad Konig (Germania) 28 ottobre 1995
Le vritti
Questa mattina abbiamo parlato delle cinque vritti. La prima è la conoscenza. Nel pratyahara la vritti della conoscenza è compresa nella sua giusta prospettiva. Io ti vedo come una persona, guardo il tuo corpo, il tuo vestito, la tua pettinatura, il tuo fisico, e c’è un’accettazione totale di questa immagine, non c’è negazione. C’è consapevolezza, anche se tu fossi mio avversario, anche se fossimo in conflitto o ci scontrassimo l’uno con l’altro. Ma che cosa si scontra realmente? Il tuo corpo con il mio? No. Ci scontriamo a causa delle situazioni. Potremmo scontrarci a causa di alcune situazioni o incompatibilità di certe cose tra noi. Ma questo è un livello differente che non dovrebbe fermarmi dal negarti totalmente o dall’accettarti totalmente. La conoscenza è tale cosa. Guardiamo una persona, ne conosciamo la struttura fisica, la personalità, conosciamo l’espressione della persona – espressione che può essere quella di un amico o quella di un avversario, non c’è problema – l’espressione deve essere riconosciuta. Conosciamo il potenziale della persona, conosciamo l’intera persona. Questa è la conoscenza. Questo succede attraverso l’estensione della consapevolezza, l’estensione della percezione.
Passiamo ora alla seconda vritti, la falsa conoscenza. La falsa conoscenza è un’idea concepita, che può non essere necessariamente vera. È come se un vostro amico sostenesse che Swami Niranjan è una pessima persona. Voi non mi avete mai visto, ascoltate il vostro amico e vi create un’impressione mentale che io sia una pessima persona. E se per caso sentite che io sto venendo nella vostra città o nel vostro paese o a casa vostra, allora direte: “No, io non voglio avere niente a che fare con quella persona”. Non succede questo molte volte? Veniamo influenzati e ci creiamo una nostra impressione personale mentale senza considerare qual è la realtà. Questa è una vritti, la falsa conoscenza. Così è il riconoscimento della percezione interiore o di un’idea interiore in pratyahara, che ci permette di sviluppare la consapevolezza della realtà e non delle idee immaginate. Ma il concetto di realtà deve essere basato su di una consapevolezza più profonda e più elevata. Dopo aver lavorato con le nostre idee rispetto a qualche cosa, rispetto a noi stessi, rispetto alla nostra natura, rispetto alle altre persone, rispetto alla nostra filosofia, col diventare consapevoli interiormente del processo mentale, possiamo discriminare tra il falso e il vero. Così lo sviluppo di viveka è il prodotto di pratyahara. La capacità di discriminare tra il vero e il falso è il prodotto di pratyahara nel senso che ci permette di penetrare nell’osservazione, di conoscere la verità effettiva e quindi accettarla.
Poi passiamo al livello di dharana, dove dobbiamo lavorare con altre due vritti, la terza, la vritti del conflitto, e la quarta, la vritti delle impressioni, la memoria. Quando abbiamo sviluppato la consapevolezza della discriminazione, allora iniziamo ad osservare le aree di conflitto. Perché facciamo esperienza del conflitto nella vita, sia esso intellettuale, emotivo, sociale, nella situazione familiare o nei rapporti personali? Cerchiamo di vedere qual è in realtà il nostro ruolo in relazione alla situazione che crea conflitto. Potete essere contenti di sentire che la maggior parte dei conflitti può essere facilmente gestita introducendo la consapevolezza nel vostro coinvolgimento e partecipazione. Siete d’accordo? Così la gestione della terza vritti è molto semplice.
Poi in dharana lavoriamo con la quarta vritti, la memoria. La memoria è la mente sottile. Il conflitto è la mente manifesta. Così dopo che abbiamo affrontato la superficie della mente manifesta, andiamo più in profondità nel regno della memoria. Nel regno della memoria si riconoscono le tre memorie e le loro espressioni esterne: l’impressione genetica, l’impressione culturale, l’impressione spirituale, sotto forma di memorie molto profonde e intense, le quali si manifestano in forma di samskara e che possono alterare il nostro comportamento, la nostra partecipazione e percezione del mondo. In meditazione certe persone fanno anche esperienza del ricordo di molti eventi che sono loro accaduti o che hanno scosso la loro vita fin dalla prima infanzia o a partire da altri momenti che avevano dimenticato. Così l’aspetto di dharana sviluppando la consapevolezza, la concentrazione e quindi identificando le aree della nostra personalità – è la forma di psicoterapia dello yoga. La gestione della memoria e la gestione del conflitto sono la psicoterapia yogica, attraverso cui le energie che sono espresse e gli stati di consapevolezza che si manifestano nella vita sono in armonia reciproca.
Quindi arriviamo allo stato di dhyana, che gestisce l’ultima vritti – nidra, che vuol dire disconnettere la consapevolezza. Uso il termine consapevolezza, non mente. Nello stato di dhyana c’è la disconnessione della consapevolezza dalle normali esperienze sensoriali esterne quotidiane che creano un cambiamento nelle espressioni della nostra mente e del nostro comportamento. Nello stato di dhyana c’è disconnessione della consapevolezza dalle esperienze esterne sensoriali, mentali che inducono la nostra personalità ad esprimersi in una maniera predeterminata. Questa è la gestione della quinta vritti, cambiare la programmazione genetica, culturale e spirituale, e fare esperienza della completezza interiore.
Così nello stato di dhyana avviene la reale trasformazione della personalità e della coscienza umana, dove nuovi orizzonti di percezione, di creatività e di espressione si aprono al praticante. Dhyana diviene una via per esprimersi al meglio nella vita e non per sedersi con gli occhi chiusi. Ecco perché all’inizio, questa mattina, ho citato quello che Paramahamsaji dice a proposito di dhyana: “È un fuggire dentro alla vita. Consente una totale partecipazione alla vita con una consapevolezza che è adeguatamente armonizzata e sintonizzata. Questa consapevolezza, rappresentando lo stato di coscienza in evoluzione, conduce verso la perfezione. Questo è il processo di meditazione che possiamo cercare di sviluppare dedicandovi cinque minuti il mattino e cinque minuti alla sera ogni giorno. Ci vorrà del tempo, non c’è dubbio, ma penso che sarà più veloce del vostro sforzo di praticare la meditazione per tre ore ogni giorno”.
Così quello che dovremmo cercare di fare, ogni qualvolta sia possibile, è seguire una routine di pratica di hatha yoga, di asana, di pranayama, di pratiche di purificazione, perché sono anch’esse necessarie per armonizzare e purificare il corpo e risvegliarne le energie. Ma quello che è certo e che dovremmo stabilire come regola di vita lo stare con noi stessi cinque minuti al mattino e cinque minuti alla sera. Non potete dire di non avere tempo per fare ciò. Avete un sacco di tempo specialmente in bagno. Quello è un posto molto piacevole per meditare. In ogni caso cosa fate lì? Invece di leggere una rivista, invece di pensare a qualche cosa, semplicemente lasciate che il naturale processo del corpo elimini le impurità e voi eliminate le impurità della mente. Da un lato escono le impurità fisiche, dall’altro escono le impurità mentali. Una buona combinazione. Perlomeno parlo per la mia esperienza personale. Talvolta a causa della quantità di lavoro, quello è un posto ideale per trovare la calma. Ed è un posto dove trovate sempre tempo. Quindi non adducete come scusa il tempo per stare cinque minuti con voi stessi di mattina e di sera. Sono sicuro che farete molto cammino.
Terapia Yogica delle Malattie Comuni: Miopia e Presbiopia
Tratto da: Swami Karmananda Saraswati, “Yogic Management of Common Diseases”, ed. Bihar School of Yoga, Munger, Bihar, India
«Gli occhi sono lo specchio dell’anima e rivelano molto della nostra vera natura. Contemporaneamente la vista è il nostro senso più prezioso. Facciamo affidamento sugli occhi per una grande percentuale delle nostre informazioni concernenti il mondo esterno e la nostra comprensione della vita.»
La frase «Vedi che cosa intendo?» implica che gran parte delle nostre funzioni mentali fa affidamento sulla vista. Allo stesso tempo è stato riferito dagli yogi che essi non hanno bisogno degli occhi per vedere, essendo capaci di conoscere nei dettagli, attraverso strati superiori di coscienza, eventi che avvengono a grandi distanze dal loro corpo fisico. La vista è, in verità, una cosa misteriosa.
Struttura dell’occhio
L’occhio è l’unica parte del cervello che si proietta all’esterno del cranio, la scatola ossea che protegge il cervello. La parte bianca dell’occhio è chiamata sclera. Centralmente essa diventa trasparente ed è chiamata cornea. Dietro alla cornea c’è l’iride, che conferisce all’occhio il suo colore caratteristico. Il centro dell’iride è un foro chiamato pupilla che permette alla luce di passare all’interno dell’occhio. L’iride si contrae e si dilata costantemente per regolare la quantità di luce che arriva all’occhio. Dietro alla cornea c’è il cristallino che adegua la nostra vista alla distanza. L’interno dell’occhio è riempito con un fluido. La luce passa attraverso il cristallino e cade sulla parete interna posteriore dell’occhio, chiamata retina. La retina ha dei recettori sensoriali specializzati chiamati bastoncini e coni che reagiscono all’ombreggiatura, al bianco e nero ed al colore. Le immagini proiettate sulla retina passano attraverso il nervo ottico alla parte posteriore (occipitale) del cervello. Il cervello integra le immagini provenienti da entrambi gli occhi. Avendo una visione binoculare, due occhi che focalizzano un oggetto, possiamo apprezzare profondità e distanza, dimensione e rapporti spaziali. Sempre più vediamo che la vista è veramente un miracolo della creazione.
Miopia e presbiopia
Il cristallino è situato al centro dell’occhio ed è responsabile della curvatura dei raggi di luce che entrano così da farli convergere sulla retina e quindi stimolare le cellule nervose a produrre una chiara ed accurata rappresentazione dell’immagine vista. Il processo di curvatura della luce è chiamato rifrazione. Se il cristallino non riesce a focalizzare la luce esattamente sulla retina, la rappresentazione è confusa, e questo è chiamato errore di rifrazione. Ciò può verificarsi anche perché la forma dell’occhio, da una sfera quasi perfetta, si altera allungandosi o accorciandosi. I seguenti errori di rifrazione sono i più comuni:
- Miopia, in cui il cristallino è troppo spesso e l’immagine cade corta sulla retina, con conseguente inabilità a focalizzare oggetti distanti. Questo è più comune tra i giovani.
- Ipermetropia (presbiopia) che è l’opposto della miopia. È più comune negli anziani.
- Astigmatismo che è causato da variazioni e diseguaglianze nel cristallino.
Queste distorsioni delle funzioni dell’occhio sono così comuni al giorno d’oggi che non riusciamo neanche a pensare che si possano correggere in altro modo se on con gli occhiali. I nostri capelli cadono, i denti devono essere estratti, la pelle raggrinzisce, gli occhi hanno bisogno degli occhiali. Diamo per scontati questi segni di invecchiamento, senza realizzare neanche per un momento che ci sono modi per correggere certe forme di errori di rifrazione, specialmente quelli tra i giovani.
Le esperienze di molte persone smentiscono l’idea che i problemi degli occhi siano inevitabili e incurabili, e lo yoga sta giocando un ruolo importante in questa rivoluzione.
Aldous Huxley, il famoso scrittore, a sedici anni era quasi cieco per una «keratite punctata», una condizione causata dall’opacità della cornea e peggiorata da presbiopia e astigmatismo.
Dopo alcuni mesi di esercizi speciali per gli occhi era in grado di leggere senza occhiali e senza sforzo.
Il dottor William Bates era un oftalmologo che visse all’inizio di questo secolo e che presentò un metodo rivoluzionario di rieducazione visiva. Come giovane dottore, Bates non credeva che gli occhiali fossero l’unica risposta. Quarant’anni di ricerche diedero come risultato una tecnica raffinata che si è dimostrata efficace in molti casi. Egli sviluppò la teoria che una visione deficitaria fosse il risultato dello sforzo di vedere a causa di stress emotivi e mentali, piuttosto che essere ereditaria, ed ideò dei metodi che includono la scansione, esercizi e un metodo di rilassamento simile allo yoga nidra. Attraverso le sue tecniche si verificano sprazzi di visione che aumentano in chiarezza e durata nel corso del tempo, finché la nitidezza sostituisce l’immagine sfocata.
Per capire come ciò può avvenire abbiamo bisogno di sapere un po’ di più sulle cause dei difetti degli occhi.
La causa basilare
Il cristallino è controllato dai muscoli ciliari che aggiustano la vista per oggetti lontani e vicini. Quando guardiamo oggetti vicini si ha una contrazione di questi muscoli, che causa un ispessimento del cristallino aumentando il suo potere. Quando guardiamo a distanza l’occhio normale sistema i muscoli ciliari in una frazione di secondo. Questo adeguamento avviene con incredibile precisione per darci un’immagine costantemente nitida del mondo.
Nella miopia i muscoli ciliari sono costantemente contratti, in spasmo, impedendo al cristallino di adattarsi ad oggetti lontani. Lo spasmo è causato dallo sforzo per vedere. Per esempio la miopia è molto comune nei giovani studenti che si sforzano costantemente mentre leggono, forzando così i muscoli ciliari a contrarsi per periodi di tempo eccessivamente lunghi.
Il problema non è leggere, ma lo sforzo per leggere e capire, lunghe ore, fatica, e uno stile di vita poco sano e squilibrato. Molti studenti vivono in un mondo di oggetti vicini ed i loro occhi «dimenticano» come adattarsi alle lunghe distanze.
Questa può essere una delle ragioni per cui la miopia è così comune nei giovani.
Lo sforzo per vedere o leggere, o per qualsiasi altro uso degli occhi, è spesso accompagnato dallo sforzo degli altri muscoli facciali, della fronte, delle tempie, delle mascelle e anche del collo e delle spalle. La miopia e gli altri difetti degli occhi ricadono quindi nella categoria delle tensioni generali mentali ed emotive e possono essere considerati come disturbi psicosomatici.
Un altro interessante aspetto della tensione facciale e degli errori di rifrazione è il fatto che dimentichiamo di battere le palpebre e questo enfatizza lo sforzo. Battere le palpebre è vitale per mantenere gli occhi umidi e sani e per proteggerli da oggetti estranei, come polvere, dita, ecc.. Allo stesso tempo il battere le palpebre riposa momentaneamente gli occhi. Quando ci sforziamo, anche il meccanismo di battere le palpebre ne soffre. Un esercizio interessante è sedersi e battere le palpebre consapevolmente alcune volte per sperimentare il suo effetto sullo stato di tensione all’interno degli occhi.
Sicuramente il più comune errore rifrattivo degli anziani è l’ipermetropia. Quando gli anni passano molti muscoli si indeboliscono e così è difficile per i muscoli ciliari contrarsi sufficientemente per permettere al cristallino di adattarsi agli oggetti vicini. È anche abbastanza comune che per un certo tempo gli occhi miopi diventino normali prima che sopraggiunga l’ipermetropia. Molte persone si trovano nella situazione di essere incapaci di focalizzare oggetti sia vicini sia lontani e aver bisogno di lenti bifocali, la lente superiore per la distanza e quella inferiore per leggere.
Non c’è bisogno di ricordare che un controllo medico è essenziale per escludere patologie tali come diabete, ipertensione, arteriosclerosi o nefrite, che possono anche essere cause comuni di disturbi alla vista.
Correggere l’errore
Un metodo evidente per correggere la tensione e la debolezza dei muscoli rifrattivi dell’occhio è di avviare una serie di esercizi inizialmente per rilassare e quindi rafforzare non solo i muscoli stessi, ma anche il nostro controllo su tali muscoli. Allo stesso tempo dobbiamo lavorare sulle tensioni generali del nostro corpo. Questo è un metodo di approccio al problema più sensato degli occhiali che tendono a immobilizzare il difetto dell’occhio e impedire il suo ritorno alla condizione di normalità. Non dovremmo diventare dipendenti dagli occhiali o non saremo più capaci di vedere senza di essi.
Insieme agli esercizi per gli occhi è necessario uno stile di vita che stimoli la salute. La dieta dovrebbe essere semplice, leggera, priva di raffinazioni e trasformazioni artificiali e da prodotti chimici. Nella dieta dovrebbero essere inseriti, specialmente per i bambini piccoli, vitamina A, proveniente da sostanze contenenti carotene giallo, come carote e albicocche, vitamina B2, l’aminoacido essenziale triptofano presente nel latte, e cibi contenenti vitamina C.
Asana
I seguenti esercizi neutralizzano la tensione oculare e ci insegnano l’uso corretto di tutti i nostri muscoli oculari. Essi aiutano a rimuovere le distorsioni del cristallino e dell’occhio stesso, e dovrebbero essere inseriti nel nostro modello abituale di vita. Il capitolo del libro “Asana Pranayama Mudra e Bandha” (ed. Satyananda Ashram Italia) e intitolato “Esercizi per gli occhi” è una guida completa per la salute degli occhi e per le patologie menzionate in questo capitolo, così come per molte altre condizioni degli occhi. Essi possono essere praticati in qualsiasi momento della giornata, tutti o in parte. Per esempio, strofinare intensamente le mani e poi coprire gli occhi con il palmo della mano può essere praticato ogni volta che sono stanchi o quando vi sentite affaticati. Gli esercizi agiscono sia sui muscoli ciliari interni sia sui muscoli esterni che muovono gli occhi. Coprire con le mani gli occhi, guardare di lato, lontano e vicino, esercita particolarmente i muscoli ciliari.
Shambhavi mudra, che è presente nella serie suddetta, è di per se stesso un potente elemento per canalizzare le energie praniche e psichiche. Esso stimola agya chakra, il terzo occhio, e stimolando questo centro di consapevolezza intuitiva superiore ci permette di penetrare all’interno di quei fattori molto potenti a livello sia mentale sia psichico che sono le cause primarie degli errori rifrattivi. Esso rilassa la tensione stimolando il centro ottico che è un potente generatore delle onde alfa, quelle onde che sono associate al rilassamento. Le onde alfa sono generate semplicemente incrociando gli occhi. Shambhavi mudra ci porta a stati meditativi e risveglia la visione interiore, la consapevolezza della dimensione spirituale.
Anche coprire gli occhi con le mani dopo averle strofinate è un esercizio rilassante, che produce onde alfa, in cui il calore generato dallo sfregamento dei palmi è utilizzato per calmare gli occhi. Contemporaneamente fissiamo l’infinito spazio scuro di chidakasha, avendo la sensazione che i nostri occhi si stiano fondendo e stiano rilassando tutte le loro tensioni. Lo stesso effetto rilassante può essere ottenuto sedendosi ad occhi chiusi di fronte al sole che sorge o che tramonta. Si sentiranno i raggi del sole penetrare profondamente negli occhi percependo una sensazione molto piacevole. In entrambi gli esercizi evitate qualsiasi concentrazione. Semplicemente guardate fisso e permettete a tutte le tensioni di sciogliersi.
Mentre praticate l’esercizio con i palmi delle mani è utile sistemare un cartoncino con un numero o qualche simbolo scritto sopra, ad uno o due piedi (cm.30,5 o 61) di fronte al viso. Mentre avete gli occhi coperti, mentalmente visualizzate in modo chiaro il simbolo, come se lo vedeste molto chiaramente e assolutamente non sfocato. Dopo alcuni minuti spostate le mani, aprite gli occhi e fissate delicatamente il simbolo che dovrebbe apparire abbastanza chiaramente per alcuni secondi prima che le vecchie abitudini muscolari si riaffermino. Questo, dopo un certo periodo, rieducherà i muscoli.
Sirshasana e sarvangasana sono utili per stimolare la circolazione negli occhi: surya namaskara e surya bheda pranayama eliminano le tensioni fisiche, stimolano pingala nadi, ci forniscono ulteriore energia fisica aiutando così a stimolare la salute di tutto il corpo.
Hatha Yoga
Neti kriya agisce direttamente sui sistemi olfattivo e oculare, influenzando tutte le strutture del viso attraverso l’attività nervosa riflessa. È una pratica particolarmente calmante e piacevole così come enormemente utile. Un medico professionista ha riferito che si è dimostrata utile persino nel trattamento del tracoma, un’infezione degli occhi che spesso porta alla cecità.
Neti è utile in tutte le patologie oculari, così come per il mal di testa, i disturbi neurologici, tosse, influenza e così via. Esso agisce su agya chakra e risveglia il prana nell’area facciale, riducendo in tal modo le tensioni in tutta la muscolatura facciale così come nell’intero complesso corpo/mente.
Amaroli giova agli occhi specialmente quando dell’urina fresca e centrale, che può essere diluita secondo le necessità individuali, viene versata direttamente negli occhi. Si può anche praticare neti con l’urina (diluita con acqua). Se la pratica con amaroli dovesse essere difficile, si può sostituire con acqua fresca.
Trataka è un kriya yogico molto potente che è utile specialmente per la miopia. Se la vostra visione migliora quando socchiudete gli occhi, o quando guardate attraverso il piccolo buco ottenuto piegando le prime due dita della mano, allora trataka su una macchia nera produrrà un immenso beneficio. Trataka è il modo migliore per sradicare l’abitudine di sforzarsi e sbarrare gli occhi, sostituendola con l’abitudine ad un delicato e controllato fissare. Esso agisce sull’intero sistema ottico e stabilizza il turbolento e vagante fluire della mente nevrotica e ansiosa.
Sappiamo che nell’ansietà e nella tensione mentale gli occhi vagano e sono instabili. In alcuni casi l’individuo non può guardare dritto negli occhi la persona con cui sta parlando.
Le tensioni mentali sono la causa di base di molti disturbi agli occhi, agendo sulla muscolatura sia interna che esterna dell’occhio. Stabilizzando lo sguardo si riducono le tensioni e l’irrequietezza della mente e della muscolatura. La pratica di trataka ha un’influenza molto potente su molti livelli della nostra personalità.
Una forma modificata o adattata di trataka è chiamata «fissazione centrale». L’occhio normale forma immagini intorno al punto centrale della retina chiamato macula lutea o «macchia di luce». Il resto del campo visivo è vago e meno definito. Possiamo divenire consapevoli di questo processo soprattutto leggendo o scrivendo. Mentre leggete cercate di mantenere la vista proprio sotto alla riga che stiamo leggendo. Mentre gli occhi si spostano da una parte all’altra siate consapevoli che la parola più vicina al punto di «fissazione centrale» appare più distinta delle altre. Mentre scrivete siate consapevoli della punta della penna dove la chiarezza è maggiore, e siate consapevoli del resto della pagina. Questo tende ad espandere il campo visivo, così da poter accogliere non solo l’area centrale ma anche gli spazi esterni meno definiti. Si genera il rilassamento.
Rilassamento
Yoga nidra è uno dei metodi di rilassamento più scientifici finora concepiti. Agisce ai livelli più profondi del nostro essere, riducendo quelle tensioni che causano la maggior parte delle malattie e dei problemi della nostra vita. Trattando direttamente i problemi degli occhi possiamo dedicare più tempo lavorando sugli occhi e sulla struttura facciale durante la rotazione della consapevolezza nel corpo. Durante la consapevolezza del respiro il suo movimento dovrebbe essere percepito nella regione facciale o come se entrasse e uscisse da agya chakra, muovendosi su di una linea retta da bhrumadhya, il centro tra le sopracciglia, al retro della testa. È anche molto utile il movimento del respiro nelle narici, che sale fino a unirsi al centro tra le sopracciglia e scende attraverso i due passaggi conici delle narici.
La combinazione dei metodi citati è un approccio potente per rimuovere errori rifrattivi, riottenere una vista normale e risvegliare la visione interiore ed una consapevolezza intuitiva superiore.
Musica e Kirtan
Tratto da: “Sankirtan”, ed. Satyananda Yoga Ashram, Mangrove Mountain, Australia
La musica è Nada Yoga. Le differenti note musicali hanno le loro corrispondenti nadi, o canali sottili, in connessione con i chakra; la musica fa vibrare queste nadi, le purifica e risveglia il potere psichico e spirituale che dorme in esse.
Swami Sivananda
La musica è il mezzo per esprimere le emozioni. La musica suscita amore e infonde speranza. Ha innumerevoli voci e strumenti. La musica è nei cuori di tutti gli uomini e donne.
Swami Sivananda
La musica conforta, calma e rallegra le persone quando sono afflitte. Conforta le persone sole e angosciate. La musica rimuove le preoccupazioni, gli affanni e le ansietà. Vi fa dimenticare il mondo. L’uomo desidera la musica per rilassarsi ed elevarsi.
Swami Sivananda
Il kirtan non può essere compreso con l’intelletto perché è connesso principalmente con la personalità emozionale dell’individuo. Le emozioni sono strumenti molto potenti poiché con l’intelletto non potete andare molto in profondità, non potete realizzare la vostra coscienza, potete sì conoscere molte cose ma non ne potete fare esperienza. È la differenza fra conoscenza ed esperienza.
Swami Satyananda
Il kirtan non è solo un’esplosione emozionale, piuttosto diviene il mezzo attraverso cui c’immergiamo profondamente nelle nostre emozioni e facciamo esperienza della nostra espansione interiore.
Swami Niranjan
Antar Mouna
tratto da Swami Satyananda Saraswati, «Meditations from the Tantra», ed. Bihar School of Yoga, Munger, Bihar, India
Trascrizione di una Lezione Completa di Antar Mouna
Nei numeri scorsi del periodico Yoga abbiamo pubblicato i primi quattro stadi della pratica di antar mouna.
Presentiamo ora il quinto e ultimo stadio.
Stadio 5
Questo è il quinto gradino di antar mouna.
Ora guardate dentro di voi.
Consapevolezza dello spazio interiore, consapevolezza dello spazio interiore, consapevolezza dello spazio interiore.
Siate consapevoli di chidakasha – siate consapevoli dello spazio interiore, siate consapevoli dello spazio interiore senza colore e senza forma della vostra psiche, e poi siate consapevoli dei pensieri.
E se pensate qualche pensiero, se vi arriva un pensiero nella mente, cancellatelo, allontanatelo, immediatamente, senza rifletterci sopra. Mantenetevi assolutamente attenti, attenti nel senso che se vi arriva un pensiero alla mente, immediatamente lo allontanate.
Non riflettete sopra al pensiero, non riconoscetelo per niente.
Un pensiero arriva, e voi subito allontanatelo. Questo è lo stadio dove si pratica l’assenza di pensiero.
Ogni pensiero che arriva in chidakasha, ogni pensiero che si manifesta da dentro di voi – e si manifesterà – deve essere cancellato.
E se al posto di pensieri a livello cosciente s manifestano forme o visioni, allora dovrete usare un metodo differente, e questo è il metodo di dissolvere la forma nell’assenza di forma.
Qualche volta guardate nello spazio interiore e lo spazio è privo di colore e forma. Ma in certi casi delle forme, come sogni o come visioni, sicuramente non idee o immaginazioni naturali, ma forme nitide emergono alla superficie della coscienza.
E mettiamo che l’immagine sia un uccello, o una donna, o un albero, o un paesaggio, immediatamente dovreste cercare di dissolverla, come se una goccia d’acqua fosse fatta cadere sulla tela dove avete fatto un disegno. Troverete che in un momento tutto il disegno, tutta l’opera d’arte si è dissolta.
Dunque, in questo stadio ci sono due differenti sadhana.
Uno è che divenite consapevoli dello spazio interiore.
Divenite consapevoli dello spazio interiore, e se arriva qualche idea in forma di pensiero o immaginazione semplicemente ve ne sbarazzate. Cercate di mantenere uno stato di assenza di pensieri. Cercate di mantenere uno stato di assenza di pensieri restando consapevoli di un solo pensiero che è «non devo avere alcun pensiero».
Questo è lo stato reale di silenzio interiore in cui ogni pensiero che cerca di manifestarsi alla superficie interiore della coscienza è immediatamente eliminato, non lo si lascia manifestare, non lo si lascia manifestare.
E le forme e le visioni che affluiscono alla superficie della coscienza devono essere adeguatamente e appropriatamente dissolte nel chidakasha senza forma che è nel vostro sé psichico, che è la vostra personalità psichica.
“Non voglio alcun pensiero, non voglio alcun pensiero, non voglio pensare ad alcun pensiero”. Solo un pensiero, solo un pensiero deve essere lasciato nella vostra coscienza, e questo unico pensiero è “Non devo avere alcun pensiero”.
Il primo stadio del silenzio interiore, parlando in generale, è divenire consapevoli delle esperienze sensoriali con assoluta indifferenza e con l’attitudine del testimone.
Il secondo stadio è lo spontaneo andare e venire del processo del pensiero.
Il terzo è pensare volontariamente, riflettere volontariamente, e eliminare volontariamente i vostri pensieri.
Il quarto è l’espressione dei pensieri spontanei e la loro eliminazione volontariamente.
Il quinto è l’assenza del processo del pensiero, ogni pensiero che emana dalla coscienza deve essere immediatamente eliminato.
Non dovreste lasciare che la mente pensi alcun pensiero, e se la mente cerca di farlo, semplicemente eliminatelo.
E questo è il perfetto silenzio interiore.
Ora aprite gli occhi e rilassate il corpo.
Ajapa Dharana
tratto da Paramahamsa Niranjanananda, «Dharana Darshan», ed. Bihar School of Yoga, Munger, Bihar, India
Introduzione
La parola japa può essere definita come la continua ripetizione di un mantra. Quando il suffisso «a» è posto all’inizio, implica che il processo di ripetizione del mantra diviene spontaneo. Così, ajapa è la ripetizione continua del mantra e dharana è concentrazione focalizzata. Ajapa dharana è quindi una forma di concentrazione unidirezionale sulla ripetizione spontanea del mantra. Japa si trasforma in ajapa negli stadi di dharana in cui il mantra ripete se stesso spontaneamente, senza alcuno sforzo. Come la concentrazione diviene sempre più focalizzata su japa, l’intero essere di una persona inizia a pulsare con il mantra. Japa richiede lo sforzo continuo, cosciente di ripetere il mantra verbalmente o mentalmente e di far scorrere i grani del mala, mentre ajapa non richiede alcuno sforzo. Si dice che japa proviene dalla bocca, laddove ajapa proviene dal respiro e dal cuore. Japa è la pratica preliminare di ripetizione del mantra e ajapa è il perfezionamento di questa pratica.
Sadhana vedico
Il sadhana di ajapa è antico quanto le Upanishad. In certe Upanishad yogiche, come la Yogashiksha, potete trovare certi passaggi e stanze che dichiarano che il respiro entra con il suono So ed esce con il suono Ham. Questo è il Gayatri ajapa che il jiva ripete continuamente. Valmiki fu iniziato da Narada allo “Ulta Nama” che è un vero e proprio ajapa. Anche ora coloro che seguono il Nirguna Panth (sampradaya) come Radhaswami Panth, Kabir Panth, ecc., praticano ajapa. Anche gli antichi saggi praticavano ajapa.
Anche Gandhi scrisse che il nome dovrebbe essere ripetuto dall’interno del cuore, non dalla bocca. Quando il nome proviene dalla bocca è chiamato japa. Un santo mussulmano, mentre parlava di ajapa, disse: “Io faccio esperienza della quarta dimensione della coscienza” e aggiunse: “Questa consapevolezza di Ham inizia da nabhi chakra. Quando sale, si capovolge. Così voi producete Ham da nabhi chakra. Quando è stato completato, allora lo capovolgete in So. Ora diviene Hamso”.
Anche nella Bahagavad Gita c’è un chiaro riferimento ad ajapa japa. Si dice: “Alcuni fondono prana in apana, altri apana in prana, e altri ancora il prana nel prana. Prana è il respiro che entra, apana il respiro che esce. So rappresenta prana, Ham rappresenta apana. Così alcuni aspiranti fondono prana con apana, ad esempio congiungono So con Ham che diventa Soham. Altri aspiranti congiungono apana con prana, ad esempio congiungono Ham con So, che diventa Hamso. Ci sono altri sadhaka che congiungono prana con prana, di cui verrà trattato successivamente.
L’importanza di ajapa dharana
Nella Gita vi è ancora un riferimento ad ajapa. Si dice: “Dopo aver bilanciato prana e apana che si muovono nella regione nasale, lasciate che il flusso di inspirazione ed espirazione nelle narici sia uguale in lunghezza e durata”. Questa pratica di ajapa è stata illustrata negli shastra come viloma ajapa. È una pratica completa in se stessa e attraverso di essa si può accedere ai reami spirituali anche senza l’aiuto di un guru. Nella pratica perfetta di trataka uno ottiene la visualizzazione interiore dell’oggetto su cui sta meditando. ma dopo di ciò il percorso è chiuso. Così non potete raggiungere lo stato di samadhi da soli senza l’aiuto di altre pratiche yoga. Avete bisogno di un guru che vi dica qual è la pratica successiva. Nel caso di ajapa, invece, non avete bisogno di un guru.
Vi sono alcune pratiche yoga che rendono la mente introversa e conducono verso una sospensione automatica del respiro. La difficoltà è che gli aspiranti divengono estroversi dopo un breve tempo perché la capacità dei loro polmoni non è adeguata. Questa difficoltà è sentita da molti aspiranti. Nella pratica di ajapa japa, invece, questa difficoltà è eliminata grazie alla continua rotazione del respiro. In secondo luogo la serie di ajapa dharana è completa in se stessa e, attraverso di essa, si può direttamente avere l’esperienza del samadhi. Per raggiungere samadhi, in tutte le altre pratiche di yoga, si deve controllare il respiro. Quando il respiro è sospeso, ha luogo kumbhaka. Invece, per tutto il tempo della pratica di ajapa japa, il respiro rimane continuo e anche in samadhi non si modifica.
Nelle Upanishad si dice che si dovrebbe praticare anahad japa, una forma di japa che non finisce mai. Japa deve essere protratto all’infinito. Noi non conosciamo alcun mantra così, tuttavia è necessario un metodo per ripetere il mantra in modo tale che non abbia fine. Questo si ottiene attraverso la pratica di ajapa japa quando il mantra è armonizzato con il processo del respiro e così la sua consapevolezza continua per tutto il tempo.
Swara e sushumna
Nelle Upanishad c’è una parabola che riguarda due uccelli, uno nero e uno bianco, che erano legati a un paletto con due corde. Essi cercarono molte volte di volare, ma ogni volta dovettero tornare indietro poiché erano legati. Alla fine si stancarono e si addormentarono in pace vicino al paletto. Questa spiegazione si riferisce a ida e pingala. Il flusso della narice destra corrisponde a pingala, o surya nadi, e il flusso della narice sinistra corrisponde a ida, o chandra nadi. Il funzionamento alternato di ida e pingala ci tiene lontani dalla nostra coscienza interiore. Finché lavorano in modo alternato non si può raggiungere il samadhi. È solo quando i due uccelli (ida e pingala) sono stanchi e si ritirano nel loro centro, ad esempio il cuore o il Sé, che sushumna si sveglia e il processo di meditazione diviene automatico.
Secondo lo swara yoga, quando entrambe le narici funzionano in maniera uguale, ciò indica che sta fluendo sushumna. In quel momento si dovrebbe lasciare da parte ogni attività mondana e meditare. È un’esperienza comune che talvolta la meditazione è splendida perché c’è armonia nell’intero sistema. Quando sushumna non funziona, tuttavia non potete concentrarvi, neanche sforzandovi. Così è importante che il funzionamento di ida e pingala sia armonizzato attraverso la meditazione su di esse, in modo da rendere possibile a sushumna di aprirsi.
Per fermare la catena dei pensieri, dovete osservare il respiro. Dovete vedere il movimento del respiro in maniera cosciente. Durante ajapa dovete avere una completa e incessante consapevolezza di quello che state facendo. Lasciate che la coscienza sia continua come un rivolo d’olio che non s’interrompe a metà. Ciò è chiamato swadhyaya. Qui swadhyaya non vuol dire studio delle scritture. Vuol dire consapevolezza continua di quello che state facendo.
Consapevolezza del respiro
Il primo punto di ajapa japa è la consapevolezza del respiro naturale. Voi respirate 15 volte ogni minuto, 900 volte in un’ora e 21.600 volte in 24 ore, ma non siete mai consapevoli di ciò. Siete consapevoli di ogni altra cosa eccetto che del processo più vitale. Respirare è la chiave della vita ed è anche la base di dharana e della meditazione.
Il secondo punto è la consapevolezza delle quattro differenti dimensioni del respiro che sono:
- naturale
- più profondo del naturale
- rilassato
- sospeso.
Potete osservare queste quattro dimensioni da soli quando andate a letto. Quando vi sdraiate il vostro respiro diviene naturale. Con la sonnolenza, il respiro naturale diventa più profondo. Come vi addormentate, il respiro diviene molto rilassato e si può sentire un leggero russare. Qualche volta, durante il sonno profondo, il respiro viene sospeso, causando il vostro immediato risveglio.
Queste stesse quattro dimensioni del respiro avvengono anche durante la meditazione. Se vi concentrate sul respiro naturale per mezz’ora o più senza fare sforzi di nessun tipo, troverete che esso diviene sempre più profondo. Alla fine diverrà molto rilassato e si sentirà un debole suono come il russare nella gola. Nella meditazione molto profonda avviene anche la sospensione del respiro. Durante l’inspirazione o l’espirazione, il respiro si ferma per mezzo minuto o per un minuto.
Movimento del respiro
Il terzo punto di ajapa japa è la consapevolezza del movimento del respiro mentre fluisce attraverso il corpo. Per esempio divenire consapevoli del movimento naturale del respiro dall’ombelico alla gola durante l’inspirazione e dalla gola all’ombelico durante l’espirazione. Dopo uno o due minuti troverete che la dimensione del respiro è cambiata. Lo sentirete divenire più profondo del normale, mentre sale e scende.
Allora potete praticare la circolazione del respiro attraverso ogni parte del corpo: stomaco, torace, la sommità del capo, ecc.. Potete anche combinare il movimento del respiro con differenti forme, come un triangolo, un quadrato, un esagono, una circonferenza. Immaginate due triangoli che s’intersecano in anahata, uno verso il basso e uno verso l’alto, e cercare di renderli uno con il movimento del respiro.
Il movimento del respiro può essere praticato in ogni modo possibile, ma il più importante è la consapevolezza del respiro attraverso i passaggi psichici. Vi sono un infinito numero di passaggi psichici nel corpo, ma il più importante è sushumna nadi, nel midollo spinale. Gli altri passaggi psichici principali sono il passaggio frontale e i passaggi di ida e pingala.
Passaggio psichico
Il quarto punto in ajapa japa è il passaggio psichico. Secondo la fisiologia yogica il prana fluisce attraverso 72.000 nadi o passaggi pranici. Nadi vuol dire flusso o corrente. Tra le 72.000 nadi attraverso cui fluisce il prana, dieci sono le principali, e tre quelle di maggiore importanza. Di queste tre, una è la chiave. Questa è conosciuta come sushumna, che fluisce lungo il canale centrale del midollo spinale. Le altre due sono situate a sinistra e a destra di sushumna. Sono chiamate ida, quella mentale, e pingala, quella vitale. Sushumna è responsabile della consapevolezza spirituale. Ida dirige tutte le funzioni mentali e pingala dirige tutte le funzioni vitali. In tal modo queste tre nadi controllano tutte le funzioni del corpo.
Ida, pingala e sushumna hanno inizio in muladhara chakra, nel perineo, che è situato a metà tra l’ano e l’organo sessuale negli uomini e nella cervice nella donna. Da muladhara queste tre nadi continuano fino all’osso sacro e salgono lungo la il midollo spinale fino ad agya chakra, situato dietro al centro tra le sopracciglia. Ida e pingala terminano qui, ma sushumna continua fino a sahasrara, il chakra più alto alla sommità del capo, dove ha luogo la liberazione o moksha. Così sushumna è il canale attraverso cui ha luogo il risveglio spirituale. Per questo è il passaggio psichico principale.
Suono psichico
Il quinto punto in ajapa japa è il suono psichico o mantra che è integrato con il respiro. Quando inspirate, il respiro spontaneamente produce il suono So, e quando espirate, il respiro produce il suono Ham. La cosa più importante è che il respiro e il mantra divengano un’unica cosa. All’inizio siete consapevoli del respiro che fluisce dentro e fuori. Ma successivamente, quando integrate il mantra con il respiro, i due diventano uno – Soham. Mentre respirate lungo il passaggio psichico, dovete divenire consapevoli del movimento del respiro combinato con il movimento del potente suono Soham.
Questo procedimento purifica le nadi. Quando il mantra si risveglia nel respiro, tutto il corpo si ricarica. Le tossine psichiche vengono eliminate e i blocchi nelle nadi, che sono la fonte principale dei disturbi fisici e mentali, vengono rimossi. Il suono psichico, il mantra Soham, dovrebbe risvegliare i passaggi psichici e permeare tutte le particelle del corpo. Sushumna è atma, la coscienza superiore. Quando sushumna inizia a vibrare, la consapevolezza del sé diviene attiva. Quando ida comincia a vibrare la forza mentale diviene attiva. Quando pingala comincia a vibrare, il prana o forza vitale diviene attiva e l’energia fluisce attraverso il sistema dell’individuo, fino ad estendersi al di là del corpo fisico.
Risveglio di sushumna
Quando sushumna inizia a vibrare con l’aiuto della concentrazione sul prana, mentre il respiro e il mantra salgono e scendono, vi è un risveglio dei più alti reami della coscienza. Allora si producono suoni interiori o psichici, che sono chiamati nada. Nell’immobilità della dimensione interiore, s’inizia a sentire un suono di campana, di conchiglia, di flauto, di tamburi, una musica celestiale, il rombo del mare, lampi e tuoni. Non uno, ma molti suoni possono essere sentiti. Anche altre esperienze interiori hanno luogo in nuove e differenti dimensioni che indicano che i karma e i samskara iniziano a essere eliminati, risolti simbolicamente.
Quando il risveglio di sushumna ha luogo con l’aiuto di mantra shakti, avviene in modo simbolico l’eliminazione del karma. Questo ha come risultato l’emergere di suoni interiori e di esperienze fantastiche. Sentite musica e vedete colori, animali, simboli, ecc.. Allo stesso tempo, potete sentire che gli orizzonti si allontanano sempre più da voi e il vostro corpo si espande come se fosse stato riempito d’aria fino a scoppiare.
Queste e molte altre esperienze piene di significato, prive di significato, rilevanti, irrilevanti, strane e ordinarie avvengono. Tutte emergono dalla vostra coscienza più profonda. Appartengono tutte a voi. Le avete acquisite in questa vita o le avete ereditate dai vostri genitori assieme alle molecole del DNA.
Ajapa dharana è la base per kundalini yoga. Con questa pratica inizia la vera concentrazione, o dharana. Quando ajapa dharana è perfezionata e pienamente realizzata, la mente diviene totalmente concentrata. In questo modo dhyana, o meditazione spontanea, fiorisce.
Nei prossimi numeri del periodico pubblicheremo i primi quattro stadi della pratica di ajapa dharana.
Hasta Mudra Pranayama
Tratto da: Swami Niranjanananda Saraswati, “Prana, Pranayama, Prana Vidya”, ed. Bihar School of Yoga, Munger, Bihar, India
Hasta Mudra Pranayama
Le quattro tecniche descritte utilizzano particolari posizioni delle mani conosciute come hasta mudra o mudra della mano.
I mudra sono tecniche sottili, e i loro effetti possono non essere immediatamente percepibili nel corpo fisico se non ci sono consapevolezza e sensibilità. Essi influenzano direttamente i polmoni, ossigenando i lobi inferiori, medi e superiori ed indirettamente altri organi vitali. Anche la stimolazione dei pancha vayu è correlata a ciascuna di queste pratiche.
Queste tecniche sono descritte anche come pranayama terapeutici poiché si ritiene che curino vari disturbi di specifiche aree del corpo. Tutti e quattro dovrebbero essere praticati insieme, nella sequenza mostrata benché, per scopi curativi, necessiti essere applicata solo la pratica attinente al caso specifico.
Tecnica 1: Chin mudra pranayama
Sedete in vajrasana, o in qualsiasi altra postura che tenga la colonna vertebrale eretta – ponete le mani sulle cosce in chin mudra, con i palmi rivolti verso l’alto. Con entrambe le narici aperte, inspirate, quindi trattenete il respiro, espirate, poi trattenete il respiro fuori, con un ritmo complessivo di 1: 1: 2: 1, praticando una respirazione di durata confortevole – respirate agevolmente e continuate per 27 cicli.
Si ritiene che questo pranayama ossigeni i lobi inferiori dei polmoni e stimoli la regione sotto l’ombelico, la regione di apana vayu. Il suo effetto terapeutico si ha nella regione inferiore dell’addome.
Tecnica 2: Chinmaya mudra pranayama
Sedete in vajrasana, o in qualsiasi altra postura che mantenga la colonna vertebrale eretta – ponete le mani in chinmaya mudra, i palmi sulle cosce rivolti verso il basso, come in chin mudra pranayama respirate con kumbhaka ad un ritmo di 1: 1: 2: 1. Non forzate – continuate per 27 cicli, o per lo stesso numero che avete eseguito nella Tecnica 1.
Si dice che chinmaya pranayama ossigeni i lobi centrali dei polmoni. L’energia pranica è diretta all’area tra l’ombelico e la gola, la regione di samana e di prana vayu. Si ritiene che sia di beneficio per tutte le malattie dei polmoni
Tecnica 3: Aadi mudra pranayama
Sedete in vajrasana o in qualsiasi altra postura adatta – mettete le mani in aadi mudra sulle cosce, con il dorso delle mani rivolto verso l’alto – non stringete troppo il pollice – respirate allo stesso ritmo di prima, 1: 1: 2: 1 – continuate per 27 cicli, o per lo stesso numero di cicli effettuati prima.
Si ritiene che aadi mudra pranayama ossigeni i lobi superiori dei polmoni, muovendo l’energia pranica verso il collo e la testa, la regione di udana vayu. Viene indicato come utile per la cura di mal di testa, emicrania, mal d’orecchie, ecc..
Tecnica 4: Brahma mudra pranayama
Sedete in vajrasana, o in qualsiasi altra postura adatta – praticate Brahma mudra con le nocche delle mani unite e i pollici lontani dal corpo – praticate il pranayama allo stesso ritmo, 1: 1: 2: 1 e continuate per lo stesso numero di cicli che avete completato negli altri tre stadi.
Il beneficio di Brahma mudra pranayama è una generale rivitalizzazione dell’intero corpo, attraverso la stimolazione di vyana vayu. Questo completa i pranayama dei quattro mudra. Se potete praticare ciascuno di essi per 27 cicli, avrete eseguito i 108 cicli della pratica completa.
Chin Mudra
La punta dell’indice deve essere messa o alla punta o alla radice del pollice. Le altre tre dita devono essere tese, ma rilassate. Le mani sono sulle ginocchia con i palmi rivolti verso l’alto.
Chinmaya Mudra
Tenete le dita come in chin mudra – piegate le tre dita tese in modo che le punte tocchino o siano rivolte verso il palmo – la posizione del pollice e dell’indice rimane la stessa – l’indice può toccare o la radice o la punta del pollice – ponete le mani sulle ginocchia con i palmi verso l’alto o verso il basso.
Aadi Mudra
Piegate il pollice nel palmo della mano – poi lentamente avvolgete ogni dito sul pollice per fare un pugno – mettete le mani sulle ginocchia con i palmi verso l’alto o verso il basso.
Brahma Mudra
Piegate i pollici all’interno della mano e piegate le dita sopra i pollici – poi ponete il dorso delle mani sulle cosce e portate le nocche delle mani a contatto – il lato delle mani dalla parte dei pollici è esterno rispetto al corpo – le unghie sono visibili – il lato delle mani dalla parte dei mignoli è rivolto verso il corpo – ponete le mani unite contro il corpo all’altezza dell’osso pubico.