“YOGA” 2003 – Vol. 3

“YOGA” 2003 – Vol. 3

Satsang

Swami Satyananda Saraswati – Rikhia, 27 Novembre 1994

Perché Deoghar viene chiamato shmashan bhumi?
Questo luogo è il terreno di sepoltura di Sati. La storia racconta che le diverse parti del suo corpo caddero in differenti luoghi, e alla fine il suo cuore cadde in questa zona. Perciò, i quattro riti funebri furono eseguiti qui. Per le altre parti del suo corpo non fu fatto alcun rito, è solo qui che sono stati tenuti gli ultimi riti per Sati. Per questo motivo Deoghar è conosciuta come il luogo di sepoltura di Sati, non di Shiva, il cui luogo di sepoltura è Varanasi.
Questo è un luogo molto sacro ed è anche stato dimora degli antenati di Yogiraj Aurobindo, considerato un grande filosofo e fondatore di una nuova dottrina filosofica, che ha presentato il pensiero indiano al mondo intero in modo molto caratteristico. Dopo essere fuggito dalla prigione di Alipore, raggiunse Chandernagore, una colonia francese. Fuggì nuovamente dalla polizia e venne qui. Ora, per una felice coincidenza, voi siete seduti proprio nel luogo esatto che lui, una volta, visitò.
In seguito, le circostanze lo spinsero ad andare a Pondicherry. Pondicherry non è un tirtha. Se le circostanze fossero state diverse sarebbe potuto rimanere qui, perché lasciare questo sacro luogo e andare a Pondicherry per praticare un sadhana non ha senso. In India ci sono così tante città, come Puna, Madras, Bangalore, ecc., ma i tirtha, come Ganga Sagar, Kashi Vishwanath, Prayag, Haridwar e Deoghar, sono considerati speciali perché il campo energetico di questi luoghi è differente.
Conoscete i campi energetici, vero? L’elettricità ha un campo energetico, una lampadina irradia luce fino ad una certa distanza, analogamente il sole ha un campo energetico, il calore ha un campo energetico ed il freddo ha un campo energetico, allo stesso modo, ogni luogo ha un campo energetico. Così, le circostanze hanno fatto sì che Aurobindo lasciasse questo campo energetico ed andasse a Pondicherry che ha guadagnato importanza grazie a questo grande uomo che vi è vissuto. Invece, nel caso di Deoghar, non ha importanza che un santo viva qui o no, rimarrà per sempre un posto sacro. I resti di Sati sono qui, ed i suoi ultimi riti sono stati eseguiti qui.
Si ritiene che Sati fosse la metà migliore di Shiva, ma commise un errore: aveva dei dubbi riguardo a Rama. Credeva che Shiva fosse il supremo, il massimo, l’atman, perciò, quale era per Lui la necessità di adorare Rama, che era soltanto un principe mortale? Non solo, Rama era fuori di sé quando Sita venne rapita, e vagava nella foresta, lamentandosi per la sua sfortuna. Perciò, Sati chiese al suo Signore come poteva una persona che mostrava tali comportamenti essere un avatara, un’incarnazione divina.

Può quel Brahman che è onnipervadente,
Libero, nonnato, senza desideri, indivisibile,
Che neanche i Veda conoscono,
Prendere forma e diventare un uomo
Per il gusto di compiere le attività degli dei?
Non è sorprendente che persino Vishnu,
Il Signore di Lakshmi e nemico dei demoni,
La dimora originale della vera conoscenza,
Cerchi sua moglie come una persona ignorante?
Anche le parole del Signore Shiva non possono essere false,
Perché tutti sanno che Lui è onnisciente.
Così la mente di Sati era colma di dubbi sconfinati
E non c’era conforto nel suo cuore.

Sati dovette soffrire, perché non aveva riposto piena fiducia in Rama. Fu un piccolo sbaglio, ma anche così, dovette soffrire, ed anche noi tutti dobbiamo soffrire. Quando Sati iniziò ad avere questo dubbio, il Signore Shiva dovette rinunciare a lei.

Quando Shiva seppe che Sati aveva preso la forma di Sita,
L’angoscia crebbe nel suo cuore.
Pensò dentro di sé che
Se avesse continuato a trattare Sati come sua moglie,
Il sentiero della devozione sarebbe stato smarrito,
E avrebbe così commesso una colpa.
Sebbene Sati fosse molto pura
E non dovesse essere abbandonata,
Tuttavia, era una grave colpa amarla ora.
Il Signore Shiva non disse niente apertamente,
Ma provò molta pena nel suo cuore.
Mentalmente, s’inchinò ai piedi del Signore Rama,
E non appena ricordò Rama,
Questa idea gli balenò nella mente,
Che non avrebbe più incontrato Sati
Nella sua forma originale.
Così il Signore Shiva prese una decisione
Di questo tenore nel suo cuore.

Da quel giorno Rama viene adorato nei templi di Shiva e viceversa. C’è stato uno stretto legame tra i seguaci di Shiva e Narayana. Perché? Perché non c’è differenza tra il devoto e il Signore, se sei un sincero devoto non sentirai differenza tra te e il Signore. L’elettricità arriva da una sottostazione, l’energia stessa è invisibile, ma si manifesta in forma visibile come luce. Qual è la forma dell’energia? Luce, suono e calore sono tutte forme diverse di energia. Analogamente, Dio si manifesta in diverse forme, come Shiva, Shakti, Rama e Krishna.
In realtà, Dio non ha nome. Tutti voi gli avete dato un nome. Voi siete stati battezzati da un sacerdote con questo o quel nome: Alka, Lakshmi, Kumar. In modo simile, noi abbiamo dato anche a Dio diversi nomi secondo la nostra bhavana, ma non importa quale forma diate a Dio, quella forma diventa vera. Non pensate che sia soltanto una fantasia della vostra immaginazione. Alcuni vedono Dio adagiato nella forma rilassata di Vishnu, mentre altri vedono Dio come la fiera Kali Devi.

Kali ha sopracciglia arcuate.
È nera come la pece.
Dalla sua bocca spalancata
Sporgono lunghi denti.
Lei brandisce una spada
E un bastone con un teschio in cima.
Ornata con una ghirlanda di teschi,
Vestita della pelle di una tigre,
La bocca spalancata,
La lunga lingua rossa penzolante,
Gli occhi iniettati di sangue,
Lei appare feroce e spaventosa.
Scuotendosi selvaggiamente,
Emettendo suoni furibondi,
Lei guarda verso il cielo.

Tulsidas, che scrisse il Ramayana, vedeva Dio come Rama, che tiene in mano l’arco e la freccia. Lui non immaginava Dio come Krishna, il ladro di burro. Quando entrò nel tempio di Krishna a Dwarika, disse:

Come descrivere, oggi, la tua bellezza, o Signore?
Tu hai una forma peculiare,
Ma, se nelle tue mani non ci sono un arco e una freccia,
Tulsidas non può chinare la testa.

Ciascuno avrà il proprio Dio, secondo la propria inclinazione, ma dovete provare affinità e identità totale con qualsiasi forma vi attragga.
Ora veniamo al punto successivo, quello della fede e della fiducia. La forza più grande dell’uomo non è l’intelletto, sono la fede e la fiducia. Se la fede e la fiducia diventano solide e stabili, allora accendono l’energia divina. Molte persone sono intellettuali, fanno domande dopo domande: “Perché questo? Perché quello?” Seguono la logica matematica, che in questo campo non aiuta. Fede e fiducia non sono soltanto la base della vita del bhakta, ma formano la vera base della vita umana. Come sapete che tale persona è vostro padre? Che prova ne avete? Avete mai messo in discussione il fatto che tale persona sia vostro padre? Dove ci sono fede e fiducia non ci può essere alcuna domanda. Io accetto qualcosa per fede, punto e basta. Non ci possono essere ulteriori domande. Una sola goccia di lime farà cagliare il latte, la quantità di latte è irrilevante, basterà solo una goccia.
Nessuna siddhi può essere ottenuta
Senza fede.
Senza ricordare Hari
Non c’è speranza di dissolvere
La paura di questo mondo.
Senza fede non c’è devozione,
E senza devozione
Rama non concede la sua grazia.
Senza la grazia di Rama
Il jiva non ha riposo, neanche in sogno.

Questo sentiero della fede e della fiducia è il sentiero migliore per un aspirante spirituale. È utile studiare o partecipare ai satsang, ma non importa quanto facciate queste cose, non riceverete nessuna grazia fino a quando fede e fiducia non diventeranno stabili e potenti. Fede e fiducia si risvegliano in posti come questo, non importa quali abiti indossate, che cibo mangiate o come vivete, niente importa finché avete fede e fiducia. Tuttavia, se non avete fede, allora non avvicinatevi al sentiero spirituale. Potete studiare libri e scritture intellettuali in Inglese e Indi, potete capire ogni cosa, ma non sperimenterete niente finché non avrete fede e fiducia.

Consapevolezza della Meta

Di Swami Niranjanananda Saraswati – Ganga Darshan, 4 Dicembre 2000.

Cercate di mantenere una costante e continua consapevolezza della vostra meta spirituale. La consapevolezza deve essere proprio come quella che ha una madre verso tutto quello che il suo bambino fa mentre lei sta cucinando: non osserva continuamente quello che il bambino sta facendo, ma al momento giusto sa assicurarsi che egli sia al riparo da ogni rischio e pericolo. Quanto è racchiuso nell’attenzione di una madre dovrebbe essere racchiuso anche nell’attenzione di uno yogi.
Non c’è bisogno di pensare costantemente “questa è la mia meta spirituale, questa è la mia aspirazione, questo è il mio obiettivo, questo è il mio corpo”, ma una parte della mente deve essere continuamente consapevole di questo fine. Questa influenza deve essere sentita perché insieme ad essa c’è anche un’aspettativa. Se alla sera dovete incontrare il vostro fidanzato o la fidanzata, l’attesa incomincia dal mattino; fate le altre cose che dovete fare, ma sempre con l’aspettativa del momento in cui potrete incontrare il vostro amato. Quell’espressione attenta del sé, che gli yogi cercano di risvegliare, è conosciuta come drashta, il testimone, il veggente, l’osservatore. Secondo lo yoga, affinché quest’attitudine diventi permanente e durevole, si deve avere autocontrollo, si deve essere capaci di gestire la mente. Per prima cosa, chitta vritti nirodha e poi drashta. Questo è un metodo.
Un altro metodo è quello di un bhakta. Un bhakta non è un devoto, un bhakta è colui che ha imparato ad apprezzare se stesso e ciò che è. È l’accettazione di me stesso come sono, io sono ciò che sono, con tutte le qualità, difetti, comportamento eccentrico, comportamento positivo, pensieri buoni e cattivi. È imparare ad apprezzare se stessi, accettando le situazioni e le esperienze come parte della propria crescita naturale. Dove c’è crescita ci sono conflitto e dolore. Questa sofferenza può manifestarsi fisicamente, socialmente, materialmente, finanziariamente, emozionalmente, spiritualmente o psichicamente, ma la consapevolezza di “Io sto attraversando quest’esperienza” e il non essere sopraffatto dall’intensità dell’esperienza, sono i segnali di una persona che medita, sono l’espressione di una persona che segue il cammino dello yoga, il cammino del tantra. Quest’accettazione di sé o l’apprezzamento di sé, con la profonda consapevolezza della propria esistenza, sviluppa anche drashta bhava, l’aspetto del sé che è testimone. Perciò, nel processo yogico, c’è la gestione della mente e poi si risveglia l’aspetto di drashta. In quest’approccio tantrico si è in grado di rinforzare le qualità già insite in voi per sviluppare l’aspetto di drashta.
Naturalmente, la seconda via, anche se può sembrare più semplice, in realtà è molto più difficile e complessa. Quando stiamo seguendo la mente c’è una sequenza, schemi di pensieri, schemi di paura e d’insicurezza, schemi di associazione, di attaccamento e di affezione, schemi di simpatia e antipatia, schemi di pace e di aggressività che si manifestano naturalmente e spontaneamente nella mente. Nel processo yogico possiamo diventare consapevoli di questi schemi e seguirli fino alla fine, ma in una vita dove dovete essere naturali e spontanei, dove, più che assoggettarsi ai capricci della simpatia e dell’antipatia, delle emozioni, dei sentimenti e dei desideri, dovete diventare consapevoli delle vostre qualità intrinseche naturali, questo diventa un processo difficile. Tuttavia, una volta che vi sintonizzate sulla realizzazione delle qualità che possedete ed iniziate a coltivarle ed applicarle per il miglioramento della vostra vita personale e delle vostre interazioni sociali, allora la vibrazione cambierà.
Cercate la strada che è più appropriata e applicabile a voi. Non deve essere negata la via dello yoga, né quella del bhakta. Ma dovete trovare la vostra stabilità in una strada o nell’altra. Quindi, deve essere mantenuta una coscienza attenta e non meditativa, perché la meditazione è come un buco nero, nel quale venite risucchiati e la coscienza attenta è come un buco bianco, dal centro del quale venite lanciati verso l’esterno.
Questo è l’insegnamento che Krishna diede diverse volte ad Arjuna nella Bhagavad Gita: “Esci da te stesso, esci dagli schemi della tua mente, diventa consapevole del tuo dharma e vivi secondo le leggi del dharma”. Dimenticate di essere colui che sta soffrendo. La sofferenza è la legge della natura: soffriamo quando qualcuno vicino a noi ci lascia, soffriamo se dobbiamo lasciare qualcosa, qualche zona, qualche luogo, qualche persona con la quale abbiamo sviluppato un’intima affinità. Soffrire è la legge della vita, perciò non identificatevi con la sofferenza, identificatevi piuttosto con il dharma ed espandetevi e crescete verso l’esterno, ma crescendo, mantenete la coscienza attenta. Non dovete continuamente guardare a qualcosa per tenere a mente o mettere a fuoco quell’idea personale o quell’oggetto. Cercate di vivere una vita il più possibile naturale e spontanea mantenendo la coscienza vigile, allora potrete sperimentare il compimento dello yoga nella vostra vita.

O popolo gentile!
Perché stai brancolando nel buio?
In questo corpo è il giardino fiorito
Dove risiede il Creatore benevolo.
Tutti i sette mari sono qui
E tutte le miriadi di stelle.
In questo corpo sono tutte le gemme
E anche lo sconosciuto Sperimentatore.
Qui sgorga la musica Eterna
E sgorgano le fontane della vita.
Kabir dice – ascolta o popolo gentile!
Questo è il mio Guru che mi guida.
Kabir

Yoga e Dipendenze

Di Dr. Swami Shankardevananda

Se ad un bambino diamo una penna, cosa se ne farà? Probabilmente se la infilerà in bocca o nel naso o in un orecchio, ma nessun bravo genitore lascia una penna a portata di mano di un bambino e se necessario interviene prendendola. Alcuni bambini, se gli portate via la penna troveranno le vostre chiavi oppure il telecomando dell’automobile e se li metteranno in bocca, e se gli portate via anche questi, andranno a cercare qualcosa d’altro da fare, per esempio andranno alla finestra e faranno dei segni sui vetri. Un bambino felice non dipende dagli oggetti per la propria felicità, potete portargli via le cose ma sarà lo stesso contento e andrà a cercare qualcosa d’altro con cui giocare. Ma se cercate di portare via la penna ad un bambino infelice, inizierà a piangere poiché la sua felicità dipende dalla penna. Questo esempio è tratto dalle mie osservazioni sui bambini. Nel mio lavoro con persone che soffrono di dipendenze ho potuto osservare che queste hanno spesso a che fare con una parte infantile di se stesse con cui non riescono a conciliarsi, ponendo di conseguenza la ricerca della felicità al di fuori di sé, in qualche tipo di oggetto. Lo scopo dello yoga, del tantra e di tutte le discipline di auto-sviluppo è quello di ripristinare la felicità in noi stessi, di insegnarci a guardare dentro e trovarla in noi e non in un oggetto. Molte persone rimangono dipendenti da qualche cosa di esterno che può essere un oggetto, il cibo, una persona, oppure il lavoro o lo yoga. Possiamo divenire dipendenti dallo yoga, o dai libri o dal guru, dimenticando di cercare dentro di noi la forza e la felicità.
Oggi parlerò del modo in cui possiamo aiutare le persone a tornare indietro e trovare forza interiore e felicità in loro stesse. Questa è la terapia yoga che io definisco come l’applicazione dello yoga in una situazione di cura, in un contesto terapeutico. Il terapista yoga è una persona che conosce la malattia e la natura della malattia, sa da cosa è causata e come può essere curata e, in più, sa moltissimo sullo yoga, il tantra, il samkhya, l’ayurveda e le altre scienze affini che lo rendono esperto e che costituiscono gli strumenti che può usare per aiutare le persone a crescere ed evolversi. Dopo aver lasciato l’India, nel 1985, sono tornato in Australia e lì ho conseguito il master in Scienze, un titolo di ricercatore nello yoga, e ho anche iniziato ad esercitare come terapista yoga in un contesto medico. Ho fatto esperienza con i miei pazienti in maniera molto dolce, non invasiva, nessuna scarica elettrica, ma solo quelle tecniche yoga che si possono applicare in un contesto occidentale come quello australiano per aiutare la gente a crescere. Ho lavorato in vari centri fra cui uno che aveva moltissime stanze, un’equipe di quindici collaboratori e tre o quattro medici in cui si praticava l’agopuntura. Ho fatto uso dello yoga, della meditazione, dell’ayurveda e di jyotish, l’astrologia indiana che personalmente prediligo; ho fatto uso della terapia psichiatrica e della psicoterapia; ho studiato il sistema di Lowen che è una forma di psicoterapia bioenergetica orientata al corpo che implica un gran numero di manipolazioni manuali sui livelli grossolani e sottili, riscontrando che il lavoro sul corpo e il massaggio erano essenziali, e poi ho usato l’agopuntura e le erbe. Questi sono stati i metodi classici che ho affiancato alla mia pratica, avendo notato che per certe persone lo yoga non basta. Ho anche scoperto che tutti gli yogi sono soggetti ad assuefazione, anche voi tutti siete assuefatti, siete assuefatti ai sentimenti positivi e al senso di armonia interiore, siete assuefatti al vostro prana, alla sensazione di vitalità, di forza interiore, alla produzione interna di sostanze chimiche. In quanto yogi, probabilmente, non assumete grandi quantità di sostanze chimiche dall’esterno, perché producete queste sostanze nel cervello attraverso le pratiche yoga. Siete assuefatti alla consapevolezza superiore e alla conoscenza, questo è un tipo di assuefazione naturale.
Cos’è la dipendenza da un punto di vista medico? Più che assuefazione, il termine migliore è dipendenza: quando si diviene così dipendenti da qualche cosa che non se ne può fare a meno. Questo vuol dire diventare schiavi di una sostanza o di una situazione particolare; vuol dire mancanza di risorse, fiacchezza e debolezza; vuol dire che è necessario praticare yoga per rafforzarsi in modo da divenire padroni della propria mente invece che schiavi di una sostanza.
La dipendenza è un processo che s’instaura in noi fin da piccoli, come il bambino che ha bisogno dei genitori. Questa è una dipendenza salutare, ma crescendo alcuni aspetti della nostra personalità si rafforzano mentre altri non si sviluppano adeguatamente.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dato una definizione di dipendenza che contempla questi elementi:

  1. L’intensità del desiderio: il desiderio è il fattore fondamentale, con un elemento compulsivo;
  2. La scarsa capacità di controllare il proprio comportamento: non si è in grado di controllarlo nel momento in cui sorge il bisogno di una certa sostanza.
  3. Il ripiegarsi in se stessi: se non si assume la sostanza ci si sente molto male;
  4. Il livello di tolleranza: si ha bisogno della sostanza in misura sempre maggiore e ci si preoccupa a tal punto da non avere altri interessi nella vita;
  5. L’uso persistente di qualche cosa nonostante la natura dannosa di ciò che si sta facendo: questo in sanscrito è chiamato tamas.

La dipendenza è tamas. Nella Bhagavat Gita tamas è definito come “quell’azione che s’intraprende per ignoranza senza considerare che ne deriva un danno al proprio sé e un detrimento alle altre capacità individuali.” Questo è tamas: qualche cosa che inizia male e va a finire male, che inizia con dolore e finisce con dolore. Per esempio questo è il tipo di cose che ci si può aspettare nell’alcolismo: danni agli organi interni, cancro alla bocca, alla lingua e all’esofago in combinazione col tabacco. L’alcol causa moltissimi danni, sanguinamento dell’addome, disturbi al fegato e al pancreas, malattie al cervello, tra cui epilessia e psicosi.
In Australia sono associati all’alcol anche il 30% degli incidenti automobilistici, il 50% degli episodi di violenza, il 16% degli abusi su minori, il 12% dei suicidi e il 10% di tutti gli altri incidenti. Coloro che si rendono dipendenti sono, molto presto, presi in trappola in una situazione molto dannosa.
In natura tamas è questo blocco, ci si sente bloccati, non ci si riesce a muovere, non si riesce a liberarsi. Io ho curato dipendenze di molti tipi: blande, in cui il rischio è basso, moderate, in cui c’è un potenziale pericolo, e serie, dannose. Ho affrontato soprattutto dipendenze blande e moderate. Non ho avuto a che fare con dipendenze gravi come l’abuso di droghe pesanti, eroina o cocaina, o forte alcolismo. Il mio nome è dott. Swami Shankardevananda. Perciò quando le persone fissavano un appuntamento, la maggior parte di loro sapeva già che sono un insegnante di yoga. Col passare del tempo, le persone che venivano da me avevano un grado di aspettativa adeguata a quello che facevo. Non lavoravo su crisi acute. La personalità dipendente può assumere diverse modalità: ad esempio la dipendenza dall’alcol, o dal tabacco, o l’abuso di sostanze stupefacenti, oggigiorno specialmente tra i giovani. Le persone, ancora prima dei diciotto anni, iniziano ad aver bisogno di cura per l’assunzione di droghe forti o problemi di alcolismo, uso di droghe pesanti o abuso di farmaci. In Australia il problema più grosso è l’alcolismo e la tossicodipendenza da farmaci. Le droghe pesanti come l’eroina, la cocaina o l’anfetamina sono solo una piccola parte del problema. Il tabacco, l’alcol e i farmaci sono i problemi principali che ho affrontato. Naturalmente voi siete dipendenti in modo normale dall’alcol, dal caffè, dal cioccolato, dal cibo, dallo spendere, dagli acquisti, dal sesso, dalle relazioni, dal gioco d’azzardo, da internet, dalla televisione, dal potere, e così via. Sono cose meno dannose. Ci sono dipendenze che ora vengono chiamate dipendenze da accumulo. Ci sono persone che accumulano solo quotidiani: sono dipendenti dai quotidiani. Non c’è problema se si è dipendenti da qualche cosa che vi dà soddisfazione e aiuta il funzionamento delle secrezioni cerebrali. Ci sono dipendenze più insidiose. alcune persone dipendono da un pensiero o da un’idea, da un comportamento, da un valore sociale normale o dannoso. È quello che diceva ieri sera Swami Niranjan nel filmato. Noi siamo dipendenti dal nostro senso limitato d’identità, ed è qui che interviene lo yoga. Siamo dipendenti e siamo obbligati dalla forza tamasica della nostra natura a stare all’interno di una percezione del “chi siamo” piccola e ristretta, finché non iniziamo a intraprendere un processo di auto-sviluppo, che può essere lo yoga, il taichi o quel che preferite, qualsiasi cosa che vi aiuti a liberarvi da queste dolorose situazioni di ristrettezza. Patanjali dà una definizione yogica della dipendenza. I metodi tantrici classici dello yoga definiscono la dipendenza secondo il concetto di klesha di Patanjali. Siamo portati ad una condizione di limitatezza a causa della mancanza di conoscenza del sé, ci troviamo relegati in questa situazione di limitatezza perché, secondo Patanjali, abbiamo perso la percezione di chi siamo. Le vritti, secondo i primi tre versi degli Yoga Sutra, un importante testo che voi tutti dovreste aver letto, causano la formazione dell’ego, di ahamkara, e all’interno di questo ego si trova l’attaccamento, raga e dwesha, una cosa mi piace o non mi piace, voglio respingerla o trattenerla con me, e la paura della morte. La paura della morte è prioritaria nel processo di dipendenza perché ciò che affrontiamo, specialmente quando affrontiamo le dipendenze più potenti, è il processo di vita e di morte.
Nella definizione tantrica, la dipendenza sopravviene quando l’energia che chiamiamo prakriti, o shakti, o prana, è tamasica, impura, bloccata e debole. Il tantra riguarda il prana, l’energia e la coscienza. Il tantra riguarda Shiva, la coscienza, e Shakti, l’energia, e le loro interazioni. Quando l’energia è tamasica, pesante e bloccata, allora impedisce alla coscienza di agire. L’energia si blocca, la coscienza resta intrappolata e la percezione del sé diminuisce. La dipendenza sopraggiunge quando l’energia è impura, tamasica e sopraffa la coscienza e la percezione del sé. L’energia vi sovrasta. Il concetto di coscienza è un concetto molto difficile da comprendere e provare. La coscienza è molto sottile, è al di là del sottile, è molto difficile da afferrare perché non possiamo usare la mente per afferrarla. La capacità di riflettere su se stessi e fare esperienza diretta della coscienza è difficile e proprio questo è il soggetto dello yoga. Proprio per il fatto che è una cosa molto difficile per molte persone, i metodi del tantra sono più potenti ed efficaci. Come ha detto Rishi Vivekananda a proposito dei chakra, dell’energia e delle forze tamasiche e rajasiche, è proprio questo il punto da cui partire. L’energia è sotto il controllo delle forze inconsce e non ne siamo coscienti. Per coscienza s’intende l’inconscio, il subconscio e il conscio. Quando emergono delle forze inconsce, ci sovrastano, non sappiamo da dove provengono e come affrontarle. Una certa forma di dipendenza è intrinsecamente connessa all’esistenza. La dipendenza si manifesta quando l’energia non è sotto il controllo della sfera del conscio. Noi tutti veniamo al mondo con dell’energia in cui si manifestano tamas, rajas e sattwa, i tre guna. La natura umana è principalmente e originariamente tamasica e secondo il tantra questa è la natura dell’esistenza, che è basata su tamas. Il cammino verso l’autorealizzazione è un cammino fuori dalla forza tamasica, fuori dall’ignoranza e verso la conoscenza che è sattva, l’illuminazione, e poi al di là di sattwa verso il sé, verso la coscienza che è al di fuori della natura. Tamas riguarda la venuta al mondo, lo stato di limitatezza delle problematiche relative alla personalità. Rishi Vivekananda vi ha descritto in quali personalità ritrovate tamas, rajas e sattva. In un contesto più ampio, è la forza tamasica che ci lega all’esistenza, ed è una forza potente. Com’è difficile con la meditazione evadere in un qualche stato d’illuminazione! La salute non è un problema, il rilassamento è facile, un po’ di concentrazione mentale non è un problema, ma l’illuminazione è molto più difficile. Anche la natura è basata su tamas, perciò la dipendenza è programmata in noi dalla natura allo scopo di mantenerci in vita. La natura non vuole che noi evadiamo, vuole farci rimanere all’interno di un circolo familiare, di un circolo sociale, crea stabilità, tamas è stabilità. Ed è una buona cosa, io non sono contrario alla stabilità, alla struttura, ne abbiamo bisogno, ma senza equilibrio rimaniamo intrappolati. Lo scopo del tantra non è quello di distruggere tamas che è necessario, è la struttura, è la base su cui ci appoggiamo, ma di equilibrare tamas con lo sviluppo di altre forze, la forza rajasica, la forza sattwica e la coscienza. Assuefazione e dipendenza sono programmate in natura. Le ricerche sul cervello dimostrano che la dipendenza è controllata da circuiti di compensazione della dopamina nel cervello. Noi siamo programmati dalla natura a cercare compensazione e a sentirci bene. Nei Tantra l’energia è descritta come la Grande Madre. È una bella scienza. Ci lega e ci libera. Non so perché lo faccia. Ci lega e poi ci libera, è causa sia di vincoli sia di liberazione, di crescita e di sviluppo. Questa è la forza che opera in noi. Tra i circuiti del cervello ci sono questi circuiti di compensazione. Per la maggior parte del tempo noi agiamo in una sorta di contesto anonimo: sempre la stessa colazione, lo stesso lavoro, lo stesso carico di lavoro, gli stessi colleghi, lo stesso dentifricio, lo stesso spazzolino. Quando ogni tanto succede qualche cosa di buono ci sembra fantastica e la cerchiamo. Essere intrappolati nell’uniformità della monotonia è doloroso, così cerchiamo una compensazione e questa è programmata in noi. La sostanza che fa ciò è chiamata dopamina. Quando si dà ad un topo una dose in più di zucchero, è contento. Il topo assume tutti i giorni la stessa quantità di zucchero, e quando un giorno ne prende di più – boom! – il livello della dopamina aumenta, ma se per un giorno non assume zucchero, la dopamina scende. Nell’essere umano questo comportamento è connesso a quello che chiamiamo il “guru interiore personale” nella parte frontale del cervello, progettato per fornirci un piano di compensazione, per farci trovare un’ulteriore compensazione. Questo è lo sviluppo della crescita, dello stato di felicità individuale, di beatitudine, della conoscenza superiore ed è prodotto, in un certo senso, dalle sostanze chimiche. Quando una persona è affetta da dipendenza, invece dei normali e sani meccanismi che controllano la dopamina, prendono il sopravvento dei meccanismi morbosi e la sensazione di benessere viene associata a cose sbagliate, per esempio, per essere felice faccio dipendere il mio benessere dal mio partner. Questo non è il procedimento corretto, devo trovare il benessere in me e poi trasmetterlo al partner, questa è la strada giusta. Prakriti, la natura, mette in moto la dipendenza. Quando shakti, l’energia, si risveglia nel corpo ad un livello inconscio in modo continuativo, emerge il desiderio, vedete qualche cosa e questa forza emerge in voi e inizia a guidarvi, dirige le vostre azioni. Shakti vi rende coscienti, si forma il desiderio, vi indirizza nell’azione. La modalità psicofisica presente nei chakra verrà attivata e se siamo in uno stato tamasico, e si attiva questa modalità, tamas s’intensifica. Quando l’energia sale, tamas diventa più forte, il processo si rafforza e senza la coscienza siamo in sua balia.
Indipendentemente dalla modalità che avete sviluppato, ce ne sono due fondamentali: quella con cui nasciamo e quella che creiamo nel corso della vita. Questo si chiama karma. Karma ha varie definizioni, ma la definizione che voglio darvi oggi è questa: qualsiasi cosa ripetiate, questa diventa un vostro karma; qualsiasi azione rifacciate per molto tempo, questa si radica nel vostro sistema psicofisico e diventa per voi la cosa centrale e vi conformate ad essa. Se è una cosa positiva, è un bene, se è una cosa negativa vi conformate in senso negativo. La vita sarebbe molto noiosa se non avessimo il bene e il male, ma il punto è che deve essere presente la coscienza. Dovete essere coscienti, altrimenti siete sottomessi e la sottomissione è la shakti che obbliga le vostre azioni. Questo processo si sviluppa seguendo questo schema: il karma con cui siete nati o che avete sviluppato mette in moto un samskara, un’impressione mentale, un modello più superficiale, e questo crea il desiderio basato sul samskara. Quindi agite sulla base del desiderio e l’azione basata sul desiderio crea ulteriore karma. Il karma crea il desiderio che crea l’azione che crea il karma: è come un circolo. E voi continuate a fare ciò finché non rompete il cerchio. Il solo modo per rompere il cerchio è attraverso la coscienza, acquisendo coscienza e sovrapponendo un nuovo modello a quello vecchio. Bisogna imparare a sovrapporre un nuovo modello a quello vecchio. Se il vecchio modello è molto forte, ci vorrà tutta la vita, è improbabile che scompaia, non importa quanto a lungo rinforziate il modello positivo, piuttosto è importante la pratica quotidiana, lo yoga quotidiano, il sadhana quotidiano. Questo vi permetterà di avere due modelli che funzionano assieme. Alla fine succederà che il vecchio modello s’integrerà con il nuovo. C’è una bella storia che parla di questo, la storia di Shiva Ratri. In India c’è una ricorrenza chiamata la notte di Shiva, la luna nuova di febbraio, quando Shiva ha sposato Parvati, quando la coscienza si è sposata con l’energia.

Yoga Sutra di Patanjali

Tratto da: Swami Satyananda Saraswati, “Four Chapters on Freedom – Commentary on Yoga Sutras of Patanjali”, ed. Yoga Publications Trust, Munger, Bihar, India.

I Capitolo: Samadhi Pada

Sutra 32: Rimozione degli ostacoli attraverso la concentrazione

Tatpratisedhārthamekatattvābhyāsah

Tat: quello; pratisedhārtham: per rimuovere; eka: uno; tattva: principio; abhyāsah: pratica

Per rimuoverli (gli ostacoli e i sintomi che li accompagnano) la pratica della concentrazione su di un principio (è necessaria).

Abbiamo già visto che Patanjali raccomanda i quattro requisiti come shraddha, virya, ecc., a quegli aspiranti che sono dotati di ferrea volontà e coraggio. A chi è debole o infermo, raccomanda l’intensa devozione e japa su Aum. In questo sutra indica la via per superare gli ostacoli e i sintomi che li accompagnano. Il metodo richiede la concentrazione mentale su di un unico tattva. Dobbiamo comprendere cosa significa. Se si pratica il mantra, il mantra dovrebbe essere uno solo. Se si pratica dhyana, ci dovrebbe essere un solo simbolo. Quelli che cambiano in continuazione metodi, tecniche e simboli nella meditazione, prima o poi, incontreranno degli ostacoli. Chi s’impegna seriamente nella realizzazione, nel raggiungere gli stati più profondi della coscienza, dovrebbe comprendere questo sutra chiaramente. Non si dovrebbe cambiare il simbolo della meditazione perché il processo meditativo è la base che ha la coscienza per procedere sempre più in profondità; se la base continua a cambiare si genererà confusione. È dunque per questo che Patanjali, in questo sutra, mette l’accento su di un solo tipo di sadhana. Se lo cambiamo, state sicuri che ne conseguirà sofferenza. Questo avviene nel caso di quelle sette che pongono l’accento su simboli alquanto diversificati. Ad esempio, nel sadhana indù conosciuto come tantra, si usano molti simboli, ignorando il principio di ekatattvabhyasah, e di conseguenza accade che molti praticanti ne soffrono. Lo stesso avviene nel caso di alcuni tipi di sadhana dell’antico buddismo che non sono mai prosperati, in virtù del difetto di usare molti simboli di concentrazione. Questo è chiaro nella mente dei veri guru, che non cambiano mai il mantra che è stato dato ad un discepolo, neanche se è stato dato in precedenza da un altro guru. Se il mantra viene cambiato, nella mente del discepolo può generarsi confusione. Un guru saggio non permetterà mai che sorga questa confusione, non darà un sadhana semplicemente sulla base delle preferenze del discepolo, ma sulla base delle sue capacità.
In realtà non c’è differenza tra i diversi simboli. Si può essere devoti a Ganesha, o a Shiva, o a Kali, e così via, ma se si cambia oggetto di devozione dopo aver adottato uno dei simboli, è destino che insorga confusione. La via migliore per evitare questa confusione è mantenere un solo simbolo, l’ekatattvabhyasah. Gli ostacoli possono essere rimossi dal cammino di un aspirante solo quando questi non permette alla mente di girare alla rinfusa, ma la fissa su di un singolo tattva.

Sutra 33: (II) O coltivando le virtù opposte

Maitrīkarunāmuditopekshānām sukhaduhkha-
punyapunyāvisayānām bhāvanātaschittaprasādanam

Maitri: benevolenza; karunā: compassione; muditā: letizia; upekshānām: indifferenza; sukha: gioia; duhkha: sofferenza; punya: virtù; apunya: vizio; visayānām: degli oggetti; bhāvanātah: atteggiamento; chitta: mente; prasādanam: purificazione, pacificazione

In riferimento alla gioia, alla sofferenza, alla virtù e al vizio, coltivando rispettivamente atteggiamenti di benevolenza, compassione, letizia e indifferenza, la mente diviene pura e pacificata.

È impossibile praticare la concentrazione mentale se la mente non è pura, o pacificata per natura. In questo sutra è spiegata la via migliore per questo: quella di coltivare atteggiamenti di benevolenza, compassione, letizia e indifferenza verso le persone o i fatti che causano gioia, dolore, virtù o vizio. Mantenendo quest’atteggiamento, cioè benevolenza verso la gioia, compassione verso il dolore, letizia verso i virtuosi e indifferenza verso chi è pieno di vizi, la mente di un aspirante si libera da influenze disturbanti e, di conseguenza, diviene pacificata e imperturbabile. Il processo d’introversione segue facilmente. Per natura la mente è piena di agitazione, come uno stagno disturbato dalla caduta di oggetti come massi, pietre, ecc. Una mente instabile non si concentra facilmente.
Nella Kathopanishad e in altri testi si dice che la mente ha una tendenza naturale ad essere attratta verso il mondo esterno poiché non è nella natura della mente guardare all’interno. Perciò, quando ci cerca di volgerla all’interno, bisogna prima rimuovere ostacoli e impurità. Gelosia, odio, fattori di competizione producono molte impurità nella mente. Quando vediamo una persona ricca e felice ne proviamo gelosia, questo causa disturbi nella mente subconscia, impedisce la concentrazione e provoca visioni paurose. Quando incontriamo una persona che soffre, se per caso è un nostro nemico, ne siamo contenti, anche questo è un’impurità della mente. Allo stesso modo spesso critichiamo le persone virtuose e applaudiamo le gesta di persone viziose. Tutto ciò causa disturbi nella mente e interferisce lungo il cammino della pace e della meditazione.
Patanjali indica la via per superare questi disturbi. Il quadruplice atteggiamento che ci dice di sviluppare, fa nascere la pace interiore rimuovendo i fattori di disturbo, non solo dai livelli coscienti, ma anche dalle aree più profonde del subconscio.

Il Saluto al Sole: Shavasana

Tratto da: Swami Satyananda Saraswati, “Surya Namaskara”, ed. Satyananda Ashram Italia.

Shavasana, la posizione yogica di rilassamento, dovrebbe essere praticata con la consapevolezza del respiro al termine della pratica di surya namaskara. Questo dà riposo e allevia ogni tensione che potrebbe essere presente nel corpo. Shavasana, conosciuta come la posizione del cadavere, consiste nel rilassare consciamente il corpo fino al punto in cui diviene molle come un corpo senza vita. Con la pratica di shavasana si raggiunge un riposo completo in pochi minuti e, dopo, si è in grado di alzarsi pienamente riposati con il corpo e la mente in uno stato di rilassata armonia.
Il periodo di rilassamento che segue surya namaskara è una parte importante poiché conferisce al corpo il tempo necessario per riassestarsi e per rimuovere le tossine che sono state immesse nel flusso sanguigno durante la pratica. In surya namaskara è richiesta una certa fatica per eseguire la sequenza di posizioni. Questo è indicato dall’aumento del ritmo cardiaco e dal respiro profondo che corrispondono al risveglio del sistema nervoso simpatico. Il rilassamento in shavasana, dopo surya namaskara, permette al sistema nervoso parasimpatico di operare, invertendo gli effetti del risveglio e riportando il corpo in uno stato d’equilibrio. Attraverso la combinazione di surya namaskara e shavasana, entrambi gli aspetti del sistema nervoso autonomo vengono stimolati e, di conseguenza, il corpo intero è rivitalizzato.
Il periodo di rilassamento dovrebbe durare almeno fino quando il praticante può sentire che il suo battito cardiaco ed il respiro sono tornati normali e che tutte le tensioni sono state liberate dai muscoli.

Tecnica

Al termine della pratica di surya namaskara rimanete in piedi e fate alcuni profondi respiri, poi sdraiatevi in shavasana. I piedi dovrebbero essere leggermente separati, le braccia discoste dal corpo, con i palmi delle mani rivolti verso l’alto e gli occhi chiusi gentilmente. Sistematevi in modo da sentirvi comodi, poi rilassatevi e divenite perfettamente immobili.
Ora portate la consapevolezza ai vostri piedi. Non muovetevi e non siate tesi; siate semplicemente consapevoli dei piedi. Cercate di sentire se i piedi sono tesi, e se scoprite qualche tensione, rilassatela consciamente. Quando i piedi sono completamente rilassati, lentamente portate la consapevolezza alle caviglie e alla parte inferiore delle gambe. Nello stesso modo, rilassate anche queste parti, e continuate portando la consapevolezza alle cosce, alle anche e alle natiche. Fate una pausa momentanea e sentite che tutto il vostro corpo, dalla vita in giù, è completamente rilassato.
Poi, gradatamente procedete verso l’alto, un passo alla volta, dal basso ventre, l’ombelico, la parte alta dell’addome, il torace, il dorso, le mani, gli avambracci, i gomiti, la parte alta delle braccia e le spalle. Ora fate ancora una pausa e assicuratevi che tutto il corpo, dalle spalle in giù sia totalmente rilassato. Se percepite tensione in qualche parte, semplicemente divenitene consapevoli per qualche momento e la tensione si scioglierà. Poi passate alla gola, al mento, la bocca, il naso, le guance, le orecchie, gli occhi, la fronte, la sommità del capo, la nuca, tutta la testa. Infine divenite consapevoli di tutto il vostro corpo abbiate una percezione simultanea di tutto il corpo, senza movimenti o tensioni. Il corpo dovrebbe essere abbandonato ed immobile. Questo è lo stato di totale rilassamento che si raggiunge in shavasana. L’intero procedimento, dai piedi alla testa, richiede solo pochi minuti. Per entrare in questo stato pacifico, si può ripetere l’intero procedimento un certo numero di volte.

Shavasana con il respiro psichico

Una pratica supplementare di shavasana è quella del respiro psichico, che consiste nel divenire consapevoli del procedimento della respirazione entro i diversi passaggi psichici del corpo. Nel nostro corpo vi sono molti canali sottili lungo i quali fluisce il prana o vitalità. Ordinariamente non siamo consapevoli di questi movimenti a causa della condizione estroversa della mente ma, ritirando la coscienza e fissandola sul respiro, possiamo sviluppare la capacità di percepire e comprendere il funzionamento di queste forze sottili che si manifestano in noi come salute, attività (mentale oltre che fisica) e la vita stessa, specialmente dopo surya namaskara. Mentre siete sdraiati in shavasana con il corpo totalmente rilassato ed immobile, divenite consapevoli del flusso naturale del respiro. Non modificate il respiro in alcun modo; semplicemente trasferite la consapevolezza dal corpo al respiro. Sentite ogni respiro con completa e totale attenzione: l’espansione ed il rilassamento dei polmoni, il salire ed il discendere dell’addome. Non perdete un singolo respiro, e presto vi accorgerete che la mente è divenuta rilassata ed assorbita dal procedimento della respirazione. Ora siete pronti per iniziare la consapevolezza del respiro psichico. Portate la mente all’ombelico e mentre inspirate immaginate che il respiro si muova verso l’alto attraverso un passaggio particolare, fino alla gola. Con l’espirazione, il respiro discende giù lungo il passaggio sino all’ombelico. Dovete immaginare che vi sia un sottile passaggio tra l’ombelico e la gola, lungo il quale si muove l’aria. Ora iniziate a contare ogni respiro, dall’ombelico alla gola, dalla gola all’ombelico. Iniziate da cinquanta e contate a rovescio fino a zero, ogni respiro completo costituisce un ciclo. Se perdete il conto, iniziate da capo.

Respiro alternato nelle narici

Ora lasciate il respiro psichico tra l’ombelico e la gola e divenite consapevoli del respiro nel naso, escludendo tutto il resto. Mentre inspirate, concentratevi sulla narice sinistra e sentite l’aria entrare solo dalla narice sinistra. Mentre espirate, concentratevi sulla narice destra e sentite il respiro che viene espulso dalla narice destra solamente. Con l’inspirazione seguente mantenete la consapevolezza della narice destra, poi con l’espirazione pensate alla narice sinistra. Poi di nuovo, entra dalla sinistra, esce dalla destra, entra dalla destra, esce dalla sinistra; entra dalla sinistra, esce dalla destra, entra dalla destra, esce dalla sinistra. Iniziate il conto: entra da sinistra, esca da destra 50, entra da destra, esce da sinistra 49, e così a rovescio fino a zero. Quando avete completato la pratica, lasciate la consapevolezza del respiro e riportate la consapevolezza al corpo.
Poi, mentalmente, cantate Om tre volte.

Le Applicazioni dello Yoga nel Trattamento delle Malattie Comuni: la Pelle in Salute e Malattia

Tratto da: Swami Karmananda Saraswati, “Le Applicazioni dello Yoga nel Trattamento delle Malattie Comuni”, Edizioni Satyananda Ashram Italia.

La pelle che copre il corpo umano ha una struttura vivente complessa ed interessantissima. I suoi strati più esterni di cellule sono morti e si sfaldano continuamente dal corpo, tuttavia è attraverso di essi che l’aura di vitalità e buona salute si riflette al mondo come uno specchio. Similmente è solo la nostra pelle che sostiene l’affascinante illusione della nostra esistenza, che siamo individui separati uno dagli altri. La coscienza è una ed è universale. La mente individuale è un’illusione sostenuta unicamente dalla nostra percezione di separazione fisica. La mia pelle forma una barriera che io ritengo sia il limite del “me” e la vostra pelle fa lo stesso per voi. Fisiologicamente parlando questa barriera non è altro che un insieme di strati di cellule epiteliali squamose e già morte.
La pelle è lo strumento del senso del tatto. È assolutamente essenziale per molte delle esperienze più trascendenti e sensuali, sia piacevoli sia dolorose. La vita, senza uno degli altri sensi, può, per lo meno, essere contemplata, ma riuscite ad immaginare la possibilità di non avere alcuna sensazione o esperienza del tatto? Il tatto è il mezzo attraverso il quale vengono comunicate molte emozioni, energie e sensazioni umane. A parte gli aspetti sottili del senso dell’udito, potremo dire che il tatto è sicuramente la più espressiva delle modalità di senso.
Si dice: “La bellezza non è altro che la profondità della pelle”.
Le nostre differenze fisiche e le nostre caratteristiche personali sono essenzialmente attributi della pelle. La pelle è un indice di buona salute. Un uomo sano o uno yogi sono radiosi e hanno uno splendido aspetto, mentre una persona malata è pallida e priva di prana.
Gli studenti di medicina apprendono che l’esame medico comincia semplicemente col guardare il paziente e valutare il suo aspetto generale. Nelle razze di pelle chiara, frequentemente la diagnosi può essere fatta soltanto in base all’aspetto della pelle. Le malattie del sangue e del fegato sono riflesse da una pelle itterica, il pallore riflette shock, anemia o perdita di sangue, una fisionomia bluastra, chiamata cianosi, insorge per difetti cardiaci o problemi respiratori, il viso rosso si ha per disturbi alle valvole cardiache e alcolismo, e un colorito esangue, giallastro o grigio spesso accompagna disturbi ai reni o cancro.

La pelle è un organo

Nel considerare la pelle in salute e in malattia, il punto importante è rendersi conto che la pelle è un ben distinto organo del corpo. Un organo è definito come un gruppo di cellule raggruppate insieme per adempiere una specifica azione fisiologica. In secondo luogo, la salute della pelle non può essere considerata a prescindere dal resto del corpo. La pelle sana è strettamente connessa alla dieta, allo stato dei processi digestivi, al fegato e alla circolazione sanguigna.
Il ripristino della salute della pelle attraverso la terapia yogica è spesso diretto principalmente ad influire sulle funzioni digestiva e circolatoria. Ciò perché le eruzioni della pelle comunemente riflettono un più diffuso problema escretivo, circolatorio o metabolico, che deve essere corretto per primo per ripristinare la salute della pelle. Non è sufficiente eliminare semplicemente i disturbi della pelle con farmaci e creme che danno soltanto un sollievo temporaneo ma non una cura durevole.

La struttura della pelle

Al microscopio si vede che la pelle è composta da diversi strati. L’epidermide esterna, con uno spessore di circa trenta strati di cellule, viene costantemente lasciata cadere dalla superficie del corpo e viene sostituita da nuovi strati di cellule che risalgono dallo strato più interno o derma. Esso è anche responsabile della pigmentazione o colore della pelle.
Sotto il derma stanno il tessuto sottocutaneo e il grasso isolante, contenente le ghiandole e i dotti sudoripari, i follicoli piliferi e le ghiandole sebacee, e le terminazioni o bulbi dei nervi sensori (corpuscoli di Pacini) che trasmettono le sensazioni di tatto e pressione al sistema nervoso centrale attraverso i nervi cutanei sensori.
Anche all’interno di questo strato sottocutaneo si trovano piccolissimi vasi sanguigni, arterie, vene e capillari, responsabili dell’approvvigionamento, per le ghiandole e le cellule epiteliali, di ossigeno e alimento, ed anche della rimozione delle loro scorie. La pelle, diversamente dalle cellule dei tessuti più interni, riceve nutrimenti ed espelle tossine anche direttamente dall’ambiente esterno e nell’atmosfera con il processo di sudorazione.

La funzione della pelle

  1. Protezione. La pelle forma una meravigliosa barriera protettiva per il corpo. Un sottile strato di olio naturale secreto dai pori previene la dispersione di acqua. Le aree del corpo che sostengono pesi, come le piante dei piedi o i palmi delle mani, sono più spesse e la pressione o la frizione continua possono farle diventare callose.
  2. Isolamento dal calore. La pelle possiede parecchi meccanismi di adattamento che la rendono capace di conservare il calore nei climi freddi e cedere calore per rinfrescare il corpo in condizioni di caldo, preservando la temperatura corporea (98.4 F° o 36.9° C). Il sudore rinfresca facendo sì che grandi quantità di acqua del corpo evaporino dalla superficie della pelle nelle giornate calde. Le piccole arterie della pelle possiedono la capacità di dilatarsi in condizioni di caldo o stati emotivi di agitazione, così che il sangue viene attirato verso la pelle per raffreddarla. Col tempo freddo accade l’opposto.
  3. Eliminazione. La pelle è uno dei principali organi di eliminazione del corpo, insieme con gli intestini, i reni e i polmoni. Acqua, sali e scorie lasciano il corpo attraverso la pelle. Per questo motivo il sudore di una persona con il corpo intossicato e poco sano, o la cui dieta è pesante e impura, ha un odore sgradevole, mentre un corpo sano ha un odore inoffensivo. Molte eruzioni, eritemi e disturbi della pelle sono in realtà tentativi del corpo di eliminare scorie tossiche, che non possono essere espulse in altro modo. Tali disturbi insorgono soprattutto se gli intestini sono cronicamente costipati o se i reni non riescono a filtrare efficacemente il sangue così che le scorie iniziano ad accumularsi, ostacolando l’efficienza delle cellule e dei tessuti. L’arresto delle eruzioni e delle infezioni della pelle con antibiotici sistemici o topici o farmaci steroidei è spesso inefficace perché questo aspetto della malattia non è ben compreso; frequentemente le eruzioni riappaiono subito dopo aver interrotto l’assunzione dei farmaci. Questo, spesso, è lo stimolo per soffocarle con vigore ancora maggiore. Alla fine, la causa dell’eruzione può essere eliminata con successo solo accumulandola in qualche altro tessuto non immediatamente visibile all’occhio, come il colon, dove alla fine si può sviluppare un ascesso, un tumore e forse anche un cancro. Per questo motivo è meglio che le eruzioni della pelle facciano il loro corso, se possibile, provvedendo nel frattempo a creare le condizioni migliori per l’eliminazione e la cura.
  4. Assorbimento. La pelle gioca un ruolo importante anche nell’assorbimento. I raggi del sole vengono assorbiti ed iniziano quelle reazioni biochimiche che producono sia il pigmento della pelle (melanina) sia la vitamina D. Per questo stesso motivo bisogna prestare molta attenzione quando si ha a che fare con fertilizzanti o sostanze chimiche industriali, fitofarmaci, vernici, ecc., poiché molti penetrano direttamente nel corpo quando vengono a contatto con la pelle. Per esempio, si è scoperto che quelli che lavorano nelle fabbriche di margarina, dove vengono utilizzate tinture alcaline per colorare artificialmente il prodotto, sviluppano un’alta percentuale di cancro alla vescica. Studi successivi hanno rivelato che questa tintura chimica penetra nei pori della pelle e si concentra nella vescica, dove induce mutazioni cancerogene nelle cellule di rivestimento.

Una classificazione medica delle malattie della pelle

Ipersensibilità o allergia a farmaci, prodotti chimici, ecc. Questo tipo di eruzione cutanea è molto comune quando alle persone vengono prescritti farmaci potenti per indisposizioni comuni che sarebbero curate meglio senza. Il numero e la gravità degli effetti collaterali dei moderni farmaci non è pubblicizzato, ma ogni medico è ben consapevole che pelle, sangue, fegato, reni e sistema digestivo sono molto spesso danneggiati da qualche effetto collaterale della terapia farmacologica. Alcune malattie sono chiamate iatrogene, prodotte come effetto collaterale di una terapia farmacologica per un altro sintomo, e, al giorno d’oggi, sono uno dei problemi principali per i medici. La cura per un’eruzione cutanea iatrogena è l’interruzione del farmaco lesivo e la purificazione del corpo dai residui del farmaco attraverso un programma di digiuno, asana, pranayama e shatkriya.

Disturbi cutanei psicosomatici. La pelle è uno specchio estremamente sensibile della mente, e malattie della pelle, eruzioni e pruriti come la neurodermatite, spesso si manifestano in persone tese, ansiose e sensibili. Un prurito è spesso un modo per esprimere le tensioni mentali che sorgono da conflitti personali. Ciò è evidente in affermazioni come: “Cosa ti rode?” o “Lui mi si infiltra veramente sotto la pelle”. Queste eruzioni vanno e vengono in risposta a tensioni psichiche, emotive e personali che si alternano nella vita di alcune personalità.
Antar mouna, con l’osservare la sensazione di prurito e le tensioni mentali che ne sono la base senza ricorrere alla risposta inconscia di grattarsi, è il passo fondamentale nella terapia delle neurodermatiti. Una volta che si resiste alla voglia di grattarsi, e si dà il via al rilassamento, il prurito scompare quasi subito. Asana, pranayama, e yoga nidra agiscono sulle tensioni mentali ed emotive di base. I kriya dello hatha yoga come neti, kunjal e shankha prakshalana vengono prescritti per ripulire il sistema digestivo e purificare le nadi (flussi di energia psichica) in cui si sta verificando il blocco e l’ostruzione del flusso pranico.

Dermatiti da contatto. Molti agenti chimici causano irritazioni ed eruzioni, particolarmente dopo una prolungata esposizione. Questo è vero specialmente per cosmetici, lozioni per il corpo, deodoranti, spray per capelli, repellenti per insetti, detersivi liquidi per i piatti e prodotti chimici industriali. Quando l’agente di offesa viene individuato e se ne interrompe l’uso, scompare anche l’eruzione.

Infezioni della pelle. Le infezioni della pelle sono causate da vari microrganismi, come virus, batteri e funghi che vivono e si moltiplicano sotto la superficie della pelle. Certi virus e batteri crescono naturalmente su ogni normale pelle sana, ma quando il metabolismo del corpo diventa squilibrato e il livello di vitalità cala o si accumulano scorie in tutto il sistema, allora organismi patogeni (che producono malattia), che trovano queste condizioni più favorevoli, iniziano a moltiplicarsi rapidamente e ne consegue un’infezione della pelle. Viene usata un’ampia varietà di farmaci specifici, inclusi antibiotici, creme steroidee e agenti fungicidi sia topici sia per via orale. Essi danno un rapido sollievo sintomatico. Tuttavia le infezioni della pelle normalmente ritornano perché la causa fondamentale non è stata riconosciuta e lo squilibrio di base rimane senza correzione.

Una classificazione a grandi linee delle infezioni cutanee può essere la seguente:

  1. Infezioni virali. “Il fuoco di Sant’Antonio” (herpes zoster) è una patologia cutanea molto dolorosa in cui appaiono fasce di vesciche sulla superficie della pelle causate dal virus “herpes zoster”. In termini yogici questo si verifica per una carenza o un blocco nel flusso del prana lungo i nervi cutanei. Esso di solito si ritrova nelle radici dei nervi lombo-toracici associati ad anahata chakra. Come conseguenza, appare attorno al torace una dolorosa eruzione a forma di banda. “L’erpete”, dovuto ad infezione del virus di herpes simplex è un altro esempio. Ulcerazioni umide appaiono intorno alle labbra e al naso durante e dopo un raffreddore, un’influenza o altre infezioni respiratorie. Esse, in seguito, scompaiono non appena il corpo supera l’infezione primaria ma inevitabilmente riappariranno quando si manifesterà un altro raffreddore. L’erpete continua ad apparire quando i livelli di resistenza e vitalità del corpo sono ridotti. Questa tendenza può essere superata con hatha yoga, surya namaskara e pranayama.
  2. Infezioni batteriche. Includono pustole, impetigine e cellulite e sono caratterizzate dalla produzione di pus. Il pus è di solito un prodotto di scarto liquido, denso e giallognolo ed è composto da batteri e globuli bianchi morti. Le infezioni batteriche indicano stagnazione di energia nella pelle, impurità nel sangue dovute a putrefazioni nel sistema digestivo, e dieta inadeguata. Il corpo si riempie di materiali tossici di scarto ed è ad un basso livello di resistenza. É meglio che le infezioni batteriche facciano il loro corso, ma l’intero intestino dovrebbe essere lavato con shankha prakshalana, per eliminare la costipazione ed assicurare un’efficace eliminazione attraverso i visceri. Le pustole possono essere causate anche da conflitti o confusione interiori, mentali o emotivi.
  3. Infezioni da funghi. Si manifestano come eruzioni pruriginose essudanti e sono comuni specialmente nelle zone umide e calde del corpo, per esempio tra le dita dei piedi e nell’inguine. I funghi riescono a penetrare attraverso la barriera protettiva della pelle quando le condizioni sono favorevoli, per esempio quando c’è un eccesso di acidità nel corpo. L’acidità è un prodotto di scarto del metabolismo cellulare e quindi un eccesso riflette uno squilibrio sottostante. Il modo migliore per curarli è la purificazione interna tramite shankha prakshalana che eliminerà le scorie acide in eccesso. Le eruzioni fungine sono notoriamente difficili da sradicare permanentemente con la sola terapia convenzionale. Continuano a ripresentarsi fintanto che lo squilibrio di base non viene corretto. Peggiorano con l’uso di biancheria e calze di materiale sintetico. Come molte eruzioni cutanee è meglio tenerle pulite e asciutte, aperte alla luce del sole e all’aria, piuttosto che coperte con bende o abiti.
  4. Scabbia. È un’infezione dovuta a piccoli acari che scavano all’interno della pelle e vi depongono le uova, causando prurito intenso, specialmente ai polsi, alle braccia e sotto le unghie delle mani. Il rimedio è sfregare il corpo con olio benzoilbenzoato, e far bollire la biancheria personale e del letto.
  5. Psoriasi. Questa sgradevole e ricorrente malattia della pelle è la manifestazione cutanea di un più profondo disturbo psicofisiologico. Una dieta inadeguata e senza vitalità, ricca di carboidrati, un errato utilizzo dei grassi ed un eccesso di colesterolo nella pelle e nel sangue sono anch’essi fattori che contribuiscono. Nella scienza medica non esiste alcuna cura durevole per la psoriasi, ma le pratiche yogiche spesso fan sì che un individuo coscienzioso possa comprendere e intervenire sulla causa originaria di questa malattia. Bisognerebbe praticare amaroli insieme a un sadhana yogico che includa asana capovolte. Esponete la zona colpita alla luce del sole ogni giorno per qualche tempo, e bagnatela con acqua di mare quando è possibile.
  6. Cancro della pelle. Di solito si presenta sul viso o sugli avambracci di persone dalla pelle chiara dopo molti anni di esposizione ai raggi solari in un paese tropicale. La pelle dovrebbe essere schermata con una lozione adeguata prima dell’esposizione e si dovrebbe indossare un cappello a larghe tese. La pratica di amaroli (massaggio con urina di tre o sette giorni), insieme a cambiamenti alimentari e pranayama, spesso ha successo nella prevenzione e nella cura.

Programma yogico generale per la salute della pelle

Possono essere necessarie modifiche particolari in casi individuali, guidate da persone qualificate.

  1. Surya namaskara: finché tutto il corpo non sia bagnato di sudore, di fronte al sole che sorge. Il sudore dovrebbe asciugarsi sul corpo mentre ci si riposa in shavasana.
  2. Pranayama: ogni mattina praticate bhastrika e nadi shodhana pranayama. Antar mouna, bahir kumbhaka e maha bandha (jalandhara, uddiyana, mula) possono essere integrate nella pratica di pranayama.
  3. Shatkriyas: neti, kunjal e laghu shankha prakshalana dovrebbero essere intraprese nell’ambiente di un ashram, preferibilmente all’inizio della terapia.
  4. Yoga nidra.
  5. Dieta: una leggera dieta vegetariana, ricca di cibi alcalini (succhi, frutta e verdura). Olio, dolci, cibi raffinati, fritti e speziati dovrebbero essere evitati e bisognerebbe limitare il sale e i latticini. All’inizio della terapia, si dovrebbe seguire per almeno cinque giorni una dieta a base di cibo integrale. Quindi, per un mese, si può saltare o il pranzo o la cena.

Ulteriori raccomandazioni

  1. Bagno freddo e frizione della pelle ogni mattina.
  2. Uso ridotto di sapone e cosmetici.
  3. Le eruzioni della pelle dovrebbero essere mantenute pulite e asciutte il più possibile ed esposte al sole e all’aria. L’area dovrebbe essere lavata per liberarla dai frammenti una volta al giorno con un sapone neutro non irritante, e asciugata con cura.
  4. Evitate la costipazione e mantenete puro il sistema digestivo.
  5. Bevete acqua in abbondanza.
  6. Amaroli, l’applicazione di urina fresca, è estremamente efficace nell’eliminare le eruzioni cutanee acute. Tuttavia, la dieta dovrebbe essere pura. L’urinoterapia può essere usata anche nei disturbi cronici della pelle come leucoderma e psoriasi. Vedi “Amaroli”, una pubblicazione BSY.

La Meditazione

Tratto da: Paramahansa Satyananda, “Meditations from the Tantras”, ed. Yoga Publications Trust, Munger, Bihar, India.

I moderni psicologi hanno iniziato a interessarsi intensamente alla meditazione e hanno cominciato a compiere ricerche in questa direzione. Non solo hanno eseguito esperimenti scientifici, ma hanno persino cominciato ad interessarsi agli antichi testi sulla meditazione per migliorare la loro conoscenza sulle sue implicazioni e sulla sua utilità. Hanno persino sperimentato la meditazione su se stessi vivendo momenti che li hanno portati oltre la loro intellettualità scientifica.
Tale è stata la comprensione ottenuta grazie anche alla meditazione, che gli psicologi hanno cominciato a rielaborare la loro definizione di un normale essere umano.
Essi hanno teorizzato che la gran parte delle persone sia soggetta, fin dalla nascita, a costanti classificazioni. In altre parole, le persone sono indottrinate nel senso che una cosa è buona o cattiva, che vi sono individui bianchi o neri, Cristiani o Mussulmani o Indù, intelligenti o stupidi, e così via; Non c’è via di mezzo, amiamo o odiamo. Siamo completamente coinvolti in un mondo di categorizzazioni che ci impediscono di vedere il mondo quale è realmente. Le persone diventano condizionate e molti psicologi hanno dichiarato che una delle mete della psicologia è di decondizionare gli individui.
I moderni pensatori, soprattutto gli psicologi, sono convinti degli effetti dannosi che un modo di vivere rapido e competitivo può avere sulla mente. È senza dubbio una realtà il fatto che vi siano sempre più malattie e problemi di carattere mentale.
Gli psicologi si stanno rendendo conto che l’individuo deve avere una mente capace di affrontare un bombardamento sempre più intenso di segnali e di informazioni esterne, e molti hanno capito che ogni individuo deve diventare il consulente psicologico di se stesso. La meditazione è il metodo più frequentemente raccomandato e adottato, è la via universale per rimuovere o prevenire le preoccupazioni eccessive, i conflitti e lo stress, ed è pure la via più sicura per una vita positiva e soddisfacente.
Finalmente si è arrivati a comprendere che la meditazione non è né una forma di sonno né uno stato ipnotico. In questo contesto la psicologia prende in considerazione solo coloro che siedono a meditare regolarmente, per un certo periodo di tempo.
Il fatto che certe persone più evolute vivono in un continuo stato meditativo, sia quando dormono sia quando sono svegli, indica che la meditazione va ben oltre il sonno e lo stato ipnotico.
Sempre più psicologi consigliano di praticare la meditazione, in modo che ognuno possa osservare il proprio funzionamento interiore. In questo modo l’individuo può divenire consapevole della super attività a cui sono sottoposti i diversi organi ed il cervello stesso; in questo modo possono essere intrapresi i primi passi per correggere ogni eccesso di stimolazione o malfunzionamento. Questo è il miglior metodo per curare una malattia: bloccarla prima che insorga. Mezz’ora di meditazione ogni mattina aiuta a portare quiete e, quindi, a migliorare le attività esterne.
La capacità con la quale si affrontano i quotidiani impegni di lavoro e di svago dipende molto da come siamo dentro. Se il nostro essere interiore non è in armonia, anche la nostra interazione con il mondo esterno non può essere armoniosa.
La meditazione è il modo più sicuro per contrastare il pessimismo, la depressione, la tensione e così via, tutti stati della mente che la maggior parte delle persone accetta come normali aspetti della vita.
Oggi anche gli psicologi sono convinti di questo. Sono proprio i pensatori più moderni e progressisti nel campo della psicologia che hanno messo in evidenza queste idee. Cominciano a credere, come nello yoga, che la normale condizione di vita dell’uomo debba essere una continua espressione di gioia.
La meditazione può essere utilizzata per controllare il nostro umore, per eliminare gli stati negativi sostituendoli con stati di benessere.
Uno dei più grandi problemi dell’uomo è la sua incapacità di adattarsi al cambiamento.
Cento anni fa e oltre, e ancor oggi nei paesi dove non si è ancora sviluppata una società tecnologica, questo problema non sussisteva, in quanto i cambiamenti erano molto più lenti e non repentini come oggi. Le società tecnologicamente più avanzate vivono in un continuo stato di cambiamento e questi cambiamenti avvengono più velocemente di quanto la mente posa adattarsi ad essi. Il risultato è un disordine mentale che in misura maggiore o minore coinvolge ogni persona.
La psicologia ha riconosciuto questo problema e considera la meditazione un modo sicuro per sviluppare la capacità di affrontare il cambiamento.
La psicologia ha sempre riconosciuto la necessità di conoscere l’esteso lavorio della mente inconscia ed ha cercato di considerare la parte dell’inconscio che contiene i nostri complessi e fobie. Questo è certamente necessario per eliminare i conflitti profondamente radicati che tendono a dominare la nostra vita. Il metodo utilizzato dallo yoga, e sempre più anche dalla psicologia moderna, è la meditazione. Allo stesso tempo è importante esplorare le vaste regioni della mente, l’inconscio superiore in termini psicologici, in cui sono contenute le nostre capacità, abilità e potenzialità nascoste. Molti di noi hanno una vera vocazione nella vita, un’attitudine naturale a fare alcune cose, tuttavia, poiché non lo sappiamo, non le facciamo mai. In un certo senso, siamo in uno stato di continua frustrazione. Se potessimo esprimere questo potenziale, allora potremmo iniziare a vivere una vita creativa, felice ed autorealizzante.
Il metodo è attraverso la meditazione; in questo modo possiamo ritrovare il nostro essere interiore e quindi iniziare a soddisfare la sua natura innata, possiamo iniziare a fare quello per cui siamo più portati.

Lo Yoga dei Marma

Di Swami Vishwashakti – Olanda, 2 Maggio 2002

Sono qui per presentare le basi dello “Yoga dei Marma” e come questa antichissima scienza della medicina indiana chiamata ayurveda, “scienza della vita”, possa trovare applicazioni nel campo dello yoga relativamente alle dipendenze presenti nella società.
Lo yoga del marma è una scienza antichissima e, come vi ha detto questa mattina Swami Shankardevananda, noi esploreremo ancora di più le scienze antiche. Recentemente swami Niranjan ha riconosciuto lo yoga del marma come specializzazione del sistema Satyananda. Abbiamo già effettuato un programma pilota in Italia, presso il Satyananda Ashram Italia. L’anno prossimo ne intraprenderemo un altro. Prima d’iniziare voglio chiedere di intervenire ad uno dei miei studenti, Atmarupa. Atmarupa è stato il primo “marmavaidya”, titolo datogli da Swamiji. Ora egli è un terapista e vi parlerà della sua esperienza.

Atmarupa: quando ho iniziato a praticare yoga, nel 1994, mi sono imbattuto in molte critiche da parte di altri insegnanti di yoga. Molti insegnanti di yoga dicevano: “Questo ha energia positiva, questo ha energia negativa”. Cosa significava? Dopo una lezione sulle nadi e il prana, io pensavo la stessa cosa perché non sapevo cosa fossero le nadi. Per me, la cosa più importante che ho appreso, dal corso che Swami Vishwashakti ha tenuto con noi in Italia, è questa: quando preparo una lezione di yoga sto attento alle indicazioni e controindicazioni delle asana. Ora conosco il perché di queste indicazioni e controindicazioni, perché questo corso mi ha dato la conoscenza, la vidya, di queste cose, delle nadi di cosa sono le nadi. Ora posso parlare di nadi in modo appropriato, e posso dire che si tratta di una scienza e non di qualche filosofia new age o cose simili. È una scienza in quanto anche la nostra medicina occidentale ha riconosciuto cosa sono le nadi e i meridiani e come si possano usare tali canali a scopo terapeutico. Queste, per me, sono le cose più importanti. Ora posso insegnare alle persone. Ogni asana è in relazione le nadi e i marma.
Riprende Vishvashakti. Abbiamo avuto venticinque studenti e tutti hanno passato l’esame con percentuali molto alte, alcuni con l’80%.
Cercherò, ora, di darvi chiarimenti su questa antica scienza. Lo yoga del marma è veramente una scienza antichissima, conosciuta come marma chikicha o marma bedhan chikicha. Significa terapia marma, o insegnamento della perforazione dei punti marma. Come tutte le filosofie indiane, l’ayurveda, scienza di vita, e lo yoga, sono basate sulla filosofia samkhya, ovvero la filosofia dei cinque elementi, pancha maha bhuta o pancha maha tattva.
In origine ci sono solo purusha e prakriti. Purusha è la coscienza, prakriti e Shakti, la natura, la forza creatrice. Poi prakriti crea i cinque tattva. Quindi noi abbiamo l’essenza dei tattva, gyanendriya e karmendriya. Questi sono tutti differenti aspetti dell’azione dei tattva.
Per prima cosa devo dare spiegazioni sui tattva, perché non si può capire la marmaterapia se non si sa cosa sono i tattva e come agiscono. I tattva sono simboli dell’intero sistema mente – corpo, non solo del corpo e non solo della mente, ma dell’intero sistema. Akasha simboleggia la condizione della coscienza, e akasha crea la mente. Vayu è la condizione della mente, e crea agni, il fuoco. Il significato di quest’ultimo è il sistema metabolico. Agni crea jala o apas, l’acqua. Ovvero il processo liquido di lubrificazione. E da jala è creata prithvi, l’elemento solido, la solidificazione, le ossa, le unghie, ogni cellula del nostro corpo. Bisogna intendere ciò in modo del tutto simbolico, non bisogna pensare di avere dentro di noi un po’ di fuoco o un po’ di acqua, e così via. Sono simboli. Rappresentano il nostro sistema mente – corpo. Ciò significa che ogni tattva rappresenta una condizione, una funzione, dei nostri organi corporei e delle nostre emozioni. Allo stesso modo agiscono in entrambe le direzioni, verso il corpo e verso le emozioni. Nella marmaterapia si spiega ogni cosa, ogni tipo di squilibrio e disarmonia, con i tattva. Dobbiamo comprendere certi principi: i tattva rappresentano la condizione degli organi corporei, le loro funzioni, e le nostre emozioni. Rappresentano le cinque emozioni principali e gli organi vitali.
Questi cinque tattva interagiscono nel nostro campo pranico, energetico, il pranayama kosha. Quando pratichiamo yoga lavoriamo sul pranayama kosha, che è il veicolo principale. Il pranayama kosha, il campo energetico, è una sorta di ponte, di collegamento, tra il corpo fisico, annamaya kosha, e il corpo mentale, manomaya kosha. Ciò significa che quando lavoriamo con pranamaya kosha, il campo pranico, nello stesso tempo manipoliamo e modifichiamo la condizione del nostro corpo, annamaya kosha, e della mente, delle emozioni, manomaya kosha. A livelli superiori avvengono altri cambiamenti, ma sempre per mezzo del flusso pranico, pranamaya kosha.
I tattva controllano la condizione di pranamaya kosha e, quindi, anche di annamaya kosha e di monomaya kosha. Controllano il flusso pranico, se scorre come un fiume o se procede goccia a goccia. La maniera in cui scorre dipende dalle condizioni dei tattva. Dipende dai tattva se abbiamo o no dei blocchi nel campo pranico. Nel campo pranico, pranamaya kosha, abbiamo i chakra, le nadi e manas. Ciò significa che la condizione dei chakra, che dirigono l’energia a e dagli organi biologici, e attraverso il sistema nervoso centrale, agisce anche sulla mente e sulle emozioni. Anche la condizione dei chakra dipende dal pancha tattva. E anche le condizioni del sistema mente – corpo e i guna dipendono dai tattva.
I guna non sono semplicemente presenti nel corpo mentale ed emozionale. Sono in continuo cambiamento. Si può essere tamasici o rajasici o molto vicini allo stato sattvico, dato che quest’ultimo è impossibile con la vita che conduciamo. Per cui il nostro scopo è quello di avvicinarci il più possibile alla condizione sattvica. Queste tre qualità dipendono dalla condizione dei tattva.
Ora parlerò brevemente delle nadi. Cosa sono le nadi? Sono i canali energetici. Probabilmente avete più famigliarità con le nadi intese come meridiani, perché questo termine è più popolare in questa parte del mondo. Dagli studi yogici sappiamo di avere 22.000 nadi, ma nella nostra terapia ne usiamo quattordici, dato che la quindicesima nadi, sushumna, è dormiente. Noi bilanciamo e armonizziamo le altre nadi in modo che la sushumna possa prendere a fluire. Dunque ci occupiamo di quattordici nadi. Attraverso di esse fluiscono le energie sottili del panchatattva. Le nadi sono collegate con specifici organi del corpo e con le nostre emozioni. Così, al giorno d’oggi, denominiamo le nadi col nome degli organi biologici. Le nadi hanno molti nomi. Io mi sono specializzata anche nella medicina tradizionale cinese e ci sono nomi in cinese, in India abbiamo nomi indiani e così via. Ad un certo momento sorse una certa confusione, e non si capiva se si stava parlando della stessa nadi a causa della differenza di nome. Così l’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha stabilito dei nomi standard per le nadi. Ora sono conosciute con il termine biologico dell’organo a cui appartengono. Abbiamo la nadi dei polmoni, la nadi della cistifellea, la nadi del cuore, ecc.
I tattva rappresentano la condizione del corpo e della mente. Poiché l’energia sottile dei tattva scorre attraverso le nadi, anche questo flusso controlla il modo in cui funziona il corpo, la condizione energetica di corpo e mente.
Ora veniamo ai marma. I marma sono piccoli punti energetici allineati lungo le nadi. Sono le finestre del corpo interiore. Attraverso queste finestre, questi marma, s’instaura la comunicazione tra la nostra natura interiore ed esteriore. Noi siamo in contatto con i marma. Questi puntini sono come piccoli chakra, dei chakra minori. Poi abbiamo il sistema dei chakra, e ogni marma è strettamente collegato ad un chakra. Quando parlo di prithvi e jala, si tratta di muladhara. Se parlo di jala e agni, è manipura. Swadhisthana è sempre tra manipura e muladhara perché jala, l’acqua, è in relazione con l’elemento che si trova tra agni e prithvi. Non si può far niente senza di questi. Swadhisthana è in relazione con la nadi più lunga che abbiamo nel corpo, con circa 67 marma. È normale che sia la nadi più grande, perché, nel corpo, il 95% è costituito da acqua. Sembriamo molto solidi per via delle ossa e tutto il resto, ma non siamo molto solidi, siamo più che altro liquidi. Per questo swadhisthana è così importante. Perché quando lavoriamo su swadhisthana lavoriamo anche su muladhara e manipur, poiché jala è tra prithvi e agni.
Vayu rappresenta anhata e vishuddhi. Agya e gli altri chakra appartengono all’etere o akasha. Anche l’intero sistema dei chakra lavora secondo la teoria dei tattva e coinvolge gli organi del corpo. Quando i tattva sono in ordine, o relativamente in ordine, bilanciati, in armonia, abbiamo una condizione di salute fisica, mentale, emozionale e spirituale. Ma se c’è un qualche squilibrio in uno dei cinque tattva, allora subentra disordine, malattia, o ciò che chiamiamo dosha.
Dosha è la condizione di squilibrio dei tattva. Abbiamo vata dosha che coinvolge akasha e vayu, pita dosha per agni e jala e kapha dosha per jala e prithvi.
Ora dobbiamo vedere come e perché insorgono questi squilibri dei tattva. Ci sono moltissime componenti nel sistema mente – corpo. Nella marmaterapia dividiamo queste componenti in gruppi: componenti interne e componenti esterne. Ogni cosa esercita influenza su di noi, il mangiare e il bere, la famiglia, l’ambiente di lavoro, lo stile di vita. Potete immaginare le conseguenze. Queste moltissime componenti ci bombardano sotto differenti aspetti, livelli, angolazioni, e provocano squilibrio o dosha. La sindrome da stress è una di queste componenti, come anche il troppo guidare o il troppo viaggiare.
Quando andiamo in India, dal nostro guru, ripristiniamo velocemente una condizione di equilibrio.
Dobbiamo ragionare attorno a tutte queste componenti e su chi ci porta verso dosha. Quando avete a che fare con la marmaterapia dovete pensare a tutte queste componenti che riguardano la persona. I tattva hanno una sorta di tabella oraria o flusso biologico. La chiamiamo swara o energia. Ogni tattva rappresenta quattro ore di alto livello energetico. Dopo quattro ore scorrono da una parte del corpo ad un’altra, da un organo ad un altro. Nella marmaterapia impariamo a conoscere swara e comprendiamo perché un problema molto specifico si presenta, ad esempio, alle tre del pomeriggio. Dalla mia esperienza posso assicurarvi che le persone che soffrono d’asma hanno sempre attacchi fra le tre e le cinque. È il periodo di vayu. Il periodo di vayu è strettamente correlato all’asma. Vayu rappresenta la mente, le nostre emozioni, e sappiamo che l’asma è collegata ai complessi mentali. Non solo l’asma, ma anche molte altre allergie. È indispensabile conoscere l’orario del flusso energetico attraverso i vari organi biologici e bisogna conoscerlo anche attraverso le varie zone della mente. Quando passa attraverso un organo, anche la mente subisce cambiamenti. Questa è la ragione per cui a volte si è euforici e a volte depressi. Si è in stati differenti a seconda delle ore. Per questo bisogna osservare se stessi e come si cambia, come cambiano la mente e le emozioni.
Il flusso energetico sale e scende. Nelle ventiquattro ore vayu ha un periodo in cui è molto alto e il nostro sistema mentale è attivo.
Io faccio uso della medicina ayurvedica, specialmente la dieta, l’agopuntura, la magnetoterapia, e il massaggio che è molto importante in virtù della manipolazione manuale. La manipolazione manuale è molto importante, ma bisogna sapere come e dove toccare. Questa è la cosa più importante. Non solo toccare. Attraverso il massaggio marma dell’ayurveda, massaggiamo le nadi, i marma, i chakra. Oggigiorno ci sono specialisti che praticano la puntura dei chakra con aghi nei punti dei chakra. Abbiamo un’autoterapia che fa uso dei marma delle orecchie, con aghi, magneti e massaggi. Io, naturalmente, uso lo yoga, ma la yogaterapia in un modo specifico. Prescrivo asana, pranayama, mudra, bandha che agiscano su certi marma. In tal modo si apre una finestra e si può accedere alle nadi, le correnti praniche. E, dunque, si può entrare negli organi del corpo e nelle emozioni con giovamento per i tattva. Questo è lo yoga dei marma. Conoscendo questa tecnica yoga si può influenzare e modificare la condizione dei tattva, del flusso energetico, di pranayama kosha, del campo energetico. Questo è il principale argomento della mamarmaterapia. Io lavoro in questo modo perché, secondo me, è necessario compiere un’integrazione tra le scienze. È necessario avere un approccio multidisciplinare ai problemi. Sono solita dire che questa sorta di unione delle varie scienze, quest’approccio multidisciplinare, si può chiamare lo yoga della scienza. Si può chiamarlo lo yoga delle varie scienze; abbiamo bisogno di uno yoga delle diverse scienze, di un approccio disciplinare. Per questo prescrivo anche rimedi omeopatici. Molti medici che curano l’asma usano la puntura dei marma e dei chakra unite a rimedi omeopatici. Pongono i medicamenti direttamente sui marma e sui chakra. Tutto è possibile.
Qual è lo strumento principale? La pressione. La pressione è il fattore più importante con cui lavoriamo. Dobbiamo esercitare una pressione su ogni punto, ma non importa se per farlo usiamo le dita, i magneti, gli aghi, le asana dello yoga, il pranayama, i mudra o i bandha. Bisogna fare una pressione che modifichi le condizioni dei tattva, che apra le finestre, che cambi la situazione dello scorrimento del flusso pranico e del sistema mente – corpo. Poi vi sentirete bene, in forma, perfetti. Una volta che abbiamo appreso tutte queste conoscenze, abbiamo bisogno di qualcos’altro, cioè di una strategia. Si può far uso di molte cose, scienze, metodi, tecniche, ma la pressione è la cosa principale. Cosa vuol dire strategia? Vuol dire che bisogna conoscere i tattva e le nadi, i marma e i chakra. Bisogna sapere attraverso quali elementi i tattva possono modificare la situazione della cistifellea o del fegato, e, dunque, possono modificare le emozioni come la rabbia. Questa è la strategia. Bisogna conoscere gli squilibri dei tattva e quali nadi e marma utilizzare, questa è la strategia d’intervento. Bisogna fare le nostre scelte. Voi ottenete delle conoscenze, ma la scelta è vostra perché un problema si può risolvere in molti modi diversi.
Non c’è bisogno di lavorare su tutti i chakra. Non è necessario dire “facciamo qualcosa in anahat, facciamo qualcosa in ajna”. Basta lavorare su di un solo chakra per modificare l’intera situazione. Bisogna fare una scelta: questa è la strategia della scelta.
Ora parlerò un po’ della dipendenza perché io rappresento la EYF e il problema delle dipendenze. Quando si parla di una dipendenza, per me, i punti sono due. Prima cosa, perché. Perché una persona è così? Perché è cambiata? Cosa gli è successo? Il secondo punto è: in che fase è? Stiamo lavorando nella fase acuta, in quella media o nella riabilitazione? Facciamo che sia nella fase di riabilitazione. Questo significa che ha superato la problematica fase acuta ed è nella fase di riabilitazione, è a casa, nel suo ambiente. Cosa dobbiamo fare, ora, con lui? Io penso che per prima cosa bisogni seguire due vie. La prima è la purificazione del modello mente – corpo, del modello emozionale. La prima cosa è che questa persona ha lasciato l’ospedale, il centro di riabilitazione, è pieno di medicine ed ha già dei propri modelli mentali, emozionali e di funzionamento degli organi biologici. Noi dobbiamo modificarli. Come? Iniziamo con la purificazione e l’eliminazione dei modelli del sistema mente – corpo. Non solo del corpo. La seconda cosa è ripristinare l’energia. In genere io lavoro in entrambe queste due direzioni, con differenti approcci, ma la cosa principale è il sadhana yoga. Gli shatkarma o shatkriya fanno parte del panchakarma dell’ayurveda. Per i panchakarma avete bisogno di un medico ayurvedico. Gli shatkarma potete farli da soli, senza bisogno di un medico. Devo dire che quando parliamo di shatkarma, parliamo sempre di pulizia e purificazione del corpo fisico e dei suoi organi. Questo non è vero. Non potete purificare solo gli organi fisici, c’è anche la pulizia e purificazione della mente, delle emozioni. Noi siamo costituiti da cinque tattva che rappresentano gli organi fisici e la mente allo stesso tempo. Non possiamo pulire lo stomaco e non le emozioni. Non si può. Gli shatkarma sono un metodo di purificazione e di eliminazione dei vecchi modelli del corpo e della mente. Ci sono moltissime asana yogiche piacevoli e semplici. Non è necessario fare sirshasana. Possiamo riequilibrare tutti i tattva e l’intero sistema mente – corpo con asana leggere, molto piacevoli e belle, tratte dalla serie di pawanamuktasana o con surya namaskara. Ma bisogna capire come queste agiscono attraverso i canali, i tattva e i marma. Inoltre ciò di cui c’è bisogno è yoga nidra e un sankalpa molto solido e profondo. Questo è proprio necessario. E anche la meditazione ajapa japa con il mantra so-ham. Voglio dire che ajapa japa è una meditazione di profonda purificazione, purificazione ed eliminazione di tutti i modelli. Vi posso dire, per esperienza personale, che con ajapa japa si può anche porre rimedio al mal di schiena, nella spina dorsale. Ajapa japa cura il mal di schiena lombare e del collo. Se ho un problema di schiena faccio ajapa japa e poi sono ok. Credetemi. Funziona. È miracoloso, basta provare.
Da ultima, la cosa più importante, cioè l’aspetto del karma yoga. Perché? Perché la persona deve sentirsi utile a qualcuno, alla società, e che avete fiducia in lui. Deve essere molto attivo.