“YOGA” 2001 – Vol. 4

“YOGA” 2001 – Vol. 4

Karma Yoga

Tratto da: Paramahansa Niranjanananda, “Yoga Darshan”, ed. Yoga Publications Trust, Munger, Bihar, India.

Vivere karmicamente

Quanto più una persona diventa consapevole dei cambiamenti che avvengono a livello dell’attitudine, della visione, dell’approccio e della capacità d’interazione verso la vita, tanto più sarà altruista e svilupperà una visione universale della vita. Gesù Cristo ha chiaramente affermato: “Raccogli quello che semini”. Questo è un chiaro riferimento al karma yoga. Quello che stiamo cercando di seminare è un’azione che porti come risultato finale a una visione espansa della vita. Questa è la legge del karma, che si applica sia a livello di dimensioni sottili sia a livello scientifico.
La scienza accetta che ogni azione creerà un risultato, una reazione che può anche essere in un contesto diverso rispetto all’azione iniziale. Può essere sottile, può verificarsi in forma diversa o può essere un’esperienza diversa. Battere le mani produce un suono; strofinare due oggetti può produrre un suono, una scintilla o una reazione. Ogni azione crea un risultato diverso. Le reazioni non sono sempre simili alle azioni, possono essere di natura diversa.
Per questo viene anche detto che quello che pensiamo e di cui facciamo esperienza, sia sul piano fisico sia su quello sottile, crea diversi tipi di karma nella vita e differenti reazioni nella nostra personalità che non vengono percepite immediatamente. Un’esperienza dell’infanzia si può manifestare più tardi sotto forma di paura, di complesso o di inibizione. L’esperienza che abbiamo oggi si manifesterà più avanti nella vita in una forma diversa. Le reazioni sono sempre diverse, possono essere negative, limitanti e possono determinare chiusura oppure possono essere positive e determinare apertura. Nel momento in cui compiamo un’azione cercando di esserne consapevoli, inizialmente stiamo cercando di osservare come compiamo l’azione. Successivamente, quando si sviluppa la consapevolezza, possiamo vedere quali possibili reazioni possono derivare da un particolare tipo di karma. È qui che il karma yoga diventa un processo meditativo e finisce di essere un processo fisico.

Guna o qualità

Per raggiungere nel karma yoga questo processo meditativo bisogna essere consapevoli dei guna, che sono aspetti o qualità del mondo fenomenico divisi in tre categorie: quella tamasica, che indica lo stato d’inerzia o d’ignoranza; quella rajasica, che si riferisce ad uno stato di dinamismo e di attività combinato con un completo coinvolgimento dell’ego; quella sattwica, che significa semplicità ed equanimità nell’azione.
La semplicità nell’azione è il karma sattwico che stiamo cercando di sviluppare. Nel corso della crescita nella vita iniziamo da uno schema mentale tamasico. Le azioni tamasiche sono per loro natura deludenti, vengono fatte per soddisfazione personale, molte volte a scapito di qualcun altro. Sono azioni sostenute da una visione ristretta della vita e sono soggette allo stato di ignoranza, avidya. Queste azioni sono dette tamasiche.
Il tipo successivo di azione, che si trova su un piano superiore, è detto rajasico. Queste azioni sono fatte per soddisfare un desiderio personale e hanno come spinta, motivazione o aspettativa un risultato che è di per sé soddisfacente. La maggior parte degli esseri umani lavora sul piano rajasico del karma. Andare un passo oltre la natura rajasica dovrebbe essere lo scopo di un ambiente positivo di tipo ashramico dove il karma è compiuto senza avversione o dispiacere o malvolentieri, e dove i karma, o le azioni, fluiscono da uno stadio all’altro. Tali azioni elevano l’intero gruppo, non soddisfano solamente le ambizioni di un individuo.
Le azioni compiute senza alcun tipo di aspettativa, avversione o dissipazione mentale, che vengono realizzate armoniosamente con dedizione e compassione e con l’integrazione delle varie parti della personalità, sono di tipo sattwico. Nella nostra vita dobbiamo cercare di sviluppare il karma sattwico e lottare in questa direzione, allora possiamo raggiungere diversi stati di consapevolezza e realizzazione.
L’affermazione ultima che fanno i vari tipi di yoga è quella di vivere karmicamente. Non si devono rifiutare i karma, non si deve vivere per essi, ma bisogna vivere karmicamente. Fluite con i karma che si presentano nella vita, fluite con la natura della vita, con totale consapevolezza e distacco.

L’affermazione “vivi karmicamente” non è soltanto yogica. In molte tradizioni come il Tao, lo Zen, il buddismo, l’induismo e il cristianesimo è stato sottolineato questo concetto.
Di solito, invece, quello che accade è che invece di fluire si combatte. Se c’è lotta nella vita di qualcuno, allora, si può essere certi che i karma non sono sattwici, ma rajasici. Se c’è lotta nella mente, nel pensiero o nel credo, si vive a livello rajasico. Nel momento della lotta siamo spinti dall’ego che s’impone sulle idee, sulle nostre convinzioni e, quindi, anche sulle nostre azioni.

Resa totale

Una volta che l’ego è stato eliminato, emerge il concetto, la sensazione o l’idea che “non sono io quello che agisce, ma Dio”. Vi è una frase che afferma: “Il Padre ed io siamo uno, ma il Padre è più grande di me”. La stessa affermazione si ritrova in sanscrito: “Na ham karta, Hari karta, Hari karta hi kevalam”. È un concetto molto bello. All’inizio si afferma “io ed il Padre siamo uno” indicando che non vi è distinzione tra i due; “io” come individuo non esisto, sono diventato uno con la Coscienza Divina. Poi, nella stessa frase, si dice “il Padre è più grande di me, è colui che agisce”.
Qui non vi è il senso di identità con l’ego. Na ham karta significa “non sono io colui che agisce”; Hari karta vuol dire “è la Coscienza Suprema che agisce”. È solo Lui che agisce attraverso di me. È un’affermazione di totale arresa dei karma. “Sia fatta la tua volontà”. Quando si raggiunge questa arresa completa a livello di karma, senza identificazione con l’io, con il sé, senza pensare al merito, allora si può fare esperienza di purezza nella mente, nell’azione, nella parola e nel pensiero. È questo stato di purezza che alla fine ci porta verso dimensioni sconosciute.
Questo è il concetto del karma yoga perfetto, poiché in questo caso le azioni diventano piacevoli. Normalmente il concetto di lavoro o azione non è piacevole, ma quando l’azione diventa gioia e luce, quando c’è completo coinvolgimento, le difficoltà non vengono più percepite lungo il percorso. Nella tradizione yogica, vedica e tantrica il karma yoga viene raccomandato per superare le difficoltà nell’attitudine, nei pensieri e nelle azioni. Secondo questi sistemi non si deve fuggire dalla vita, ma nella vita. Questo è karma yoga.

Mantra per Guarire, per Raggiungere la Saggezza e la Pace

Swami Niranjanananda Saraswati

Tre mantra sono benefici per tutti gli aspetti della vita: il Mahamrityunjaya mantra per la salute e il benessere, il Gayatri mantra per la tranquillità mentale e la saggezza e il Pranava mantra, Om, per la pace e il risveglio spirituale.

Mahamrityunjaya mantra

Om Trayambakam Yajamahe Sugandhim Pushtivardhanam
Urvarukamiva Bandhanat Mrityormukshya Mamritat

Durante la cerimonia di Sita Kalyanam del 1998, Paramahamsaji ha raccomandato a tutti il Mahamrityunjaya mantra e il Gayatri mantra.
Paramahansaji ha suggerito che coloro che desiderano mantenersi in buona salute e guarire devono cantare il Mahamrityunjaya mantra almeno ventiquattro volte il giorno, ogni giorno.
Egli ha detto: “Vi garantisco che se lo fate con concentrazione, forza di volontà, purezza di cuore e sentimento non c’è dubbio che otterrete salute e guarigione, sia per voi sia per gli altri”.
Se chiedete il significato di Mahamrityunjaya mantra, la maggior parte delle persone vi dirà che è un mantra dedicato al dio Shiva e darà una definizione letterale del significato di ogni parola. Ma molto più importante è la vibrazione che create.
La combinazione dei suoni in ogni mantra crea una vibrazione specifica nel corpo. Il nostro corpo ha una dimensione vibrazionale. Tutte le cellule e gli atomi vibrano in reciproca armonia.
Nel momento in cui quest’armonia viene interrotta a livello vibrazionale, avviene la distruzione del corpo e iniziamo a morire. Nel momento della morte la pulsazione del corpo si ferma, la vita delle cellule si ferma e la forza vitale lascia il corpo.
Le vibrazioni sono sintomi manifesti della forza vitale. Queste vibrazioni sono rappresentate simbolicamente nei vari chakra o centri psichici.

Così, quando usiamo una combinazione di mantra o sillabe sonore, attiviamo e sviluppiamo il potenziale di queste vibrazioni che rimangono altrimenti inerti nel corpo.
Alcune vibrazioni, come Om, vengono usate per entrare in un profondo stato meditativo. L’effetto di Om interiorizza la consapevolezza. Da un punto di vista scientifico, Om aumenta le onde alfa e diminuisce le onde beta.
Soggettivamente, avviene l’interiorizzazione della consapevolezza, diventiamo più concentrati, tranquilli e sereni. Quando usiamo una sequenza di vibrazioni, come in Mahamrityunjaya mantra, queste riallineano i disturbi del sistema vibrazionale. Malattie e infermità possono essere gestite efficacemente con questo mantra.
Nei nostri ashram pratichiamo Mahamrityunjaya mantra ogni sabato sera con il sankalpa (proposito) e la sensazione di lasciare che il potere curativo di questo mantra guarisca il nostro corpo e il corpo di coloro che stanno soffrendo o provano dolore.
Se vogliamo aggiungere la pratica del mantra nella nostra routine quotidiana per aiutare gli altri, dobbiamo fare lo sforzo di cantare il Mahamrityunjaya mantra. Ogni sabato praticate almeno un mala, questo occuperà solo trentacinque minuti circa e sarà per il vostro benessere e per il benessere di coloro che vi circondano.

Gayatri mantra

Om Bhuh Bhuvah Swaha Tat Saviturvarenyam Bhargo Devasya
Dhimahi Dhiyo Yo Nah Prachodayat

L’altro mantra che Paramahamsaji raccomanda a tutti di praticare è Gayatri mantra.
Tradizionalmente Gayatri mantra è usato per sviluppare l’intelligenza, la conoscenza, la saggezza e per espandere la coscienza e viene insegnato ai bambini all’età di otto anni, quando iniziano a studiare. In questo modo la capacità di percezione e l’attenzione vengono affinate, la memoria viene potenziata e l’intelligenza sviluppata. Per sviluppare la consapevolezza, la saggezza e la tolleranza, praticate Gayatri mantra ventiquattro volte ogni giorno.
Paramahamsaji dice anche di non sottovalutare il potere dei mantra. Non è necessario capire il significato dei mantra ma è importante mettersi in sintonia con le vibrazioni create dalla loro ripetizione. Se siete in grado di sintonizzarvi con la vibrazione del mantra, nel tempo potete anche studiare i punti nei quali dovete concentrarvi durante la sua ripetizione.
Così il mantra diventerà uno strumento molto valido per la vostra crescita e per il vostro sviluppo spirituale.

Ripetizione dei mantra

Il terzo mantra importante è Om. Om è la sintesi di tutti i mantra, che guida ad uno stato di coscienza illuminata. La tradizione descrive tre metodi di ripetizione del mantra. Il primo è pronunciando le parole, il secondo è sussurrandole e il terzo è mentale. La ripetizione mentale è la più potente, a condizione di essere in grado di mantenere stabile la mente, che non ci siano distrazioni che possano distoglierla dalla ripetizione del mantra e a condizione inoltre di non assopirsi quando la mente s’interiorizza, fenomeno molto comune quando si pratica il mantra mentalmente.
Anche se viene data enfasi alla ripetizione mentale, la tradizione dice che se percepite che la mente divaga, che vi state assopendo e che perdete la consapevolezza del mantra, per mantenere viva la consapevolezza dovete iniziare a sussurrarlo. Il sussurro è un semplice movimento delle labbra e deve essere udibile solo da voi e da nessun altro.
Se siete ancora incapaci di controllare l’interiorizzazione della mente, e vi viene sonno, iniziate a cantare il mantra. Perfino con la ripetizione verbale alcune persone sono incapaci di tenere fissa o stabile la mente. In questo caso per mantenere l’attenzione focalizzata viene usata un’immagine.

Simbolo psichico

Paramahansaji è solito farci l’esempio di un uccello che vola sull’oceano e cerca un posto per riposarsi. Trova un pezzo di legno galleggiante sull’acqua e si ferma lì. Dopo aver riposato, l’uccello riprende il volo, ma si ricorda il posto dove ha trovato il pezzo di legno per la volta successiva.
L’esempio si riferisce all’uso di mantra e yantra come simboli psichici. Il simbolo psichico può essere qualsiasi cosa. È un punto, una figura, un’immagine attraverso cui siamo in grado di rimanere concentrati e mantenre la nostra attenzione vigile, perché generalmente il mantra viene praticato mentalmente. Il simbolo può essere il nostro ishtadevata, che ha la qualità di dio o divinità. Può essere un’immagine che ha un contenuto di affinità e vicinanza alla nostra vita quotidiana, oppure un simbolo neutro che non denota né uno stato negativo, né uno stato positivo della mente. Allo stesso tempo può inconsciamente influenzare la psiche o la mente per realizzare il potenziale della consapevolezza.
Simboli potenti possono essere il sole, il simbolo del mantra Om o perfino uno yantra, che sia un triangolo, un insieme di triangoli intrecciati, un cerchio, un punto o una complessa figura geometrica; può essere l’immagine del Guru che rappresenta la fonte dell’ispirazione; può essere l’immagine di Gesù, di un santo o l’immagine di diverse incarnazioni della Coscienza Suprema nella forma di Rama, Krishna, Buddha e così via. Può essere qualsiasi cosa, ma non deve avere contenuto emozionale.
Alcune persone possono immaginare un membro della famiglia, ma in questo caso c’è un’associazione emozionale egoistica che non dovrebbe essere presente. Perciò viene raccomandato di usare l’immagine di santi, guru, e avatar o l’immagine di yantra o immagini semplici come il sole, la luna e le stelle. Ogni persona ha un suo particolare simbolo per concentrarsi durante il mantra.
Il mantra diventa la mente e la mente viene rappresentata da un uccello che vola sull’oceano. L’oceano diventa la consapevolezza e nella vastità dell’oceano o della coscienza abbiamo bisogno di un punto di appoggio, una base che sia isolata da interferenze sensoriali. Lo yantra diventa come il pezzo di legno che galleggia sull’oceano. Quando la mente si stanca di vagare in direzioni sconosciute, può scendere sul pezzo di legno galleggiante, riposarsi per un po’, poi riprendere il volo. Questo è il concetto di mantra e yantra.
La sola ripetizione mentale o anche verbale dei mantra non basta. Al mantra dovrebbe essere dato un fine, uno scopo. Il potere del mantra deve essere incanalato verso un fine, non rilasciato nell’ambiente dove si perderebbe. Quando la luce viene concentrata si trasforma in un raggio laser. Lo stesso succede per il mantra.
Ci deve essere un fine quando pratichiamo il mantra sadhana. Tradizionalmente, sono stati assegnati diversi fini a diversi mantra, come salute, benessere a Mahamrutyunjaya mantra e intelligenza e saggezza a Gayatri mantra.

Yoga Sutra di Patanjali

Tratto da: Swami Satyananda Saraswati, “Four Chapters on Freedom – Commentary on Yoga Sutras of Patanjali”, ed. Yoga Publications Trust, Munger, Bihar, India.

I Capitolo: Samadhi Pada

Sutra 17: Definizione di samprajnata samadhi

Vitarka-vicharanandasmitanugamat samprajnatah

Vitarka: ragionamento; vichara: riflessione; ananda: beatitudine; asmita: senso dell’individualità; anugamat: per associazione; samprajnatah: samadhi con prajna

Lo yoga samprajnatah costituisce l’associazione rispettivamente con il ragionamento, la riflessione, la beatitudine e il senso dell’individualità.

Samadhi è lo scopo dello yoga. Questo è l’aspetto positivo. L’aspetto negativo è dato da chitta vritti nirodhah. C’è molta incomprensione riguardo al soggetto del samadhi. Possiamo definire il samadhi dicendo che in questo stato l’aspirante arriva ad un livello di coscienza priva di punto, al di là del quale non rimane più alcuna coscienza. Si raggiunge il livello più profondo della coscienza dove non è più in funzione neanche il senso d’individualità. Gli autori antichi descrissero il samadhi come uno stato di elevata consapevolezza, dove non è più in funzione il corpo mentale. In questo stato funziona solo il veicolo dell’atman. Non c’è più bisogno di un contenuto o di una base per la conoscenza.
Samadhi inizia solo dopo che la coscienza si è liberata dalla sfera fisica. La linea di confine del mondo sensoriale, o maya, termina dove ha inizio la pura consapevolezza mentale. Se si riesce a ritirare il senso di consapevolezza fisica e pranica, ma rimane attiva la consapevolezza mentale, questo è l’inizio del samadhi.

Questo samadhi inizia quando la coscienza è penetrata profondamente in manomaya kosha, il corpo mentale, dove non c’è traccia di consapevolezza fisica o pranica. A questo punto possiamo accennare a tre dimensioni della mente, cioè manomaya kosha, vigyanamaya kosha e anandamaya kosha. L’atman è più sottile di questi tre aspetti. L’atman non è una dimensione ma è pura consapevolezza.
In tutto ci sono cinque dimensioni di coscienza; ne abbiamo già menzionate tre. Le altre due sono annamaya kosha, il corpo grossolano, e pranamaya kosha, più sottile di annamaya kosha. Poi abbiamo manomaya, vigyanamaya e anandamaya kosha, che sono via via sempre più sottili. La dimensione più sottile della coscienza è anandamaya kosha, la dimensione della beatitudine, priva di ogni contenuto fisico. Al di là di questi cinque aspetti della coscienza c’è la consapevolezza ultima, conosciuta come purusha. Samadhi si ottiene quando la coscienza procede via via sempre più in profondità verso livelli più sottili e trascende gli aspetti di oggetto, movimento, pensiero, istinto e, alla fine, raggiunge la sfera della consapevolezza. In questo processo la coscienza si libera dalla dimensione fisica, pranica e da tutte le altre. Tutte e cinque le sfere della coscienza sono soggette al legame con prakriti, ma quando la coscienza raggiunge anandamaya kosha, diventa praticamente libera dalla morsa di prakriti.
L’intero campo del samadhi è classificato in due categorie, ovvero: sabija, con seme, e nirbija, senza seme. Sabija è lo stato inferiore e nirbija è lo stato più sottile. In sabija samadhi c’è una base, o un contenuto, o un centro o un simbolo. In sabija samadhi la mente è concentrata su un simbolo, grossolano o sottile, e c’è un pratyaya, che è il contenuto del simbolo nella mente. Un principiante deve usare qualche base per concentrare la mente. Ci sono quattro tipi di basi in relazione alle quali vi sono quattro tipi di samadhi. Il concetto di pratyaya è estremamente importante per comprendere lo stato di samadhi. Nel mondo c’è una grande incomprensione circa pratyaya. Alcuni ne parlano in modo favorevole, altri si esprimono contro gli idoli, ma entrambi questi punti di vista sono parziali e imperfetti.
Nella filosofia yoga si dice che pratyaya dipende dai tre guna e, di conseguenza, c’è un pratyaya sattvico, uno rajasico e uno tamasico. Dunque samadhi è un campo particolare in cui l’aspirante spirituale inizia da un pratyaya minimo, oggetti minimi su cui appoggiare la mente. Gradualmente procede sempre più in profondità e arriva il momento in cui abbandona il pratyaya. Anche l’ultima base, su cui appoggiare e fermare la coscienza, viene a cadere e la mente diviene libera da pratyaya. All’inizio si ha, come pratyaya su cui meditare, il japa mantra o una forma, rupa, ma in seguito ciò viene abbandonato. Così si può avere, come pratyaya, un chakra, o un loto, o un suono, o un mudra, o un pranayama, o un odore, o una sensazione in muladhara, o una luce in bhrumadhya o il proprio guru, ma quando, alla fine, il pratyaya viene eliminato attraverso il processo di affinamento della coscienza, si raggiunge lo stato di samadhi.

Sutra 18: Definizione di asamprajnata samadhi

Viramapratyayabhyasapurvah samskarasheso’nyah

Virama: fermare; pratyaya: il contenuto della mente; abhyasa: la pratica continua; purvah: venir prima; samskarashesa: nel quale rimangono solo delle tracce; anyah: l’altro samadhi

L’altro samadhi (asamprajnata) è preceduto da uno studio continuo per fermare il contenuto della mente. In esso la mente rimane sotto forma di tracce.

C’è un equivoco creato dagli intellettuali riguardo a questo tipo di samadhi. Dovremmo ricordarci con chiarezza che ogni livello di profondità di samprajnata samadhi è intercalato con uno stato di asamprajnata samadhi e che asamprajnata samadhi non è nirbija samadhi. Asamprajnata samadhi appartiene alla categoria di sabija samadhi. Nirbija samadhi è il samadhi più alto e, quindi, sia samprajnata sia asamprajnata sono aspetti di sabija samadhi.
Quando l’aspirante spirituale si allontana dalla sfera di dhyana ed entra in samadhi, questo particolare stato è conosciuto come vitarka samprajnata. Se viene perfezionato sarà seguito da asamprajnata. Lo stadio seguente è vichara samprajnata, che, a sua volta, è seguito da asamprajnata. Similmente con ananda e asmita samadhi. Asmita samprajnata samadhi culmina, alla fine, in nirbija samadhi.
Venendo al sutra, viram significa fermare o porre un punto fermo. Pratyaya è il contenuto della mente. La nostra coscienza ha qualche cosa su cui soffermarsi durante la concentrazione. Questo supporto, che può essere un simbolo o un’idea particolare, grossolana o sottile, è chiamato pratyaya. Quando si medita su Aum, la sua forma è il pratyaya della mente; allo stesso modo avviene con gli altri simboli. A volte si è ribattuto che non è necessario alcun simbolo perché l’essere supremo è senza forma, ma questa è solo una sorta di confusione teologica e filosofica creata da singoli individui. È vero che Dio o l’essere supremo non ha forma o fattezza, ma la mente dell’aspirante deve avere qualche cosa su cui posarsi durante il processo di meditazione. Patanjali, dunque, chiarisce la differenza tra samprajnata e asamprajnata.
In asamprajnata samadhi non c’è consapevolezza di nessun simbolo. Ciò è chiamato virama pratyaya, la cessazione della consapevolezza di un simbolo, ma la semplice assenza di consapevolezza di un simbolo non significa asamprajnata. Asamprajnata è preceduto da uno stato dinamico di coscienza. Questo stato di laya situato tra vitarka e vichara, vichara e ananda, ecc., non è libero dai samskara. La coscienza non è statica anche se c’è assenza del simbolo. Anche durante lo stato di laya c’è un dinamismo recondito chiamato samskara. Quando il samskara è completamente esaurito, la coscienza è completamente dissolta; questo stato è nirbija samadhi perché non c’è più necessità della coscienza. Così abbiamo due distinte caratteristiche in asamprajnata: la prima è l’abbandono del pratyaya e la seconda è la presenza del samskara.
Questo stato è preceduto dalla pratica. La pratica include lo stato di vitarka, vichara, ecc. In vitarka samadhi l’aspirante è consapevole solo di un oggetto, senza che ci sia consapevolezza di null’altro. Quando questa pratica procede, anche la coscienza di questo simbolo, pratyaya, cessa e abbiamo lo stato di laya. Dallo stato di laya l’aspirante o è sollevato verso lo stato successivo più alto, oppure può tornare nuovamente allo stato di consapevolezza del simbolo. Può anche succedere che torni allo stato di dhyana o dharana. Lo stato di asamprajnata è simile allo stato di nirodha. Da questo si può o elevarsi a stati più profondi di coscienza o tornare a uno stato più grossolano. Questo è molto importante.
È importante osservare che quando si accede allo stadio di vitarka, la forza di volontà cosciente personale cessa di funzionare e l’intera estensione del procedimento è sostenuta dal samskara; ciò vuol dire che è la coscienza dinamica che spinge l’aspirante più avanti. Ed è la stessa coscienza dinamica che porta indietro di nuovo l’aspirante allo stato di dhyana, dharana o vikshepa.
La parola samskara può essere tradotta come impressioni latenti, o assopite, o del passato, ma forse questo non è il termine corretto. Samskara è il seme della coscienza che sopravvive fino allo stato di samprajnata samadhi. Dopo questo stato giunge a termine, dando luogo a nirbija samadhi. Nirbija samadhi non è affatto uno stato; è una condizione priva di consapevolezza, priva di coscienza. Secondo lo yoga, coscienza o consapevolezza si presentano nella forma di movimento o vibrazione, ma nirbija samadhi non è uno stato di movimento o vibrazione, comporta l’immobilità. Così, secondo questo sutra, quando rimane solo il samskara e svanisce la consapevolezza dell’oggetto, in virtù della pratica (abhyasa) si realizza asamprajnata samadhi.
Bisogna chiarire una confusione che prevale tra gli studiosi che non praticano samadhi, ma ne trattano solo in maniera intellettuale. Questa confusione si fonda sulla convinzione che la coscienza oggettiva, samskara, venga alla fine annullata, ma in realtà non è così. La coscienza dell’oggetto non svanisce completamente; modifica solo gli strati delle nostre esperienze passate. Di solito noi facciamo esperienza di un simbolo attraverso questa stratificazione, ma quando essa è dissolta con la pratica, si può vedere l’oggetto con chiarezza.
Questo è ciò che succede quando un aspirante passa da vitarka a vichara, ecc. In dharana l’oggetto appare come la forma espressa dalla coscienza grossolana; in dhyana c’è la forma concentrata di coscienza; in vitarka samadhi c’è una forma sovramentale di coscienza; in vichara è una forma contemplativa; in ananda è una forma di beatitudine, ecc., ma pratyaya rimane fino alla fine. Scompare solo in modo intermittente, e in questo caso è chiamato virama pratyaya. In asamprajnata samadhi, pratyaya, o consapevolezza del simbolo, scompare, ma solo in maniera temporanea. Di nuovo ritorna, ma non nello stesso stato di consapevolezza. Lo stato di consapevolezza, ora, può essere o più sottile o più grossolano. Asamprajnata samadhi non è uno stato permanente; è solo uno stato intermedio nel quale la coscienza cerca di trascendere verso piani differenti. È come una persona che scende da un’automobile e sale su un aeroplano. È solo un periodo di transizione, di passaggio da un piano ad un altro.
Si può dire che la maggior parte di noi fa esperienza di vitarka e degli altri stadi così come dello stadio di asamprajnata, ma la sola difficoltà è che questi stadi non sono stabili, sono fluttuanti. Per questo non dovremmo mai abbandonare l’oggetto o il simbolo, qualunque sia – una croce, o uno shivalingam, o qualsiasi altro oggetto idoneo. Dovremmo, attraverso la pratica continuata, cercare di scendere verso stati più profondi finché, alla fine, non si raggiunge lo stato di asamprajnata, ma questo è senz’altro estremamente difficile.

Yoga – Non si è Mai Troppo Vecchi per Iniziare

Adrienne Fortey (UK)

Come iniziare

All’inizio dovreste imparare lo yoga da un insegnante di yoga qualificato e adeguatamente preparato.
Sebbene siano disponibili molti libri, dovrebbero essere usati solo come riferimento e informazione addizionale, non per imparare lo yoga da soli. Questo è particolarmente importante se avete dei problemi di salute.
Corsi di yoga per principianti sono spesso disponibili nei centri di salute della comunità o nei centri di educazione per adulti.
Le lezioni possono essere pubblicizzate nei giornali locali e alcuni insegnanti di yoga o scuole di yoga sono elencati nelle pagine gialle telefoniche.
Le lezioni sono normalmente condotte per piccoli gruppi di età e sesso misti, ma sono spesso disponibili anche lezioni speciali per gruppi particolari, come ad esempio donne, pensionati o per la gravidanza. Se siete nell’impossibilità di frequentare un corso o preferite lezioni private a casa, probabilmente ciò può essere organizzato con un insegnante, ma naturalmente costerà un po’ di più.
Se siete stati curati per un disturbo specifico o siete sotto cura intensiva, dovreste esporre il vostro desiderio di iniziare lo yoga al vostro medico, che probabilmente si rallegrerà della vostra decisione o che può persino conoscere un insegnante di yoga da raccomandarvi.
Se siete confinato in una casa di cura (o avete un parente che lo è) e vorreste imparare yoga, discutete la possibilità di una visita in casa da parte di un insegnante una o due volte la settimana. Potrebbe essere in grado di organizzare una lezione di gruppo se sufficienti residenti sono interessati.
Quando iniziate le lezioni, siate sicuri di avere del tempo libero ogni settimana in modo da non perdere le lezioni. In particolare all’inizio, quando ogni cosa è nuova, la pratica regolare e la frequenza alle lezioni è essenziale.
Questo è il vostro tempo speciale per curare voi stessi.
Il vostro insegnante vi consiglierà di fare a casa alcune delle pratiche imparate durante le lezioni per ottenerne il pieno beneficio. Perciò avrete bisogno di modificare la vostra routine quotidiana per poterle inserire.
In genere, semplicemente saltando un’ora di televisione il giorno si ricava il tempo necessario per la pratica. Ad ogni modo, quando inizierete a sentirne i benefici, sarete desiderosi di poter praticare anche a casa.
Quindi se avete venticinque, quarantacinque, sessantacinque o ottantacinque anni, non sarete mai troppo vecchi per scoprire quello che lo yoga può fare per voi.

Terapia Yogica delle Malattie Comuni: Disturbi Prostatici

Tratto da: Swami Karmananda Saraswati, “Yogic Management of Common Diseases”, ed. Yoga Publications Trust, Bihar, India.

Nei maschi, l’incontinenza urinaria è un problema comune dalla mezza età in poi. Si verifica quando la ghiandola prostatica si ipertrofizza (aumenta di dimensione) in età avanzata.
Ciò ha come conseguenza dolore e sensibilità alla biforcazione delle cosce e minzione dolorosa.
Benché eccessi sessuali, debolezza dei muscoli, impurità del flusso sanguigno, assunzione di purganti forti e dieta inadeguata siano fattori che concorrono al problema, i medici ricercatori non sono stati in grado di determinare l’esatta causa di base, e molti ricercatori considerano un certo grado d’ingrossamento prostatico come normale accompagnamento della vecchiaia nel corpo maschile. Un’altra grave patologia prostatica è l’infiammazione o infezione nella prostata, chiamata prostatite.

Il punto di vista yogico

Secondo la fisiologia yogica, il disturbo prostatico insorge come effetto a lungo termine di secrezioni eccessive e squilibrate degli ormoni maschili come il testosterone.
Nel caso in cui gli ormoni pituitari, responsabili del comportamento riproduttivo e sessuale, siano stati secreti in quantità eccessiva e incontrollata durante i primi decenni di vita sessuale attiva, il risultato finale può essere un’infezione cronica o la crescita incontrollata ed eccessiva della ghiandola, fino ad invadere, alla fine, l’interno del passaggio uretrale che passa attraverso i suoi lobi. Di conseguenza, il flusso dell’urina viene gradualmente e progressivamente ostruito.
Sebbene il processo d’ipertrofia prostatica sia di solito riconosciuto e diagnosticato nelle persone di mezza età o negli anziani, è in realtà il risultato finale di un processo di lunga durata che ha le sue origini nei primi anni di vita riproduttiva.

Se il metabolismo sessuale maschile non è equilibrato e controllato durante questi primi anni, l’influenza del testosterone diviene successivamente imprevedibile ed eccessiva.
La crescita eccessiva della prostata, che porta all’incontinenza urinaria, è un effetto; un altro effetto può essere il cancro prostatico.

Ulteriori problemi

Con l’ipertrofia prostatica, il bisogno di urinare diviene più frequente, ma può essere soddisfatto solo con un effettivo sforzo. Nonostante lo sforzo per svuotare la vescica, il risultato è che solo una piccola quantità di urina può sgocciolare attraverso l’uretra ostruita. Non appena terminato questo sforzo, il bisogno si ripresenta, e ciò continua anche di notte. Così il passaggio dell’urina diviene una preoccupazione costante e i movimenti e lo stile di vita del paziente sono limitati poiché ha sempre bisogno di trovarsi nelle vicinanze di una toilette.
Poiché la vescica non può più essere svuotata completamente, dietro la ghiandola inizia a formarsi un ristagno di urina. Essa può infettarsi, portando ad ulteriore irritazione e difficoltà che necessitano di terapia medica.

Terapia medica

Il trattamento chirurgico per l’ipertrofia prostatica è conosciuto come “resezione transuretrale” e al giorno d’oggi è praticato comunemente agli anziani. Il passaggio attraverso la ghiandola viene ampliato introducendo un sottile bisturi attraverso il pene, così che sia l’urina sia lo sperma possano fluire liberamente.
Questo procedimento è estremamente importante per quegli anziani che, a causa dell’età o dello stato generale di debilitazione, possono trovare impossibili le pratiche yogiche. Tuttavia, agli uomini più giovani o più attivi, che stanno pensando ad un intervento chirurgico, si consiglia di intraprendere una pratica yogica per il loro disturbo e ricontrollare la situazione dopo alcuni mesi.

Terapia yogica dei disturbi prostatici

L’ipertrofia prostatica può essere curata con le pratiche yogiche che controllano sistematicamente le secrezioni endocrine imprevedibili,

riducendo la ghiandola prostatica e ripristinando un adeguato controllo urinario, specialmente nei primi stadi della malattia.
Per un anziano è spesso difficile seguire un programma completo ed energico di asana, pranayama, shatkriya e meditazione, anche se siamo a conoscenza di alcuni casi d’ipertrofia prostatica curati solo con pawanmuktasana.
Gli uomini di mezza età che seguono il programma otterranno buono risultati, mentre i giovani che soffrono di infezioni prostatiche molto radicate dovranno seguire il programma assiduamente e ridurre la loro attività sessuale il più possibile, fintanto che la malattia non sia guarita.

  1. Surya namaskara: dovrebbe essere praticato al sorgere del sole, secondo le proprie capacità, fino a 12 cicli o più. È un rigeneratore pranico molto importante.
  2. Asana: cominciate il programma delle asana con la serie di pawanmuktasana e vajrasana. Successivamente, e secondo le capacità individuali, si possono gradualmente adottare le seguenti asana: trikonasana, ardha padma paschimottanasana, paschimottanasana dinamica, shashank bhujangasana, shalabhasana, sarvangasana, druta halasana, chakrasana, dwi pada kandharasana, ushtrasana, matsyasana, tolangulasana, ardha matsyendrasana, bhramacharyasana, vashishthasana, dhanurakarshanasana, pada angushthasana, mayurasana, virasana, bhadrasana. Sedete in vajrasana ogni volta che vi è possibile.
  3. Pranayama: per ripristinare l’energia sono raccomandati bhastrika secondo le proprie capacità, in combinazione con la ritenzione interna, mula bandha e jalandhara bandha. Nadi shodhana fino allo stadio 4 dovrebbe essere praticato per un periodo di sei mesi. Surya bedha dovrebbe essere praticato una o due volte il giorno, fino a 10 cicli.
  4. Mudra e bandha: mula bandha e vajroli mudra dovrebbero essere praticati 25 volte ogni giorno, maha mudra e maha bheda mudra fino a 7 volte il giorno.
  5. Shatkriya: neti e kunjal dovrebbero essere praticati quotidianamente e laghu shankhaprakshalana una volta la settimana.
  6. Rilassamento: si dovrebbe praticare ogni pomeriggio yoga nidra e, prima di andare a dormire, la consapevolezza del respiro addominale in shavasana.
  7. Dieta: è particolarmente consigliata una dieta leggera, senza carne, spezie in eccesso e grassi. Ciò conserva l’energia, facendo sì che possa essere utilizzata a scopo curativo.
    Si dovrebbe evitare di mangiare eccessivamente ed il pasto serale dovrebbe essere consumato verso il tramonto. Thè e caffè in eccesso sono dannosi, e alcolici e tabacco dovrebbero essere abbandonati. Bevete molta acqua.
  8. Digiuno: è raccomandato un giorno di digiuno la settimana, oppure saltare il pasto serale ad intervalli di pochi giorni.
  9. Amaroli: la pratica può essere cominciata se è stato ridotto il contenuto di proteine nella dieta.
  10. Riposo: un adeguato riposo è essenziale. Uno stile di vita basato su attività sociali e sul far tardi la notte dovrebbe essere interrotto, almeno per alcuni mesi. Se è possibile, durante questo periodo sarebbe consigliabile stare in un ashram.

La Serie di Pawanmuktasana – Parte 3

Tratto da: Paramahansa Satyananda “Asana, Pranayama, Mudra, Bandha” ed. Yoga Publications Trust, Munger, Bihar, India, e ed. Satyananda Ashram Italia.

Pratica 3: Chakki Chalanasana (la macina)

Stadio 1: Sedetevi con le gambe distese davanti al corpo e leggermente divaricate. Intrecciate le dita delle mani e mantenete le braccia tese davanti al torace.
Durante la pratica mantenete le braccia tese ed orizzontali, senza piegare i gomiti.
Flettetevi avanti il più possibile. Immaginate che state macinando del grano con una vecchia macina di pietra. Muovetevi in senso circolare verso destra così che le mani passino sopra le dita del piede destro e il più a destra possibile.
Continuando il movimento circolare inclinatevi indietro il più possibile.
Portate le braccia e le mani verso sinistra e risalite avanti, passando le mani sopra le dita del piede sinistro portandole di nuovo in posizione centrale.
Una rotazione completa è un ciclo.
Praticate da 5 a 10 cicli in senso orario e poi lo stesso numero di cicli in senso antiorario.

Stadio 2: Nella stessa posizione seduta, separate le gambe il più possibile mantenendole dritte.
Descrivete ampi movimenti circolari passando sopra entrambi i piedi, cercando anche questa volta di far passare le mani sopra le dita dei piedi nel movimento di flessione avanti e di inclinarvi indietro il più possibile.
Praticate 10 volte in ogni direzione.
Respirazione: inspirate mentre vi inclinate indietro ed espirate mentre eseguite la flessione avanti.
Consapevolezza: sul respiro, sul movimento, sulla parte inferiore della schiena, sulle anche e sull’area pelvica.
Benefici: quest’asana è eccellente per tonificare i nervi e gli organi pelvici e addominali. È molto utile per regolare il ciclo mestruale e può essere praticata durante i primi tre mesi di gravidanza. È anche un ottimo esercizio per il recupero postnatale.

Pratica 4: Nauka Sanchalanasana (movimento del remare)

Stadio 1: Sedete con entrambe le gambe allungate davanti al corpo.
Immaginate di remare in una barca.
Stringete le mani come se afferraste i remi, con i palmi rivolti verso il basso.
Espirate e flettetevi in avanti per quanto possibile, allungando le braccia.
Inspirando, inclinatevi indietro il più possibile, portando le mani verso le spalle.
Questo è un ciclo.
In ogni ciclo le mani devono compiere un movimento circolare completo, muovendosi verso l’alto, ai lati delle gambe e del tronco. Le gambe devono rimanere sempre tese.
Praticate da 5 a 10 cicli.
Poi invertite la direzione del movimento.
Praticate da 5 a 10 cicli.

Stadio 2: Nella medesima posizione seduta, divaricate le gambe così che i piedi siano distanti circa un metro. Le gambe devono rimanere sempre dritte.
Ripetete i movimenti come nello stadio 1, prima sopra la gamba destra, poi sulla sinistra ed infine nello spazio tra le gambe.
Respirazione: inspirate mentre vi inclinate indietro. Espirate mentre vi flettete avanti.
Consapevolezza: sul respiro, sul movimento, sulla parte inferiore della schiena e sulla zona pelvica.
Benefici: quest’asana ha un effetto positivo sull’area pelvica e sull’addome ed elimina i blocchi di energia in quest’area. È utile specialmente per disturbi ginecologici e convalescenza postnatale. Rimuove anche la costipazione.

Pratica 5: Kashtha Takshanasana (tagliare la legna)

Assumete la posizione accovacciata con i piedi sul pavimento separati di circa 40 cm.
Le ginocchia sono completamente piegate e separate.
Intrecciate le dita delle mani e portatele sul pavimento, tra i piedi. Raddrizzate le braccia mantenendole sempre tese.
I gomiti dovrebbero essere all’interno delle ginocchia.
Gli occhi sono aperti.
Immaginate il movimento del tagliare la legna. Sollevate le braccia più in alto possibile oltre e dietro la testa, allungando la colonna vertebrale verso l’alto. Guardate in alto verso le mani.
Date un colpo verso il basso con le mani, come per tagliare un pezzo di legna. Espellete il respiro dalla bocca emettendo il suono “ha!” per eliminare tutta l’aria dai polmoni. Le mani dovrebbero ritornare al pavimento tra i piedi e la testa rivolta in avanti.
Questo è un ciclo.
Praticate da 5 a 10 cicli.
Respirazione: inspirate mentre sollevate le braccia ed espirate mentre le abbassate.
Consapevolezza: sul respiro, sul movimento e sullo stiramento dei muscoli delle spalle e della parte superiore della schiena.
Benefici: quest’asana scioglie la cintura pelvica e tonifica i muscoli pelvici. È utile per le donne che si preparano alla gravidanza e può essere praticata durante i primi tre mesi di gravidanza. Ha anche un effetto notevole sui muscoli, solitamente irraggiungibili, della schiena tra le scapole, oltre che sull’articolazione delle spalle e sui muscoli della parte superiore della schiena.
Nota pratica: se la posizione accovacciata è troppo difficile, si può praticare rimanendo in piedi. I benefici, tuttavia, saranno inferiori.

Pratica 6: Namaskarasana (la posizione di saluto)

Sedetevi nella posizione accovacciata con i piedi sul pavimento separati alla larghezza delle anche. Le ginocchia sono ampiamente divaricate e i gomiti appoggiati all’interno delle ginocchia.
Portate le mani unite nel gesto di preghiera davanti al torace.
Premete i gomiti contro la parte interna delle ginocchia.
Gli occhi possono essere aperti o chiusi.
Inspirate e inclinate la testa indietro.
Contemporaneamente utilizzate i gomiti per allargare il più possibile le ginocchia.
Questa è la posizione di partenza.
Sentite la pressione nella parte posteriore del collo.
Tenete la posizione per 3 secondi mentre trattenete il respiro.
Espirate e allungate le braccia davanti al corpo.
Contemporaneamente spingete le ginocchia verso l’interno, esercitando una leggera pressione sulla parte superiore delle braccia.
La testa si piega in avanti premendo il mento sul torace.
Allungate i muscoli della parte alta della schiena e delle spalle come se qualcuno vi tirasse in avanti dalle mani.
Mantenete la posizione per 3 secondi trattenendo il respiro.
Ritornate alla posizione di partenza e portate i palmi uniti davanti al torace, inclinando la testa indietro.
Questo è un ciclo.
Praticate da 5 a 8 cicli.
Respirazione: inspirate mentre portate i palmi uniti davanti al torace. Espirate mentre allungate le braccia in avanti.
Consapevolezza: sul respiro, sul movimento, sull’azione nella parte posteriore del collo e del torace nella posizione di partenza, e sui muscoli della parte superiore del dorso e delle spalle nella posizione di allungamento avanti.
Benefici: quest’asana ha un effetto profondo sui nervi e sui muscoli di cosce, ginocchia, spalle, braccia e collo. Aumenta la flessibilità nelle anche.

Pratica 7: Vayu Nishkasana (posizione che libera i gas)

Sedetevi nella posizione accovacciata con i piedi distanziati alla larghezza delle anche.
Afferrate la parte interna dei piedi, ponendo le dita delle mani sotto la pianta dei piedi e i pollici sopra i piedi.
La parte superiore delle braccia dovrebbe premere contro l’interno delle ginocchia con i gomiti leggermente piegati.
Gli occhi rimangono aperti per tutta la durata della pratica.
Inspirate mentre inclinate la testa indietro. Dirigete lo sguardo verso l’alto.
Questa è la posizione di partenza.
Trattenete il respiro per 3 secondi, accentuando il movimento della testa all’indietro.
Quando espirate, raddrizzate le gambe, sollevate i glutei e portate la testa avanti verso le ginocchia.
Trattenete il respiro per 3 secondi, accentuando la flessione della schiena. Non forzate.
Inspirando ritornate alla posizione di partenza. Questo è un ciclo.
Praticate da 5 a 8 cicli.
Respirazione: inspirate nella posizione accovacciata, quindi trattenete il respiro dentro.
Espirate allungando le gambe, quindi trattenete il respiro fuori.
Consapevolezza: sul respiro, sul movimento, sull’azione nel collo nella posizione di partenza e sulla flessione della colonna vertebrale nella posizione con le gambe allungate.
Benefici: come namaskarasana, questa posizione ha un effetto benefico sui nervi e sui muscoli di cosce, ginocchia, spalle, braccia e collo. Gli organi e i muscoli pelvici vengono massaggiati. Allunga in modo uniforme i muscoli di tutta la colonna vertebrale, delle gambe e delle braccia. Tutte le vertebre e le articolazioni vengono distanziate una dall’altra così da equilibrare la pressione tra esse. Contemporaneamente, tutti i nervi spinali e le guaine della dura madre vengono allungati e tonificati. È utile anche per alleviare la flatulenza.
Nota pratica: i praticanti più avanzati possono portare le dita delle mani sotto la parte anteriore dei piedi. È possibile anche mantenere shambhavi mudra per tutta la durata della pratica. Questo aiuterà a tonificare il sistema nervoso.

Pratica 8: Kawa Chalasana (passo del corvo)

Mettetevi accovacciati con i piedi separati e i glutei sui talloni.
Appoggiate il palmo delle mani sulle ginocchia.
Fate dei piccoli passi mantenendo la posizione accovacciata.
Cercate di mantenere le ginocchia piegate così che i glutei non si allontanino dai talloni. Potete camminare sia sulle dita dei piedi sia sui piedi, scegliete il modo più difficile per voi.
Quando fate un passo in avanti portate il ginocchio opposto appoggiato sul pavimento.
Fate il maggior numero possibile di passi, fino a 50, e poi rilassatevi in shavasana.
Respirazione: respirate normalmente.
Consapevolezza: mentre camminate sulla fluidità del movimento. Mentre vi rilassate in shavasana sul battito cardiaco o sul respiro e sugli effetti dell’asana sulla parte inferiore della schiena, sulle anche, sulle ginocchia e sulle caviglie.
Controindicazioni: non dovrebbe essere praticata da chi ha problemi alle ginocchia, alle caviglie o alle dita dei piedi.
Benefici: prepara le gambe per le asana meditative e migliora la circolazione del sangue nelle gambe. Aiuta anche ad eliminare la costipazione.

Pratica 9: Udarakarshanasana (posizione del massaggio addominale)

Mettetevi accovacciati, con i piedi separati alla larghezza delle anche e le mani sulle ginocchia.
Inspirate profondamente.
Espirate portando il ginocchio destro sul pavimento accanto al piede sinistro.
Utilizzando la mano sinistra come leva, spingete il ginocchio sinistro verso destra mentre ruotate il tronco il più possibile verso sinistra.
Mantenete la parte interna del piede destro sul pavimento.
Cercate di comprimere la parte bassa dell’addome con la pressione combinata di entrambe le cosce.
Guardate oltre la spalla sinistra.
Trattenete il respiro fuori da 3 a 5 secondi nella posizione finale.
Inspirate mentre ritornate alla posizione di partenza.
Ripetete dall’altro lato per completare un ciclo.
Praticate 5 cicli.
Consapevolezza: sul respiro sincronizzato con il movimento e l’alternanza di stiramento e compressione nella parte inferiore dell’addome.
Variante: chi ha difficoltà a rimanere in equilibrio, può appoggiare la schiena contro un muro. I talloni dovrebbero essere a circa 20 cm dalla parete per permettere la torsione.
Benefici: questa posizione è molto utile per coloro che soffrono di disturbi addominali poiché comprime e allunga alternatamente gli organi e i muscoli di questa area. Allevia anche la costipazione.
Nota pratica: questa è una delle asana praticate in shankhaprakshalana. Durante questa pratica, la respirazione può essere invertita per aumentare la pressione della coscia contro l’addome. Fate attenzione a non allungare eccessivamente la schiena quando iniziate a sentire il corpo più leggero e flessibile.