“YOGA” 2003 – Vol. 1

“YOGA” 2003 – Vol. 1

L’Era del Bhakti (Parte Terza)

Di Swami Satyananda Saraswati

Dio è un’esperienza, l’esperienza più elevata. Va oltre al nome e alla forma, oltre a tutte le limitazioni, oltre a tutte le cose animate e inanimate, ma ha anche un’altra forma che pervade ogni cosa, è l’anima dentro a tutti gli esseri. È presente in diverse forme, dalla più sottile alla più grossolana, si manifesta in molte forme, pervade molte forme. È anche, completo, dentro di me.
C’è un mantra nella Swetaswatara Upanishad: “Ishwara, che è uno solo, si nasconde in tutte le forme di vita, pervade tutte le forme di vita, è l’anima interiore in tutti gli esseri. Stabilito in ogni jiva, ne controlla il karma. Indipendente dai tre guna di Prakriti, esiste come pura sakshi e pura consapevolezza.” Si rivela in differenti forme in ciascun essere, dal più comune al più straordinario. Dio è presente nell’uomo che ha bisogno del mio aiuto, è presente anche nell’animale che ha bisogno della mia protezione, perciò è importante fare luce in se stessi su tutti i concetti collegati a Bhakti, così che la società possa rifondarsi. Così potrete godere la vita.
Le persone che oggi stanno facendo ricerche sulla scienza della vita, della materia, sull’elettronica, ecc., sono destinate a costruire, in futuro, ricerche su Bhakti. Nel prossimo secolo la ricerca scientifica sarà utilizzata per Bhakti, perché il più grosso problema che l’umanità dovrà affrontare in futuro sarà come gestire l’essere umano. Attualmente non riuscite nemmeno a gestire vostro figlio, come potrete allora gestire le masse? Ma, se volete avere a che fare con l’umanità, dovete scoprire un modo per farlo. Nella storia del genere umano, ogni qualvolta è esplosa l’anarchia, quando l’ingiustizia politica e l’adharma sono aumentate, allora è rinata Bhakti. Nella Bhagavad Gita, Krishna dice: “O Arjuna, ogniqualvolta Dharma soffre e Adharma cresce, allora creo la mia forma e mi manifesto.”
Cercate di ricordare quando Kabir, Surdas, Mira, Tulsidas e Nanak sono comparsi sulla terra. L’era di Bhakti è di nuovo vicina, perché è diventato necessario. Nella prima metà del prossimo secolo, non solo questi bambini, ma tutti i bambini s’interesseranno ai kirtan. Oggi non sono preparati ad ascoltarvi, qualsiasi cosa diciate. Domani potrete chiedere a loro di non interessarsi a queste cose. Ma non vi ascolteranno. Perché quando il tempo cambia, arrivano il freddo, il caldo, la pioggia. Non ci potete far niente. Il vento sta per cambiare, lo sapevo da molto tempo. Pensavo che la gente volesse imparare yoga e che io dovessi insegnarlo, ma cantare il nome di Dio è necessario tanto per i giovani quanto per gli anziani.
Non è necessario che Bhakti si manifesti, è già perfettamente stabilita in voi. La gente chiede come praticarla, come aumentarla. Ma non è così. Bhakti è presente in ciascuno di noi nella sua forma completa. Ma è orientata alle questioni mondane anziché a Dio. È diretta all’attaccamento e all’amore materiale, all’inimicizia, alla gelosia, al desiderio. È chiamata bhavana. È la stessa bhavana che un bambino sente per sua madre, o un marito per sua moglie o che c’è fra due amici. Bhavana è un tipo di energia, di flusso. È un’onda dentro di noi. È proprio a questa stessa bhavana che deve essere cambiata la direzione.
Conosciamo la storia di Tulsidas. In una notte tempestosa di pioggia, per raggiungere sua moglie, attraversava un fiume in piena con l’aiuto di un cadavere che galleggiava. Ma quando la raggiunse, le parole di sua moglie cambiarono tutta la sua vita. Bhakti era già presente in lui ma, udendo le forti parole di sua moglie, le onde dell’emozione che in lui erano deviate verso una donna, fluirono verso Dio. Sua moglie gli diede uno scossone e la sua direzione cambiò. Per imparare Bhakti non dovete andare a scuola o leggere i libri, dovete solo cambiare la vostra direzione. Le emozioni indirizzate verso l’inimicizia, la distruzione, la morte, la rabbia e la lussuria, potete indirizzarle verso Dio. Questa è Bhakti, e non ha niente a che vedere con la venerazione.
Potete fare le puja, questo ha la sua importanza. Ma non è Bhakti. Bhakti è il nome di un’emozione, non ha niente a che vedere con i rituali. La gente partecipa ai rituali, ma non è detto che lo faccia con Bhakti. I preti fanno cerimonie nei templi, ma è sicuro che abbiano Bhakti? La madre prepara da mangiare per il figlio e il marito, ma non ripete il loro nome continuamente.
Tuttavia, in qualche parte della sua mente, il pensiero del figlio e del marito è sempre presente. Si chiama consapevolezza spontanea.
Non è un atto religioso come si fa nei templi o nelle moschee, sebbene anche quello sia necessario. Non lo sto criticando. È necessario anche quello, ma è un atto religioso. È un’azione fisica che può essere necessaria per diverse ragioni, ma è fuori dai confini di Bhakti.
Una madre ha un intenso sentimento per il proprio figlio, un amante per la sua amata, un nemico ha odio intenso per un altro. Voi odiate il vostro nemico così tanto che vi ricordate di lui giorno e notte, mangiando e dormendo, ne siete ossessionati. Questa intensità del sentimento è presente in Bhakti – quando l’intensità di Bhakti si sviluppa nel Bhakta, assume forma di Para Bhakti, o amore trascendentale. Para Bhakti e Gyana sono la stessa cosa. Che tipo di intensità avete nelle vostre emozioni? Questo non è l’insipido amore del vostro cuore, è un amore intenso. In altre parole, a parte questo intenso amore, nella vostra vita non esiste altro.

Essere Discepolo

Di Swami Niranjanananda Saraswati – Ganga Darshan, 24 Gennaio 2000

È facile diventare un guru, ma è difficile diventare un discepolo. Si ottiene con facilità il Gurudom, lo stato di guru, ma vivere come un discepolo è quasi impossibile perché bisogna lottare continuamente con la mente, con le ambizioni della mente e con l’ego. Per essere veri discepoli si deve essere totalmente aperti, vuoti, liberi, e questo difficilmente è possibile.
Se non si è in grado di manifestare queste caratteristiche, allora il discepolo deve almeno essere pronto ad imparare e non dire “Lo so, Lo so”, deve essere disposto ad ascoltare e non dire: “So cosa stai per dire, non devi dirmelo.” Essere sempre pronto ad imparare con la stessa intensità, come se fosse la prima volta, anche se è la stessa cosa ripetuta venti volte, questa è una qualità di un discepolo, e forse anche la più importante e la più valida.
È così che ho cercato di forgiare la mia vita in ogni campo, filosofico, spirituale, amministrativo, sociale. È una mentalità differente; è la volontà di imparare, non di sapere. Una volta appreso qualcosa, pensate di sapere tutto. È come dire che una volta che avete visto una persona, le avete viste tutte. La gente comune pensa in questo modo, ma i discepoli pensano diversamente. Anche se un milione di volte incontrate la stessa situazione, la stessa persona, la stessa conoscenza, lo stesso evento, non consentite al vostro ego di dire “Io so”, perché nel momento in cui dite “Io so”, c’è un blocco psicologico, una barriera nel processo di apprendimento. Questa barriera psicologica è l’inizio della caduta della coscienza umana. L’ego limita, inibisce e sopprime la creatività, mentre l’attitudine di “Voglio imparare” la migliora. È una questione di scelta fra i due.

Chakra e Aspetti della Personalità

Di Rishi Vivekananda – Olanda, Aprile 2002

Swami Niranjan in “Yoga Darshan” inizia un capitolo citando uno scienziato che asserisce: “Tutti i modelli sono errati, ma certi sono utili”. Il modello che io vi darò sui chakra è errato, ma spero che sia utile. È errato per il semplice fatto che costituisce una parte piccolissima di quello che i chakra sono nella loro complessità.
Gli esperti affermano che se volete far dormire il vostro pubblico, dovete iniziare con una definizione. Dato che ho pensato che tutti voi abbiate bisogno di un buon sonno, ecco una definizione. È una definizione della personalità e si può definire funzionale. L’ho tratta dalla definizione di Hilgard, da un testo di psicologia americano. Voglio spendere qualche parola su questo, perché così possiamo vedere molto chiaramente le cose che ci rendono differenti gli uni dagli altri e quelle che ci rendono simili: i modelli distintivi e caratteristici di percezione, memoria, pensiero, atteggiamenti, emozioni e comportamenti. Questi aspetti coprono le aree di reazione dell’uomo al proprio ambiente. Come nel computer, entrano dei dati, vengono elaborati e subentrano dei comportamenti. L’analogia con il computer non è lontana da questa condizione, ma il problema è che voi ed io percepiamo il mondo in maniera diversa: io sulla base delle mie esperienze passate e voi in base alle vostre esperienze passate. In realtà interpretiamo il mondo in cui viviamo in modi differenti gli uni dagli altri. Noi tutti pensiamo che la gente veda il mondo nel modo in cui lo vediamo noi; ma non è così. Il meccanismo di percezione del cervello umano è strutturato in modo da vedere nel nostro mondo le cose significative per noi.
Ad esempio, se arriva alla carica un leone da quella porta, questa è la cosa più significativa che succede, al momento, nel nostro mondo. Può essere che Shankardev stia guardando la sua chitarra. Prima che arrivi il leone, Shankardev è la star dello spettacolo. Appena appare, è il leone che diventa la star dello spettacolo. Noi percepiamo il mondo in modi differenti. Abbiamo differenti gruppi e associazioni di memorie. Queste differenti memorie ci daranno diversi modelli di pensiero. Pensiamo alla nostra percezione. Io posso pensare a una persona con una barba bianca. Se ho avuto delle belle esperienze con Babbo Natale, allora questa persona con la barba bianca mi trasmetterà modelli di pensiero positivi. Posso anche non sapere il perché. Se invece, quando ero bambino, è spuntato un uomo con la barba bianca che mi ha picchiato con un bastone, allora quest’uomo con la barba bianca potrebbe produrre modelli differenti di pensiero e potrebbe anche provocare in me differenti emozioni. Tutti noi siamo completamente differenti gli uni dagli altri. Non solo per i modelli di pensiero. Quando osserviamo modelli di pensiero radicati che producono in noi la stessa reazione, questa viene chiamata atteggiamento. Noi abbiamo atteggiamenti diversi, reagiamo nei confronti del mondo con emozioni diverse. Alcune persone reagiscono abitualmente con reazioni negative. Perché? Le emozioni inducono a particolari comportamenti, o motivano la diversità di comportamento. Abbiamo una corteccia frontale che è specializzata nell’inibire certi comportamenti. Per esempio, prendiamo il nostro amico con la barba bianca; posso pensare che c’è un uomo con la barba bianca, posso farmi avanti e picchiarlo, prendermi la mia vendetta. La corteccia frontale dice: “Fermati perché sei un essere umano, non un animale, non lasciarti andare a fare queste cose.” Così un comportamento può o non può aver luogo. Noi abbiamo modelli comportamentali distintivi e caratteristici di tutte queste qualità, e ognuno di noi è diverso. Questo modello che ho o che avete definisce lo stile personale d’interazione con il mondo. Questa è una definizione molto precisa e funzionale. Indica realmente perché abbiamo un comportamento differente, perché abbiamo un comportamento simile, perché abbiamo certi atteggiamenti radicati – ad esempio l’uomo con la barba bianca.
Se teniamo a mente questo, la domanda che sorge è perché abbiamo in noi tutte queste differenti qualità.
Il modello che mi accingo a usare è il modello dei chakra. I chakra sono centri distinti nella struttura del corpo individuale, del sistema energetico, del sistema mentale, e influenzano la nostra consapevolezza psichica e spirituale. Ci occuperemo dei sei chakra principali. La cosa importante nell’uso di questo modello dei chakra è che è presente nel Satyananda Yoga. Quando parlo di yoga mi riferisco al Satyananda Yoga, perché è un sistema pienamente integrato. Una delle principali finalità di questo sistema è quella di lavorare con i chakra. Possiamo avere un’idea chiara di cosa siano i chakra e di come le funzioni associate ai chakra abbiano realmente effetto su tutte le diverse qualità che abbiamo e sui differenti comportamenti e modalità con cui interagiamo con il mondo. Le pratiche che impariamo e che insegniamo lavorano sul sistema dei chakra secondo un sistema integrato completo per gestire la personalità e modificarne le qualità.
Nel sistema dei chakra, rispetto all’evoluzione, muladhara è il chakra più basso. Nessun problema su questo. I tre chakra inferiori sono i chakra dell’istinto, i successivi sono i chakra delle emozioni, e agya è il chakra dell’intelletto. Solitamente, lo sviluppo avviene dal basso verso l’alto, a meno di non essere abbastanza fortunati da iniziare a vivere con i chakra inferiori già aperti. In questo contesto mi riferisco ai chakra come un modello per le diverse caratteristiche della personalità ad essi associate. Ci sono molti altri aspetti da sviluppare riguardo ai chakra. Questo ci introduce ad un concetto differente di chakra.
Così abbiamo sei chakra e tre qualità più un’altra; queste qualità sono chiamate guna. Parlo solo rispetto alle qualità della personalità. Ancora una volta ci sono molti altri aspetti che riguardano i guna complessivamente. Qui parliamo delle qualità della personalità.
In tamas la visione della vita di una persona è limitata ad un livello primitivo di sopravvivenza. Il pensiero non è logico, le emozioni tendono ad essere negative e basate sulla sopravvivenza. Dopo tutto l’ansietà, la tensione, la paura, l’odio, tutte queste qualità riguardano il nostro meccanismo di sopravvivenza; come animali ne avevamo bisogno, ora, come esseri umani, possiamo farne a meno. Se rimaniamo vicini al livello animale, saremo ancora afflitti dai meccanismi di sopravvivenza. Uno dei problemi connessi a tamas è di essere bloccati, non potete muovervi. Questo è il grosso problema con le persone nel più basso livello qualitativo dei chakra; è molto difficile smuoverli. Le persone possono rimanere bloccate negli stati mentali negativi di odio, vendetta, ecc., incarnazione dopo incarnazione. Tendono a ricadere in quelle situazioni di vendetta che vediamo in così tante parti del mondo in questo momento. Queste persone vi rimangono invischiate. Il semplice fatto di praticare yoga tende a elevare e può spingere queste persone dove possono iniziare a prendere decisioni logiche in rajas.
Rajas riguarda l’azione, l’ambizione personale, l’ego, lo sforzo, la guida.
Le persone che hanno avuto l’illuminazione, che hanno realizzato l’unione con l’universo, dicono: “Guardate, noi siamo già a questo punto, ma eravamo presi da quest’altra cosa.” Potete chiamarla maya o in qualsiasi altra maniera. Pensate a quando siete seduti in soggiorno a guardare la televisione, siete perfettamente sicuri, avete un buon pasto e vi sentite rilassati. Accendete il televisore e trasmettono un programma di sangue e violenza, dove qualcuno uccide qualcun altro. All’improvviso vi trovate seduti sull’orlo della sedia e siete totalmente immersi nella trama trasmessa. Pochissimi siedono comodi in soggiorno e dicono: “Oh, queste persone sono solo attori e fanno finta di uccidersi a vicenda.” Penso che quando le persone raggiungono l’illuminazione, siedono a guardare la televisione e pensano in questo modo. Ritengo che ci siano pochi punti importanti da ricordare. I chakra sono un modo per osservare la personalità. Usare i chakra come modello è una buona cosa, perché le pratiche di yoga riguardano i chakra. Punto secondo: i chakra sono reali, esistono, non sono solo un modello. Il fatto che io li abbia usati come modello non vuol dire che lo siano. Un modello è un modo conveniente di esaminare qualche cosa che è difficile descrivere. Potete vedere il modello di una molecola, la doppia elica della molecola del DNA. Potete vederlo dappertutto e dire che rappresenta una molecola. Non potete vedere la molecola, ma il modello vi dice come appare. I chakra sono reali di per se stessi, sono reali in senso fisico, sono reali in senso energetico, sono reali in senso psicologico, in senso emozionale, in senso psichico. Sono chiamati centri psichici. Ognuno di noi è specializzato in uno o due chakra. Questo è interessante. La situazione ideale è avere più funzioni in modo armonico. Quando fate kriya yoga, ad esempio, lavorate su tutti i chakra. Quando fate pawanmuktasana 1, fate esattamente la stessa cosa. Quando fate surya namaskara o yoga nidra, dovreste osservare in che modo le pratiche cercano di integrare e bilanciare l’azione di tutti i chakra. Tuttavia, generalmente, siamo specializzati in uno o due chakra. Alcune persone sono molto specializzate solo in uno.
Il chakra più attivo di ciascuno di noi aiuta a determinare il proprio stile personale. Ricordate la definizione: le qualità, il modo di percepire il mondo, lo stile personale dipendono dal sistema dei chakra che sono più attivi in noi,. Se una persona è realmente specializzata in muladhara chakra, vedrà il mondo in modo molto materialistico; se è più attivo swadhisthana, ovunque vada andrà a cercare opportunità sessuali. Il nostro stile personale è determinato dal chakra più attivo. Il sistema dei chakra non è così semplice, ma questo è un valido modello per osservare la nostra personalità. La divisione tra i livelli di cui ora parleremo è graduale. In realtà tutti noi siamo già nel livello più alto dei chakra, ma siamo trattenuti da quel programma televisivo di cui ho parlato. Per centinaia di anni gli adepti spirituali ci hanno detto, dal loro livello d’illuminazione, che ognuno di noi è già al livello supremo di coscienza. Questo è molto positivo, specialmente per coloro che sono trattenuti nei chakra inferiori. Siamo trattenuti in un livello inferiore di consapevolezza. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è uscire dai drammi inferiori ed esplicare il nostro reale potenziale. A questo livello godiamo di un punto di vista della vita elevato, di pensieri positivi, sentimenti elevati e azioni sicure. In altre parole, le decisioni prese sono quelle giuste.
In basso potete vedere il livello tamasico, alla sommità potete vedere il livello dell’illuminazione. La maggior parte di noi, senza essere realmente nei guai, è a un livello medio. Muladhara ha a che fare con molti aspetti, quello sessuale, quello del mantenimento, ecc. Questa è una parte importante della personalità. C’è anche l’aspetto sessuale, l’aspetto che riguarda la preservazione della specie. Non riguarda il piacere sessuale, che è attinente a swadhistana. Qui abbiamo una sovrapposizione. Comunque tutti noi abbiamo muladhara, ma non tutti siamo specializzati a questo livello. Come potete vedere, la qualità della vita non è eccellente ai livelli inferiori. Le persone che sono ai livelli inferiori, in realtà, vogliono salire.
Ci sono dei modi per realizzare questo. Alcuni sono metodi idonei e producono risultati permanenti, tra questi lo yoga è uno dei modi principali. Altri metodi, come l’uso di pratiche che danno assuefazione, sono scorretti.
Potete osservare che al livello tamasico abbiamo persone in stato di grande paura. Mi vengono in mente pazienti con serie agorafobie, incapaci di uscire da casa. C’era una signora che era stata picchiata da due donne ubriache che le erano entrate in casa. Lei era riuscita a scappare, ma da quel momento manifestò una grave agorafobia. Sprangava tutte le porte. Il problema era tale che era solita stare in casa a guardare le notizie trasmesse dalla televisione riguardanti violenze, omicidi, ecc. Questo non faceva altro che rinforzare il problema. Era rimasta coinvolta in questo terribile circolo vizioso che è tipico del funzionamento tamasico.
C’è anche uno stato tamasico/rajasico di muladhara in cui non è presente la paura terribile che condiziona la persona, che è in grado di andare in giro, ma c’è sempre presente un’ansietà ribollente. Queste persone prendono frequentemente droghe o psicofarmaci.
La persona rajasica/tamasica ha ancora questo tipo di paura, ma è molto più attiva nell’uscire e nel cercare di attenuarla. Come attenuiamo questa insicurezza? Raccogliendo tre cose: denaro, possessi e perfino persone. Queste persone usciranno e raccoglieranno tutto quello che possono. Spesso, a questo livello, se possono prendono quello che vogliono onestamente, se non possono lo prendono in altri modi. Quando inizierà ad avvenire un cambiamento potremo superare questo aspetto tamasico e salire ad un altro livello.
Voglio ricordare che ognuno di noi è a un differente livello dei diversi chakra. Vi do un esempio. Recentemente, in Australia, ci sono stati numerosi fallimenti di grosse società che sono andate in rovina. È successo questo: i vertici esecutivi di queste compagnie hanno perpetuato delle truffe, hanno attirato i capitali verso le loro compagnie personali e poi hanno lasciato che quella principale fallisse. Questo è sintomatico di persone che possono essere abbastanza elevate a certi livelli, ma a livello di muladhara sono imbrigliate nella fase rajasico/tamasica. Rispetto alla loro evoluzione, riguardo a muladhara, come moralità sono proprio in basso.
Ognuno di noi è a diversi livelli, secondo i vari chakra. Una volta che entra l’azione della purezza, la persona inizia realmente a diventare generosa. Il senso di possesso se ne va. La persona distribuirà le sue cose. Nel livello sattvico/rajasico i beni ottenuti e mantenuti vengono usati per lavorare bene.
Il livello sattvico è interessante perché esprime un senso viscerale di sicurezza. La persona si sente sicura. Confida sul fatto che le cose procederanno per il meglio. A questo stadio del gioco, allo stadio sattvico, iniziamo a riconoscere dei piccoli segni della grazia divina. Iniziamo a riconoscere in quali situazioni dobbiamo operare bene. A livello sattvico ciò è valido per tutte le qualità dei chakra.
Al livello dell’illuminazione, come si potrebbe essere insicuri dal momento che si è uno con l’Assoluto?

Yoga Sutra di Patanjali

Tratto da: Swami Satyananda Saraswati, “Four Chapters on Freedom – Commentary on Yoga Sutras of Patanjali”, ed. Yoga Publications Trust, Munger, Bihar, India.

I Capitolo: Samadhi Pada

Sutra 25: Attributo di Ishwara

Tatra niratishayam sarvagya bijam

Tatra: lì (in Dio); niratishayam: illimitato; sarvagya: onniscienza; bijam: principio, seme

In Ishwara risiede il seme dell’onniscienza illimitata.

Sutra 26: Ishwara è il jagatguru

Purveshamapi guruh kalenanavachhedat

Purvesham: di coloro che vengono prima; api: persino; guruh: più grande, maestro; kalena: nel tempo; anavachhedat: perché illimitato nel tempo

Non essendo limitato nel tempo egli è il guru dei primi guru.

Sutra 27: In verità Pranava è Ishwara

Tasya vachakah pranavah

Tasya: di lui; vachakah: che designa, che indica; pranavah: Aum

Aum è la parola che indica Dio.

Sutra 28: Sadhana per Ishwara

Tajjapastadarthabhavanam

Tat: questa; japa: ripetizione; tat: questa; artha: significato; bhavanam: soffermandosi mentalmente

Questa (la parola Aum) deve essere recitata ripetutamente soffermandosi mentalmente sul suo significato.

In questi quattro sutra viene chiarita la natura di Ishwara e di Ishwarapranidhana. Ishwara è la coscienza più elevata che si manifesta nell’uomo in cui risiede il seme di tutta la conoscenza. Il culmine della coscienza della divinità in noi è il samadhi. Ora, abbiamo già visto che purusha è la manifestazione della coscienza nel corso dell’evoluzione, e che questo processo ha infiniti stadi, poiché ci sono infiniti purusha nell’universo. Nel Vedanta, quando affrontiamo le differenti esperienze della vita, la coscienza mentale del mondo esterno è descritta come vaishvanar purusha; la coscienza nello stato di sogno è chiamata tejomaya purusha e nello stato di sonno è chiamata pragya purusha. Dio è il purusha supremo che presiede gli altri infiniti purusha.
In realtà purusha non significa spirito come lo pensiamo di solito, ma indica una particolare manifestazione di coscienza. Il purusha supremo è Ishwara. Non si colloca nel regno del manifesto, ma nel regno dello stato immanifesto delle cose (avyakta). Questo è chiamato Parabrahman, l’essere trascendentale. In esso è il seme della conoscenza infinita. È chiamato sarvagya perché non c’è niente nell’uni¬verso che sia al di fuori della sua sfera.
Il più alto stato dell’evoluzione comprende una conoscenza che non conosce limiti. È conoscenza di ogni cosa, ma questa conoscenza non si raggiunge dall’esterno. Ishwara rappresenta questa conoscenza, e un aspirante che ha raggiunto lo stato più alto di coscienza è a contatto con tutta la conoscenza, sebbene non sia necessario che tutta questa conoscenza venga espressa attraverso la conoscenza sensoriale. Nella vita quotidiana le persone esprimono solo una traccia di questa conoscenza.
Ishwara è il guru perfino degli antichi, poiché non è condizionato dal tempo. È il maestro dei maestri. Anche i grandi veggenti e saggi, profeti e insegnanti, sono più recenti, nel tempo, di Ishwara. Lo stato di coscienza che si ritiene sia il più elevato e che è stabile dentro di noi, e che non muore con la morte del corpo, è senza tempo.
La differenza tra l’uomo e Ishwara è che l’uomo è lo stato manifesto della coscienza, mentre Ishwara è lo stato supremo di coscienza. Lo stato manifesto continua realizzandosi in differenti nascite, in differenti reincarnazioni, e si avvale come mezzo di differenti corpi: umano, animale, ecc. Alla fine, quando raggiunge il punto massimo dell’evoluzione, si avvale del corpo più nobile e più elevato. Perciò Ishwara, essendo libero dalla nascita e dalla morte, essendo senza tempo e senza principio, è considerato il guru anche dei più antichi profeti e maestri.
Ishwara è il punto finale della coscienza suprema. Non è possibile raggiungerlo solo con il pensiero. Non possiamo raggiungerlo nemmeno con le parole, i discorsi, l’intelletto, l’insegnamento impartito da grandi uomini o le scritture. Pensare e fare esperienza sono due cose diverse. L’intera struttura della filosofia indiana è suddivisa in tattwa chintana e tattwa darshan. Tattwa chintana vuol dire contemplazione e riflessione sulla coscienza suprema, mentre tattwa darshan indica la percezione della coscienza suprema. Tattwa chintana ha dato origine ai sei sistemi della filosofia indiana. Si tratta di un approccio razionale alla comprensione della coscienza suprema, ma rimane incompleto. Invece tattwa darshan si sviluppa attraverso lo yoga, il bhakti, le pratiche mistiche e occulte, ecc. Chintana è conoscenza, mentre darshan è esperienza. Patanjali delinea uno schema per procedere dallo stato di conoscenza allo stato di percezione o esperienza. Afferma che Aum è la parola che indica Ishwara; Ishwara è descritto con Aum. Abbiamo visto che la coscienza suprema, o Ishwara, è senza forma, ma deve esserci un veicolo attraverso cui si manifesti. Questo mezzo è definito con yantra, mantra e tantra. Questi tre termini sono le espressioni della coscienza senza forma, così come in matematica sono state sviluppate varie formule per indicare diverse operazioni; ad esempio la formula E = m2. Questa equazione è stata elaborata da Einstein.

È l’espressione della materia in funzione dell’energia che non possiamo vedere, ma che si esprime nel procedimento. Questo è il significato di vachaka. Similmente alle formule usate dalla scienza, noi abbiamo mantra, tantra e yantra usati nel tantra shastra.
Così come lo scienziato attribuisce un’espressione al principio dell’energia che egli osserva o sperimenta con l’intuizione, allo stesso modo Patanjali ha formulato un’espressione della coscienza suprema di Ishwara che può essere nella forma di mantra, yantra o tantra. Il mantra ne indica l’espressione sotto forma di suono; la coscienza suprema è indicata da una formula sonora. Nel tantra abbiamo il simbolismo sotto forma di raffigurazioni umane o animali, ad esempio immagini con aspetto umano o animale. Yantra è un simbolo psichico. Aum è sia un mantra sia uno yantra. Non è tantra perché tantra deve avere un simbolo umano. I popoli dei vari paesi hanno sempre elaborato dei simboli per esprimere le forze più sottili come il pensiero, la collera, la passione, la visione o la conoscenza suprema. Aum è un mantra e ogni mantra ha due aspetti – un suono e una forma. Aum ha una forma visibile agli occhi e, allo stesso tempo, ha un suono. Così Aum, in quanto mantra, è soggetto alla percezione visiva e all’udito. Anche uno yantra ha diagrammi e suoni, invece il tantra non ha suono, può solo essere visto, non udito. Nello yantra è anche stato aggiunto un bija mantra, in modo da racchiudere una combinazione di suono e forma. Non possiamo percepire Ishwara con gli occhi o con le orecchie, ma possiamo farne esperienza con l’aiuto di un mantra. Aum è il mantra che indica Ishwara.
Patanjali ci raccomanda di ripetere il mantra Aum e di meditare sul suo significato. Questo, probabilmente, è in completo contrasto con la posizione del Sankhya, in quanto questo sistema non crede in un essere supremo. Crede che la conoscenza più elevata possa essere raggiunta solo attraverso un’adeguata comprensione dei venticinque tattwa di base. Patanjali deve aver compreso che ciò era possibile solo per poche persone molto evolute, così ha sviluppato il sadhana del mantra – il japa di Aum. Quello che viene introdotto è un approccio completamente nuovo, cioè l’approccio del bhakti. Invece di chiedere di meditare direttamente su di una cosa senza forma, Patanjali fornisce un supporto sotto la forma di Aum.
Con la ripetizione costante della parola Aum e con dhyana sul suo significato, la meditazione si completa. Japa da solo non è sufficiente. Japa e meditazione devono procedere assieme. Patanjali si raccomanda che lo studente, mentre pratica japa con Aum, divenga consapevole del japa e indirizzi la mente verso la comprensione del suo significato. Per questo dobbiamo comprendere il significato di Aum. Questo è chiaramente espresso nella Mandukya Upanishad, ed è riferito alla coscienza suprema dell’essere cosmico. La parola Aum è composta di tre lettere: A, U e M. La lettera A deve essere compresa in relazione al mondo dei sensi, al corpo, al godimento oggettivo e a vishva purusha. La lettera U dovrebbe essere compresa in relazione alla mente subconscia, al godimento soggettivo, o allo stato tejas di purusha. La lettera M dovrebbe essere compresa in rapporto all’inconscio, all’assenza della mente, all’assenza di godimento, lo stato pragya purusha. Questo è solo un rapido cenno alla Mandukya Upanishad e spiega che i suoni A, U e M devono essere compresi in relazione agli stati della coscienza. Così lo studente trascende i tre stati della coscienza manifesta e alla fine raggiunge il quarto stato, chiamato turiya, lo stato immanifesto, non udito e inespresso di purusha.

La Tradizione Solare

Tratto da: Swami Satyananda Saraswati, Surya Namaskara, ed. Satyananda Ashram Italia

Surya namaskara è una pratica le cui origini risalgono alle prime epoche della storia, quando l’uomo iniziò a divenire consapevole del potere spirituale entro se stesso riflesso nell’universo materiale. Questa consapevolezza è la base dello yoga. Surya namaskara significa “saluto al sole”, può essere vista come una forma di adorazione del sole e di tutto ciò che rappresenta a livello micro e macrocosmico. In termini yogici ciò indica che la pratica di surya namaskara risveglia gli aspetti solari della natura umana e libera questa energia vitale per lo sviluppo di una consapevolezza superiore. Questo può essere realizzato con la pratica di surya namaskara ogni mattina, oltre che essere un buon modo di rendere omaggio alla fonte della creazione della vita, conservando così la tradizione solare.

L’adorazione del sole nella tradizione vedica

L’adorazione del sole è stata la prima e la più naturale forma di espressione interiore dell’uomo. La maggior parte delle tradizioni antiche include qualche forma di adorazione del sole, incorporando vari simboli e divinità solari, ma solo la cultura vedica ha preservato in modo ideale queste tradizioni. Infatti, l’adorazione del sole è, oggi, praticata come rito quotidiano in molte parti dell’India.
Nell’India antica il grande avatar Rama divenne il re della razza solare nel Ramayana. Le radici dell’attuale cultura indù si trovano nelle antiche scritture vediche, che contengono numerosi sloka (versi) riferiti al sole. Nel Rig Veda vi sono molti di questi riferimenti, alcuni dei quali sono qui riportati:
“Colui che rimuove tutte le debolezze,
Cura tutte le malattie,
Signore di tutto ciò che è fermo e che si muove.
Egli uccide i demoni
E protegge gli adoratori.”

Infine si afferma:

“Meditiamo sulla gloria adorabile
del sole radiante.
Possa egli ispirare la nostra intelligenza”.

La Suryopanishad afferma che le persone che adorano il sole come Brahman, divengono potenti, attive, intelligenti e acquisiscono una lunga vita. Il sole viene personificato come: brillante come l’oro, con quattro braccia, seduto su un loto rosso su un carro tirato da quattro cavalli. Egli mette in moto la ruota del tempo e da lui emergono i cinque elementi fisici: terra, acqua, fuoco aria ed etere, oltre ai cinque sensi. L’Akshyopanishad identifica Surya come Purusha che assume la forma del sole con mille raggi e risplende per il bene dell’umanità. Vi è un verso nella Brihadaranyaka Upanishad che dice:

“O Signore ed essere della luce
Dall’irreale conducimi al reale
Dall’oscurità alla luce
Dalla morte all’immortalità”.

Antiche meraviglie architettoniche

Oggi esistono ancora diverse sette di adoratori del sole. Alcuni adorano il sole mentre sorge, altri al tramonto ed altri a mezzogiorno. Anche se sembra che queste persone adorino il sole fisico, il vero oggetto di adorazione è Brahman, l’Assoluto, e le sue manifestazioni di creatore, preservatore e distruttore di cui il sole è solo un simbolo.
Vi sono molti templi solari esistenti oggi in India, alcuni dei quali risalgono all’VIII secolo d.C. e sono delle meraviglie architettoniche. Il più famoso di questi fu costruito a Konark, nell’Orissa, durante il XIII secolo d.C. Gli altri principali templi solari si trovano in Dashmir, Gujarat e nell’Andhra Predesh.
Gli adoratori del sole dell’India antica svilupparono anche un’a¬nalisi scientifica del sistema solare. Il Suryasiddhanta è un antico testo di astronomia che si occupa della misurazione del tempo, dei movimenti planetari, di eclissi ed equinozi.

La storia antica di altre tradizioni è piena di riferimenti all’adorazione del sole. Le piramidi, le sculture ed iscrizioni che rimangono ancora oggi, indicano che queste culture antiche avevano una conoscenza precisa dei movimenti del sole, della luna e dei pianeti, che costituiva parte vitale delle questioni sociali e religiose.
Si pensa che molte di queste strutture siano state templi, osservatori o entrambi, poiché nei tempi antichi non veniva fatta una differenza tra la scienza e la religione, come ora. Quindi possiamo capire come le osservazioni scientifiche del sole possano essere una parte di un rito di adorazione ed una cerimonia.
Gli egiziani, che seguivano una forma complicata di adorazione del sole, usarono la loro conoscenza per costruire le piramidi e per imbalsamare e preservare il corpo dei loro faraoni, in modo che questi sacri capi di stato potessero condividere la vita eterna del sole. Le piramidi stesse erano un simbolo del sole ed erano allineate per ricevere il massimo delle radiazioni solari.
Le civiltà degli Aztechi, degli Incas e dei Maya avevano templi molto elaborati dedicati alle divinità solari. Il calendario maya viene considerato il più accurato che sia mai stato prodotto, e dimostra una conoscenza dettagliata del sole già migliaia di anni fa.
Le leggende di Atlantide, che vanno oltre la storia, dicono che l’adorazione del sole veniva praticata a quei tempi e che quelle persone condensavano l’energia del sole con l’uso di enormi cristalli per i loro sistemi di trasporto e per le loro città.
Stonehenge, in Britannia, sembra essere stato usato come osservatorio solare per predire l’arrivo delle stagioni, dei solstizi e degli equinozi e si pensa che sia stato un tempio, è troppo sofisticato per essere attribuito alle tribù primitive associate a quei tempi. Gli Indiani del Nord America vivevano la vita al ritmo del ciclo del sole e delle stagioni. Adoravano il sole, e la base di molte delle loro credenze, riti, metodi di costruzione e così via, era un cerchio o mandala che simboleggiava il passaggio del sole attraverso il cielo. Yang e yin, nell’antica filosofia cinese, rappresentano la relazione duale esistente in natura simboleggiata dal sole e dalla luna, o pingala e ida nella filosofia yogica.

Osservazioni moderne

Con il trasformarsi delle vecchie culture e religioni, l’adorazione del sole ha perso il suo significato. La scienza è divenuta indipendente e spesso sostituisce la religione come fondamento delle nostre credenze. Comunque, la scienza ora ci sta rivelando informazioni nuove e vitali sulle attività del sole che ci danno una nuova comprensione sul rapporto tra l’uomo ed il centro del suo sistema planetario.
La superficie del sole emette periodicamente delle gigantesche vampate, che appaiono come “macchie” sulla sua superficie, che si estendono per migliaia di chilometri nello spazio e verso di noi sulla terra. Queste macchie solari hanno diversi cicli nel loro aumentare e diminuire di attività; di questi il ciclo principale è approssimativamente di undici anni. Le osservazioni hanno mostrato che periodi di maggiore attività di macchie solari corrispondono a particolari fenomeni terrestri. Vi è evidenza di guerre, rivoluzioni e migrazioni che spesso corrispondono con periodi di intensa attività delle macchie solari.
La Fondazione Americana per lo Studio dei Cicli ha scoperto milletrecento fenomeni relativi ai cicli delle macchie solari. Questi includono una maggiore frequenza di aurore, comete, terremoti, eruzioni vulcaniche, pioggia di meteoriti, mutamenti della maturazione dei germi, potenziale elettrico degli alberi, moda, elezioni, fluttuazioni del mercato azionario, aumento della incidenza della pressione alta e del diabete e molti altri eventi. Ciò non ci sorprende quando visualizziamo l’immenso potere del sole e delle sue radiazioni, o pensiamo che la terra è costantemente irradiata dal vento solare. Il sole è una parte integrante della vita sulla terra.
Surya namaskara assume una nuova dimensione quando diveniamo consapevoli degli effetti del sole sulla nostra vita; possiamo allora capire quanto è stato importante per i nostri antenati. Nello stesso tempo, risvegliando le nostre forze solari interne, attraverso questa pratica integrata, possiamo sintonizzarci con la natura cosmica e rivitalizzare la nostra vita.

Sivananda Math: un’Occasione Anche per Noi

Di Giuliana Moda

“Hai un diritto limitato alla tua ricchezza, su quello che hai, su quello che guadagni.
Anche se sei un mendicante e guadagni venti centesimi, due non sono tuoi.
Questa è un’indicazione spirituale”
Paramahansa Satyananda Saraswati

Sivananda Math, fondata nel 1984 da Paramahansa Satyananda in memoria del suo Maestro, Swami Sivananda Saraswati, è formalmente una società di volontariato sociale del Bihar. Sorta inizialmente a Munger, ha oggi la sua sede a Rikhia, il vero cuore spirituale di tutte le attività promosse da Paramahansa Satyananda, lo stesso luogo dove annualmente viene celebrata la Yajna. Fra le attività di Sivananda Math e la celebrazione della Yajna esiste, infatti, un legame molto profondo, che investe l’intero significato del progetto, poiché pace e prosperità rappresentano il sankalpa di Paramahansa Satyananda e il proposito che anima e rafforza la volontà delle migliaia di persone che annualmente partecipano alla cerimonia.
La diffusione dello yoga in tutto il mondo ha rappresentato una delle conquiste di cui Paramahansa Satyananda è fiero e costituisce un contributo fattivo alla pace che tutti desideriamo. Ma ogni movimento interiore ha bisogno di essere in qualche modo trasferito all’esterno. In una delle zone fra le più povere del mondo, il Bihar, colpita dal devastante esodo di massa che ha portato milioni di persone a trovare nuova e peggiore miseria nelle strade di Calcutta, ogni sguardo all’esterno del nostro personale limitato orizzonte, ogni rapporto con gli altri, richiama la necessità di dare concretezza alla visione cui aspiriamo.
In quella zona Sivananda Math ha cambiato il destino di migliaia di persone, come vita materiale e come possibilità di educazione. Nei villaggi circostanti a Rikhia anche le ragazze studiano, e non deve sembrare cosa da poco in una società dove la mancanza totale di risorse e il costume tendono a precludere qualsiasi autonomia alle giovani donne. La fonte di acqua sorgiva di Rikhia, Sivananda Sarovar, con il nuovo pozzo ed il sistema di condutture sviluppato nel corso degli anni, alimenta il territorio circostante per i bisogni domestici e per l’agricoltura. L’ospedale mobile e il dispensario medico hanno portato l’assistenza sanitaria, prima sconosciuta, e ottenuto la scomparsa della tubercolosi, la peggiore e più radicata piaga, capace di abbreviare tragicamente la vita e di colpire anche i bambini.
Le iniziative cambiano ogni anno, perché si sviluppano secondo le esigenze. Sono stati abbandonati i progetti già completati cui si era data inizialmente la priorità, come la costruzione di case o l’asse¬gnazione e la cura del bestiame necessario all’aratura e a procurare il latte per i bambini. Si continua invece la fornitura di indumenti, che rimangono un bene che pochi possono autonomamente procurarsi e si dà la preferenza alla raccolta di indumenti pesanti: la pur breve stagione invernale, in mancanza di riscaldamento e con poco cibo a disposizione, può diventare molto pericolosa, soprattutto per anziani e bambini.
Per favorire l’avvio di piccole attività autonome, ogni anno vengono distribuiti mezzi di trasporto, soprattutto biciclette, comprese quelle adattate per l’uso da parte di invalidi, e strumenti di lavoro, come le macchine per cucire per le donne o gli arnesi per contadini e muratori. Sivananda Math è inoltre sempre presente per fronteggiare le calamità, come nel recente terremoto del Gujarat, dove si è presa in carico seicento bambini rimasti orfani.
La prossima Yajna sarà dedicata alla distribuzione di cereali, per le semine e per le provviste. Nonostante i miglioramenti, la malnutrizione rimane ancora un problema grave che affligge gli adulti e che impedisce ai bambini di sviluppare una complessione fisica che li renda pienamente adatti ad affrontare la vita.
Attualmente tutti bambini della zona vengono visitati per valutare il loro stato di nutrizione e Sivananda Math stabilisce turni mensili durante i quali fornisce a scuola un pranzo ed una cena completi a quelli che ne hanno bisogno. Sivananda Math non è un’operazione di carità e cerca in ogni modo di sviluppare l’autonomia delle famiglie dei villaggi, sempre attenta a evitare che si crei una dipendenza dagli interventi di assistenza. È normale, dopo qualche tempo dall’inizio di un progetto, costatare che le persone e le comunità possono farcela da sole e che l’attività di sostegno può essere tralasciata senza rischio che il risultato vada perso.
Sivananda Math è anche una grande opportunità per noi occidentali, per il dovere che tutti condividiamo di sostenere la società affinché non rischi di crollare: il mondo non può essere sicuro se due terzi della popolazione vivono con difficoltà, non può avere futuro se milioni di bambini non lo hanno. Sivananda Math è un’occasione importante per capire che gli sforzi sono sempre incompleti se mancano devozione e amore. È questa differenza a far sì che un’organizzazione semplice, mezzi elementari e poche persone possano ottenere risultati che nessuno esiterebbe a definire miracolosi.
Paramahansa Satyananda dice che abbiamo bisogno di imparare ad amare, di capire a fondo il significato di quella componente emozionale in cui pensiamo agli altri e non a noi stessi, senza aspettarci nulla, ma riceviamo in cambio stabilità, fiducia e pace della mente. “Se avete un paio di scarpe – dice – dovete lucidarne due, ma se ne avete venti, dovete lucidarne quaranta: è uno spreco, non ha scopo.
Bisogna imparare a dare, ad abbandonare il nostro attaccamento ad accumulare. Allora impareremo ad essere liberi. Il punto importante è che si diventa liberi, ed è questa libertà che cerchiamo nella vita.

Le Applicazioni dello Yoga nel Trattamento delle Malattie Comuni: Mal di Schiena

Tratto da: Swami Karmananda Saraswati, “Le Applicazioni dello Yoga nel Trattamento delle Malattie Comuni”, Edizioni Satyananda Ashram Italia.

Il giorno d’oggi il mal di schiena è uno dei disturbi più comuni. Ogni anno nei soli Stati Uniti si valuta che due milioni di persone si uniscano alle schiere della moltitudine di sofferenti di mal di schiena cronico, mentre nel Regno Unito tale sindrome è seconda soltanto ai disturbi respiratori (raffreddori, influenze, bronchiti, ecc.), come causa principale di perdita di ore lavorative nel commercio e nell’industria. Si valuta che tra il 50 e il 60 % della popolazione soffrirà di mal di schiena acuto o di più lunga durata almeno una volta in qualche fase della vita. Nonostante la vastità del problema, per la moderna scienza medica si è dimostrato difficile trovare una cura semplice ed efficace per il mal di schiena. Per questo la maggioranza dei dottori manca di fiducia nel trattare con efficacia i pazienti col mal di schiena e spesso la terapia diventa un problema che si protrae nel tempo, lungo e frustrante sia per il medico sia per il paziente.
Di conseguenza, l’atteggiamento di chi soffre di mal di schiena cronico è normalmente d’accettazione fatalistica e rassegnata per questa dolorosa condizione “fino a che morte non ci separi”.
Tuttavia, la nostra esperienza è che questa non è necessariamente l’unica soluzione, poiché lo yoga offre una cura semplice, efficace e permanente di questa difficile condizione.
Molti sofferenti di mal di schiena cronico, che si sono rassegnati ad una vita di dolore dopo una diagnosi di degenerazione spinale incurabile o osteoartrite precoce, possono essere liberati dal loro problema, e da successive ricadute, alcuni giorni o settimane dopo aver adottato un semplice programma quotidiano di yoga. Inoltre, la piccola percentuale di pazienti (forse il 5%) che ad un controllo radiografico soffrono effettivamente di un prolasso di un disco intervertebrale, si dimostrano egualmente sensibili al trattamento yogico.
Cosa causa il mal di schiena?

Questo problema è ampiamente dibattuto nei circoli terapeutici. Tuttavia, studi recenti hanno mostrato che la maggioranza dei mal di schiena sono causati semplicemente da insufficienza muscolare ed inadeguata flessibilità di muscoli e tendini.
Questo chiaramente contraddice la credenza popolare prevalente che un’alta percentuale di mal di schiena sia causata da ernia del disco, artrite e disturbi articolari degenerativi o condizioni organiche come il cancro alle ossa, il morbo di Paget e il rachitismo.

Ricerche scientifiche

In uno studio condotto congiuntamente da ricercatori della New York University e dalla Columbia University, USA, furono seguiti un campione casuale di 5.000 pazienti che si presentarono ai reparti traumatologici degli ospedali lamentando mal di schiena. Fu evidenziato che nell’81% dei casi il mal di schiena non aveva alcun rapporto con l’ernia del disco, tumori o patologie organiche di alcun tipo. Per oltre 4.000 pazienti esaminati, il mal di schiena, sebbene straziante, aveva inizio semplicemente da tensione e rigidità muscolare.
Uno studio simile, ancora su 5.000 pazienti, condotto dal dott. W.D. Friedman dell’ I.C.D. Rehabilitation and Research Centre, USA, ottenne risultati quasi identici, concludendo che in 4 pazienti su 5 il mal di schiena acuto si presenta semplicemente perché la richiesta funzionale ai muscoli della schiena supera la loro capacità.
L’incapacità di riconoscere questo fatto è probabilmente il motivo principale per cui il mal di schiena è così scarsamente curato.

Il meccanismo del comune mal di schiena

Comunemente il mal di schiena si localizza nell’area lombare, nel collo o nella regione tra le scapole. Il dolore insorge quando i muscoli che circondano e sostengono la colonna vertebrale sono mantenuti a lungo rigidi e contratti. Questa situazione di solito si presenta dopo aver trascorso molte ore seduti scomodamente in auto o in ufficio. Quando questo continua, giorno dopo giorno, i muscoli gradualmente entrano in uno stato di spasmo doloroso che diviene semipermanente poiché i fibroblasti s’infiltrano nella regione dolente, depositando tessuti fibrosi. Queste aree fibrose si possono rapidamente sentire come fasce profondamente indurite e noduli all’interno dei deboli muscoli posteriori.
Il mal di schiena cronico tende a peggiorare al termine della giornata ed è alleviato da massaggio, calore, rilassamento e riposo a letto. Risponde rapidamente e permanentemente ad un programma di yogasana e rilassamento tesi ad aumentare la capacità funzionale dei muscoli indeboliti.

Mal di schiena acuto

Il mal di schiena acuto è di solito una variazione su questo tema. È un mal di schiena che insorge improvvisamente ed in modo assai doloroso, che rende la vittima completamente immobile e inerme. Questo dolore può colpire in qualsiasi momento, specialmente chi conduce una vita sedentaria, caratterizzata da mancanza d’esercizio, ed è in sovrappeso, fattori che contribuiscono ad una inadeguatezza funzionale dei muscoli posteriori.
Di solito il dolore acuto alla schiena si presenta dopo un sobbalzo insignificante o un movimento banale, come un colpo di tosse o uno starnuto. Un dolore straziante accompagna ogni successivo movimento della schiena, a tal punto che il movimento diviene praticamente impossibile. Questo non è assolutamente un evento raro, poiché le statistiche suggeriscono che il 50-60% della popolazione soffre di un simile incidente almeno una volta nella vita.
Quando si è in questa difficile situazione, la prima cosa da fare è andare a letto appena possibile. I muscoli che circondano la zona dolorante vanno velocemente in spasmo per creare una barriera immobilizzante che prevenga ogni ulteriore movimento della zona. Andando immediatamente a letto le richieste del corpo vengono ridotte ed i muscoli possono, senza pericolo, rilassarsi un po’.
Nella fase acuta, il forte dolore può essere efficacemente alleviato da un’aspirina. Il letto dovrebbe avere una solida base di sostegno di legno sotto il materasso.
Anche applicazioni di calore, tramite impacchi o una bottiglia di acqua calda sulla zona interessata danno sollievo. La rigidità può essere evitata muovendo gradualmente la posizione nel letto di tanto in tanto. In alternativa si può aver sollievo applicando un impacco freddo (l’ideale sono cubetti di ghiaccio avvolti in un panno) ed alcuni pazienti ottengono sollievo alternando, ad intervalli di pochi minuti, impacchi caldi e freddi. Anche un massaggio gentile diverse volte al giorno facilita la guarigione.
Nel novanta per cento dei casi il dolore acuto guarirà completamente con una settimana di riposo a letto, con un gran sollievo già dopo uno o due giorni. Il problema diventa quindi di prevenire le ricadute e in questo lo yoga si dimostra di grand’efficacia.

Programma yogico per eliminare il mal di schiena semplice

Queste asana dovrebbero essere praticate per 15/20 minuti regolarmente ogni mattina, seguite da 10/15 minuti in shavasana. Questo programma è particolarmente mirato ad aumentare l’efficienza funzionale dei vari gruppi muscolari responsabili del mal di schiena e deve essere appreso con una guida esperta. Ristabilirà lo stato della vostra schiena e la salute generale dopo un mese.
1. Per la muscolatura posteriore inferiore: ardha shalabhasana, shalabhasana, ushtrasana, makarasana, bhujangasana.
2. Per i muscoli delle spalle e della parte superiore della schiena: dwikonasana, sarpasana, bhujangasana, marjariasana, kandharasana.
3. Rilassamento in shavasana o advasana: si possono visualizzare i muscoli posteriori tesi e congestionati che si rilassano, lasciando andare la tensione, mentre l’area viene irrorata dal sangue ossigenato. L’energia pranica viene visualizzata mentre fluisce nei muscoli della schiena insieme al respiro.

Raccomandazioni dietetiche

La cura del mal di schiena viene facilitata quando si segue una leggera dieta vegetariana e si elimina il peso in eccesso. L’eliminazione della costipazione cronica porta spesso ad una riduzione spontanea del mal di schiena. Sotto quest’aspetto la dieta ottimale consiste in cereali integrali, chapati o pane integrale, legumi, verdure (a vapore, bollite o in insalata), frutta, noci e succhi. Evitate zucchero, latte e latticini, carne e spezie in eccesso.

La Meditazione

Tratto da: Paramahansa Satyananda, “Meditations from the Tantras”, ed. Yoga Publications Trust, Munger, Bihar, India.

Cos’è la Meditazione?

La meditazione è qualcosa di cui molte persone hanno sentito parlare, pochi ne hanno una reale comprensione e solo pochissimi ne hanno fatto esperienza. Come tutte le esperienze soggettive, la meditazione non può essere descritta a parole. Chi legge dovrà cercare di scoprire da sé cosa è realmente. Un’esperienza è qualcosa di vero, mentre una descrizione è, in realtà, una non esperienza, specialmente quando si tratta della meditazione. Faremo comunque del nostro meglio per portare un po’ di luce sull’argomento.
Definiamo innanzi tutto il modo in cui la moderna psicologia ha classificato i diversi elementi della mente. La mente subconscia o inconscia può essere approssimativamente divisa in tre gruppi.
La mente inferiore: la sua opera riguarda l’attivazione ed il coordinamento delle differenti attività del corpo come la respirazione, la circolazione, gli organi addominali e così via. È anche l’area della mente dove hanno origine gli stimoli istintivi ed è da quest’area della mente che si manifestano complessi, fobie, paure e ossessioni.
La mente intermedia: questa è la parte della mente che elabora le informazioni che utilizziamo nello stato di veglia. È questa la parte della mente che analizza, confronta, e raggiunge delle conclusioni in relazione alle informazioni che riceve. Il risultato di questo lavoro si riversa nella nostra attenzione conscia secondo le necessità. È questa parte delle mente che ci fornisce le risposte. Per esempio, molti di noi hanno dovuto affrontare problemi la cui soluzione non è stata trovata subito, ma è emersa successivamente. È la parte subconscia della mente intermedia che ha risolto il problema senza l’aiuto della nostra consapevolezza. Questo è il regno del pensiero razionale o intellettuale.
La mente superiore: questa è l’area dell’attività superconscia. È la fonte dell’intuizione, dell’ispirazione, dell’estasi e delle esperienze trascendentali; è da quest’area che i geni ricevono lampi di creatività, è la fonte della conoscenza più profonda.
Nello stato di veglia siamo consapevoli di certi fenomeni, ma siamo consapevoli solamente di una piccola parte delle attività della mente, di solito nella dimensione della mente intermedia; è questa consapevolezza che ci permette di leggere queste parole e di comprenderne il significato.
Un’altra parte della mente è l’inconscio collettivo, su cui C. Jung lavorò molto per portarlo a livello di credibilità scientifica. È in questa parte della mente che è registrata e memorizzata tutta la nostra evoluzione e le attività dei nostri avi, i nostri archetipi. È la parte della mente che ci unisce, ci collega con tutti gli altri esseri umani, perché è la formula, la combinazione del nostro comune passato.
Oltre a queste diverse parti della mente vi è il sé, il cuore della nostra esistenza. È il sé che illumina ogni cosa che facciamo, anche se non ne siamo consapevoli. Molti di noi pensano che il centro del nostro essere sia l’ego, mentre l’ego non è altro che un’altra parte della mente. È il sé che illumina anche l’ego.

Cosa accade quindi quando meditiamo?

Quando meditiamo siamo in grado di portare la consapevolezza nelle diverse parti della mente. Come abbiamo già detto, normalmente la nostra coscienza è confinata all’attività superficiale, in piccole aree della parte intermedia o razionale del nostro inconscio. Durante la meditazione siamo in grado di allontanarci dall’intellettualizzazione. La normale esperienza della gran parte delle persone che comincia a meditare è quella di vedere grottesche apparizioni oppure di diventare consapevoli di antichi complessi di cui non erano a conoscenza; comprendono che hanno timori e paure di cui non erano mai stati coscienti. La ragione è che ora la consapevolezza agisce e domina la mente inferiore. La consapevolezza mette ora in evidenza complessi, paure, ecc. di cui non si era precedentemente consapevoli. Prima si era solo consapevoli della manifestazione di queste paure nella forma di rabbia, odio, depressione, ecc. Una volta che questi complessi radicati e profondi emergono, si possono rimuovere ottenendo così pace e serenità. Molte persone, inoltre, durante la meditazione prendono coscienza di tutti i processi interni del corpo. Ciò succede perché è sempre la coscienza che prende consapevolezza delle azioni che controllano le funzioni corporee.
Non si può arrivare a elevati stadi di meditazione senza prima rimuovere quella paura compulsiva presente nella mente inferiore. Non è possibile raggiungere stati meditativi più profondi poiché questi complessi sono così compulsivi da attirare l’attenzione della coscienza. Sebbene la nostra consapevolezza possa essere presente in altri spazi della mente, essa viene attratta dalle attività della mente inferiore come il ferro da una calamita. Sembra che provi un piacere perverso nell’indugiare sulle fobie e paure. Nei più elevati stadi di meditazione la coscienza si dirige verso la mente superiore, o la regione del superconscio. La coscienza si eleva oltre il pensiero razionale permettendoci, così, di vedere le cose che sembrano negate alla realtà. Colui che medita entra nella dimensione dell’ispirazione e della illuminazione, cominciando così ad esplorare le più profonde verità e aspetti dell’esistenza. Si entra in nuove sfere e luoghi di esistenza che prima era impossibile raggiungere perché considerati semplicemente una fantasia della mente.
Il culmine della meditazione è l’autorealizzazione. Questo avviene quando si trascende anche la mente superiore. La consapevolezza abbandona l’esplorazione della mente e si identifica con il cuore dell’esistenza, il sé. A questo punto diventa pura coscienza.
Quando una persona raggiunge l’autorealizzazione significa che è entrata in contatto con il suo essere centrale, identificando così la sua esistenza, la sua vita, dal punto di vista del sé e non più da quello dell’ego. Quando si agisce attraverso il centro dell’essere, il corpo e la mente operano quasi come due entità separate. Il corpo e la mente diventano semplicemente manifestazioni del sé, la sua vera identità. Così, possiamo considerare che lo scopo della meditazione è l’esplorazione delle differenti regioni della mente per poi, successivamente, trascenderla completamente.

Meditazione passiva e attiva

La meditazione attiva ha luogo durante le normali occupazioni quotidiane, mentre si cammina, si parla, si mangia, ecc. Questo, infatti, è lo scopo dello yoga, permettere la meditazione mentre si è coinvolti nelle attività quotidiane. Ciò non significa che le differenti attività non vengano svolte o siano eseguite senza entusiasmo. In realtà saranno invece realizzate con più efficienza ed energia. La meditazione attiva può essere sviluppata eseguendo le pratiche di meditazione passiva presentate in questo libro, sviluppando una propria identità del sé e perfezionando le tecniche del karma e del bhakti yoga.
Nella meditazione passiva si mira a realizzare la pratica meditativa rimanendo seduti in una posizione appropriata. Il suo scopo è di rendere unidirezionale la mente irrequieta e vagante, in modo che possa sorgere automaticamente l’esperienza meditativa. La meditazione passiva può essere grossolanamente suddivisa in alcuni stadi.

Stadio 1: consiste nel fissare la mente su un oggetto, un suono, un’immagine, sul respiro e così via. Questo calma la mente e la rende introversa.

Stadio 2: la realizzazione dello stadio 1 conduce automaticamente al libero flusso di pensieri, complessi, visioni, ricordi, provenienti dalle dimensioni inconsce della mente. È quindi possibile esplorare la personalità e la mente inferiore rimuovendone i contenuti indesiderabili.

Stadio 3: quando la mente inferiore è stata completamente esplorata si comincia ad esplorare il regno del superconscio. Comincia ora la vera meditazione, inizia così ad affiorare spontaneamente quell’illimitato deposito di conoscenza e di energia che è dentro ognuno di noi. Alla fine l’individuo inizia a entrare in sintonia con il cosmo e con tutto ciò che lo circonda.

Stadio 4: alla fine si trascende anche la mente e il meditante raggiunge l’unità con la coscienza suprema. È così raggiunta la meta dell’autorealizzazione.

Una riuscita meditazione passiva porta automaticamente alla meditazione attiva, poiché tanto più profondamente ci si immerge nella meditazione passiva quanto più facilmente si è in grado di vivere in un perpetuo stato di meditazione anche durante le occupazioni quotidiane. Infatti, più profondamente ci si immerge dentro la mente durante la meditazione, e più potente sarà la sua azione in superficie sotto forma di attività esterna.

Esplorare la mente significa renderla più potente e quindi diventare più forti ed essere in grado di realizzare cose prima ritenute impossibili.
La meditazione passiva diventa poi superflua e questo succede quando si arriva all’autorealizzazione. In questo stadio l’individuo vive in perfetta sintonia con i più profondi valori spirituali interiori, tuttavia è in grado, nello stesso tempo, di esprimersi nel mondo. In questa situazione colui che ha raggiunto l’autorealizzazione è in grado di vivere sia una vita spirituale che materiale senza conflitti. A questo stadio vi è una continua e spontanea esperienza di meditazione attiva.
Generalmente si ha la tendenza a identificarsi con gli oggetti che percepiamo. Se, per esempio, vediamo un tramonto, tutta la nostra consapevolezza è coinvolta nel tramonto, così tanto da dimenticare completamente la nostra identità. Dimentichiamo il fatto che stiamo facendo l’esperienza dello spettacolo. In questo modo come possiamo vivere l’esperienza della gioia del tramonto? L’individuo, il soggetto, colui che fa l’esperienza dimentica la sua natura perché è eclissato dall’oggetto della percezione.
La coscienza si è identificata con l’oggetto fino all’esclusione dell’oggetto. Il lettore deve riflettere su questo anche adesso, mentre sta leggendo queste parole. Siete consapevoli del fatto che state facendo esperienza di queste parole o siete identificati completamente con queste parole?
La situazione ideale la troviamo quando facciamo l’esperienza del tramonto o di un altro qualsiasi oggetto senza perdere nello stesso tempo la consapevolezza di noi stessi. Si dovrebbe sentire l’esperienza oggettiva della percezione. In questo modo eleviamo il sentimento spirituale di questa esperienza; l’anima, o il sé, ora consciamente conosce l’esperienza dell’oggetto. La beatitudine del sé può ora manifestarsi in risposta all’esperienza oggettiva esterna. Prima la natura del sé era eclissata dall’esperienza dell’oggetto, ora il sé può risplendere nella sua piena e immacolata gloria.
Questo deve essere applicato nella nostra esistenza materiale, dovremmo fare esperienza dei fenomeni esterni poiché fanno parte della vita.
Tuttavia dobbiamo integrare la nostra vita di relazione con la vita interiore; in questo modo saremo in grado di godere più pienamente la vita materiale. Attualmente, gran parte di noi vive una vita quasi totalmente estroversa, ignorando l’oceano di beatitudine che esiste nelle profondità del nostro essere. Questa è una delle mete della meditazione: allontanare la consapevolezza dalla confusione esterna per dirigerla all’interno. Lo scopo è dare uno sguardo alla vita interiore per poi collegarla con la vita di relazione esterna.
Questa connessione è presente continuativamente, ma non ne abbiamo coscienza. La meditazione ci dà la consapevolezza di questa connessione, ci conduce alla pace e alla felicità spirituale e ci rende consapevoli dell’importanza vitale dell’esperienza soggettiva, quella essenziale natura interiore che è il nostro retaggio, la nostra eredità.