“YOGA” 2002 – Vol. 1

“YOGA” 2002 – Vol. 1

Messaggio per il Nuovo Anno di Swami Niranjanananda Saraswati

Se tu sei responsabile della tua felicità, come è possibile ottenerla? A che livello dobbiamo lavorare con noi stessi?
Testa, cuore e mani, questi sono i livelli sui quali lavoriamo con noi stessi: testa – intelletto, cuore – sentimenti, mani – azione.
La conoscenza è la qualità della testa.
Tenerezza di sentimenti, tenerezza che possiamo chiamare compassione è la qualità del cuore.
E un comportamento appropriato, un’azione adeguata a ciò che la situazione e le circostanze richiedono, è l’espressione del carattere e del comportamento umano.
Il conseguimento di queste tre cose rende una persona felice, saggia e in salute. Così nel corso di questo nuovo anno dovremmo diventare consapevoli che noi stessi siamo responsabili della nostra felicità.
Quando nasce un dente c’è dolore nella dentizione; va bene così. Il dolore è parte della vita, ma essere schiavo del dolore non è parte della vita. Noi tendiamo a diventare schiavi del dolore, delle nostre sofferenze, e questo non è il giusto atteggiamento da tenere nella vita.
Quando siamo schiavi delle nostre sofferenze, ci identifichiamo con la debolezza, con le limitazioni, con le parole “non posso”; ma quando siamo identificati con la forza, l’intera percezione cambia nell’identità con le parole “io posso” Nella bontà, la forza di volontà diventa predominante e nel dolore, invece, diventa predominante la mancanza di volontà.
Quindi l’aspirazione per il nuovo anno dovrebbe essere, dalla prospettiva dell’ashram e dello yoga, la determinazione ad espandere gli orizzonti dell’intelletto, delle emozioni e delle realizzazioni.
Almeno per le persone che perseguono lo yoga, questo dovrebbe essere il sankalpa del Nuovo Anno.

Scoprire le Potenzialità Umane Attraverso lo Yoga

Paramahansa Niranjanananda, Conferenza tenuta presso l’Istituto Goethe, Atene, Marzo 2000

Il tema che tratteremo oggi è lo yoga. Sono sicuro che avrete già una vostra opinione su questo argomento, ma vorrei affrontarlo dal punto di vista della personalità umana.
Fino ad ora l’idea comune è stata che lo yoga consiste in una serie di pratiche fisiche che promuovono salute, benessere e vitalità, oppure un insieme di pratiche meditative che aiutano ad alleviare tensione e stress e inducono tranquillità interiore. La tradizione afferma che lo yoga dovrebbe essere compreso in relazione alla personalità umana e non ai pensieri, alle idee e alle credenze degli uomini. Prima di discutere il soggetto dello yoga in sé, vorrei narrarvi qualcosa sulla storia dello yoga.
Lo yoga non è di origine indiana, né fa parte del misticismo orientale. È, piuttosto, un modo filosofico di interagire con la vita. È uno stile di vita che ci permette una più ampia comprensione e apprezzamento della vita ed è anche una disciplina. Ci sono state nel mondo antiche filosofie che hanno espresso gli stessi concetti dello yoga, come ad esempio quelli insegnati da Socrate e da Aristotele. Ce ne sono state altre che riguardavano lo sviluppo e la comprensione della personalità umana e non facevano parte di nessuna credenza religiosa. Lo stesso concetto si applica alla conoscenza e alla comprensione yogica: è un avvicinarsi alla comprensione della vita.
In che modo possiamo comprendere o realizzare la vita da una prospettiva yogica? Attraverso la comprensione delle varie dimensioni della personalità umana.
La psicologia moderna sostiene che ci sono quattro aspetti principali della personalità umana: dinamico, intellettuale, emozionale e psichico.
La personalità dinamica appartiene alla persona che lavora costantemente con il corpo, con i sensi e con l’ambiente circostante. La personalità intellettuale riguarda la parte riflessiva e pensosa che ricerca la comprensione e la conoscenza. La personalità emozionale è quella in cui prevale l’aspetto sensibile, premuroso e gentile, pertanto la persona prova un senso di unità, compassione e amore per tutti. La personalità psichica è tipica della persona che vuole scoprire le potenzialità latenti e le dimensioni nascoste della coscienza nella vita.
Lo yoga arrivò a queste stesse conclusioni circa cinquemila anni fa e ideò una serie di pratiche adatte alla realizzazione del completo potenziale di ciascuna personalità.
Per la personalità dinamica, ne identificò una serie che sono oggi conosciute come Hatha Yoga.
L’Hatha Yoga ha lo scopo di risvegliare le forze vitali presenti nel corpo e nella mente, riconoscendo l’esistenza di due principali forze che controllano e governano la nostra vita nella dimensione fisica. Si fa esperienza di una, nel corpo fisico, nella forma di vitalità sensoriale e dell’altra, nella dimensione mentale, come forza della mente.
Il tentativo delle pratiche di Hatha Yoga è sviluppare integrazione, equilibrio e armonia nelle espressioni fisiche e nella vitalità mentale. Questa vitalità viene riconosciuta nel termine sanscrito “prana”, che indica la forza vitale che è responsabile delle facoltà mentali e sensoriali. Lo yoga ritiene che la maggior parte degli stress, delle tensioni, delle malattie e dei disturbi di natura fisica e psicologica siano causati da uno squilibrio della vitalità pranica.
Ci sono stati scienziati che hanno osservato gli effetti dell’hatha yoga sul corpo e sulla mente umana e sono giunti alla conclusione che, con la giusta applicazione e pratica, la maggior parte dei disturbi e delle malattie psicosomatiche possono essere effettivamente trattate attraverso lo yoga.
Sappiamo che i disturbi psicosomatici sorgono a causa dello stress e dell’incapacità ad affrontare situazioni che affliggono la nostra mente e il nostro corpo.
Oggi riconosciamo che lo stress è la causa dell’ipertensione, dell’insonnia, di squilibri mentali e di disturbi del sistema digestivo, respiratorio e cardiovascolare. In altre parole, al giorno d’oggi abbiamo dimenticato come rilassarci e come dormire. È stato persino provato statisticamente che, se raccogliessimo tutti i medicinali esistenti nel mondo, li mettessimo in una stanza e li dividessimo in due gruppi (un gruppo formato dalle medicine che sono usate per trattare le malattie, l’altro dalle medicine usate come tranquillanti) il volume e la quantità dei tranquillanti sarebbero maggiori di qualunque altra medicina.
La domanda è: vogliamo vivere una vita nella quale abbiamo dimenticato la nostra armonia interiore e dobbiamo dipendere da sostanze chimiche per riposarci, rilassarci e dormire?
Le pratiche di hatha yoga ricoprono un ruolo molto importante. Esse ristabiliscono l’equilibrio dell’energia, della forza e della salute nel corpo. Oggi nel mondo ci sono molti insegnanti di hatha yoga che insegnano le posture, le tecniche di respirazione e altre pratiche rivolte al corpo per trovare un equilibrio psicofisico.

La seconda dimensione della personalità è quella intellettuale. Come sapete, il nostro intelletto ci gioca molti scherzi: a volte non riusciamo a distinguere tra giusto e ingiusto, tra corretto e scorretto.
Consideriamo l’intelletto come uno strumento per acquisire maggiore conoscenza, ma anche se ne acquisiamo, il nostro intelletto, dato che non è allenato, non è in grado di applicare quella conoscenza per arricchire la nostra vita. I conflitti mentali, la confusione e lo stress sorgono quando il nostro intelletto è intorbidito ed è incapace di distinguere il buono dal cattivo, il giusto dall’ingiusto e l’armonia dalla disarmonia. Per gestire la dimensione intellettuale della personalità umana, lo yoga ideò il sistema di gyana yoga.
Molte persone, che non conoscono correttamente il sistema del gyana yoga, sostengono che consiste il metodo di porsi la domanda: “Chi sono io?” Una volta, durante un viaggio in America, incontrai una persona che voleva essere riconosciuta come un grande gyana yogi e gli chiesi: “Come pratichi gyana yoga?” e lui rispose: “Ogni mattina, quando mi siedo per fare colazione, pongo a me stesso la domanda: ‘chi sono io?’. Questo è il grado della mia pratica di gyana yoga.”
Tuttavia, domande del tipo: “Chi sono e qual è il mio ruolo nella vita?” non sono gyana yoga. Porsi queste domande è un esercizio per intrattenere l’intelletto. Gyana yoga è un procedimento di interiorizzazione e consapevolezza in cui la riflessione, la comprensione e la conoscenza dei complessi movimenti della personalità diventano lo scopo e il fine. Potrei persino spingermi a sostenere che qualunque forma di meditazione che intraprendiamo per approfondire la nostra conoscenza della personalità è gyana yoga.
Gyana yoga consiste in una serie di pratiche meditative che ci permettono di scoprire, conoscere e capire come i nostri pensieri, le nostre emozioni e le nostre impressioni psicologiche profondamente radicate influenzano il nostro comportamento e le nostre azioni. Probabilmente, coloro che hanno letto dei libri sul gyana yoga potrebbero trovare strano sentire questo da me, perché avrete letto che gyana yoga è lo yoga dell’auto-interrogazione, tuttavia non è questo, piuttosto è un procedimento per sviluppare e aumentare la consapevolezza. Le tecniche meditative sono progressive e sequenziali, permettono una comprensione più profonda e ampia della natura e del comportamento della nostra personalità e di come l’intelletto interagisce nella nostra vita, abbellendola o distruggendola.

La terza dimensione della personalità umana è quella emozionale. Non abbiamo ancora imparato ad esprimere le nostre emozioni. Anzi, ci è stato insegnato a non manifestarle e a mantenere sempre un volto impassibile. Come sapete, nel mondo c’è la tendenza a risvegliare o stimolare altre facoltà diverse da quelle emozionali, preoccupandoci, ad esempio, più per il QI – il quoziente intellettivo – piuttosto che per il QE – il quoziente emozionale.
Per apprezzare la vita, per comprendere il nostro ruolo nella società e per capire quali sono i nostri obblighi, doveri e responsabilità per migliorare la nostra vita è necessario l’equilibrio tra l’intelletto e le emozioni.
Negli ultimi cinque anni si è iniziato a parlare dello sviluppo delle emozioni positive. La psicologia dovrà lavorare duramente per altri due o tre decenni per sviluppare una comprensione del comportamento emozionale umano. Tuttavia, lo yoga si è interessato a questo argomento da tempo, adottando i principi e le pratiche del bhakti yoga.
Generalmente il termine “bhakti” è tradotto dagli studiosi con la parola “devozione” ma dal punto di vista yogico viene tradotto con “emozione”. Significa canalizzare le emozioni nella giusta direzione per renderle positive. L’emozione è forza, è energia ed è potenza. Ad esempio, una sfera di cristallo è limpida e non ha colore in sé, ma se voi la ponete sopra un tessuto rosso rifletterà il colore rosso; se la ponete su un tessuto nero, rifletterà il colore nero; se collocate la sfera su tutti i diversi colori, li rifletterà. Tuttavia, la natura della sfera di cristallo è di non possedere alcun colore ma rimanere trasparente e limpida. Lo yoga considera le emozioni come la sfera di cristallo. Quando le nostre emozioni si attaccano al denaro, riflettono avidità. Quando vengono in contatto con i nostri bambini, manifestano affetto. Se si mettono in relazione ai nostri avversari, riflettono gelosia e competitività. In contatto sia con la paura sia con l’insicurezza, fanno emergere frustrazione e rabbia. Associate ad un oggetto di desiderio, saranno caratterizzate dalla passione.
È in questo modo che le emozioni colorano le nostre percezioni ed espressioni nella vita.
Attraverso la pratica di bhakti yoga possiamo gestire le nostre emozioni. Alla fine raggiungiamo uno stato nel quale possiamo fare esperienza di unità e comprensione nei riguardi delle situazioni e delle condizioni che ci circondano.
Tuttavia, dobbiamo lavorare intensamente per comprendere le espressioni delle nostre emozioni poiché ci manca l’educazione di base su come esprimerle. Ci viene detto di non piangere perché è sconveniente; ci viene detto di affermare il nostro sé perché questo ci condurrà al successo. Esprimere le proprie emozioni sembra un segno di debolezza, ma non è così. Piuttosto, esprimere un’emozione associata alla sua comprensione diviene una forza che può sviluppare una più profonda comprensione e apprezzamento dell’emozione stessa, conducendoci al suo superamento anziché al rimanerne vincolati. Che cosa cerchiamo nel mondo? Amore. Cerchiamo compassione e comprensione. Da dove provengono l’amore, la comprensione e la gentilezza? Provengono dalle emozioni, non dalla logica o dall’intelletto.
Dato che ci manca una comprensione basilare del sistema emozionale cerchiamo la felicità al di fuori di noi, in situazioni in cui fare esperienza di tranquillità. Ma ci è sempre stato detto che la fonte della completezza, dell’unità, della felicità, della gioia e della pace si trova all’interno di noi, non all’esterno. Quando sentiamo tali parole diciamo: “Oh, che bella filosofia, che bel pensiero!” ma non siamo capaci di applicare queste idee nella nostra vita, né di provare quelle emozioni. Il bhakti yoga, attraverso una serie di pratiche quali il mantra, l’introspezione e la riflessione, ci permette di comprendere più chiaramente la personalità e la struttura emozionale.

La quarta dimensione della personalità umana è la dimensione psichica. Che cosa significa il termine “psichico”? Significa qualcosa che proviene dalla profondità della nostra coscienza e che non è associato o connesso con l’intelletto e la logica. In effetti, la logica è un’espressione molto piccola della nostra natura. La parte più vasta della nostra capacità d’espressione è psichica.
Per riuscire a realizzare la dimensione psichica della personalità umana dobbiamo scendere in profondità nel regno della coscienza.
Sappiamo dalla scienza che solo un decimo del nostro cervello è attivo, il resto è inattivo. Quale sarebbe la condizione dell’essere umano se l’intero potenziale del cervello fisico fosse sviluppato ed espresso? Se soltanto con un decimo del nostro cervello attivo siamo capaci di ottenere così tanto, le possibilità che avremmo se tutto il cervello lo fosse sarebbero stupefacenti. Ed è la stessa cosa con la mente umana.
Per riuscire a comprendere i procedimenti mentali, la psicologia ha suddiviso la mente in compartimenti: conscio, subconscio e inconscio. Tuttavia la tradizione yogica è andata un passo avanti sostenendo che oltre conscio, inconscio e subconscio c’è la supermente, che rappresenta la coscienza divenuta consapevole di sé. Questo è un concetto particolare che è difficile comprendere. Come può la coscienza divenire consapevole di se stessa?
Possiamo paragonare l’intero campo della coscienza all’oceano. Sulla superficie dell’oceano è possibile vedere grazie alla luce del sole, ma immergendosi in profondità questa diminuisce fino all’assoluta oscurità. Provate ora ad immaginare che l’intero oceano sia illuminato dalla luce. Come lo percepireste? La consapevolezza è il sole e l’oceano è la coscienza. Scendendo in profondità nel nostro stesso conscio la consapevolezza diminuisce e questi stati sono riconosciuti come subconscio e inconscio. Se riuscissimo a mantenere la stessa intensità di consapevolezza anche nei livelli più profondi dell’incon scio, provate ad immaginare quale esperienza interiore di luminosità potremmo avere come riflesso della coscienza totale.
Ci si può avvicinare alla dimensione psichica dello yoga ed avere l’esperienza per mezzo delle pratiche di raja yoga, kriya yoga e kundalini yoga. Dal punto di vista del raja yoga, la luminosità totale della coscienza è conosciuta come samadhi; da quello del kriya yoga è conosciuta come l’apertura dei centri di energia latente nei chakra; secondo il kundalini yoga è l’ascesa dell’energia primaria conosciuta come kundalini.

I principi fondamentali di tutte le pratiche di yoga sono la consapevolezza di sé e la disciplina. Consapevolezza di sé più disciplina è uguale a yoga. Per poter capire lo scopo e la meta cui mira lo yoga dovremmo solo comprendere questi due concetti: attraverso la consapevolezza di sé è possibile realizzare la nostra vera natura, mentre attraverso la disciplina è possibile controllare le dissipazioni della natura umana.
Viviamo nella dimensione dei sensi e del corpo. La nostra prima esperienza della vita è il corpo. La seconda esperienza è la nostra mente, nella forma di pensieri, ambizioni e desideri. La terza esperienza, per la quale occorre molto tempo, è la comprensione di ciò che sta alla sorgente della vita: lo spirito.
Dal momento che il corpo è ciò di cui facciamo esperienza per primo, esso diventa il veicolo per il nostro viaggio. Per questo motivo lo yoga inizia dalle pratiche delle posture fisiche e quando il corpo diviene immobile e silenzioso, lo diviene anche la mente.
Nel campo scientifico è stato fatto un esperimento: creare delle onde statiche. La forma più semplice per farlo consiste nell’annodare l’estremità di una corda, lunga cento piedi, alla maniglia di una porta e tirarla tenendo l’altra estremità in mano, muovendola su e giù. Benché si stia muovendo solo un’estremità della corda, è l’intera corda che risente del movimento. Allo stesso modo, quando si praticano le posture fisiche, non si sta lavorando solo con il corpo, ma anche con la mente, con le emozioni e con lo spirito. L’equilibrio, il benessere, la salute e la vitalità che generate e di cui fate esperienza nel corpo eseguendo le posture fisiche, hanno un effetto sulla vostra dimensione mentale, psichica e spirituale. In questo modo, anche la pratica fisica più semplice può aiutarci a raggiungere il nostro equilibrio e la nostra armonia interiore. Questo procedimento viene ulteriormente intensificato quando uniamo alle posture fisiche le pratiche di rilassamento e di meditazione.
Per mezzo di questo sistema si può fare esperienza dell’integra¬zione fra corpo, mente e spirito; lo yoga completa questo circuito, che significa unione. Quindi, vi chiedo umilmente di dare allo yoga un’occasione nella vostra vita.

Mantra per Guarire, per Raggiungere la Saggezza e la Pace

Swami Niranjanananda Saraswati

Pace – la base della crescita spirituale

Il canto di Om è il più facile perché ha un solo suono, Om. Lo scopo del pranava sadhana è di trascendere la coscienza corporea, connettersi con la coscienza cosmica e realizzare il nostro potenziale spirituale. Mentre si canta dovremmo avere la sensazione e la consapevolezza della crescita spirituale.
Per poter capire il processo della crescita spirituale iniziamo con pace, shanti. Lo stato di pace è la base dell’esperienza spirituale. In assenza di pace personale non ci può essere crescita o sviluppo spirituale. Questa è la realtà. Lo scopo di Om è risvegliare lo stato di pace interiore. Il risveglio della pace deve avvenire ai vari livelli della nostra natura, della personalità e della mente.
Sarà impossibile identificare i diversi aspetti della mente, ma è possibile identificare i simboli che rappresentano i vari stati mentali. Questi simboli sono i chakra, o centri psichici. Quando cantiamo Om dobbiamo focalizzare la nostra attenzione sui diversi centri psichici. Quando cantiamo Om tre volte all’inizio di ogni attività, generalmente l’istruzione è di concentrarsi nel punto che sta al centro delle due sopracciglia. Comunque, per quei praticanti che vogliono andare più in profondità nella pratica del sadhana, ci sono tre punti su cui ci si deve concentrare ad ogni canto di Om. Questi tre punti sono i tre granthi presenti nel corpo.

Om Sadhana

Gli studenti spesso chiedono perché cantiamo Om tre volte all’inizio e alla fine della lezione e ho sentito insegnanti dare risposte diverse. Alcuni dicono che è per la pace nella dimensione fisica, mentale e spirituale, altri dicono qualcos’altro, ma la vera ragione è la concentrazione sui granthi.
La parola granthi significa nodo. Il sistema yogico riconosce tre granthi nel nostro corpo. Il primo è Brahma granthi, il nodo di Brahma, il creatore, in muladhara chakra. Quando cantate Om per la prima volta, dovete sempre mantenere la vostra consapevolezza su muladhara. Muladhara è responsabile della creazione. La nostra coscienza è bloccata in muladhara, nel mondo della materia.
Il secondo nodo è Vishnu granthi, a livello di manipura chakra. Quando cantate Om per la seconda volta portate la vostra attenzione da muladhara a manipura.
Il terzo è Rudra granthi, il nodo di Rudra, il trasformatore, il distruttore, il riemergere della coscienza, fenice che si alza dalle ceneri di agya chakra, rinascita. Quando cantate Om per la terza volta portate la vostra attenzione su agya chakra, nello spazio fra le sopracciglia.
Questo completa la pratica dei tre Om, e gli insegnanti dovrebbero ricordarlo. Fermatevi per almeno cinque secondi su ogni chakra e diventate consapevoli della luce che qui riposa. Nel tempo la qualità della vostra esperienza cambierà. Potrà occorrere una settimana o un mese, ma noterete una grande differenza.
Quando cantiamo Om sette volte l’istruzione generale per i principianti è di concentrarsi su agya. Ma per il mantra sadhaka ogni canto di Om può essere percepito nei sette chakra, con una pausa di cinque secondi fra ognuno.
Ci sono modi diversi di cantare Om. Normalmente si usa la parola Om, il suono “o” e “m”. Ciò dà un certo effetto. Alcune persone praticano con “A-u-m”. Quando pratichiamo tre volte, in muladhara, manipura e agya, il suono è Om. Quando pratichiamo sette volte, il suono è Aum. Nel kriya yoga c’è un’altra versione del canto di Om che è una “O” esplosiva seguita da una lunga “m-m-m”. Queste piccole cose fanno una grande differenza nella nostra pratica e nella qualità della nostra esperienza.
Questi sono i tre mantra principali: Maha Mrityun per la guarigione, Gayatri per la saggezza e Om per la pace. Sono pratiche importanti e portano molto beneficio in tutti gli aspetti della nostra vita.

Esperienza della Yajna 2001

di Giuliana Moda (Italia)

L’Akhara e la Yajna

In una sala dedicata a Ganesha prende forma la Yajna. Tutte le offerte che verranno distribuite sono raccolte lì, divise per essere destinate ai bambini, ai giovani, ai villaggi o altrove. Il prasad è il dono, l’augurio di pace, prosperità, benessere che raggiunge tutti quelli che partecipano e che vogliono sinceramente riceverlo.
Akhara, diversamente dall’ashram, il luogo dell’insegnamento, è il luogo del dare. Qui vive Paramahansa Satyananda. Il dono materiale rafforza l’augurio della Yajna, perché qualcuno non ha bisogno di nulla, ma molti sentono più forte l’augurio di pace e fortuna se ricevono qualcosa in dono. Qualcosa che sia appropriato, che abbia una funzione concreta. Durante la Yajna le famiglie dei villaggi vengono chiamate una ad una e ricevono una coperta, un pacco di vari tagli di stoffa, un piatto, un calendario, due libri, un paio di orecchini, un mala, un gioco per i bambini.
La storia degli orecchini è curiosa e divertente. Paramahansa Satyananda ha raccontato come la sua attenzione fosse stata stranamente attratta da una canzone che raccontava di una donna preoccupata di aver perso gli orecchini al mercato. Aveva pensato, “Con tutti gli orecchini che ci sono in India”, senza pensare che il giorno dopo si sarebbe presentata una persona con 3000 paia di orecchini da donare per la Yajna.
Le vedove, per le quali l’Akhara si batte anche perché possano vestirsi con abiti colorati e ornamenti e siano riammesse alla vita sociale, ricevono un prasad particolare perché non hanno altre possibilità di sostentamento.
Anche i sannyasa ricevono un dono con l’abito colore gheru che porteranno sempre, perché di altro non hanno bisogno: i sannyasa che sono come gli architetti del sogno di Paramahansa Satyananda e gli artefici della sua realizzazione in tutto il mondo, non sono mai poveri. Sono ricchi, anche se la loro ricchezza non appartiene a loro. Alcuni sono venuti a Rikhia da giovani, molti sono stati lì molti anni.

I bambini di tutte le scuole vengono accompagnati alla Yajna dai maestri per ritirare uno zainetto nuovo, una penna, una matita, una gomma, un quaderno, una maglietta e un libro sul saluto al sole. Sono circa un migliaio. E la disposizione d’animo con cui ricevono è meravigliosa: più dei grandi, sanno che è un gesto di amore per loro.
Le ragazze da sposare ricevono un vestito, un paio di orecchini, un libro, uno scialle. Vengono le famiglie dei muratori che hanno costruito tutti gli edifici dell’Akhara.
Vengono gli anziani soli e che non possono più lavorare. Vengono gli autisti degli autobus e i militari di servizio alla cerimonia, che attira migliaia di persone.
Sono chiamati anche gli ospiti occidentali e ognuno riceve un prasad. Vengono le coppie dei giovani, qualche volta ancora bambini, promessi sposi.
Essere sicuri che tutti ricevano: vedere le mani che non si fermano mai, per giorni, nella distribuzione dei prasad, sentire l’enorme quantità di amore raccolto e distribuito, contenuto in ogni pacco, in ogni gesto. Questa sicurezza e questa bellezza danno la pace e la forza interiore che tutti vengono a cercare alla Yajna. “Un prasad è come il monsone: si trasformerà sicuramente in pioggia”.

“…L’atmosfera purificata della Yajna rimuove le impurità mentali. Siamo tutti soggetti ad una specie di costipazione della mente e delle emozioni o, al contrario, a una specie di flusso inarrestabile come una diarrea. La mente è sbilanciata, in continuo movimento. Il percorso dello yoga è utile in tutti i suoi aspetti, il raja yoga aiuta a controllare la mente, il bhakti yoga a regolare le emozioni.
Ma bisogna anche offrire: è importante diventare chi offre, far parte di quell’energia. Durante la Yajna l’aspetto esteriore è rivolto ad imparare a dare. Se si ha un paio di scarpe bisogna lucidarne due. Ma se si hanno venti paia di scarpe, bisogna lucidarne quaranta. E uno spreco, non ha scopo. Bisogna imparare a dare, ad abbandonare il nostro attaccamento ad accumulare, e allora impareremo a essere liberi. Il punto importante è che si diventa liberi e che è proprio questa libertà che cerchiamo nella vita. Dare presuppone il donare, il bilancio tra l’azione del dare e il pensiero della gioia non è carità, è felicità.”

Paramahansa Satyananda

L’Akhara e la fonte di Shivananda

Dietro l’Akhara, in un luogo aperto alla vista del paesaggio circostante di boschi e risaie, una grande vasca raccoglie l’acqua che forma la riserva per tutte le attività dell’Akhara. La fonte sottostante è ricchissima e l’acqua si attinge con facilità ed abbondanza. Una vera benedizione per una terra che fa parte della pianura del Gange, ma è distante dal fiume e completamente arida, a parte il tempo dei monsoni. Si calcola che la fonte possa servire un territorio di dieci chilometri di raggio. L’Akhara ha costruito un gigantesco pozzo di settanta piedi di profondità: la sua capacità può essere distribuita per metà in sei ore e ricostituita in tre. Nella stagione secca, da marzo, l’acqua di questo pozzo serve ad irrigare tutti i campi dei villaggi che circondano l’Akhara. La fonte è il luogo preferito di Paramahansa Satyananda, che ne aveva avuto la visone prima di decidere di stabilire in quel posto l’Akhara.

La Yajna

“…La Yajna è uno strumento molto importante. È una combinazione che coinvolge corpo e mente e rinnova la fede innata, quella che non avete imparato in nessun posto, né a scuola né in chiesa, ma avete ricevuto direttamente dal grembo di vostra madre. La Yajna fa uso di mantra e rituali, di invocazioni, di simboli che ne fanno uno strumento di cambiamento, di metamorfosi molto potente. La cerimonia che fa parte della Yajna non ne esaurisce il significato, che è piuttosto insito nel processo che la Yajna sviluppa. È un processo che segue tre fasi: genera e produce, distribuisce e diffonde e termina con un’assimilazione. È ciò che si verifica in ogni circostanza della vita. È il processo della creazione, della vita stessa. Come il cibo: lo si produce, lo si distribuisce, lo si assimila, o come il processo dell’educazione. Significa diventare consapevoli dei bisogni attuali e ciò rende ciascuno capace di affrontare il futuro. È un processo attraverso cui possiamo essere uomini migliori. Questo processo spirituale è universale ed è la vera essenza della Yajna. Intelletto, emozione ed azione costituiscono la nostra vita: anche la capacità di combattere è necessaria e può essere acquisita attraverso la Yajna.”

Paramahansa Satyananda

Sankalpa

Uno degli aspetti più importanti della Yajna è l’idea spirituale che sostiene il processo. La Yajna è caratterizzata da un sankalpa (risoluzione) augurale, che comporta pace, prosperità e benessere per tutti, e dalla possibilità per ciascuno di formulare un proprio sankalpa, un intento di vita per sé, che riguarda la crescita dello spirito e deve essere proferito con sincerità.

Il canto prescelto per la Yajna 2001

O Dio, sono il tuo servitore
Dirigi bene i miei karma
per scegliere il giusto sentiero
e compiere solo le azioni che allontanano il male
così che, quando lascerò il mio corpo, sarà con un sorriso.

Il fulgore della soddisfazione svanisce velocemente e
una densa oscurità si diffonde tutto intorno.
L’uomo che hai creato è preoccupato, ansioso e senza meta,
senza speranza nello sguardo.
Il potere che s’irradia da te da solo può trasformare la scura notte
nella luminosità della luna piena.

Aiutami, o Signore, a mantenere il mio equilibrio
di fronte all’ingiustizia e alle atrocità.
Dammi la forza di non cercare la vendetta ma di rimanere
fedele alle buone azioni, anche mentre gli altri mi attaccano
così che l’amore cresca in me
e le differenze e le delusioni svaniscano.

Quest’uomo è molto debole e ancora pieno di milioni di limiti
e, nonostante questo, la terra su cui viviamo non crolla
per la grazia che tu profondi.

Anche noi siamo tue creature e chiediamo il tuo aiuto,
il tuo amore e il tuo perdono
per sanare il nostro dolore.

Yoga Sutra di Patanjali

Tratto da: Swami Satyananda Saraswati, “Four Chapters on Freedom – Commentary on Yoga Sutras of Patanjali”, ed. Yoga Publications Trust, Munger, Bihar, India.

I Capitolo: Samadhi Pada

Sutra 19: meriti passati necessari per asamprajnata samadhi

Bhavapratyayo videhaprakritilayanam

Bhavapratyayah: la nascita è la causa; videha: yogi liberati dal corpo; prakritilayanam: gli yogi assorbiti in prakriti

Gli yogi videha e prakritilaya hanno la nascita come causa di asamprajnata samadhi. (Questo è bhavapratyaya asamprajnata samadhi)

Di solito il samadhi si ottiene per fede, per coraggio, memoria e una più alta forma di comprensione, ed è attraverso questi differenti metodi, secondo l’intensità dell’impegno e dello stimolo, che l’aspirante può ottenere il samadhi più presto o più tardi. Tuttavia può accadere che delle persone che non hanno mai praticato raggiungono il samadhi molto facilmente. Questo succede perché al momento della nascita hanno portato con sé tutte le impronte dei karma passati. Così ci sono esempi di persone che vanno al di là delle barriere della coscienza più bassa in età molto giovane. Per esempio, il grande santo Jnaneshwar così come Ramana Maharshi di Arunachala, che raggiunse il samadhi quando era adolescente.
In questo sutra Patanjali dice che i due tipi di yogi, quelli che sono liberati dal corpo e quelli che sono assorbiti in prakriti, possono ottenere asamprajnata samadhi direttamente dalla nascita. Non devono praticare alcuno stadio preliminare come dharana, dhyana o vitarka, vichara, ecc.

Sutra 20: Altrimenti, meriti necessari per asamprajnata samadhi

Shraddhaviryasmritisamadhiprajnapurvaka itaresam

Shraddha: fede; virya: energia, forte volontà; smriti: memoria; samadhiprajna: intelligenza che deriva dal samadhi; purvaka: preceduti da; itaresam: gli altri.

Gli altri (oltre a coloro che sono liberati dal corpo e assorbiti in prakriti) ottengono asamprajnata samadhi attraverso gli stadi rispettivamente della fede, della forte volontà, della memoria e dell’intelligenza che derivano da samprajnata samadhi.

Come abbiamo già visto, i due tipi di yogi indicati con i nomi di videha e prakritilaya ottengono il samadhi direttamente per nascita, ma questi yogi sono rari. La maggior parte degli aspiranti deve passare attraverso una pratica regolare di differenti tecniche e queste tecniche sono descritte in questo sutra.
La parola shraddha è composta da due parti: shrat che significa verità e dha che significa detenere. Così shraddha indica chi detiene la verità. La parola fede probabilmente non è una traduzione corretta della parola shraddha. La fede di solito è cieca, il credo è sempre stabile, ma non è così con shraddha, che arriva solo dopo la comprensione della verità. Shraddha deriva da un’esperienza vera. Il credo è sempre appreso da un’altra persona, non è una conseguenza della percezione della verità, solo shraddha non fallisce mai. Shraddha è il primo principio indispensabile che si richiede ad un praticante di yoga, ed è differente dal semplice credo. Shraddha può essere ottenuto solo dopo aver avuto un barlume di verità, esattamente come Swami Vivekananda e Swami Yogananda che ebbero un barlume di verità quando vennero in contatto con il loro guru. Comunque, non si tratta della verità nella sua pienezza, ma solo di un barlume; è semplicemente l’inizio del sentiero dello yoga. Il guru induce nel discepolo un’esperienza di verità o samadhi attraverso il proprio potere personale e, in tal modo, si origina shraddha.
La qualità indispensabile successiva è chiamata virya; essa implica l’energia fisica e mentale. Nel contesto di samadhi, indica il coraggio con il quale possiamo superare i molti ostacoli sul sentiero dello yoga. Essa implica forte volontà e determinazione. Uno deve continuare sul proprio sentiero a ogni costo. La mente deve essere correttamente controllata, e una mente controllata è piena di coraggio, virya. Nei Veda c’è una preghiera in cui il rishi domanda virya e ojas per ottenere coraggio ed energia.
Il terzo fattore è la memoria. In realtà la parola smriti qui significa dhyana, in cui l’aspirante ricorda il simbolo. Attraverso smriti possiamo portare la realizzazione della coscienza nella dimensione conscia.
Subito dopo veniamo a samadhi prajna. È del tutto indispensabile per raggiungere asamprajnata samadhi. L’intelligenza, secondo lo yoga, è di due tipi: l’intelligenza terrena, di cui abbiamo bisogno per avere successo nella vita di tutti i giorni, e una forma più elevata di coscienza che si sviluppa come conseguenza di samprajnata samadhi. Nella maggior parte di noi questo tipo d’intelligenza non è presente, ma si sviluppa attraverso la pratica regolare; una volta che si è sviluppata, l’aspirante può fare grandi progressi in pochissimo tempo. Può essere descritta come un modo di vedere peculiare o vantaggioso. Presuppone la realizzazione spirituale.
Si può dire che Swami Vivekananda ebbe questa facoltà e, in virtù di essa, poté realizzare un progresso spirituale molto rapido, nonostante le varie idee conflittuali presenti nella sua mente rispetto alla religione, a Dio, al destino umano, ecc. Così, questo samadhi prajna è una facoltà peculiare; è l’attitudine o la visione spirituale che una persona sviluppa con un satsang costante e con una costante autopurificazione.

Karma Yoga e Stress

Tratto da: Sw. Suryamani Saraswati, Swami Niranjanananda Saraswati, “Yoga e Stress”, ed. Satyananda Ashram Italia.

“Karma yoga è la via d’uscita per l’insieme dei samskara
(impressioni e problemi mentali) individuali”

Swami Satyananda Saraswati

Il karma yoga è lo yoga dell’azione o del lavoro, è un sentiero yogico aperto a tutti, poiché noi tutti dobbiamo lavorare e compiere varie attività, sia fisiche sia mentali. Il karma yoga aiuta a portare la pace e l’equanimità in una vita piena di stress e sviluppa la forza di volontà. L’importanza della forza di volontà nella gestione dello stress è spesso sottovalutata. Essa può essere definita come la capacità di motivare, mobilitare ed armonizzare tutte le attività di un individuo per il raggiungimento di uno scopo preciso. La “Gita” ha definito il karma yoga come “efficienza nell’azione” e questo totale assorbimento nel lavoro del momento porta ad una grande forza di volontà e allo sviluppo dei poteri della mente. L’intera mente e il corpo si integrano e si accordano ad un alto livello di sensibilità ed è durante il lavoro e le altre attività che possiamo riconoscere i nostri problemi mentali.
Il karma yoga è un mezzo per purificare la mente da fobie, problemi, paure e da tutti gli altri fattori di disturbo che producono una situazione di stress. Durante il karma yoga la persona deve affrontare tutti i tipi di esperienze, sia quelle buone sia quelle cattive. Da queste esperienze impariamo a riconoscere le nostre abilità e i nostri limiti. Nessuno di noi può evitare il lavoro; possiamo allora accettare la situazione e il lavoro e allo stesso tempo usarlo come metodo per pulire la nostra mente. Non si tratta solo di lavorare, ma di lavorare con consapevolezza e ricavarne ben altro. Uno dei precetti base del karma yoga è molto semplice, sebbene molto profondo: non siate attaccati alle vostre azioni e alle loro conseguenze. Il lavoro in questo modo diventa gioco e smette di essere lavoro. Il lavoro viene generalmente svolto con un motivo e con delle aspettative di risultati o riconoscimenti, mentre il gioco è fatto per il piacere di farlo. È a causa dell’attaccamento e non del lavoro in sé che diventiamo infelici e scontenti.
È importante accettare i propri limiti e produrre le azioni che ci sembrano più armoniose, anche se contrarie alle aspettative degli altri. Troppo spesso le nostre azioni vengono decise da altre persone: vediamo altri agire e ci sentiamo in dovere di fare lo stesso, persino quando ciò può essere contrario alla nostra personalità individuale. Ci sentiamo obbligati a vivere secondo le aspettative di altre persone e a cercare di diventare qualcosa che non siamo: infelicità e sofferenza ne sono la conseguenza. È meglio fare un lavoro positivo attraverso l’attitudine del karma yoga piuttosto che lavorare con ripercussioni negative. Il lavoro positivo non solo sarà benefico per altre persone, ma ci condurrà a un atteggiamento e a una mente più rilassati.
Il karma yoga perfetto non può essere realizzato fino a quando l’incessante affollamento dei pensieri e la turbolenza della mente non si quietano e la mente stessa non diventa chiara come il cristallo e calma come uno stagno immobile. I pensieri sorgeranno come una gigantesca eruzione nell’oceano senza fine della mente, ed avranno un grande potere, ma sbiadiranno velocemente, così come sono comparsi. Poi si stabiliranno nuovamente nelle tranquille profondità, senza lasciare la minima traccia.
Per la maggior parte delle persone deve esserci un equilibrio tra l’introspezione e l’espressione esterna sotto forma di lavoro. Più intenso e irresistibile è il lavoro meglio è, perché ci spingerà fuori dalla consuetudine di vivere con la mente nel passato. Saremo portati a vivere nel presente o ad anticipare il futuro. In questo modo ci sarà impedito di ripiegarci sui nostri problemi, diventeremo vivi e c’innalzeremo dalla palude della pigrizia. Allo stesso tempo dovremo fare una certa introspezione e questo ci permetterà di confrontarci con i contenuti della nostra mente, incluse le fobie, i conflitti e altre problematiche. Il lavoro, combinato all’introspezione nella forma di pratiche meditative, è la via per rimuovere i problemi mentali e guadagnare la pace. Invece di attardarci dietro ai nostri complessi, ecc. riconosceremo la radice dei nostri problemi e, nel tempo, essi spariranno attraverso l’espressione o lo sbocco nel lavoro e attraverso la consapevolezza.

Yoga e Dipendenze – Yoga Nidra: Volontà e Sankalpa (parte prima)

Dal seminario tenuto da Sw. Anandananda Saraswati il 7 Aprile 2001, Grecia.

La tecnica nyasa che proviene dal tantra

I punti centrali in yoga nidra sono questi: volontà e sankalpa. Prima di tutto devo dire che yoga nidra è una tecnica che si è diffusa grazie a Paramahamsa Swami Satyananda all’inizio degli anni sessanta.
Essa trae le sue origini da uno dei sistema dello yoga e in particolare dalle pratiche di nyasa che erano originariamente indirizzate al praticante affinché potesse preparare l’intero sistema corpo/mente prima di avvicinarsi a ulteriori pratiche o rituali.
Swami Satyananda ha adattato queste pratiche di nyasa dando origine alla tecnica di yoga nidra che, essendo una pratica che si è evoluta nell’ambito del tantrismo, ha perciò alcuni aspetti caratteristici del sistema del raja yoga. Yoga nidra trae le sue origini da due sistemi molto, molto antichi e importanti, che hanno un impatto e un effetto molto profondo sul praticante; di questo va dato il merito a Paramahansa Satyananda che ne ha fatto una delle principali pratiche del sistema Satyananda Yoga.
Più o meno nello stesso periodo in cui Swami Satyananda stava sperimentando e divulgano yoga nidra, Swami Niranjan, che all’epoca aveva quattro o cinque anni, arrivò all’ashram e Swami Satyananda lo allenò e istruì, attraverso yoga nidra, su molte, molte, molte cose; tra le principali c’erano lo studio della “Gita”, delle “Upanishad”, del “Vedanta” e di tutti i testi e i concetti dello yoga e della vita spirituale.
Adesso che sono trascorsi più trent’anni, Swami Niranjan riconosce che in questa maniera ha ricevuto un insegnamento e un sapere molto, molto profondi. Questo mi fa definitivamente pensare che Swami Satyananda in quel periodo abbia utilizzato al meglio le possibilità di Swami Niranjan.
Nel discorso di ieri è stata usata una parola che mi è rimasta impressa: è la parola profondità. La profondità della conoscenza, dell’informazione che, al momento giusto, quando il sistema biologico del cervello è in equilibrio e pronto a ricevere, permette a questo sapere di penetrare al posto giusto e alla giusta profondità, generando nel modo migliore i collegamenti tra la struttura biologica e le facoltà mentali. Così, nel corso del tempo, per Swami Niranjan questo sapere si è reso fruibile in modo molto spontaneo e rilassato ogni qualvolta ne abbia avuto bisogno. Questo è uno degli aspetti che avrei piacere di sottolineare: che le conoscenze e le informazioni provengono da Swami Niranjan in modo molto rilassato, spontaneamente e sono parte della sua personalità. Nella stessa maniera rilassata e spontanea in cui possiamo salutare qualcuno o muovere le nostre mani, altrettanto spontaneamente possiamo manifestare o esprimere informazioni o conoscenza.

La macchina per EEG e i tipi di onde cerebrali

La tecnica di yoga nidra è stata fatta oggetto di differenti tipi di studi e ricerche. Tra questi si fanno notare in particolare due differenti ricerche che sono state condotte sia nei paesi scandinavi sia nel Regno Unito, in quest’ultimo caso facendo uso di un moderno macchinario per l’EEG (elettroencefalogramma).
Con le nuove apparecchiature per l’EEG non si ottiene più un diagramma stampato con un ago su un lungo foglio di carta ma ora si può ottenere un disegno del cervello a colori, laddove questi ultimi caratterizzano le differenti onde cerebrali attive al momento dell’esame. Le differenti onde cerebrali sono identificate da differenti colori, che sfumano dal rosso scuro al blu all’azzurro.
Grazie a questo apparecchio si è potuto individuare con chiarezza, come sia efficace la pratica e la tecnica di yoga nidra nel cambiare e stabilizzare un certo tipo di onde cerebrali e come l’attività delle onde cerebrali, in particolare delle onde cerebrali alfa, vengano diffuse in modo bilanciato in tutto il cervello.
Quando il cervello sta producendo o emanando onde alfa significa che entrambi gli emisferi cerebrali sono temporaneamente in equilibrio; la mente, in questa condizione, diventa non solo rilassata ma aperta e ricettiva. Durante la pratica di yoga nidra c’è la possibilità di conseguire conoscenza e fornire informazioni alla mente.

Terapia Yogica delle Malattie Comuni: Epatite

Tratto da: Swami Karmananda Saraswati, “Yogic Management of Common Diseases”, ed. Yoga Publications Trust, Munger, Bihar, India.

Epatite significa “infiammazione del fegato” e si riferisce al disturbo acuto della struttura del fegato a seguito di una sovraesposizione a farmaci, droghe o veleni specifici e dopo determinate infezioni virali. Come conseguenza, la miriade di funzioni di trasformazione, disintossicazione ed escrezione vengono temporaneamente sospese, poiché milioni di cellule del fegato vengono meno e muoiono.
Tuttavia, la situazione non è proprio così cupa come sembra, poiché il fegato possiede una notevole capacità rigenerativa e quasi tutti i pazienti, dopo un attacco di epatite, hanno una guarigione completa nel giro di pochi mesi.

Cause specifiche dell’epatite

Il fegato può cessare di funzionare per numerose ragioni. Le cause più comuni sono infezioni virali, avvelenamento da alcolici e sovraesposizione a droghe o farmaci specifici.
La scienza medica ha differenziato due distinti tipi di epatite virale. Il tipo A, o epatite infettiva, si ritiene venga diffusa da contaminazione fecale-orale e si presenta in forma epidemica. È associata a scarsa igiene sanitaria e personale e di solito si presenta in scuole e istituzioni.
La seconda infezione virale di tipo B, o epatite da siero, è relativamente rara ed è considerata più seria. Si diffonde per inoculazione diretta del virus per trasfusioni di sangue o emoderivati iniettati. Si riscontra particolarmente in operatori sanitari che hanno a che fare con prodotti ematici e nei tossicodipendenti.
L’epatite indotta dalla droga si riscontra comunemente, avendo un andamento parallelo all’aumento di uso di droghe e farmaci sia nelle fabbriche che nelle case. Molte sostanze estranee, incluse le medicine moderne che sono iniettate o prese oralmente, finiscono nel fegato, che ha il compito di renderle non tossiche e prepararle per l’eliminazione dal corpo. È stato scoperto che un’ampia gamma di medicinali moderni fanno precipitare le epatiti cliniche se dati in dosi alte agli animali da laboratorio. Essi includono diversi tipi di tranquillanti, agenti steroidi, medicamenti antireumatici, contraccettivi orali e antibiotici.
In molti casi, l’epatite non ha una causa immediata ovvia, ma può presentarsi a causa di un affaticamento di lunga durata dei meccanismi purificatori e disintossicanti del fegato per una dieta inadeguata che produce un eccesso di scorie metaboliche. Questi fattori dietetici includono alcolici, proteine animali, cibi grassi, cibi piccanti e raffinati, conservanti chimici, agenti sintetici e farmaci.

Sintomi e segni dell’epatite

I sintomi iniziali dell’epatite sono poco specifici. Il paziente perde appetito e soffre di crescente debolezza e senso di malessere. Dopo alcuni giorni questi sintomi cedono il passo a nausea marcata, aumento della temperatura, pronunciati dolori al corpo e mal di testa. A questo punto il paziente si sente molto debole, disorientato e nauseato e l’urina di solito diventa di colore giallo scuro-arancio, mentre le feci diventano chiare, voluminose e maleodoranti per l’assenza di bile. Inoltre sovente il fegato s’ingrossa e diviene sensibile sotto il margine destro delle costole. Infine sopravviene l’ittero; prima le sclere (bianche) e le membrane mucose degli occhi, successivamente l’intera superficie dell’epidermide, prendono una pigmentazione giallognola.
L’ittero è un’indicazione che il corpo non è più in grado di metabolizzare la bile o che il fegato non è più capace di trasformare i prodotti di scarto della distruzione delle cellule sanguigne. Come conseguenza il livello di queste scorie altamente pigmentate nel sangue continua a salire finché si riversa nei tessuti, colorando, in questo processo, l’intero corpo. Come conseguenza, di solito, la pelle prude.

Il processo di guarigione

Fortunatamente il processo dell’epatite è di solito auto-limitato. In genere la fase acuta della malattia dura due o tre settimane, dopo di che è necessario un periodo di almeno sei settimane per ristabilire livelli ottimali di energia.
Il fegato si ristabilisce rapidamente in quanto possiede una notevole capacità rigenerativa. Il fattore più importante per ottenere un completo recupero è che il fegato deve essere completamente protetto da tossine dannose durante il periodo cruciale di rigenerazione cellulare. Durante tutto questo periodo è essenziale il riposo totale.
In casi isolati, il recupero del fegato tarda ad arrivare oppure si ripresenta il disturbo in fase acuta. Questo può continuare per mesi o anni, accompagnato da uno stato di debolezza digestiva cronica, stanchezza e malessere fisico, nausea, avversione e disgusto per la vita. Ciò è conosciuto come epatite attiva fulminante o cronica.
Laddove non sia stata presa alcuna sostanza riconosciuta nociva per il fegato né nella dieta né nell’assunzione di alcol, la causa può essere rintracciata in un disturbo emotivo profondamente insediato. Spesso il malato si sente incapace di tener fede al complesso di aspettative che ha nella vita e non riesce a esprimere le sue emozioni negative apertamente. Si sforza di sopprimere la collera quando prova a tener fede alle aspettative di coloro verso i quali è affettivamente legato. Resta attaccato alla sua malattia come il modo migliore di evitare il confronto con una realtà che lo disgusta. In questi casi, la terapia più efficace per questa visione avvelenata della vita è la meditazione.
Il principio che contrasta il naturale processo di guarigione del fegato per molto tempo, alla fine porta ad un’insufficienza epatica cronica, con l’inevitabile conseguenza di morte per autoavvelenamento. Questo succede quando le tossine del corpo e gli scarti del metabolismo si accumulano e l’equilibrio dei fluidi si disgrega progressivamente.

Gestione yogica dell’epatite – trattamento iniziale

Lo yoga svolge un ruolo limitato nella fase iniziale di guarigione dall’epatite. La prescrizione fondamentale è il riposo totale ed evitare ogni attività, cibo o sostanza che possa ostacolare il processo di rigenerazione del fegato. Il processo di guarigione dovrebbe essere sorvegliato da una persona propriamente qualificata.
Le sole pratiche yoga raccomandate durante il periodo di guarigione sono yoga nidra con la consapevolezza sul respiro addominale, che procura rilassamento e miglioramento, e japa. Asana e pranayama sono controindicati per almeno sei settimane.
Durante il periodo iniziale di guarigione, dovrebbe essere osservato il digiuno per alcuni giorni. Si possono prendere agrumi, in frutto o in succo, e papaie mature per alleviare la nausea che sorge quando il fluido altamente alcalino proveniente dal fegato e dal pancreas si riversa nel duodeno. Dovrebbero essere assunti regolarmente cibi astringenti come i ravanelli.
Per almeno sei settimane dovrebbero essere evitati carne, uova, spezie, olio, burro e ghi, dopodiché dovrebbero essere presi solo in modo occasionale. La carne e i cibi altamente proteici triplicano il lavoro del fegato. L’alcol dovrebbe essere scrupolosamente evitato per un periodo da almeno sei mesi fino ad un anno e, se possibile, anche la maggior parte delle medicine.
Durante le prime due settimane di cura si raccomandano zuppe di verdura, verdure lessate o cotte al vapore e frutta. Poi possono lentamente essere aggiunti nella dieta gli amidi e i cereali.

Dopo il periodo di guarigione

Si dovrebbe riprendere l’attività fisica secondo le proprie possibilità. Si consiglia un leggero esercizio fisico con una tenue esposizione al sole per provocare sudore in modo da facilitare l’eliminazione dei residui tossici accumulati durante la guarigione dall’epatite.
Per due o più settimane si possono eseguire giornalmente pawan¬muktasana parte 1 seguito dalla consapevolezza del respiro addomi¬nale in shavasana e anche da un leggero nadi shodhana pranayama.

Programma yogico dopo la completa guarigione

1. Surya namaskara: dovrebbe essere praticato al sorgere del sole, da 3 a 7 cicli.
2. Asana: paschimottanasana, viparita karani mudra e shashankasana sono particolarmente raccomandate per la guarigione completa dei tessuti del fegato. Quando ci si è ristabiliti si possono fare anche altri esercizi che hanno una diretta influenza sull’addome come ardha padma padottanasana, yoga mudra, halasana, merudandasana e le sue varianti.
3. Pranayama: bhastrika, surya bheda, nadi shodhana.
4. Mudra e bandha: viparita karani mudra, pashini mudra e yoga mudra. Il fegato può essere stabilmente rafforzato con la pratica quotidiana di uddiyana bandha (o agnisara kriya) secondo le capacità, cominciando con tre cicli.
5. Shatkriya: laghu shankhaprakshalana dovrebbe essere fatto appena possibile dopo la guarigione. Kunjal kriya e vastra dhauti possono essere eseguiti due volte la settimana. Assicurano una forte capacità digestiva, un’alta resistenza alle malattie e conservano il fuoco digestivo.
6. Yoga nidra: una volta che si è provveduto ad osservare tutte le precauzioni, può darsi che una persona guarita da un attacco di epatite sia più forte e più purificata di prima, e che il fegato rigenerato sia maggiormente capace di purificare efficacemente il flusso sanguigno. Questo è un esempio di malattia evolutiva e dopo la guarigione bisognerebbe impegnarsi per conservare una buona digestione e un sangue purificato seguendo una dieta assennata unitamente ad uno stile di vita yogico.

La Pratica di Trataka (parte prima)

Tratto da: Paramahansa Satyananda “Early Teachings – 31 luglio 1967” ed Yoga Publications Trust.

La pratica di trataka è stata conosciuta attraverso i tempi da persone di tutte le culture. Gli ipnotizzatori, i mesmeristi e i maghi l’hanno tutti praticata. Il termine trataka significa “sguardo fisso concentrato”. Trataka non è semplicemente fissare, ma fissare un oggetto o un punto intensamente.
Trataka è una parte dell’hatha yoga ed è pure una parte del raja yoga. Quando si pratica sino a far cadere le lacrime dagli occhi, questo fa parte dell’hatha yoga, invece quando si pratica in un altro modo che ora vi spiegherò, allora questo fa parte del raja yoga.

Scopo della pratica

Trataka è un’importante kriya a cui bisogna dedicarsi con grande cura e con assoluta purezza. Deve essere praticato in modo sincero e con attenzione. Prima di dedicarvi alla pratica dovete avere chiaro nella mente il vostro scopo. Ci sono molti metodi per praticare trataka e dovete scegliere quello giusto. Se volete praticare trataka per scopi di comunicazione telepatica vi è un metodo. Se volete praticare trataka per influenzare la mente di altre persone, vi è un altro metodo. Se volete praticare trataka per migliorare la vista, il metodo cambia ancora. Dunque si seguono differenti metodi di trataka allo scopo di ottenere differenti risultati.
In India, per esempio, vi è una particolare pratica chiamata “chhaya upasana” (l’arte di fissare l’ombra). Riguarda la capacità di conoscere il momento esatto della morte, e si possono conoscere in anticipo anche altri imminenti pericoli. Trataka è un’importante componente di questa pratica.
In uno degli antichi rituali persiani ho scoperto che una persona poteva venire convocata usando un metodo di trataka. Il linguaggio psichico “parlato” attraverso gli occhi, costringe l’altra persona a venire. Non vi è scelta.
Trataka è una pratica che dovrebbe essere utilizzata solamente da aspiranti consapevoli dell’importanza dello yoga, non da tutti.
Tuttavia molte persone, tanto in India che altrove, si sono a lungo appropriate indebitamente di questa scienza per scopi egoistici e malvagi. Per questa ragione la Chiesa Cristiana, secoli fa, proibì queste pratiche, poiché erano considerate le basi della magia nera, e tutti quelli che le praticavano furono scomunicati.
Ho spiegato questo punto per farvi capire che questa “sacra” scienza non deve essere utilizzata scorrettamente. Dovete praticare trataka solo se avete in mente uno scopo spirituale. Si può praticare la guarigione attraverso trataka, ma questo non è considerato un obiettivo tra i più elevati.
Trataka è un metodo attraverso cui si può entrare in meditazione molto facilmente. Se la mente è turbolenta e non si è capaci di controllare i propri pensieri volontariamente, la pratica di trataka vi metterà in grado di riuscire a meditare.
Prima di cominciare la meditazione dovreste praticare un po’ di trataka e poi sedervi tranquillamente. In questo modo la meditazione diviene spontanea. Questo è il vero scopo di trataka.

Stadi della pratica

La pratica di trataka può essere divisa in quatto stadi:

1. Sguardo fisso verso l’esterno, in cui gli occhi rimangono aperti e focalizzati su oggetti come la fiamma di una candela, un punto nero, su uno sfondo bianco, il sole che sorge, ecc.

2. Sguardo fisso verso l’interno, dove si chiudono gli occhi e si cerca di vedere una stella, un punto di luce, un punto nero, giallo o rosso. Questa è la pratica per stabilizzare la visione interiore. In Sanscrito è chiamata drishti sadhana, dove drishti significa visione interiore e sadhana significa rimanere stabili. Qui l’occhio interiore è reso fermo, ed è per questa ragione che bisogna avere un punto interiore. Senza avere sviluppato un punto interiore, non si può fare. Questo punto psichico interno può essere una stella luminosa, ma si deve vederlo, non solo immaginarlo.

3. Sguardo fisso nel vuoto, è conosciuto come shunya drishti, dove shunya significa vuoto o stato senza forma, non chidakasha. In shunya drishti non vi è un oggetto per la consapevolezza. Questa forma di trataka deve essere fatta con gli occhi aperti. Si fissa il nulla. Occorre molto tempo per raggiungere questo stato, può essere 10 minuti, mezz’ora, un’ora. Con gli occhi aperti non si è in grado di vedere nulla, perché la mente è divenuta introversa. Non è così difficile da raggiungere, avviene del tutto naturalmente. Dopo un po’ di tempo gli occhi si offuscano, sono mezzi aperti e non vediamo nulla.

4. Fissare in modo continuo, consiste nel fissare un qualsiasi punto senza sbattere gli occhi per ore di seguito. Qualcosa di simile era solito fare Ramana Maharshi, stando seduto per dieci, undici, dodici ore, senza sbattere gli occhi.

Trataka su oggetti esterni

Ogni oggetto che sia stabile in natura e non ha tremolio è adatto per la pratica di trataka. Comunque non dovrebbe essere una luce abbagliante o con raggi nocivi. Trataka esterno può essere praticato sulla fiamma di una candela o su un punto nero. Se il punto è posto a una certa distanza può essere più grande, se è più vicino deve essere più piccolo. Varia da pratica a pratica. Si può praticare trataka su un cristallo, sul sole che sorge o su un idolo che ha le dimensioni di una murti o un simbolo come la croce, la luna crescente, il loto del cuore e così via.
Comunque dovete scegliere un oggetto e mantenerlo. Prima di sceglierlo dovete scoprire se quell’oggetto particolare è adatto a voi. Per esempio, in certi casi la pratica di trataka sul sole nascente è molto benefica, ma in altri può essere dannosa. Questo significa che la pratica deve essere eseguita in modo completamente diverso secondo i differenti tipi persone.