Jala Neti
Tratto da Swami Satyananda Saraswati “Asana, Pranayama, Mudra, Bandha”, Edizioni Satyananda Ashram Italia.
Jala Neti (pulizia del naso con acqua)
Preparazione: bisogna usare una neti lota, uno speciale recipiente per neti. La lota può essere di plastica, ceramica, ottone o qualsiasi metallo che non contamina l’acqua. Il beccuccio deve adattarsi bene alla narice in modo che l’acqua non sgoccioli fuori. Può essere utilizzata anche una teiera se il beccuccio non è troppo largo né troppo appuntito. L’acqua deve essere a temperatura corporea e ben miscelata con sale, nella proporzione di un cucchiaino per mezzo litro d’acqua. L’aggiunta di sale assicura che la pressione osmotica dell’acqua sia uguale a quella dei fluidi corporei, riducendo così al minimo qualsiasi irritazione della mucosa. Se si prova una sensazione dolorosa o di bruciore, ciò significa che il sale nell’acqua è troppo o troppo poco.
Stadio 1: Lavaggio delle narici
Riempite il recipiente per neti con l’acqua salata.
State in piedi chinati ad angolo retto, le gambe divaricate, il peso del corpo distribuito in modo uniforme sui piedi e inclinatevi in avanti.
Chiudete gli occhi per circa un minuto e rilassate tutto il corpo.
Inclinate la testa da un lato e leggermente indietro.
Iniziate a respirare dalla bocca.
Inserite delicatamente il beccuccio nella narice che si trova in posizione superiore.
Non si esercita alcuna forza.
Il beccuccio dovrebbe premere saldamente contro la parete della narice così che non ci sia fuoriuscita d’acqua.
Inchinate il recipiente per neti in modo che l’acqua scorra nella narice e non sul viso. Sistemate la posizione del corpo così da far uscire l’acqua attraverso l’altra narice.
Quando, attraverso le narici, sarà passata metà dell’acqua, togliete il beccuccio dalla narice, portate la testa al centro e lasciate che l’acqua defluisca dal naso.
Eliminate il muco dal naso soffiando delicatamente.
Inclinate la testa dal lato opposto e ripetete il procedimento, sistemando il beccuccio nell’altra narice.
Dopo aver completato questo procedimento le narici devono essere asciugate perfettamente.
Stadio 2: Asciugare le narici
State eretti.
Chiudete la narice destra col pollice destro ed espirate e inspirate dalla narice sinistra 5 o 10 volte in rapida successione, enfatizzando l’espirazione come in kapalbhati pranayama.
Ripetete con la narice destra, chiudendo la sinistra.
Praticate ancora una volta con entrambe le narici.
Inclinatevi in avanti all’altezza della vita finché il tronco è orizzontale.
Ripetete il medesimo procedimento ma inclinando la testa verso destra, chiudendo la narice sinistra.
Ripetete ancora, inclinando la testa a sinistra e chiudendo la narice destra.
Infine, ripetete ancora con la testa al centro, respirando da entrambe le narici.
State eretti con i piedi separati. Chiudete la narice destra ed espirate con forza mentre vi piegate rapidamente in avanti dalla vita. Inspirate normalmente ritornando alla posizione verticale. Ripetete 5 o 10 volte.
Ripetete con la narice destra aperta e poi con entrambe le narici aperte.
Se necessario, praticate shashankasana per alcuni minuti.
Durata
Per questa pratica sono necessari circa 5 minuti. Neti può essere praticato una volta al giorno o come suggerito da un insegnante di yoga o uno yoga terapista. Per alleviare gravi raffreddori, catarro nasale o altri disturbi, può essere praticato sino a 3 volte al giorno.
Consapevolezza
Fisica: sul rilassamento e la posizione del corpo, sul far attenzione che non ci sia fuoriuscita d’acqua dal beccuccio della lota e sul respiro rilassato dalla bocca, specialmente per i principianti.
Spirituale: su ajna chakra.
Sequenza
Il momento ideale per praticare jala neti è il mattino, prima di asana e pranayama. Tuttavia, se necessario, può essere praticato in qualsiasi momento tranne subito dopo i pasti.
Precauzioni
L’acqua dovrebbe passare solo attraverso il naso. Se dell’acqua entra nella gola o nella bocca, significa che la posizione della testa deve essere regolata. Assicuratevi che il naso sia completamente asciutto dopo la pratica, altrimenti i passaggi nasali possono irritarsi e manifestare i sintomi di un raffreddore. Non soffiate il naso troppo forte. Se utilizzate la forza, l’acqua rimanente può essere spinta nelle orecchie.
Controindicazioni
Chi soffre di emorragia cronica dal naso non dovrebbe fare jala neti senza il consiglio di un esperto.
Benefici
Jala neti rimuove muco ed inquinamento dai passaggi e dai seni nasali, permettendo all’aria di fluire senza ostruzioni. Aiuta a prevenire e curare disturbi del tratto respiratorio come asma, polmonite, bronchite e tubercolosi polmonare. Aiuta ad alleviare allergie, raffreddori e sinusiti, oltre a vari disturbi di orecchie, occhi e gola, incluse miopia, rinite allergica, febbre da fieno, certi tipi di sordità dovuti al cerume, tonsillite e infiammazione delle adenoidi e delle membrane mucose. Praticare jala neti aiuta a ridurre la respirazione con la bocca da parte dei bambini.
Jala neti allevia la tensione muscolare del viso, i tic nervosi, la paralisi di Bell ed aiuta il praticante a mantenere un aspetto fresco e giovane. Ha un effetto rinfrescante e calmante sul cervello ed è benefico nella terapia di epilessia ed emicrania. Allevia l’ansia, l’ira e la depressione, toglie la sonnolenza e dà una sensazione di leggerezza e freschezza nella testa.
Jala neti stimola le varie terminazioni nervose situate nel naso, migliorando le attività del cervello e la salute generale dell’individuo. Equilibra le due narici ed i corrispondenti emisferi cerebrali, inducendo uno stato di armonia ed equilibrio in tutto il corpo e nei sistemi che governano la circolazione e la digestione. Ancora più importante, tuttavia, è che neti aiuta a risvegliare ajna chakra.
Nota pratica
Jala neti può essere praticato sia in posizione accovacciata che in posizione eretta con le spalle e la testa inchinate in avanti. Quest’ultima posizione è più adatta per praticare neti su un lavandino mentre l’altra può essere eseguita all’esterno. Dopo un po’ di pratica si può usare un’intera lota per ciascuna narice.
Varianti
I praticanti avanzati possono far risalire l’acqua nelle narici direttamente da un bicchiere o una ciotola. Questa è la forma originale di questa pratica ed è chiamata usha paan che significa letteralmente “acqua dell’alba”.
Gli hatha yogi utilizzano, nella pratica di neti, anche altri liquidi invece dell’acqua. Si possono citare latte tiepido – dughd neti, burro tiepido chiarificato o ghi – ghrita neti, o persino yogurt. Se si usa olio anziché ghi, esso deve essere naturale senza additivi chimici. Tuttavia, la forma di neti più potente è quella praticata con l’urina, amaroli, ed è conosciuta come swamutra neti. Questa forma è particolarmente utile per alleviare infiammazioni dei passaggi nasali, sinusiti ed emicrania. Ciascun liquido porta un diverso beneficio. Nessuna di queste varianti, tuttavia, dovrebbe essere tentata senza la specifica preparazione da parte di un guru o un insegnante.
Yoga Sutra di Patanjali
Tratto da Swami Satyananda Saraswati, “Four Chapters on Freedom – Commentary on Yoga Sutras of Patanjali”, Edizioni Yoga Publications Trust, Munger, Bihar, India.
I Capitolo: Samadhi Pada
Sutra 44: Altre forme di samadhi
Etayaiva savichara nirvichara cha suksmavisaya vyakhyata
Etaya: attraverso ciò; eva: di per sé, da solo; savichra: samadhi riflessiva; nirvichara: samadhi non riflessiva; cha: e; grahana: sensi; suksmavisaya: oggetto sottile; vyakhyata: spiegati.
Con questa spiegazione soltanto savichara samadhi, nirvichara samadhi e gli stadi più sottili di samadhi vengono spiegati.
Dopo nirvitarka ci sono altri quattro stadi, ovvero savichara, nirvichara, ananda e asmita. Le parole sukshma vishaya indicano i livelli sottili di samadhi: ananda e asmita samadhi, in cui l’oggetto dell’identificazione è rispettivamente beatitudine e consapevolezza. Negli stati di samadhi prima di savichara lo studente è consapevole di un oggetto, del suo nome, forma e qualità. O questi tre attributi si alternano a vicenda o si percepisce la natura essenziale. In savichara l’intero processo avviene per riflessione, non è presente alcuna forma. È difficile da spiegare. Bisogna sedere tranquilli e meditare su Shiva o altro oggetto. La concentrazione è in forma riflessiva, non c’è pensiero discorsivo.
Il processo di riflessione non usa il linguaggio. Il pensiero ordinario riguarda sempre il linguaggio; ad esempio quando pensiamo alla geografia, alla scienza, alla religione, alla storia, oppure al presente e al futuro, usiamo il linguaggio. Il linguaggio è presente negli stati di savitarka e nirvitarka. Quando il pensiero si svuota del linguaggio è chiamato vichara. In savichara sono presenti tre concetti: tempo, spazio e idea. C’è una differenza tra il sankhya e lo yoga riguardo alla meditazione: nel sankhya non ci sono stati di dharana, dhyana e samadhi. Nel sankhya l’aspirante diventa consapevole di nirahara; non pensa ad alcun oggetto in termini di normale comprensione come si fa con il linguaggio. È consapevole solo della forma della visione. Si tratta di una forma elevata di samadhi. In savichara la mente si alterna tra tempo, spazio e idea. Non c’è fusione. C’è una consapevolezza pura e assoluta di ognuno dei tre concetti separatamente. Tempo, spazio e idea sono chiamati vichara. Non si tratta del pensiero. La definizione di vichara è quello stato in cui la coscienza fluisce senza ancorarsi al linguaggio. Bisogna tener presente che la meditazione sulla forma implica il linguaggio; anche la concentrazione unidirezionale si basa sul linguaggio. Uno studente può superare la base del linguaggio solo se ha un’intuizione improvvisa.
In ananda samadhi si percepisce una pace e beatitudine assolute, ma non si tratta di un’esperienza dei sensi. Quando un particolare discorso mentale in forma di linguaggio è rimosso, si trasforma in savichara. È un piano più profondo di coscienza. In savichara la coscienza è chiamata pratyabhijna, che vuol dire conoscenza illuminata. Essa guida tutti i nostri processi negli stati più profondi della coscienza. In nirvichara spazio, tempo e idea sono rimossi, ma dietro di essi rimane qualcosa d’altro, considerato la natura essenziale del pensiero.
In asmita la consapevolezza è assolutamente pura, non c’è alcun pensiero, non c’é consapevolezza di spazio o tempo, ma c’è una completa comprensione e percezione di tale consapevolezza.
Il Matrimonio
Tratto da Swami Satyananda Saraswati, “Nawa Yogini Tantra”, Edizioni Yoga Publications Trust, Munger, Bihar, India.
Ai tempi vedici matrimonio e spiritualità andavano di pari passo. In quei giorni i rishi erano grihastas, capifamiglia, e i nomi di Vashishta Arundati, Atri e Anusuya, Yagynavalkya e Maitreyi hanno per anni rappresentato sia la somma gioia e fedeltà coniugale sia i più alti risultati spirituali. Tuttavia ai giorni nostri la felicità coniugale sembra essere più una speranza che un dato di fatto per molte donne, un ristagno più che una crescita interiore.
Un miraggio
È un fenomeno di natura mondiale il fatto che le donne sposate siano mentalmente più soggette a disagi mentali rispetto ad altri gruppi della popolazione. Resoconti svedesi indicano che le donne sposate hanno maggiori probabilità di avere disturbi mentali rispetto alle donne nubili. I dati americano riflettono una tendenza internazionale: più bambini ha una donna sposata, più è probabile che soffra di tensioni psicologiche a paragone del marito, di donne che hanno pochi figli e di donne nubili.
La più alta incidenza nell’uso e abuso di droghe si registra non tra la gioventù ribelle, ma tra le casalinghe. Specialmente nei paesi “sviluppati”, le donne si rivolgono sempre più a tonici e preparati che promettono entusiasmo e vitalità per uscire dalla noia e dall’apatia. Le casalinghe, con le loro pene e sofferenze sfuggenti, consumano enormi quantità di medicamenti che non hanno alcun effetto sulla loro insoddisfazione di base. Ovunque un allarmante numero di donne è diventata dipendente da tranquillanti e antidepressivi, e non possono terminare la giornata senza di questi. Questi orrendi particolari, assieme all’aumento del numero dei divorzi (anche nelle società tradizionali) fa sembrare un matrimonio felice solamente un miraggio.
Un mezzo, non un fine
Questi tristi dati di fatto indicano che abbiamo perso di vista il significato del matrimonio nel contesto dello sviluppo spirituale. Sia gli uomini sia le donne, ma soprattutto le donne, vivono il rapporto intimo come un fine di per se stesso, più che come un mezzo per un’ulteriore crescita. Le donne sono condizionate a credere che il matrimonio conferisca loro, automaticamente, sicurezza, motivazione e amore eterno. Ignorano il fatto che, sposate o no, questi risultati richiedono un lavoro incessante su se stesse in forma di risoluto sankalpa e continua disponibilità. Il rapporto tra uomo e donna può apportare una tremenda vitalità, brio e ispirazione, purché intendiamo la relazione non come un obiettivo acquisito, ma come uno sforzo continuo verso la perfezione.
Sicurezza
Molti più rapporti avrebbero successo se non chiedessimo l’impossibile. Ad esempio il matrimonio non può darci sicurezza. La certezza interiore non può essere garantita da circostanze esterne, né conferita da qualcun altro. La sicurezza è una conquista puramente personale. È quell’armonia e fiducia nella propria essenza interiore che deriva dall’autoconoscenza e ci dona un equilibrio che rimane inalterato nonostante gli alti e bassi della vita. La sicurezza materiale è molto più effimera. Le case possono andare a fuoco, le proprietà possono essere rubate, i soldi possono perdere valore al colpo di penna di un truffatore. Non c’è alcuna assicurazione contro la guerra, la malattia o i disastri naturali, né possiamo trovare una sicurezza emotiva completa nei rapporti con gli altri. Nessuno può amarci abbastanza da colmare il vuoto interiore, e l’amore possessivo genera solo apprensione che accentua questo vuoto. Non è la sicurezza, ma l’insicurezza la realtà essenziale della vita, e dobbiamo rendercene conto. Invece di inseguire qualcosa che non esiste, dobbiamo venire a patti con la natura incerta della nostra esistenza. Lo yoga c’insegna a non identificarci con le circostanze esterne, a non attaccarci alle cose che possediamo né alle persone. La solitudine interiore può essere trasformata solo dall’esperienza del sé che è in noi, eterno e incrollabile, e lo yoga ci fornisce i mezzi pratici per alimentare questa esperienza.
Romanticismo e alienazione
Il matrimonio è universalmente associato all’amore, ma molti uomini e donne non riescono a distinguere l’amore dal romanticismo, con il risultato che molti matrimonio si fondano su illusioni e affondano nelle disillusioni.
L’amore vede chiaro: può accettare i difetti, ma non è cieco di fronte ad essi. Invece il romanticismo è una forma di incantesimo in cui uno non vede la reale natura dell’altra persona. Le persone sono attratte vicendevolmente sulla base di certe sensazioni di affinità, una più o meno grande comunanza di idee e sentimenti, il tutto ingrandito dall’attrazione fisica. All’inizio vediamo, l’un l’altro, solo il lato positivo e diamo rilievo a tutti gli aspetti amabili della personalità dell’altro. Invece di vedere il proprio potenziale marito così come realmente è, una donna innamorata vede più spesso una proiezione ideale dei propri desideri e bisogni. I suoi bisogni sono tali che la donna si rende cieca di fronte ai difetti di lui, e si convince che lui abbia qualità che non esistono.
Più tardi questa immagine è destinata a infrangersi sotto il tedio della vita domestica, e quando una donna inizia a vedere il marito in modo più realistico resta delusa. Quando scopriamo gli aspetti della personalità del marito che non ci sono affini, tendiamo a esagerarne i difetti e percepiamo perfino vizi e manchevolezza che non ha. Il romanticismo si trasforma facilmente in rassegnazione e perfino in alienazione.
Nei paesi dove i matrimoni sono combinati, molto spesso non c’è neanche l’attrazione iniziale, e le donne si trovano a vivere con un uomo che è un vero e proprio estraneo. In più la donna è sottoposta alla tensione di imparare a conoscere e adattarsi alla famiglia del marito, che ci si aspetta che tratti con pari affetto e fedeltà.
Noi possiamo amare chiunque
Non c’è alcuna speranza né guadagno spirituale nel soccombere ad una continua revulsione. Dobbiamo ricordare che possiamo imparare ad amare chiunque. Ognuno ha delle qualità per le quali possiamo rispettarlo e amarlo. Più che focalizzarci sugli aspetti sgradevoli della personalità, dobbiamo imparare a metterne in evidenza le virtù.
In un giardino troviamo bellezze di molte forme. Alcuni fiori hanno una forma affascinante, un colore straordinario, ma non hanno fragranza. Altri hanno un aspetto semplice e modesto, ma ci inebriano con il loro profumo. Certi fioriscono al sole, altri hanno bisogno di proteggersi all’ombra. Tuttavia noi apprezziamo ogni fiore per quello che è e non gli chiediamo di essere differente. Anche se abbiamo preferenze istintive, se guardiamo ogni fiore abbastanza attentamente scopriamo caratteristiche e accordi che ci incantano.
Lo yoga ci incoraggia a estendere lo stesso apprezzamento e tolleranza alle nostre relazioni, e ci dà i mezzi pratici per farlo concretamente e non come pietoso luogo comune. Ovviamente imparare a amare qualcuno per il quale avevamo sviluppato avversione non è facile, perché richiede una costante attenzione e rifiuto di ciò che di meschino e irragionevole c’è in ognuno di noi. Ma dobbiamo accettarlo come una necessità spirituale o continueremo a soffrire di frustrazioni e solitudine per tutta la vita. Quando, attraverso il sadhana, si stabilisce un collegamento vitale con il divino che è in noi, gradualmente giungiamo a rispettare e gioire realmente e genuinamente per il miracolo unico costituito da ogni persona che incontriamo nella vita.
Il matrimonio come sadhana
La depressione e l’insoddisfazione di molte donne sposate si verifica perché non riescono a riconoscere e accettare il matrimonio come un sadhana. La trasformazione della personalità esteriore e il raffinamento della natura interiore non sono processi facili, e non dobbiamo aspettarci che il matrimonio sia sempre una cosa facile. Ma una volta che comprendiamo come usare l’esperienza coniugale e la vita famigliare a questo scopo, allora la nostra vita assumerà un nuovo obiettivo e significato, e troveremo nuova forza e nuova gioia.
“Unire le esistenze fisiche e gli interessi materiali, affrontare assieme difficoltà e successi, sconfitte e vittorie: questa è la vera base del matrimonio. Ma sapete già che non è sufficiente.
…Essere un solo individuo nelle aspirazioni e nella crescita, avanzare allo stesso passo lungo il sentiero spirituale: è questo il segreto di un’unione duratura”. (La Madre, Aurobindo Ashram)
In India una donna, per tradizione, ama e onora il marito come il proprio guru. E lui la ama e la onora come una devi, una dea. Questo non vuol dire che uno dei due sia superiore, ma significa che l’atto d’amore è veicolo di trasformazione, e che lo scopo del matrimonio è aiutarsi a vicenda a crescere di più che se si fosse soli.
Per prima cosa dobbiamo renderci conto che le situazioni difficili e gli elementi che non ci piacciono nelle altre persone possono fungere da notevoli fonti d’insegnamento, perché ci indicano le nostre resistenze, pregiudizi e blocchi emotivi. Quello che non ci piace negli altri è spesso una qualche qualità che esiste ignorata in noi stessi, o che va a toccare un nostro punto debole. Sono le nostre resistenze e attaccamenti che rendono certe situazioni sgradevoli o frustranti. Quando confrontiamo situazioni che si ripetono, dobbiamo chiederci: “Cosa imparo da ciò?”. Se siamo sinceri e attenti alla nostra voce interiore, una data situazione produrrà un dono d’intuizione e saremo liberi da una limitazione in più.
Un marito può imparare molte cose dal modo di fare e di essere della moglie, e similmente una donna può acquisire certi pregi e qualità del marito che possono mancarle. Con l’ispirazione e l’aiuto di una relazione d’amore rafforziamo la volontà e possiamo abbandonarci alle forze della trasformazione. È molto più facile aprirci a qualcuno che ci è vicino e per il quale proviamo rispetto e amore che abbandonarci a un ideale astratto e distante.
Come covoni di grano egli ti raccoglie in se stesso.
Egli ti trebbia per renderti nudo.
Egli ti passa allo staccio per liberarti dalla scorza.
Egli ti macina fino al candore.
Egli ti impasta fino a renderti flessibile.
E poi ti destina al suo fuoco sacro
perché tu possa diventare sacro pane per
il sacro banchetto di Dio.
L’amore opererà tutto ciò in te affinché
tu possa conoscere i segreti del tuo cuore, e in questa conoscenza
diventare un frammento della vita del cuore.
(Gibran)
Karma sannyasa
(Un discorso di Gurudev, Swami Satyananda Saraswati)
Durante grihasthashram siete immersi nel karma, e questo karma ne crea altro. Questi karma creano dei samskara a cui vi trovate legati a causa di anasakti o coinvolgimento. Si può relazionarsi con la famiglia, con i figli, con le responsabilità e con gli obblighi con un atteggiamento che può essere sia di totale attaccamento sia di totale distacco. Però ci è stato insegnato a basare le nostre relazioni solo sull’attaccamento. Nessuno ci ha mai mostrato come vivere con i nostri parenti, adempiere i nostri doveri, risolvere i problemi e interagire con famigliari, amici, beni, soldi, proprietà con distacco. L’arte di vivere una vita distaccata è chiamata karma sannyasa.
Il distacco non è qualcosa che può essere sviluppato solo con il pensiero o attraverso un processo intellettuale. A meno di non avere qualche esperienza che cambi la qualità della mente, non si può comprendere cosa significhi il distacco. Per comprendere anasakti, vayragya, sannyasa o il distacco occorre di più di un semplice processo intellettuale. Bisogna avere una differente qualità della mente. E a questo scopo la mente deve essere allenata ed educata.
A livello intellettuale si sa che niente ci appartiene e tutto è temporaneo. Si può ripeterlo ogni giorno, ma a causa della grande quantità di mamata, “senso del mio” e attaccamento, qualsiasi cosa accade a qualcun altro coinvolge anche noi.
Si può leggere tutto lo “Yoga Vashistha”, ma se succede qualche incidente nella nostra famiglia si finisce per avere una ricaduta emotiva, perché lo “Yoga Vashistha” non ci ha apportato una basilare trasformazione nella struttura della consapevolezza. Ha solo esteso il nostro ambito intellettuale. Al massimo si può dire “Oh, la vita è temporanea”, ma si resterà lo stesso colpiti dalla disgrazia. Occorre una trasformazione nella sfera della consapevolezza e ciò può essere indotto dalla pratica di dhyana yoga, dell’introspezione, del mantra e di tecniche simili.
Molte persone conducono una vita in famiglia non perchè l’apprezzano o pensano che abbia una sua dignità, ma perché sottostanno a coercizioni psicologiche, emotive o sociali. Se non ci fossero queste coercizioni, non penso che piacerebbe loro una simile vita. Questo vuol dire che non capiamo il ruolo appropriato che ha grihasthashram nella nostra evoluzione. La vita in famiglia è stata solo un modo per sprecare la mente su oggetti sensuali? Non è un gradino in più verso la realizzazione? Perché i Veda hanno creato questa regola? Qual è il suo scopo? Qual è il risultato? Il piacere? O l’autorealizzazione?
Grihasthashram è un gradino. Non è un fine in se stesso. Da grihasthashram bisognerebbe salire a vanaprasthashram o quello che io chiamo karma sannyasa. Quando si può salire a vanaprasthashram? A cinquantasei anni quando si ha il primo infarto? O a settantasei anni quando si è completamente senza energia? No, il momento per capire che grihasthashram è un mezzo e non un fine, e che nella vita bisogna sviluppare una consapevolezza più profonda e più elevata, più duratura, salda e costante è ora. Chiedete al guru un dhoti geru, un nome spirituale, una filosofia di vita e uno scopo.
Un karma sannyasin ha un obiettivo. Un grihastha non ha un obiettivo, sta solo vivendo. I fondi di previdenza, le proprietà, i beni, l’educazione dei figli: non possono costituire l’obiettivo o il destino. Un karma sannyasin ha un unico obiettivo, non due, e la sua meta è unica. Non possono esserci due mete finché si tratta dell’intera esistenza cosmica. Ogni essere animato o inanimato, mobile o immobile, tutti i vegetali, i minerali, i mammiferi, i rettili, gli uomini, i rakshasa o i deva, si muovono verso un’unica meta che è chiamata perfezione. Ciò si chiama purna o paramatma tattwa. Si può chiamarla dio, nirvana, vaikuntha o kaivalya, ma il significato è lo stesso. La meta è solo una, e quando ci viene dato questo obiettivo dal guru si è un karma sannyasin.
Una volta all’anno recatevi ad un ashram, senza la famiglia, da soli. Rasate il capo a zero, mettete il geru, dormite per terra, mangiate solo una volta al giorno, praticate una completa brahmacharya (in pensiero, parole e azioni), e vivete come un purna sannyasin: senza sigarette, senza radio, senza giornali, senza politica, senza affari, senza compere, ma solo con una cosa, il sadhana. Il guru vi dirà cosa fare: japa, likhit japa, la lettura dello “Yoga Vashishtha” o della “Bhagavad Gita”, o la pratica di asana. Se non vi dà istruzioni, lavorate in cucina o in giardino.
Anche se praticate la vita da sannyasin solo per quindici giorni, ciò vi arricchirà di esperienze molto profonde e durature, e vi renderà un individuo nuovo di mente e personalità. Poi, quando tornerete a grihasthashram, vedrete le cose con occhi differenti. Potranno esserci nascite e morti, matrimoni, litigi e dispute, ma potrete occuparvene come una persona diversa.
Quando parlai del karma sannyasa, qualche anno fa, la gente non lo comprendeva, ma ora sempre più persone iniziano ad accettare questa filosofia. Non dovete indossare il geru in ufficio, non è necessario. Quando siete un karma sannyasin dovete svolgere perfettamente il vostro ruolo famigliare, ma con un atteggiamento interiore da sannyasin. Il karma sannyasa deve diventare l’ordine del giorno, e ciò può valere come vanaprastha. Non aspettate di ritirarvi. Anche quando siete sposati, in grihasthashram, potete essere un karma sannyasin.
Meditazione Inconscia
Tratto da Paramahansa Satyananda, “Meditations from the Tantras”, Edizioni Yoga Publications Trust, Munger, Bihar, India.
Sedetevi calmi con la colonna vertebrale diritta.
Rendete la posizione stabile. Non è necessario iniziare la meditazione subito. Prima di iniziare la meditazione dovete stare seduti per cinque o dieci minuti. Non iniziate ora.
Mediterete per venti minuti. Io guiderò la meditazione.
La prima regola della meditazione riguarda il momento in cui ci si siede per meditare, non bisogna iniziare subito.
Aspettate qualche minuto, i modo da rendere il corpo o la condizione fisica stabile, lasciate passare un po’ di tempo per calmare l’eccitazione fisica e osservate i vostri pensieri.
Domandatevi: “Cosa sto pensando?”
Guardate i vostri pensieri. Non sospendete i pensieri, non sopprimete nessun pensiero, lasciate che i pensieri vengano e osservateli.
Fate uno sforzo particolare per scoprire cosa state pensando.
“Sto pensando?”
“A cosa sto pensando?”
Osservate ogni pensiero; non diventate pensatori, ma osservatori.
Non perdetevi nei pensieri, mantenetevi distaccati dal processo del pensiero.
Non identificatevi con i vostri pensieri, rimanete uno spettatore imparziale del pensiero.
Non serbate odio o amore per un pensiero, non rincorretelo, non sopprimetelo, non evitatelo, lasciatelo venire.
Continuate a guardare con molta attenzione, continuate, osservate ogni pensiero e, se non ci sono pensieri, osservate anche questa condizione.
Se c’è agitazione mentale, non sopprimetela, cercate di guardare come uno spettatore imparziale; qualsiasi pensiero felice o doloroso, guardatelo in modo imparziale.
Esponete ogni pensiero alla coscienza, di fronte alla coscienza.
Se non ci sono pensieri, siate coscienti anche di ciò.
Se c’è ansia, guardatela, se c’è inquietudine, cercate di avere un atteggiamento da spettatori, se c’è pace, guardatela.
Non identificatevi con la pace, con l’inquietudine, con il dolore o l’ansia.
Mantenetevi distanti e dite: “Io non sono colui che pensa, io sono solo lo spettatore dei miei pensieri. Non sono coli che sente, sono lo spettatore del sentire”.
Siate coscienti di stare ascoltando le mie istruzioni.
Se sentite qualche rumore esterno di disturbo, non reagite, siatene testimoni, concentratevi sul rumore di disturbo e andate oltre; poi concentratevi sui pensieri disturbanti e superateli, concentratevi sui cattivi pensieri e superateli, concentratevi su ogni sorta di pensiero e superatelo.
Non sopprimete assolutamente alcun pensiero. Se non c’è alcun pensiero, cercate di prenderne atto e dite: “Non c’è alcun pensiero, c’è il vuoto”.
Non reagite di fronte ad alcun pensiero, non reagite per nessun disturbo esterno e per nessuna esperienza interna.
Cercate di vedere il processo del pensiero come si assiste a uno spettacolo televisivo.
Siate consci di tutto.
“Io non sono colui che pensa, sono lo spettatore.
Non sono colui che pensa, sono lo spettatore.”
Tra poco s’intonerà la Om.
Io la canterò una volta, e voi dopo di me.
Per favore ascoltate con attenzione.
In ujjayi inspirate e salite dal basso verso l’alto. Ascoltate con attenzione, inspirate e salite a partire dalla base della colonna vertebrale. Inspirate e salite con ujjayi, e mentre intonate un sonoro Om, scendete alla base. Inspirando salite, espirando scendete assieme al respiro e cantate Om.
Io lo farò una volta e voi mi seguirete.
Ommm.
Fate salire il respiro e intonate Om, inspirate e fate salire il respiro, intonate Om, inspirate verso l’alto, intonate Om, inspirate e fate salire il respiro lungo la colonna vertebrale, intonate Om. Procedete per otto volte.
Ora praticate ujjayi nella colonna vertebrale.
Procedete. Fate ruotare la mente nella colonna vertebrale con l’ispirazione e l’espirazione.
Cercate di sentire che il respiro circola nella colonna vertebrale, dalla base alla sommità.
Procedete con grande consapevolezza e non producete suoni forti.
Cercate di far sì che il suono che emettete sia il più impercettibile possibile per gli altri.
Inspirate e espirate in modo da poter essere uditi distintamente da voi stessi.
Prolungate il respiro, respiri profondi, lunghi e sottili.
La durata del respiro e il percorso dalla base alla sommità della colonna vertebrale devono essere sincronizzati.
Il respiro deve essere assolutamente percepibile da voi, dovete essere in grado di ascoltare questo magico respiro, il respiro della vita.
L’energia andrà su e giù per la colonna vertebrale in virtù della vostra forza di volontà.
Salite e scendete in base al respiro.
Fate salire e scendere la coscienza lungo la colonna vertebrale solo sulla base del respiro.
Il respiro deve essere percepibile da voi.
Deve essere rilassato,
internamente libero,
prolungato,
deve essere percepito lungo la colonna vertebrale,
è una corrente sottile,
è un sottilissimo e lunghissimo fluire di suono,
e va su e giù lungo la colonna vertebrale.
Cercate di dirigerlo diritto dal fondo alla sommità e dalla sommità al fondo.
La colonna vertebrale è la strada, il respiro la base.
La coscienza va su e giù.
Il respiro deve essere puro e finissimo, quasi impercettibile agli altri.
Mantenetevi consci del respiro per tutto il tempo se volete continuare la pratica.
Deve esserci una consapevolezza prolungata.
“Io sto respirando.
Sto respirando su e giù.
Respiro verso l’alto e respiro verso il basso.”
Per tutto il tempo dovete pensare che la colonna vertebrale sia una strada, la base l’inizio, la sommità la fine.
Dalla base alla sommità inspirate, dalla sommità alla base espirate, il respiro è sempre più fine.
Continuate.
“Sto respirando, sto respirando”.
Continuate in questa maniera.
Approfondite un po’ di più la concentrazione, ancora per tre minuti.
Conducete la mente nella colonna vertebrale, ancora per un po’.
Sincronizzate il vostro mantra con inspirazione ed espirazione, se non avete un mantra usate Soham.
Se avete un mantra sincronizzatelo con il respiro, se non avete un mantra praticate So con l’inspirazione e Ham con l’espirazione.
La colonna vertebrale è la strada, il respiro è la base e il mantra è il prodotto.
Concentratevi sul processo del respiro, concentratevi sul mantra.
Per due minuti, con intensa concentrazione.
Ritirate la mente dalla colonna vertebrale e portatela nella parte interna della fronte. Ritiratela dalla colonna vertebrale e da qualsiasi altra zona.
Cercate di vedere la parete interna della fronte dal di dentro, come se la parte interna della fronte fosse la parete di una stanza.
Guardate la parete interna della fronte dal di dentro, portate la mente alla corona della testa dal di dentro, come se fosse il soffitto di una stanza.
La parete interna di una casa. Andate alla sommità del capo dal di dentro.
Guardate la parete interna della sommità del capo dal di dentro.
Portate la mente sul retro, cercate di vedere il retro della testa dal di dentro, la parete interna del cervelletto.
Ora tornate alla parete interna della fronte,
la copertura della corona,
la copertura della sommità del capo,
la parete interna posteriore,
la parete interna della tempia destra,
la parete interna della tempia sinistra,
la parete interna della fronte,
la copertura della corona,
la copertura della sommità del capo,
la parete interna del retro,
la parete interna della tempia destra,
la parete interna della tempia sinistra.
E poi il pavimento.
Ancora la fronte,
la copertura della corona,
la copertura della sommità del capo,
il retro,
la parete destra,
la parete sinistra,
come se foste in una stanza.
Ora guardate tutte le pareti della stanza.
Guardate con attenzione la parete frontale,
la copertura della corona,
la copertura della sommità del capo,
la parete posteriore,
la parete destra,
la parete sinistra,
il pavimento,
la fronte,
la corona,
la sommità,
il retro destro,
la destra,
il retro sinistro,
la sinistra,
il pavimento.
Ancora la fronte,
la copertura della corona,
la copertura della sommità,
la parete posteriore,
la parete destra,
la parete sinistra,
il pavimento e la parte posteriore.
Nella zona posteriore del pavimento cercate di vedere un’apertura verso il basso che sbocca nella colonna vertebrale. È un passaggio molto stretto attraverso il quale la coscienza scende nella colonna vertebrale.
Siete in una stanza con il pavimento; nella parte posteriore c’è una piccola apertura verso il basso.
Ripetete di nuovo.
Siete nella stanza, vedete la parete di fronte, il soffitto, la parete posteriore, la parete destra,la parete sinistra, il pavimento, la zona anteriore con un’apertura.
Divenite consapevoli dell’ambiente esterno.
Non aprite gli occhi, ma cambiate posizione e rilassatevi.
Rilassatevi completamente, ma non dormite.
Non aprite gli occhi, ma cambiate posizione del corpo.
Ora ricordate quello che avete fatto.
Dapprima vi siete preparati per la meditazione, poi la consapevolezza del respiro, poi la Om, la concentrazione sul respiro nella colonna vertebrale, la pratica del mantra nella colonna vertebrale, la concentrazione sullo spazio interno.
Ora potete aprire gli occhi.
Hari Om Tat Sat
Surya Namaskara – Gli effetti sui muscoli
Tratto da Swami Satyananda Saraswati, “Surya Namaskara”, Edizioni Satyananda Ashram Italia.
Il capitolo seguente presenta un elenco degli effetti di surya namaskara sui muscoli del corpo, la maggior parte dei quali viene esercitata con la pratica. Questo capitolo è rivolto specificatamente agli insegnanti di yoga e terapeuti, come una guida per sviluppare una tecnica ed un fisico migliori. È anche rivolto alle persone che vogliono capire esattamente cosa stanno facendo a livello fisico e quindi migliorare la pratica attraverso la consapevolezza di quale muscolo dovrebbe essere rilassato, teso o allungato.
Forza
È importante ricordare che surya namaskara non cerca di rendere i muscoli ipersviluppati o ipertrofici. Piuttosto si propone di allungare, tonificare e riallineare la struttura muscolare-scheletrica, ristabilendo lentamente una migliore postura e salute, reintegrando una più completa funzione vitale dell’organismo attraverso questo riallineamento. Dobbiamo vedere i nostri muscoli in prospettiva di un’armoniosa interrelazione con gli altri organi del corpo.
Ogni muscolo è formato da un certo numero di fibre ed ogni fibra è formata da segmenti scorrevoli che si adattano uno all’altro come un regolo calcolatore o una porta scorrevole. Vi è un certo allineamento di fibre che permette un’efficienza ottimale. Se la posizione di riposo viene spostata da un allineamento ottimale, la forza che ogni fibra può fornire a tutto il muscolo, diminuisce. La forza non è strettamente in funzione della massa muscolare, ma è più una conseguenza del consolidamento e dello sforzo coordinato delle fibre individuali entro il muscolo. Se vi è eccessiva tensione, le fibre muscolari non si allungano sufficientemente e la forza diviene quindi in funzione del numero di fibre piuttosto che della coordinazione. Normalmente questa è la situazione dei “body builders”. Se le fibre del muscolo sono troppo lunghe potrebbero non funzionare.
Equilibrio
La gravità esercita una forza su tutti gli oggetti materiali. Ogni parte e segmento del corpo umano ha un centro gravitazionale attorno al quale funziona. Ogni centro di gravità influenza anche il centro di gravità del corpo. Questo centro di gravità cambia continuamente secondo la posizione del corpo. Sdraiati o seduti, mantenendo una posizione eretta, o in movimento, il concetto di equilibrio è sempre presente. L’equilibrio fisico può essere mantenuto solo se la gravità viene neutralizzata. Questo avviene attraverso:
la pressione delle articolazioni una sull’altra,
la resistenza dei legamenti,
prolungate contrazioni muscolari coordinate dal sistema nervoso sensitivomotorio.
L’equilibrio del corpo migliora a mano a mano che aumenta l’area di contatto con la superficie d’appoggio perché il centro di gravità si abbassa. L’equilibrio non è una cosa statica. Esso richiede un continuo adattamento in relazione alle oscillazioni della posizione, movimenti, ciclo del respiro e livello di consapevolezza.
Il cervelletto, situato dietro al cervello, ha un ruolo essenziale nel mantenimento dell’equilibrio del corpo. È qui che gli impulsi uditivi, visivi, sensoriali e muscolari si incontrano e sono integrati per determinare e mantenere il nostro continuo stato posturale attraverso un continuo feedback e riassestamento, a livello inconscio del sistema nervoso autonomo (vegetativo).
Calma
Nello yoga, prima di assumere una nuova posizione, la consapevolezza della posizione di partenza è di grande importanza. La calma è necessaria sia in questo caso sia prima di iniziare qualsiasi pratica spirituale o lavoro importante. In pranamasana, per esempio, dovreste prima divenire consapevoli dell’ininterrotta attività dei muscoli posturali per mantenere l’equilibrio statico. Datevi l’opportunità di sviluppare la consapevolezza di questo sottilissimo lavoro. Questo sviluppa una consapevolezza nuova e più elevata che potrete portare alle posizioni più dinamiche. Dobbiamo cercare di sviluppare il delicato equilibrio esistente fra la tensione ed il rilassamento muscolare.
Pranamasana
Pranamasana è una posizione di calma, di tranquillità e stabilità. È il simbolo di quello stadio dello sviluppo evolutivo dell’uomo quando divenne eretto. Quindi, in pranamasana, ci occupiamo dei muscoli responsabili del mantenimento della posizione eretta.
Altri muscoli importanti nei quali è mantenuto un tono di riposo per poter stare in pranamasana sono:
polpacci: soleo, tibiale anteriore, popliteo
cosce: adduttori, tendini (bicipite femorale, semitendinoso, semimembranoso)
tronco: i muscoli spinali e quelli anteriori dell’addome sono essenziali
area scapolare: trapezio, romboide
collo: muscoli anteriori e posteriori sono necessari per mantenere la posizione del collo e il capo eretto.
Posizione eretta
I muscoli responsabili della posizione eretta sostengono la colonna vertebrale e ne mantengono la curvatura, fanno muovere le gambe e sostengono la testa. Sono:
1 Piedi e parte inferiore delle gambe: i muscoli anteriori della parte inferiore delle gambe, che estendono o sollevano le dita dei piedi e muovono i piedi costantemente verso l’alto, adattano il centro di gravità del corpo in modo da portarlo in avanti sulla base. Con gli occhi aperti, e poi chiusi, portate la consapevolezza a questo punto più basso di adattamento, e fate esperienza dello stato di equilibrio muscolare dinamico richiesto per mantenere l’equilibrio
2 Anche: i muscoli psoas sono essenziali per portare la colonna vertebrale nella posizione umana eretta. Gli psoas uniscono le gambe al tronco, collegando i processi trasversi delle vertebre lombari con il piccolo trocantere del femore (sopra ed esternamente al femore), su ogni lato. È questo un muscolo che dà all’area lombare la sua caratteristica curvatura in avanti, portando il centro di gravità del tronco in avanti, sopra ed in mezzo ai piedi. La sua funzione è quella di aiutare il corpo ad adattare la sua posizione nello spazio. Il muscolo psoas si contrae e si rilassa costantemente per adattare la posizione. Esso agisce in un procedimento dinamico.
L’azione dello psoas è modificata dall’azione del diaframma, una sottile lamina muscolare orizzontale, responsabile della respirazione. Le fibre inferiori del diaframma accentuano la curvatura del rachide lombare portandolo in avanti. Il diaframma si contrae ad ogni respirazione e perciò interessa gli psoas, la posizione e l’equilibrio. Possiamo così capire meglio quanto debba essere sottile e sensibile il controllo di questi muscoli che regolano il corpo. È anche facile vedere che la tensione che impedisce a questi muscoli di agire pienamente, interferisce con la posizione, bloccando il bacino, causando un’eccessiva curvatura, o altre disfunzioni strutturali e alla fine funzionali.
3 Tronco: il quadrato dei lombi ha origine dalla cresta iliaca (nell’anca) e dal legamento ileolombare (cingolo pelvico) ed è collegato all’ultima costola ed alle prime quattro vertebre lombari. Adatta il centro di gravità del tronco sulle gambe.
4 Colonna vertebrale: i corti e profondi muscoli trasverso spinali che corrono obliquamente verso l’alto dai processi trasversi alle apofisi spinose delle vertebre sono i maggiori muscoli posturali implicati nel mantenere la colonna vertebrale eretta. Sono aiutati dagli intertrasversi, piccoli muscoli tra i processi trasversi delle vertebre, dagli interspinosi, posti a coppia tra i processi spinosi di vertebre contigue. In aggiunta i muscoli trasversospinali trasmettono gli impulsi nervosi ad altri muscoli posturali davanti e dietro la colonna vertebrale per mantenere la sostenuta contrazione muscolare che mantiene il tronco eretto e fermo.
5 Testa: è mantenuta eretta dai muscoli spleni della testa, scaleno medio e scaleno posteriore che sostengono il retro della colonna vertebrale cervicale e centrano la testa sul tronco permettendole di muoversi avanti e indietro.
Questi muscoli posturali, nella posizione eretta, sono esercitati durante tutte le posizioni in piedi e non saranno messi in evidenza nelle descrizioni di queste asana, se non specificatamente esercitati nell’asana interessata.
Migliorare la postura
Per migliorare la postura durante pranamasana provare i seguenti suggerimenti:
1 Per ridurre la curvatura lombare contrarre leggermente i glutei (natiche) mentre simultaneamente si mantiene la parete addominale leggermente contratta all’interno. I muscoli trasversi dell’addome, che formano il piano muscolare più profondo della parete addominale (che si estendono dalle creste iliache alla dodicesima costola e alle superfici interne delle ultime cartilagini costali) agiscono sul contenuto addominale. La pressione del diaframma e del trasverso dell’addome stabilirà una pressione intra addominale e intra toracica e, nel caso specifico di pranamasana, manterrà il bacino e la regione lombare nella corretta posizione.
2 Per rafforzare la regione cervicale e aumentare l’altezza, portare il mento leggermente indietro verso la parete anteriore del collo senza abbassare la testa. In questo movimento sono coinvolti i muscoli sternocleidomastoidei, che hanno origine dallo sterno e dalle clavicole e s’inseriscono sulla porzione mastoidea dell’osso temporale dietro le orecchie.
Mentre si allunga la testa verso l’alto, sentire l’estensione lungo la colonna vertebrale e visualizzare l’energia che fluisce verso l’alto. Questo può essere fatto assieme o al posto della consapevolezza in anahata chakra. Questo aspetto della pratica è un chiaro esempio del principio tantrico più fondamentale: usare il corpo per trascendere il corpo. In pranamasana possiamo usare la consapevolezza muscolare e l’allungamento del corpo per aiutare l’ascesa della coscienza a livelli superiori. Pranamasana è molto più di un semplice rimanere in piedi con le mani nella posizione di preghiera.
Hasta uttanasana
In hasta uttanasana, posizione 2 e 11 di surya namaskara, il praticante apre se stesso e comunica con l’immensa potenzialità e forza che il sole rappresenta per l’uomo. Questa posizione è stata a lungo parte delle tradizioni spirituali e occulte che invocavano la grazia e il potere delle forze superiori. Per aprire se stesso al fuoco cosmico, il praticante spinge leggermente in avanti il plesso solare (manipura chakra) e quindi il bacino. Il centro di gravità del corpo viene così ulteriormente spostato in avanti tra i piedi. Le braccia sono tese verso l’alto, in contatto con le orecchie e la testa piegata indietro guarda verso l’alto, allungando la parte anteriore del collo e comprimendone il retro.
Il corpo fa esperienza di un completo allungamento anteriore e di una leggera contrazione posteriore, assumendo una leggera curvatura dai piedi alla testa, come se fosse teso come un arco da potenti forze spirituali. Cercate di rilassarvi nella posizione. Spingete il torace leggermente in avanti accentuando leggermente la curvatura della parte alta del orso. Praticato rilassatamente, questo aiuta ad aprirsi verso le forze cosmiche, praniche e spirituali.
In questa posizione il mantenimento dell’equilibrio può essere un po’ difficoltoso poiché alzando le braccia si alza il centro di gravità e può derivare una certa tensione nel cercare di spingere con troppa intensità il torace in avanti. Quindi, all’inizio dovrebbe essere praticata gradualmente aumentando la curvatura anteriore man mano che si perfeziona la posizione. Per mantenere questa posizione vengono usati i seguenti muscoli:
Braccio e spalla: dalla scapola all’omero (osso del braccio) muovono l’arto i muscoli grande e piccolo rotondo, deltoide, coracobrachiale. Anche il grande dorsale, che origina dalle ultime sei vertebre toraciche, dal sacro, dalla parte posteriore della cresta iliaca e dalle ultime quattro costole, e si inserisce sull’omero, estende il braccio.
Avambraccio: il tricipide brachiale estende l’avambraccio.
Polso: le dita e le mani vengono anche estese dal palmare breve, che tende i palmi; dall’estensore comune delle dita, che origina dall’epicondio dell’omero e si inserisce su ognuna delle tre falangi delle dita, che estende il polso e le dita, come fa l’estensore ulnare del carpo; dall’estensore radiale lungo e breve del carpo.
Dorso: trapezio e grande dorsale sono contratti con lieve enfasi sulle natiche.
Parte anteriore: il dentato anteriore sul torace espande la gabbia toracica ed aumenta la capacità respiratoria. I muscoli addominali sono allungati, compreso il retto dell’addome, una fascia muscolare nel centro dell’addome, che corre dal pube fino alla quinta, sesta e settima costa, l’obliquo esterno ed interno, il trasverso dell’addome.
Padahastasana
Questa posizione è completamente opposta alla 2. Da un potente allungamento verso l’alto si va ad un potente allungamento verso il basso. Dopo aver invocato le forze divine l’uomo le porta alla terra toccando il suolo e trasformando così la sua esistenza terrena. L’uomo si abbandona alla forza di gravità e la utilizza coscientemente.
Padahastasana è una posizione passiva nella quale i muscoli posteriori del corpo ricevono un maggiore allungamento mentre il tronco si flette sulle gambe. Le mani, con i palmi aperti, sono poste accanto ai piedi o anche dietro il corpo in modo da allungarlo ulteriormente. Questa è una posizione invertita con swadhisthana chakra in alto. Sono coinvolti i seguenti muscoli:
Tronco: lo psoas e l’iliaco (che origina dalla fossa iliaca e si inserisce sul tendine dello psoas) flettono il tronco in avanti.
Addome: i muscoli sono rilassati.
Collo: lo sternocleidomastoideo e lo scaleno (dalle vertebre cervicali alle prime due coste) flettono il capo in avanti.
Dorso: si ha l’allungamento dei muscoli paravertebrali, grande dorsale (lombare basso e toracico), ileocostale (lombare, dorsale e cervicale), semispinale del collo e semispinale del capo, trapezio, grande e piccolo rotondo, interspinosi.
Braccia: l’allungamento delle braccia e della testa è come per hasta uttanasana, soprattutto nel tricipite.
Natiche: il grande e piccolo gluteo sono allungati.
Gambe: tendini sul retro delle cosce, soleo e popliteo nei polpacci e anche gli estensori delle dita dei piedi che mirano a mantenere la postura, sono tutti esercitati.
Ashwa sanchalanasana
La pratica di surya namaskara può essere considerata, per colui che la pratica, come un metodo per sviluppare la consapevolezza dello spazio. Dopo aver misurato ed esplorato lo spazio raggiunto dalle braccia nelle posizioni 2 e 3, dalla posizione 4 colui che pratica inizia ad esplorare lo spazio estendendo una delle sue gambe più indietro possibile. Lo spazio tra i piedi separati costituisce il territorio coperto da un individuo in surya namaskara e questo spazio sarà esplorato nelle posizioni seguenti. Ma prima egli deve “conoscere” lo spazio che può coprire nella posizione 4.
In questa posizione asimmetrica i principali muscoli usati sono quelli degli arti inferiori. Anche se il centro di gravità è più basso, il mantenimento dell’equilibrio è più difficile perché la base della posizione non è ampia e la posizione è asimmetrica. Mettendo le mani accanto ai piedi si allarga la base e si migliora l’equilibrio. I muscoli usati per estendere il dorso e la testa indietro sono gli stessi che per hasta uttanasana, la principale differenza è che questo movimento è più accentuato e le braccia sono abbassate al suolo.
Il maggiore allungamento in quest’asana si ha anteriormente sulle cosce, nelle anche, nei muscoli addominali, così come nel dorso e nel collo.
Si assumerà la seguente posizione delle gambe:
Gamba avanti: dorso flessione della caviglia, flessione del ginocchio, flessione dell’anca. Il grande gluteo e i tendini sono tesi. Gli altri muscoli della gamba sono rilassati.
Gamba dietro: sostegno sulle dita dei piedi (estensione), dorsoflessione passiva della caviglia, leggera flessione del ginocchio. Sono allungati il quadricipite femorale e lo psoas.
Parvatasana
La posizione della montagna è, come ci si aspetta da questo nome, una posizione simmetrica, stabile. È una posizione semiinvertita nella quale l’equilibrio è ottenuto aumentando ulteriormente l’ampiezza della base, portando indietro il secondo piede.
L’allungamento principale di questa posizione è nel retro del collo, nella parte alta del dorso e posteriormente nelle gambe. I muscoli coinvolti nel movimento sono nelle braccia, che sono rafforzate. Il resto dell’allungamento è passivo. I muscoli allungati comprendono:
Polpacci: soleo, popliteo, tendine d’Achille (dietro nella caviglia).
Cosce: tendini. I glutei sono leggermente allungati.
Tronco: i muscoli addominali sono leggermente tesi: i principali muscoli del dorso coinvolti sono il lunghissimo del torace, il trapezio, il grande dorsale, grande e piccolo rotondo (che sono pure coinvolti nel movimento delle braccia). I muscoli delle spalle sono contratti attivamente, mentre le braccia sono tenute estese e dritte.
Ashtanga namaskara
Questa è una posizione di abbandono ai vincoli e ai legami terreni. I seguenti muscoli sono coinvolti:
Caviglie e dita dei piedi: le dita dei piedi sono estese passivamente allungando l’estensore lungo delle dita e l’estensore lungo dell’alluce; le caviglie sono estese passivamente, allungando il tibiale anteriore (dalla parte alta della tibia all’interno del piede).
Ginocchia: le ginocchia sono flesse dai tendini sul retro delle cosce.
Parte superiore della gamba: lo psoas maggiore e l’iliaco flettono la coscia mentre lo psoas minore flette il tronco.
Collo: è esteso indietro dal lunghissimo del collo (dalla quarta e quinta vertebra dorsale alla seconda fino alla sesta vertebra cervicale), il lunghissimo del capo (si estende dall’osso occipitale e dalla settima cervicale alla dodicesima vertebra dorsale fino alla scapola), è contratto. La parte anteriore del collo è allungata.
Braccia: anche il trapezio è coinvolto per sostenere il corpo così come lo sono il romboide maggiore e minore (parte superiore del dorso).
Bhujangasana
Bhujangasana utilizza i muscoli di flessione indietro del dorso per estendere indietro la colonna vertebrale e il collo. Questo movimento è eseguito soprattutto dalle mani e dalle braccia che spingono il corpo rilassato indietro in una curva dinamica. I principali muscoli coinvolti sono:
Braccia: tricipite brachiale raddrizza le braccia.
Dorso: tutti i muscoli del dorso sono compresi ma non tesi nella posizione finale.
Addome: si ha l’allungamento dei muscoli addominali.
Anche i glutei sono leggermente contratti per mantenere le gambe unite e ferme.
Gambe: i muscoli posteriori delle cosce sono leggermente flessi per mantenere la posizione delle gambe.
Sviluppo della pratica
Le sette asana di base al centro di surya namaskara forniscono le basi per una pratica integrata e completa. Sono la base non solo per una belle serie di posizioni ma sono anche i semi per una nuova e potente esperienza dell’organismo fisico.
Lo scopo dell’aspetto dinamico di surya namaskara è di energizzare ed armonizzare la struttura fisica. Quando è combinato con la respirazione ed il mantra, estende i suoi effetti nel corpo e nelle aree più sottili della personalità. Quando si esegue più lentamente, la pratica diviene più sottile e otteniamo una migliore comprensione dell’interazione tra la respirazione e le nadi così come tra il corpo e la mente. La consapevolezza si espande mentre la pratica tocca e risveglia aree più profonde della nostra personalità. L’approfondimento della consapevolezza richiede l’abbattimento dei nostri limiti. In effetti noi stiamo esplorando la nostra posizione fisica come una via di accesso a nuovi reami di esperienza e quindi dobbiamo superare certi ostacoli presenti entro il corpo e la mente. La rigidità del corpo è solo un riflesso della rigidità mentale e di pensiero e della mancanza di creatività. Le abitudini convergono la posizione e i flussi di energia in modelli rigidi che migliorano certi organi e funzioni del corpo ma ne trascurano altri. È questa iperenergizzazione di alcune aree e ipoenergizzazione di altre che porta alla malattia ed è questo squilibrio che surya namaskara cerca di correggere.
Mentre pratichiamo la serie di ventiquattro asana, dovremmo tendere ad aumentare gradualmente e progressivamente la nostra consapevolezza di ogni posizione. Dovremmo sentire come se stessimo andando più profondamente entro il corpo così da ricontattare la nostra dimensione fisica e anche divenire più consapevoli dei nostri limiti e così superarli. Perché non possiamo fare una certa posizione? Cosa ci trattiene indietro? Ogni ostacolo che troviamo deve essere affrontato lentamente e assiduamente per un certo periodo di tempo. A questo proposito possiamo aggiungere altre asana nella serie così da migliorare l’effetto della pratica sul corpo.
Esempio di pratica
La seguente pratica è un esempio di come la serie di asana in surya namaskara possa essere ampliata in modo da aiutare lo sviluppo della consapevolezza e della flessibilità (vedere Asana, Pranayama, Mudra e Bandha, pubblicato dalla Bihar School of Yoga, per i dettagli delle asana menzionate in questo capitolo). Può essere praticata prima di una serie dinamica per rendersi più agili, o dopo per aiutare la consapevolezza del prana.
Posizione 1: Pranamasana è il punto di partenza per una posizione d’animo meditativa durante la pratica. Dovremmo prendere tempo per sviluppare la consapevolezza del respiro, la posizione delle mani e l’effetto di questa posizione sui nostri sentimenti e attitudini.
Posizione 2: Hasta uttanasana ci permette di elevare l’energia lungo il passaggio frontale che si estende da muladhara su fino a bindu e di muoverla lungo la parte anteriore del corpo. Una volta che l’energia si è elevata possiamo allungarci in tadasana o, alzando prima una mano e poi l’altra, allungare i lati del torace ed i fianchi. In questa posizione possiamo anche praticare tiryaka tadasana.
Posizione 3: Padahastasana si avvale della gravità per allungare gradualmente il retro del corpo. L’azione della gravità viene intensificata portando le dita delle mani intrecciate dietro il capo. In questa posizione possiamo spingere i gomiti indietro in modo da tendere i muscoli della parte anteriore del torace. Questo è benefico per l’asma, per esempio. Da questa posizione possiamo portarci in dwikonasana con le dita della mani intrecciate e la braccia allungate dietro in alto. L’effetto della gravità viene ulteriormente aumentato ed i muscoli dell’articolazione scapoloomerale vengono rilassati e rafforzati. Muovere le braccia da un lato all’altro rilassa la tensione dall’articolazione scapolo-omerale e procura un massaggio alla parte alta del dorso, migliorando la circolazione. Un’altra alternativa è portarsi alcune volte in samakonasana e lasciandosi ritornare in padahastasana.
Posizione 4: Ashwa sanchalanasana costituisce la base per asana di rafforzamento delle pelvi, anche, cosce e senso dell’equilibrio. Possiamo alzare le braccia in alto, come per hasta uttanasana e così aumentare l’allungamento della parte anteriore della gamba tesa e rafforzare la coscia e l’anca della gamba piegata. Alternativamente possiamo mettere le dita delle mani intrecciate dietro il dorso, come per dwikonasana, per aumentare la curvatura del dorso e intensificare ancora di più la pratica.
Posizione 5: Sumeru asana non si presta facilmente a molte varianti, tuttavia, spostando il peso del corpo da un piede all’altro, aumentiamo l’allungamento sul retro delle gambe.
Posizione 6: Ashtanga namaskara è un’altra pratica che è difficile modificare. Si può cercare di tenere le ginocchia più vicine al coro per aumentare l’effetto sul dorso.
Posizione 7: Bhujangasana è spesso difficile da praticare al mattino presto. Quando c’è rigidità è una buona idea praticare le posizioni 5,6 e 7 dinamicamente qualche volta in modo da rilassare la muscolatura del dorso. Anche tiryaka bhujangasana è un approccio molto dinamico per rilassare il dorso.
Espansione dell’esperienza
Quando prendiamo il nostro tempo e ci muoviamo attraverso surya namaskara lentamente, con consapevolezza e controllo del respiro, sviluppiamo più comprensione e conoscenza del corpo. Un ciclo può prendere dieci, quindici o anche venti minuti per essere praticato, comunque in quel periodo noi possiamo praticare cinquanta asana o più e possiamo pressoché rilassare l’intera muscolatura così come influenzare gli organi interni. Allo stesso tempo non stiamo cadendo nella vecchia tendenza abituale di formare un’abitudine, ma piuttosto stiamo imparando a fluire creativamente e intuitivamente con le necessità del nostro corpo. Quando ci abituiamo alla gioia ed al benessere dell’allungamento, della respirazione e della conoscenza del corpo, diventa sempre più difficile sviluppare le tensioni croniche responsabili della malattia. L’esperienza di esplorare il corpo, rilassare la tensione e sentirsi bene è auto-rinforzante e si prolunga nella giornata indipendentemente dall’attività che stiamo svolgendo o dalla posizione che abbiamo raggiunto. Mentre siamo seduti su di una sedia possiamo allungare le braccia in alto o dietro, o mentre stiamo in piedi possiamo semplicemente portarci in hasta uttanasana o fletterci in avanti in padahastasana per rimuovere la maggior parte della stanchezza e della rigidità che si sviluppa durante una giornata impegnativa. In questo modo prendiamo la responsabilità della nostra salute e felicità nelle nostre mani e non siamo più alla mercè di restrittive convenzioni sociali e di forze esterne. Ci portiamo fuori da schemi rigidi di comportamento nevrotico e cominciamo a danzare attraverso la vita con gioia e spontaneità. Influenziamo anche il nostro ambiente, perché una persona rilassata e felice influenza la mente degli altri in modo positivo. Anche se inizialmente le persone scherzano su ogni cosa al di fuori dell’ordinario, presto diventano curiose, specialmente se poste di fronte alle proprie tensioni, generate dal vivere moderno.
Sviluppare la pratica di surya namaskara può avere ripercussioni sul nostro intero stile di vita e sulla nostra attitudine alla vita. L’esplorazione di noi stessi, che abbiamo iniziato nella nostra pratica giornaliera, si espande in cerchi concentrici al di fuori, nella nostra attività, movimento, interazione con persone e cose e così aiuta a cambiare le nostre vite in modo positivo e creativo.