“YOGA” 2007 – Vol. 2

“YOGA” 2007 – Vol. 2

Yajna – (Parte Seconda)

Tratto da: Sw. Sivananda Saraswati, Sw. Satyananda Saraswati, “Yajna”, Sivananda Math, Munger, Bihar, India.

Dagli Insegnamenti di Swami Satyananda Saraswati

Nelle foreste del Sud America ho visitato rari luoghi dell’era precolombiana ed ho scoperto che le popolazioni di quella civiltà praticavano la yajna. Scavi archeologici effettuati in tutto il mondo per studiare l’età della pietra, del bronzo, ecc. ci hanno fornito le prove che quelle popolazioni praticavano una cerimonia in cui offrivano nel fuoco erbe che crescevano spontaneamente con il canto dei mantra e danze rituali. Sfortunatamente quelle tradizioni si sono estinte in tutto il mondo, eccetto in India, dove la tradizione della yajna è stata preservata da migliaia di anni.
La cultura indiana ha dato varie interpretazioni sulla yajna. Quali sono le diverse forme di yajna? In che modo un individuo esegue una yajna? Come una comunità esegue una yajna? E se per caso il re o il sovrano di un paese vuole eseguire una yajna, come fa? In India tutte queste informazioni sono state preservate, mantenute e conservate in vita fino ad oggi.
In India la yajna è un evento molto popolare, come la musica popolare in Occidente. Tutti osservano il rituale della yajna: colti e ignoranti, istruiti e dotti, ricchi e ricchissimi, poveri e poverissimi. Quando c’è un matrimonio ci deve essere una yajna. Quando c’è la cerimonia di attribuzione del nome ad un bambino, c’è una yajna. Quando entrate nella vostra casa per la prima volta, c’è una yajna. È una cerimonia molto comune. I pandit, gli acharya, che eseguono la yajna devono essere prenotati con anni di anticipo. I pandit sono bramini; non sono kshatriya, la classe guerriera, o vaishya, i commercianti, o shudra, la classe lavoratrice dell’India. Soltanto certi bramini diventano gli acharya che eseguono la yajna. Le comunità ricche e povere si uniscono, raccolgono il denaro ed invitano i sacerdoti bramini a compiere la yajna.
Quando si deve tenere una yajna, si espongono manifesti e striscioni per informare le persone, che arrivano a migliaia, poiché credono che gli esseri celestiali o le energie divine pervadano l’area dove si tiene la yajna. È come sentire il fresco quando si entra in una stanza con l’aria condizionata. Non è purificato solo l’ambiente materiale, fisico, che influenza il nostro corpo, ma anche l’ambiente spirituale, l’atmosfera del piano sottile di akasha che influenza la mente. Quando entrate in un’area carica di vibrazioni altamente spirituali, la vostra mente diventa calma, pura ed elevata.
Il giorno d’oggi abbiamo conoscenze riguardo l’ambiente, l’effetto serra, il riscaldamento globale e così via. La yajna è il rimedio per questi squilibri. Tutti gli amanti dell’ambiente che ritengono che l’atmosfera debba essere purificata e che l’anidride carbonica debba essere ridotta, dovrebbero praticare la yajna, non solo a livello di massa, ma anche a livello individuale.
Nei Veda c’è un sistema di yajna che ciascuno può praticare a casa con la famiglia. Mio padre era un Arya Samaji. Ogni mattina sistemava alcuni bastoncini di legno in un recipiente di rame e cantava per quindici minuti l’Agnihotra Vidhi Veda Mantra. Lo ricordo ancora da quando ero un bambinetto. Così una persona può praticare la yajna a casa e purificare l’atmosfera. Una comunità può praticare una yajna e purificare l’atmosfera della comunità, del villaggio o della città.
Insieme alla purificazione della terra e del suo ambiente ora sta diventando importante che noi purifichiamo l’atmosfera mentale, emozionale e psichica che si è corrotta. La mente delle persone è piena di pensieri negativi, come scimmie punte dagli scorpioni. Come possiamo zittire quelle scimmie? I nostri antenati dicevano: “Praticate le yajna”. Il termine yajna significa “offerta”. Quando offrite cibo al povero e all’affamato, questo è yajna. Quando date abiti a qualcuno che non ne ha, questo è yajna. Dare, dare e dare è yajna. In sanscrito la parola yajna è una combinazione di tre lettere “ya” “ja” e “na” produzione, distribuzione e consumo. Ci deve essere un equilibrio fra le tre componenti.
Nell’India antica, la popolazione era profondamente radicata nella tradizione della yajna. Non era soltanto un rituale, per loro era un modo di vivere. Essi credevano nella sua efficacia ed anche nella sua santità. Riferimenti a queste yajna possono essere trovati nei grantha, o testi, storici, geografici, mitologici, filosofici e spirituali di questa terra unica. La conoscenza della yajna è stata preservata nei Veda, la più antica opera letteraria dell’umanità.
Fu concepito un metodo sistematico ma semplice col quale, tramite l’atto della yajna, si invita una forza invisibile a visitare la vostra casa pressappoco nello stesso modo in cui mandereste un invito ad una persona molto importante. Tuttavia, quella forza invisibile che evocate nella yajna è un fenomeno universale, non limitato ad alcun paese, religione, credo o sesso. Questo fatto le dà poteri illimitati.
Nella Bhagavad Gita, Sri Krishna spiega molti dettagli riguardo la yajna. Ogni aspetto della yajna è connesso col misticismo vedico. La yajna è la pratica più antica ed esoterica. È molto profonda e richiede molto studio. Tramite la yajna potete sintonizzarvi con le forze invisibili dell’universo. Le cose percettibili che vedete sono manifeste ma c’è anche una dimensione non manifesta. Ci sono cose che non si possono vedere, che sono oltre la mente. Questo lo sapete ma non sapete come essere in comunione, sintonizzarvi, unirvi, integrarvi, comprendere e fare esperienza dell’invisibile. La yajna è un metodo, un metodo molto importante per raggiungere tutto ciò.
Nel corso non di anni o secoli ma di eoni o yuga, la pratica delle yajna in India ha creato un’immensa aura spirituale che può ancora essere percepita ai nostri giorni, anche se attualmente non si tengono così spesso o in così grande scala come nel passato. È questa aura spirituale che ha dato all’India un carattere o un’identità definita, oltre che il suo destino di essere guru o precettore tra le nazioni.
Prayag, il luogo dove le acque del sacro Gange si mescolano e si confondono con lo Yamuna e il Saraswati, ha assunto il suo nome semplicemente grazie al fatto di essere il luogo in cui si sono tenute numerose e importanti yajna. Yag è un altro termine usato come yajna e il prefisso pra indica il luogo dove si tenevano le yajna. Da ciò possiamo dedurre quello che deve essere successo in quel luogo. Ora Prayag è l’attuale Allahabad, tuttavia la sua attrattiva non è diminuita e durante il Kumbha Mela diviene l’epicentro di forze spirituali. Varanasi è un altro esempio, come l’antica città di Ujjain e altri luoghi che a livello superficiale non hanno niente per cui essere ammirati.
Oltre la dimensione fisica, dove la bellezza è solo a livello epidermico, superficiale e scivola via col tempo, c’è una dimensione di tale immensa bellezza generata tramite il sacro atto della yajna che resiste alle ingiurie del tempo e agli incidenti storici, dei governi e delle civiltà. Questa dimensione è connessa ad ogni individuo, come voi e me. Voi visitate quei luoghi semplicemente perché c’è una forza che vi attrae, una forza che smentisce la logica, una forza che è in comunione non con la vostra forma esteriore ma con qualcosa di profondamente interiore.
Questo elemento è evidente anche a Rikhia. Anno dopo anno l’effetto della Sat Chandi Mahayajna diviene più profondo. L’accumularsi di energia spirituale e le vibrazioni divine che emanano come conseguenza della yajna che si tiene qui anno dopo anno, hanno creato un’aura magnetica che semplicemente è così attraente da portare ogni anno a Rikhia un numero sempre maggiore di persone, anche se il posto è così remoto, difficile da raggiungere e offre poca o nessuna della comodità cui le persone moderne sono abituate.
In India, gli Hindu in particolare hanno una filosofia peculiare. Quando parlano di vita spirituale, parlano di discussioni e lotte, guerre e battaglie, uccisioni e distruzione. In tutti i Purana e Itihasa, nell’intera storia di questo paese, ovunque si introduca la spiritualità, essa è definita in termini di battaglia, guerra, morte, in termini di deva, esseri divini, asura, demoni, e manava, esseri umani voi e io, l’individuo.
In effetti, la vita è un campo di battaglia e noi tutti combattiamo. La battaglia è tra le forze delle tenebre e quelle della luce. L’eterna battaglia tra queste due forze continua in ogni individuo fino a quando è in vita e persino dopo che muore. Non c’è altro modo per spiegare le situazioni della vita, se non come una battaglia. Nel Mahabharata i Pandava sono da una parte, i Kaurava dall’altra e Krishna dice: “Combattete”. Era Krishna una persona violenta? Dobbiamo combattere o no?
In effetti la battaglia si combatte tra le tendenze più basse della vita, tra le limitazioni che ha ogni persona. C’è qualche blocco nelle nostre personalità, poiché ciò che cerchiamo è molto vicino a noi, ma non lo vediamo. È più vicino del nostro stesso respiro, più vicino della nostra mente, tuttavia non siamo capaci di vederlo. Persino se crediamo che sia lì, non riusciamo a vederlo. Questo blocco mentale è chiamato ajnana, avidya, ignoranza o nescienza. La yajna aiuta a rimuovere questo blocco.
In India le persone vanno alla yajna con molti desideri: per i figli, per denaro, per risolvere ogni tipo di problemi. Alcuni hanno il cancro, alcuni hanno disturbi cardiaci, alcuni hanno problemi familiari. Tutti hanno problemi. Nella yajna essi cercano delle soluzioni e le trovano perché la consapevolezza si innalza. Durante la yajna dovete fare un sankalpa importante per la vostra vita: “Dio, rivelati a me in qualsiasi forma tu preferisci”. Questo è tutto, e accadrà.
Il successo di una yajna non si misura da quanto si è speso o dal numero di persone giunte per parteciparvi; il successo dipende da ciascun individuo. Gli industriali possono spendere milioni per organizzare una splendida yajna, ma se non è presente il sentimento di devozione, la yajna non sarà efficace. Gli aspetti speciali di una yajna sono shraddha, fede, e bhakti, devozione, generati dai partecipanti di ogni casta, credo e religione che si uniscono per questo scopo. Benché una persona possa non comprendere né i rituali né i canti, sintonizzandosi con le vibrazioni divine presenti nell’ambiente, farà esperienza dei benefici della yajna.

Scopo della Yajna

La yajna è la celebrazione del primo risveglio della coscienza, il primo importante passo avanti della coscienza che sorse nell’uomo e lo portò al primo gradino dell’evoluzione. Quando l’uomo imparò ad usare il fuoco per aiutare, proteggere, nutrire e sostenere se stesso, e quando imparò che i cereali potevano essere cucinati e coltivati, questa comprensione lo portò al primo gradino dell’evoluzione. La yajna celebra quella prima presa di coscienza, quella prima incontaminata e pura esperienza. Lo scopo della yajna è di usare quel potenziale per lanciare la coscienza nelle dimensioni sconosciute per fare ulteriori scoperte.
Anticamente, prima dell’avvento delle religioni, si praticava la yajna o sacrificio del fuoco in tutto il mondo. Gli Indiani nativi d’America, gli Incas, gli Aztechi, i Babilonesi e molte altre popolazioni praticavano il sacrificio del fuoco. Gli archeologi hanno trovato negli scavi di antiche città e paesi, le buche per il fuoco dove erano condotte le yajna. La yajna è la base della cultura vedica e al riguardo potete leggere in molti dei testi antichi. Nei Veda, nei Purana e nelle Smriti è raccomandato che i capifamiglia tengano la yajna. La yajna è parte di Devi puja, Chandi puja, Shanti puja, Deva puja, Vishnu puja, Shiva puja e molte altre forme di culto. Secondo la Bhagavad Gita, la yajna non è soltanto un rituale dove gli elementi della puja sono consegnati alle fiamme e in tal modo dedicati a Dio. La yajna è uno strumento molto potente per ispirare e illuminare la coscienza.
C’era un tempo in cui la yajna era parte della cultura quotidiana di questa terra. Rishi e muni eseguivano le yajna di ogni genere. Era piuttosto comune andare all’eremo di un rishi e trovarlo nel mezzo di una yajna. Il canto dei mantra vedici abbondava nell’atmosfera. La fragranza di homa, o cerimonia del fuoco, e la calma risonanza delle vibrazioni sattwiche riempiva l’atmosfera. C’era la sensazione che la bellezza e i buoni auspici avessero scelto quei luoghi come loro dimora permanente. Grazie all’esecuzione regolare della yajna, la natura era in armonia e le stagioni erano sempre miti e propizie. Frutti e fiori ornavano gli alberi. Gli uccelli cinguettavano allegramente. I cervi e gli animali selvatici ruzzavano senza timore degli esseri umani. L’acqua e l’aria erano pure e corroboranti. Pace e tranquillità pervadevano l’ambiente circostante.
La yajna non è differente dallo yoga. Asana, pranayama, dharana e dhyana non sono le uniche forme dello yoga. Anche la yajna è una forma di yoga. Le asana disciplinano e regolano il corpo affinché funzioni nelle condizioni ottimali. Dharana e dhyana allenano la mente a focalizzarsi e concentrarsi. Quelle forme di yoga sono per il corpo e la mente, gli attributi fisici dell’uomo. Le yajna sono parte dello yoga esoterico e sono in relazione alla parte nascosta di noi che noi stessi non conosciamo, non abbiamo mai sperimentato e non possiamo vedere. Le yajna comunicano tramite un linguaggio simbolico, non il linguaggio delle parole. La yajna è pura esperienza, perciò la nostra mente conscia non può comprenderla e non è neppure necessario comprendere tutto ciò che accade durante la cerimonia.
Molto semplicemente, la mente non ha la facoltà di conoscere quella dimensione perché funziona nel regno dell’intelligenza. Persino la nostra buddhi, l’aspetto del discernere della mente, non può condurci lì perché buddhi è governata dall’intelletto. Oltre l’intelligenza e l’intelletto c’è una forza più grande e quella è l’intuizione o prajna. Le yajna modificano lo stato della mente e di buddhi, permettendoci di fare esperienza di quella dimensione di coscienza. La natura esoterica di una yajna fa emergere gli eterni archetipi che sono impressi in noi. In questo modo si manifestano i samskara presenti a livello del corpo causale, rimuovendo i blocchi e gli ostacoli radicati in profondità. Senza che noi ce ne accorgiamo, con naturalezza e tranquillità, avvengono in noi grandi trasformazioni. Le yajna esistono nel tempo e nello spazio così come oltre il tempo e lo spazio. Il fumo che si eleva dal yajna kunda viaggia verso i regni superiori ed altri piani di esistenza. Esso è consumato dall’energia cosmica. Per questo le yajna sono condotte da pandit competenti con grande accuratezza e attenzione filosofica.
La yajna ha un triplice scopo. Il primo scopo è la produzione, utapadana; questo è anche il significato di “ya”, la prima sillaba della parola yajna. Il secondo scopo della yajna è la distribuzione, uparjana, ed il terzo è l’assimilazione, vitarana. Questi sono i tre eventi che hanno luogo in una yajna. La tradizione, le scritture e i santi hanno tutti parlato della yajna come un processo che governa l’intera creazione, l’intera vita. Per esempio, il cibo cotto nella cucina adempie al primo scopo della yajna, la produzione. Lo stesso cibo è distribuito alla famiglia, appagando il secondo scopo della yajna, la distribuzione. Mangiare il cibo adempie il terzo scopo della yajna, l’assimilazione. Così anche le azioni quotidiane eseguite dalla nascita alla morte, sono yajna. Persino l’educazione ricevuta in un gurukul, una scuola, un collegio o un’università è yajna. Questi sono i tre processi della vita che avvengono naturalmente, senza alcuno sforzo.
Naturalmente, la differenza sorge in relazione alla consapevolezza, che generalmente non è profonda quando si svolgono le attività mondane. Durante la yajna, tuttavia, la semplicità e la ricchezza dell’evento, il sovraccarico di energia e il sentimento di unità che si genera, crea un mutamento nella consapevolezza. Noi diveniamo consapevoli del momento presente e vediamo il divino in ogni cosa. “Tutto ciò che esiste in questo universo sempre mutevole è dimora del Signore. Gioite di qualsiasi cosa il Signore dà e non bramate altro poiché, di chi è in verità, tutta la ricchezza?”. Questo è il primo mantra della Ishavasya Upanishad, che si trova nel quarantesimo capitolo del Yajur Veda. Questa è la visione che si sviluppa nella vita spirituale, e la yajna è una parte di quella visione. La yajna non è solo una cerimonia del fuoco, la recitazione di mantra o l’invocazione di forze superiori. Quelli sono gli aspetti rituali, conosciuti come karmakanda. Quando i rituali esteriori diventano interiori, ciò è conosciuto come upasana, e quando quel rituale interiore diviene parte della vostra espressione nella vita, ciò è conosciuto come yajna.
Lo svolgimento di una yajna è un atto di amore e compassione universale, universale perché non è limitato. Raggiunge tutto ciò che è animato e inanimato, tutto ciò che è manifesto e immanifesto. È un atto di amore perché esprime il nostro ricordo di ciò che ci ha dato la vita e la gratitudine per l’opportunità di vivere. È un atto per ripagare un debito con la natura che ci nutre e accudisce su questa meravigliosa terra, ed un grazie silenzioso per tutto ciò che abbiamo ricevuto da lei. Restituire ciò che abbiamo ricevuto è vera compassione. Questa memoria elevata a sua volta ricambia il nutrimento e ci dà la capacità di raggiungere i nostri obiettivi e le nostre mete con facilità e integrità. In tal modo il nostro rapporto con l’esistenza cresce sempre più in profondità ed i legami si stringono sempre di più.
Ci sono tre aspetti in una yajna. Se uno di questi tre aspetti manca, la yajna è incompleta. Il primo è il rituale in se stesso, che consiste nell’adornare l’area della yajna, invocare forze superiori attraverso il canto dei mantra, curare il fuoco e offrire in esso le oblazioni. Il secondo aspetto è il satsang o trovarsi alla presenza di sadhu e santi. Satsang significa ascoltare la verità; essere alla presenza della verità è satsang; sostenere la verità è satsang. Questa è una parte vitale della yajna.
Il terzo aspetto è daan. Daan significa donare ciò che ti appartiene. Una yajna senza daan è come una sposa novella senza ornamenti. L’atto di daan glorifica una yajna. È la crema sulla torta. Le offerte fatte durante una yajna fanno guadagnare meriti centuplicati in questa vita e nelle successive. Daan non significa solo carità ed elemosina. Quando offrite un dono o un omaggio a qualcuno che non ne ha bisogno, anche quello è daan. Dare a qualcuno che non ne ha bisogno è un dono. Anche re e imperatori ricevevano daan in abbondanza dai rishi durante le yajna. Ogni persona presente alla yajna ha i requisiti per il daan, non solo il povero. Daan è il prasad della yajna.
L’atto della yajna è così attraente perché è puro e semplice. È in armonia con la natura e la sua creazione. Purezza e semplicità sono ingredienti essenziali di una yajna. Per mantenere la purezza e la semplicità, le yajna si sono evolute in una scienza altamente tecnica. Proprio come gli scienziati contemporanei hanno fatto evolvere la materia per creare missili e satelliti altamente tecnici, allo stesso modo anche la sofisticata e raffinata scienza della yajna crea un missile guidato da laser che non è confinato in questo regno, ma viaggia molto oltre. L’unica differenza è che il missile della yajna è composto di amore e compassione, non di odio e distruzione. È un missile benevolo, non malevolo. Questo missile crea anziché distruggere. Ringiovanisce anziché estinguere.
Tutto ciò che è offerto in una yajna è tratto dalla natura. Non è usata alcuna sostanza di origine chimica o artificiale. Il fuoco che si accende è aromatico e purifica l’aria. È attizzato sfregando bastoncini di samidha, non con una candela o fiammiferi. Le persone che accendono il fuoco sono coloro che sono devoti al culto del fuoco da generazioni e generazioni. Nella loro vita quotidiana essi venerano il fuoco con mantra all’alba e al tramonto. Esso è chiamato il fuoco del paradiso perché raggiunge i cieli e forma un legame tra cielo e terra.
La yajna è un atto di bhakti o pura devozione. È un’energia incontaminata che fa miracoli, modifica eventi, annulla calamità, fa che il cieco possa vedere, lo zoppo camminare e il muto parlare. In bhakti non c’è spazio per il dubbio. È molto difficile avere bhakti per qualcosa che non si è mai visto. Bhakti si poggia sulla fede che ciò che non avete visto esiste, proprio accanto a voi, e si prende cura di voi ad ogni respiro. Durante la yajna quella fede è ristabilita, poiché l’esperienza della presenza divina diventa una realtà tangibile e vivente.

Componenti della Yajna

La parola yajna deriva dalla radice yaj, che significa “offrire”, ed implica l’offerta di tutte quelle cose che sono pure e di buon auspicio, che nutrono e sostengono la vita e la creazione. Questa offerta è fatta alle energie cosmiche, universali e del globo terrestre, alla Shakti, per santificare e ricaricare gli elementi: terra, acqua, fuoco, aria ed etere, aumentando così le loro proprietà positive e rigenerative. Ciascuna yajna implica la creazione di un mandala, e ciascun mandala invoca una specifica energia cosmica. I rituali implicano movimenti magnetici o mudra per guidare il prana shakti macrocosmico nel mandala microcosmico che è stato creato. Il mandala rappresenta l’immagine cosmica o simbolo in un determinato punto e localizzazione nel tempo che riallinea tutti i campi magnetici di energia nell’universo.
Ogni yajna ha quattro parti fondamentali. La prima parte è la creazione della forma; si crea un mandala inerte senza vita o prana shakti. La seconda parte è prana pratishtha, dove l’immagine o forma è infusa di prana shakti. La terza parte è upachara, l’intensificazione e l’esaltazione dell’energia che è stata invocata. La quarta parte è parayana o prasthana, la liberazione dell’energia, il culmine della yajna. I mantra sono una componente essenziale delle quattro parti della yajna. I mantra sono parole di energia che creano una vibrazione specifica nell’ambiente. Essi purificano l’ambiente. Per tutta la durata della yajna si recitano i mantra per imbrigliare le energie primarie per il beneficio della società, del pianeta e dell’intera creazione.
I mantra sono quelli che sono stati uditi dai rishi: “All’inizio fu il Verbo, e il Verbo era con Dio e il Verbo era Dio”. Quel verbo è il mantra. Il verbo che viene da Dio è il mantra. Ciò che vi è rivelato è il mantra. Questi mantra sono stati raccolti dall’inizio dei tempi da molti veggenti e rishi. Rishi significa persona che può vedere oltre, la cui coscienza può penetrare ed unirsi con l’essere supremo. Essi possono vedere i simboli e sentire i suoni che emergono dalla dimensione inconscia. Maometto sentì una voce che gli rivelò gli insegnamenti del Corano. Mosè vide un fuoco che ardeva in un cespuglio, che gli rivelò i Dieci Comandamenti. Quando sentiamo Dio come un suono, lo chiamiamo mantra. Quando vediamo Dio come forma, lo chiamiamo devata, essere illuminato, splendente.
Perciò la yajna si svolge con l’uso di mantra che sono chiamati Nadabrahma, l’essere supremo in forma di suono. Nadabrahma è Paramatma, o Dio, o Allah, o Khuda o Jehovah in forma di suono. In India questi suoni sono stati tramandati da migliaia e migliaia di anni da una particolare classe di persone chiamati bramini.
Ci sono quattro Veda in cui questi mantra sono stati raccolti: Rig Veda, Yajur Veda, Sama Veda e Atharva Veda. I quattro Veda non sono considerati libri, sono conosciuti come shruti, che significa “sentito”. I Veda sono stati sentiti. Tutte le grandi scritture come i Veda, il Corano, la Bibbia e la Torah sono stati sentiti. Non sono stati scritti da intellettuali. Essi furono rivelati da Dio nell’essere più profondo dell’uomo, oltre i sensi, oltre l’intelletto, oltre la mente, oltre il subconscio, oltre l’inconscio, dove esiste un essere superconscio che è colmo di luminosità, colmo di conoscenza e colmo di totalità. Noi chiamiamo questo Dio.
Nella yajna i diversi mantra sono recitati una, dieci, cento, mille, centomila o dieci milioni di volte. Quando sono recitati cento volte, allora è detta Sat o Shata, come nella Sat Chandi Yajna. Quando sono recitati mille volte, è detta Sahasra Chandi Yajna. Quando sono ripetuti centinaia di migliaia di volte, è detta Laksha Chandi Yajna. Quando sono recitati dieci milioni di volte è detta Koti Chandi Yajna.
Il metodo per recitare i mantra durante una yajna non è come leggere una poesia. La recitazione del mantra ha un sistema, proprio come le sette note di una scala: sa, re, ga, ma, pa, dha, ni, sa, comprendono la grammatica della musica. In una yajna si usano tre note: alta, media e bassa. Gli officianti devono fare pratica per molti anni per raggiungere uno stadio di perfezione nell’intonare i mantra. Per tutta la durata della yajna i sacerdoti, che sono pandit bramini scelti con particolare cura per la qualità pura della loro pronuncia, swara e ritmo, intonano diversi mantra per propiziare particolari devata, o divinità. Questi mantra risvegliano le energie interiori dell’individuo e quelle dell’ambiente. Per questo si devono scegliere i sacerdoti adatti alla conduzione della yajna.
Durante la yajna, all’interno del mandap, o piattaforma, della yajna si creano diversi mandala e yantra, e su ciascuno di essi si pone un’immagine simbolica della divinità che deve essere invocata. Le divinità sono invocate anche in ciascuna colonna e in ciascun angolo del mandap. I recipienti posti in ogni lato dei portali all’interno del mandap della yajna, rappresentano i dieci kshetrapal, o protettori, e al loro interno è contenuta acqua portata da diversi fiumi. L’acqua utilizzata all’interno del mandap può essere portata da Gangotri, la sorgente del Gange che si trova sulle vette dell’Himalaya, o da un altro luogo sacro. L’ultimo giorno della yajna, dopo la havan finale, viene chiesto a tutte le divinità di ritornare alle loro dimore, poiché quando si invoca un’energia superiore, bisogna poi liberarla. Questo è il concetto di portare giù con noi le forze cosmiche e poi rilasciarle dopo che la yajna è finita.
Secondo il tipo di yajna si costruiscono diversi tipi di vedi, o focolari. Nelle Devi yajna il focolare è triangolare, ma in altre yajne è un quadrato. Tutte le erbe e le componenti utilizzate nelle offerte rituali sono prese dalla natura e devono essere pure. Per le differenti yajna si usano tipi particolari di legna da ardere, come pipal, mango, banyan e fico. Analogamente anche le offerte variano secondo la yajna.
Quando si conduce una yajna, sono presenti quattro sacerdoti principali: hotri, adhvaryu, udgatri e bramino. Lo hotri canta gli inni del Rig Veda, chiamando i deva a venire e partecipare. Lo adhvaryu canta gli inni dello Yajur Veda, impostando le varie fasi dell’esecuzione. Egli misura anche il terreno per il rito, costruisce tutto il necessario, prepara i materiali e accende il fuoco. Lo udgatri canta gli inni del Sama Veda con la metrica appropriata in momenti specifici. Il bramino è il supervisore della cerimonia e intona gli inni dell’Atharva Veda.
Ci sono molte forme di yajna. Alcune si tengono per il benessere degli esseri umani. Alcune sono fatte per armonizzare le forze cosmiche; altre per rivitalizzare gli elementi; alcune per procurare guadagni e benefici materiali. Nel passato, le yajna si tenevano anche per determinare una nascita propizia; per esempio, la nascita di Rama e dei suoi fratelli, Draupadi e Dhristadyumna, avvenne come risultato dello svolgimento delle yajna. Quando una yajna è tenuta correttamente, essa diventa uno strumento molto potente per determinare un cambiamento. Perciò, le yajna devono essere eseguite saggiamente.

Yajna della Vita

Nei tempi moderni, i due grandi bisogni dell’umanità sono yoga per la pace mentale e yajna per la prosperità. Queste due cose sono difficili da ottenere durante il Kali yuga, l’età in cui ci troviamo adesso. Lo yoga determina una confluenza dei quattro purushartha (sforzi umani): artha (stabilità finanziaria), kama (appagamento emozionale), dharma (giusta condotta) e moksha (liberazione). Per questa ragione il giorno d’oggi tutti hanno bisogno dello yoga, persino i ricchi e i potenti. Ognuno ha bisogno di pace mentale (shanti) e ognuno ha bisogno di prosperità (samriddhi). Yoga e yajna sono i mezzi.
Fino a quando ha prevalso la cultura della yajna, l’India era l’Uccello Dorato. Una volta l’India era una terra di ricchezze e prosperità. Oggi il quadro è molto diverso. La cultura di yoga e yajna dovrà essere rivivificata e nuovamente propagata. Yoga e yajna sono le culture gemelle di questa terra, ed entrambe sono molto potenti e benefiche per tutti.
Yajna è l’aspetto esoterico del processo di cambiamento che il sadhana yoga sviluppa interiormente. Per incrementare la yajna, sono importanti gli yama e niyama dello yoga. È importante anche rispettare le regole dell’ashram. La disciplina non ha alcun senso se non si rispetta. La yajna non ha alcun significato se il procedimento non è rispettato. Quando si va in profondità nel processo della yajna, esso acquista significato e rilevanza nella vita spirituale.
Il significato comune di yajna è un procedimento di trasformazione. La yajna non è soltanto una cerimonia del fuoco, è un processo di vita. La vita è una yajna. In una yajna le componenti appropriate sono offerte nella loro forma pura, non adulterata, siano cereali, frutta, noci o qualsiasi altro samagri. Uno dei prerequisiti di una yajna è che ogni cosa deve essere pura e non adulterata. Il rituale esterno non ha alcun significato se i vostri pensieri, sentimenti e azioni sono adulterati. Potete fare centinaia di cerimonie del fuoco, ma con che scopo se non siete consapevoli della vostra natura e del vostro sé essenziale?
La società ritiene che le cose devono essere fatte esteriormente e non interiormente. Le persone pensano che un rituale esterno le aiuterà a migliorare, ma non può e non sarà così. L’acqua del Gange è considerata purificante, ma se nelle sue acque si lascia una bottiglia tappata piena di urina non ci sarà alcuna purificazione. Analogamente, la vostra personalità, la mentalità, gli atteggiamenti e le percezioni sono tutti all’interno di una bottiglia chiusa, e non possono essere toccati o modificati. Quando vi esponete ad un rituale esteriore, per un po’ di tempo potete sentirvi meravigliosamente grazie all’energia e alle vibrazioni positive. Ma cosa ne ricavate? Le vibrazioni positive non hanno alcun significato se non diventano parte di voi. Per fare sì che qualcosa di benefico e propizio divenga parte di voi, dovete generare un cambiamento interiore.
Non è la yajna che è importante, siete voi. Se il vostro coinvolgimento nel processo è intellettuale, non avrà alcun significato. Se non siete un gioielliere, un diamante non sarà distinguibile da un cristallo o da un pezzo di vetro; non avrà alcun valore. Per riconoscere la differenza, avete bisogno di comprendere la qualità delle diverse pietre. Perciò, non è il rituale esterno, la disciplina o l’evento ad essere importante nella yajna, ma il cambiamento che avviene dentro di voi. Se siete in grado di sperimentare quel cambiamento, allora la yajna gioverà allo sviluppo della vostra vita.
Diverse religioni e filosofie ci dicono che alcuni pensieri e percezioni sono guidati da fede e credo e altri dall’intelletto. Quei processi guidati dall’intelletto sono comprensibili e chiari. Ma se cercate di convertire un processo motivato da fede e credo in una comprensione intellettuale, ci sarà confusione. Come esseri umani tendete ad usare l’intelletto in relazione agli eventi esterni, non a voi stessi personalmente. Quando fate esperienza personale di un evento, sentite qualcosa che ritenete essere giusta e appropriata, ma quando avviene a qualcosa di esterno, volete sapere tutto. Non potete giustificare il sentimento che viene dall’interno tramite l’intelletto perché è una convinzione, una fede in cui voi credete, e quella fede è parte di voi. La conoscenza non è parte di voi; viene dall’esterno.
Così la yajna è un procedimento esterno che fa sorgere un’esperienza interiore che potete sentire e in cui potete credere, ma potete non essere in grado di conoscere intellettualmente. Per comprendere l’evento, dovete divenire più consapevoli di voi stessi dall’interno. Considerate la vostra vita come una yajna, un processo di trasformazione che avviene costantemente e regolarmente, in qualsiasi situazione vi troviate. Ogni evento è una parte della yajna della vita. La sofferenza ne è una parte e la felicità ne è un’altra parte, poiché esse sono il risultato dei vostri pensieri ed azioni e delle situazioni in cui vi trovate. Voi siete tristi perché pensate di essere tristi; siete felici perché pensate di essere felici. Ogni giorno voi indossate queste diverse maschere e poi vi guardate nello specchio indossando quella maschera. Siete felici grazie al senso di appagamento. Siete angosciati perché manca l’appagamento.
L’appagamento non può essere definito e applicato a tutti in modo uniforme. Allo stesso modo, non potete definire la yajna. Per crederci, dovete sentirla e farne esperienza, perché è la fusione della vostra energia con l’energia dell’evento che la rende un processo di trasformazione. Questo è applicabile non solo alla yajna, ma ad ogni situazione della vita. Un esempio è mantenere il silenzio (mouna) nell’ashram. Quando lo trascurate, separate voi stessi da un processo che considerate una disciplina esteriore, il cui fine è invece migliorare la vostra mente e il vostro modo di essere. Se desiderate migliorare voi stessi è necessario essere disciplinati. Questo è un esempio di quello in cui credete e di come agite.
Allo stesso modo, la yajna è un processo di fede e azione. Quando fede e azione diventano in armonia, allora la vita diventa una yajna in cui giuste azioni, giusti pensieri, giuste parole e giusto comportamento sono presentati come offerta nel fuoco dello spirito, portando all’espansione e ad una trasformazione interiore. L’ambiente mentale cambia quando divenite parte del processo della yajna e quando la yajna si manifesta nella vostra vita come fede, azione e stile di vita. Tutti gli yoga si integrano nel processo della yajna, in cui iniziate a percepire voi stessi sia come offerente sia come offerta. Le vostre azioni diventano l’offerta.
Anziché cercare di scoprire il significato essoterico della yajna, cercate di sentire e comprendere il significato esoterico che è trasmesso. Questa è la visione dello yoga. Ci saranno sempre differenze esteriori. Dove ci sono due pentole c’è sicuramente rumore. Nella cucina c’è rumore quando si sposta una pentola, quindi ci sarà sicuramente rumore quando in un posto ci sono trecento pentole. Ma ciascun recipiente deve comprendere di avere uno specifico ruolo da interpretare. Un cucchiaio non può svolgere il ruolo di una pentola e una pentola non può svolgere il ruolo di una tazza. Il ruolo di ciascun oggetto è definito. Analogamente, il ruolo di ogni azione e di ogni pensiero nella vita è definito. Potete non comprenderlo o riconoscerne il valore immediatamente, ma se ci pensate, inizierete a vedere un legame che unisce il voi esteriore e il voi interiore. Divenire consapevoli della connessione tra il voi esteriore e interiore è lo scopo dello yoga, così come di tutta la vita.
Gli yogi hanno considerato ogni interazione come un evento che porta a maggiore realizzazione, armonia e comprensione. Allora ricordate che voi siete il centro. Se vi liberate dall’immaginazione e dalle fantasie di bello e brutto, giusto e sbagliato, allora l’occhio della saggezza si aprirà. Quest’occhio di saggezza è risvegliato aprendo noi stessi. Se si stappa una bottiglia di urina nel Gange, dopo alcuni giorni la bottiglia sarà piena di acqua del Gange. Ma se la bottiglia è chiusa, la puzza rimarrà. Perciò dovete decidere se volete essere una bottiglia chiusa o una bottiglia aperta. Una volta che le porte del cuore e della mente sono aperte, tutto avviene naturalmente e spontaneamente.

Sat Chandi Mahayajna

La Sat Chandi Mahayajna è dedicata alla Madre cosmica, Devi Chandi, che impersona bellezza, forza, compassione e grazia. Lei è la perfezione al suo zenit, la creazione della volontà divina. La Dea Chandi è una forza presente in ognuno di voi. L’altro suo nome è Kula Kundalini. È solo attraverso il suo divino intervento ed interazione che potete costruire la vostra personale immunità ai problemi futuri. Questo non è religione; è una realtà fisica. Kula Kundalini, la Dea Chandi, è presente in ciascuno di voi come potenziale dormiente, la fonte di tutta la conoscenza, la saggezza e il potere. Lei deve essere invocata e fatta sorgere attraverso l’adorazione, così che la vostra intelligenza superiore possa essere la fonte attraverso cui proteggere voi stessi.
Chandi è invocata come ospite d’onore alla Sat Chandi Mahayajna per riversare su tutti le sue benedizioni. Lei è invocata, adorata e venerata. Questo rituale esoterico di invocazione è portato a compimento tramite mantra, yantra e mandala, i tre concetti di base su cui poggia la scienza del tantra. Questi tre strumenti influenzano la coscienza archetipale dell’uomo facendo sorgere una consapevolezza divina. Lo scopo della yajna è connettere l’individuo con il sé cosmico, con l’energia suprema, compassionevole e benevola. Una yajna non è semplicemente una forma di adorazione, un rituale o un sacrificio; è una combinazione di elementi esoterici ed essoterici per propiziare le energie divine.
La storia di Chandi è raccontata nel libro Durga Saptashati in settecento versi. “Sat Chandi” è la recitazione di quei versi per cento volte. Questo è il procedimento usato per invocare l’energia cosmica di Chandi. I mantra inducono uno stato modificato di coscienza a tutti i livelli. La venerazione e il canto dei mantra creano una vibrazione e un ambiente molto potenti, e l’immagine della Madre emerge dal nulla. È un evento potente, mistico, psichico e spirituale. La presenza di shakti, l’energia cosmica, è così forte che si può sentire.
Sat Chandi Mahayajna è una yajna tantrica molto potente. Il canto dei mantra è assolutamente corretto e puro, e il terreno è stato santificato. Sono state invocate le divinità che presiedono l’area circostante. Ci sono stati canti di mantra, kirtan e bhajan, e tutta l’area è stata purificata. Tutte le strutture erette qui sono state progettate e modellate rispettando rigorosamente le norme prescritte dai Vastu shastra, l’antica scienza dell’architettura.
Noi abbiamo introdotto la Sat Chandi Mahayajna affinché le persone da ogni parte del mondo possano partecipare e fare esperienza dell’antica cultura spirituale. Il culto della Madre Cosmica non è soltanto una tradizione indiana, è una tradizione internazionale. Il culto della Madre è un’espressione dell’amore di ciascuno per la Madre Cosmica che ci offre sostegno, protezione, affetto, incoraggiamento, amore e compassione, e ci ispira a procedere a testa alta nel percorso della vita. Chandi è la dea della trasformazione a livello sociale, psicologico e spirituale. Si invoca Lakshmi per la trasformazione esteriore, ma per la trasformazione interiore si deve invocare Chandi. Possiamo avere la ricchezza ma non essere in pace con noi stessi. Chandi Yajna porta questo tipo di trasformazione nella nostra vita e nella società.
Nel Kali yuga, Chandi è una divinità molto importante. Lei è l’aspetto aggressivo della Madre e si manifesta quando tutti gli sforzi umani e divini hanno fallito. La storia di Chandi, descritta nella Durga Saptashati, inizia con una guerra tra i deva e gli asura, gli dei e i demoni. L’intero equilibrio dell’universo è disturbato da questo conflitto, ed invece di pace e armonia, prevalgono caos e combattimenti. Demoralizzati gli dei invocano la trinità, rappresentata da Brahma, il creatore, Vishnu, colui che preserva, e Shiva, il distruttore.
I tre dei si arrabbiano, e dalla loro rabbia appare una forma. Quella forma è Chandi, conosciuta anche come Durga. Lei è nata dalla luminosità di ogni deva e rappresenta la sintesi di tutte le forze cosmiche. La storia descrive come sconfigge i demoni. Nella mitologia, Durga è vista come la manifestazione finale dell’energia universale che appare per stabilire pace, dharma e giustizia e per eliminare la sofferenza umana.
Benché la Sat Chandi Mahayajna appartenga al sistema tantrico, è stata accettata nella tradizione vedica ed è popolare tra tutti i settori e gli strati della società. È menzionata negli Agama Shastra ed è sempre condotta da sacerdoti e pandit molto accurati ed esperti che conoscono la procedura corretta per condurre il rito. Nello Shakta Tantra, la parte del tantra che venera la Devi, la Chandi Yajna è considerata una forma di adorazione molto importante.
L’intera procedura della yajna implica la ricreazione della dimora cosmica di Durga o Chandi, l’energia cosmica. La yajnashala, dove si svolge la yajna, ha sedici colonne. In ciascuna colonna si invoca un deva, e i deva diventano i custodi. Nei diversi angoli della yajnashala ci sono rappresentazioni di diverse divinità. Si pregano i navagraha, i nove pianeti e le divinità dei nove pianeti. Si prega Ganesha, colui che elimina tutti gli ostacoli. Si pregano le matrika, le forze o energie minori della Madre. Si pregano le sessantaquattro yogini, o sessantaquattro aspetti della Madre. In questo modo, attraverso il canto dei mantra, i pandit invocano diverse energie in diverse forme nelle diverse aree della yajnashala. Si invocano le energie e si pongono in diverse aree del vedi. Attraverso il canto dei mantra, il vedi fatto di fango e mattoni diventa il corpo cosmico della Devi. Attraverso i mantra, si invocano diverse forze affinché diventino gli organi di senso di questo corpo cosmico. Una volta che il corpo è creato tramite il canto dei mantra, allora si invoca la Dea. Dopo l’invocazione, inizia il canto di Durga Saptashati. Questo è il procedimento della Sat Chandi Mahayajna.
L’ultimo giorno della yajna, si svolgono due eventi importanti. Uno è la kanya puja, l’altro è la homa, o rito del fuoco, nel quale si esegue purnahuti, l’offerta finale al fuoco, come è stabilito nei Veda. Il fuoco è acceso nello stesso modo in cui fu creato il primo fuoco, sfregando insieme bastoncini di aranya, senza l’uso di alcuno strumento moderno come fiammiferi o accendini. Poi inizia la homa. Le offerte sono fatte col canto di Sri Sukta, uno dei più antichi inni della storia umana.
Mentre gli acharya intonano i mantra e ripetono “Swaha” per il culmine della yajna, anche voi intonate Swaha insieme con loro. Mentre gli acharya fanno le offerte al fuoco, anche voi bruciate in quel fuoco la vostra sofferenza ed il vostro dolore col canto di Swaha. Io offro la mia malattia – Swaha, i miei problemi – Swaha, i miei dolori e le mie pene – Swaha, la mia frustrazione – Swaha. Io offro tutto questo nel fuoco. Bruciate ogni cosa e diventate vuoti. Se riuscite a svuotarvi, allora la grazia cosmica riempirà la vostra vita.
Secondo la tradizione, la yajna ha tre aspetti essenziali: l’adorazione, il rituale e la donazione. Durante la Sat Chandi Mahayajna troverete tutte e tre le componenti. Noi offriamo a tutti, specialmente alle centinaia e migliaia di famiglie di Rikhia e dei villaggi (panchayat) circostanti. La Madre Cosmica è venerata non solo attraverso la recitazione di Durga Saptashati, ma anche con la distribuzione del prasad attraverso cui ognuno riceve le Sue calde benedizioni.

Yoga Sutra di Patanjali

Tratto da: Sw. Satyananda Saraswati, “Four Chapters on Freedom – Commentary on Yoga Sutras of Patanjali”, Edizioni Yoga Publications Trust, Munger, Bihar, India.

II Capitolo: Sadhana Pada

Sutra 6 : Asmita – Il senso dell’Io

Drigdarshanashaktyorekatmatevasmita

Drig: purusha, potere della coscienza, capacità di vedere; darshana: quello che è visto, cognizione; shaktyoh: dei due poteri; ekatmata: identità; iva: come se; asmita: la sensazione dell’Io

Asmita è l’identità di Purusha con buddhi

La consapevolezza di “Io sono” è fusa con l’esistenza, il corpo, le azioni e la mente. È come se un principe negli abiti di un mendicante si identificasse con il ruolo che interpreta. Questo è asmita, quando la coscienza interiore, che rappresenta la verità più elevata nell’uomo, si afferma attraverso il corpo, buddhi e i sensi. Essa presenta differenti livelli. In un uomo primitivo, il cui intelletto non è sviluppato, asmita pone le sue radici nell’identificazione col corpo mentre una persona intellettualmente evoluta si identifica con le funzioni superiori della mente. Asmita è dunque la coscienza che identifica purusha con il proprio veicolo: per esempio, quando diciamo che l’autobus sta arrivando, in effetti vogliamo dire che l’autobus è guidato da un autista. Buddhi è il veicolo così come lo sono i sensi. Atman, o purusha, compie il lavoro di cognizione. La capacità di vedere, di pensare e di ascoltare appartiene in realtà a purusha, ma questo potere è trasmesso a buddhi e ai sensi. Questo concetto di mescolare insieme è chiamato asmita. È shakti, la forza di purusha, che crea il pensiero, la vista, ecc, ma tutto questo è trasferito al veicolo e ci sembra che siano gli occhi a vedere, ecc.
Quando si raggiunge la comprensione di purusha l’identificazione con il corpo o con l’intelletto cessa. Ma finché non diveniamo consapevoli di questo fatto, l’assenza di consapevolezza costituisce asmita.
Nella Kenopanishad viene affermato con chiarezza che è grazie al potere del sé (atma) che le orecchie sentono, gli occhi vedono, i prana circolano e la mente pensa. La mente non conosce l’atman, ma sa tutto per mezzo dell’atman. I mantra della Kenopanishad indicano chiaramente la distinzione tra il potere della percezione (drigshakti) e del suo veicolo (darshanashakti).
La facoltà della vista non si può ottenere grazie alla lettura di testi filosofici, né dopo aver ascoltato discorsi di grandi eruditi. Anche i filosofi e i pensatori identificano purusha con il corpo e con buddhi nella loro esperienza reale, perciò non è possibile superare asmita attraverso l’intelletto. È possibile solo attraverso la meditazione. Durante la meditazione può succedere che qualcosa emerge da voi e che potete vederla. Ramana Maharishi ebbe questo tipo di esperienza quando era molto giovane. Durante la meditazione vide il proprio corpo morto e vide anche se stesso osservare il proprio cadavere. Così c’erano tre persone: il corpo morto, chi lo vedeva e chi vedeva colui che lo vedeva. Così si può dire che asmita è la fusione di questo doppio o triplo principio. La maggior parte di noi dimora in asmita e di conseguenza in questo sutra si afferma che questo aspetto particolare di asmita non è che “io sono”. Il nostro “io sono” è l’identificazione dell’atman con i principi inferiori. Vi è una storia di Indra e Virochana, che erano rispettivamente il re degli dei e il re dei rakshasa (demoni). Tutti e due si recarono da Prajapati per riceverne insegnamento. Egli diede loro due grandi precetti: “aham Brahmasmi” (io sono Brahman) e “tatvamasi” (tu sei quello). Virochana intese erroneamente “aham” come corpo e alla fine asmita finì per distruggerlo. Indra meditò sul vero significato e trovò la gioia. Così, se potete rendere la vostra meditazione più elevata e attraversare avidya, potrete realizzare la vera natura di purusha; allora asmita è trasceso. Per questo esistono due metodi: uno è il potente ma difficile metodo di dhyana, l’altro è il metodo analitico degli gyana yogi, che è stato usato da Indra e che richiede la purificazione del cuore e dell’intelletto. Così asmita, che è un germoglio di avidya, può essere superato.

Sutra 7: Raga

Sukhanushayi ragah

Sukha: piacere; anushayi: che accompagna; ragah: attrazione

Raga è l’attrazione che accompagna il piacere

Sutra 8: Dvesha

Duhkhanushayi dvesah

Duhkha: dolore; anushayi: che accompagna; dvesah: repulsione

Dwesha è la repulsione che accompagna il dolore

Ogni volta che c’è un oggetto di piacere e la mente gli corre dietro sperando di avere ancora ed ancora l’esperienza piacevole, questo si chiama raga. Non è molto difficile da eliminare; si può eliminare dalla propria personalità grazie ad una piccola scossa, data sia dalla natura che creata da se stessi. Dwesha è l’opposto di raga. Tutte e due vincolano innumerevoli persone e cose, sia in modo positivo sia negativo. Sono condizioni definite della nostra mente e questo condizionamento si fonda sulla base di un senso di gioia o di repulsione.
Raga e dwesha ci vincolano ai livelli inferiori di coscienza. Finché sono presenti, la mente non può elevarsi alle altezze spirituali. Bisogna ricordarsi che raga e dwesha sono le due facce della stessa medaglia, la doppia espressione di un raga interiore. L’attrazione per una cosa implica la repulsione per un’altra, così non sono l’opposto una dell’altra ma le due facce della nostra mente. Bisogna eliminare prima dwesha e così anche raga se ne andrà. Anche l’aspirante spirituale prova raga e dwesha. Dwesha è una forza vincolante più potente; è un grande ostacolo. Quando dwesha è eliminato, la meditazione diviene più profonda e allora anche raga può essere sconfitto. Si dice che l’uomo è afflitto molto di più da dwesha che da raga; di conseguenza bisogna liberarsi dall’odio.

Prana Shakti

Tratto da: Sw. Satyasangananda Saraswati, “Tattwa Shuddhi”, Edizioni Satyananda Ashram Italia.

Il prana nel corpo non si muove in modo casuale, ma secondo schemi particolari, dando luogo a vibrazioni di diverse frequenze. Queste differenti frequenze costituiscono sia il corpo fisico che gli organi sottili. Sul piano fisico possiamo vedere i diversi organi e i loro componenti, mentre ad un livello più sottile possono essere percepiti anche gli organi di energia ed i loro componenti. Secondo il tantra e lo yoga, questi sono conosciuti come chakra, nadi, kundalini shakti, chitta shakti, prana vayu e panchatattwa.
Il prana è sia macrocosmico che microcosmico ed è il substrato della vita. Senza il prana saremmo come cadaveri in decomposizione senza alcuna capacità di vedere, di muoverci, di sentire, ecc. A questo proposito vi è una bella storia nella Prashnopanishad che racconta come un giorno tutti gli indriya, i sensi ed il prana cominciarono a discutere. Uno dopo l’altro gli indriya iniziarono a sostenere che se avessero smesso di funzionare, jiva sarebbe perito e che quindi la sua totale esistenza dipendeva da loro. Le orecchie dicevano: “Se ritiriamo il senso dell’udito, l’uomo non potrà certamente vivere”. Gli occhi dicevano: “Senza la vista, l’uomo è perso nelle tenebre; non può vivere se noi ci ritiriamo”. E ogni senso vantava i suoi meriti. Alla fine il prana, che era stato ad ascoltare in silenzio, disse: “Ma come, individui presuntuosi, se in quest’istante io mi ritirassi, nessuno di voi avrebbe la forza o la capacità di funzionare. Così dicendo, il prana cominciò a ritirarsi, prima dalle orecchie, poi dagli occhi, dal naso e così via. Appena cominciarono a perdere la padronanza sul corpo, i sensi cominciarono a tremare di paura e, comprendendo il ruolo del prana, ammisero subito di aver sbagliato e pregarono il prana di ritornare”.
Questa storia dimostra che senza prana non possiamo neppure batter ciglio, per non parlare del portare a termine i compiti che ci competono nel corso della vita. Il prana ha un ruolo vitale nella creazione e, sebbene siamo in grado di operare solo grazie al prana, la maggior parte di noi non è ancora stata capace di svilupparlo al suo massimo potenziale. La maggior parte delle persone ha un livello di prana così basso che non è neppure in grado di arrivare alla fine della giornata senza sentirsi stanca, figuriamoci generare del prana in più per dischiudere l’esperienza spirituale interiore.

Forme di prana shakti

La manifestazione cosmica del prana o “mahaprana” nel corpo individuale è rappresentata dalla kundalini. L’intera esperienza cosmica, dalla creazione alla dissoluzione, è contenuta nelle spire della kundalini. Di qui il nome di “atma shakti” o “para shakti” o energia universale. In tutti gli esseri viventi la coscienza divina viene per prima cosa trasformata in prana o energia e, dal momento che la kundalini è il serbatoio di questa grande quantità di prana, è conosciuta anche come “prana shakti”.
La parola kundalini deriva dal termine “kunda” che significa buca o cavità. Kundalini è l’energia propria di muladhara chakra, il centro assopito situato nella zona del perineo o della cervice. Quando viene liberata, l’intero potenziale di energia risale attraverso il sistema nervoso centrale nel corpo fisico, o attraverso sushumna nadi nel corpo pranico.
Tuttavia, di solito, prana shakti viene solo parzialmente liberata da muladhara chakra attraverso i canali di collegamento delle nadi ida e pingala. Ida e pingala possono condurre solo energia a basso voltaggio, danno vitalità al corpo e alla mente, ma non al loro massimo potenziale. Solo l’intera forza di kundalini shakti, o prana shakti, o atma shakti, può risvegliare tutte le funzioni vitali e la coscienza. Anche pingala nadi canalizza prana shakti, ma non dobbiamo confondere i due significati delle parole prana shakti. Ad un livello è “para” sotto forma di kundalini shakti; ad un altro livello è “pinda” (microcosmica) sotto forma di prana shakti, convogliata attraverso pingala.
Prana shakti si manifesta anche nella forma di sei centri principali, o chakra, serbatoi di prana, situati lungo la colonna vertebrale. Muladhara, il chakra più basso nel circuito di energia, è situato nel perineo nell’uomo e nella cervice nella donna, ed è connesso al plesso coccigeo. Il chakra successivo, swadhisthana, si trova due dita al di sopra di muladhara, e corrisponde al plesso sacrale. Sopra swadhisthana vi è manipura, dietro l’ombelico, che corrisponde al plesso solare. Nella colonna vertebrale, nella regione del cuore, vi è anahata chakra, che è connesso al plesso cardiaco. Nel centro del collo vi è vishuddhi chakra, che corrisponde al plesso cervicale. Alla sommità del midollo spinale, dove si trova il midollo allungato, vi è agya chakra, che è collegato alla ghiandola pineale nel corpo fisico. Ogni chakra è costituito da un elemento fondamentale. In muladhara si trova prithvi tattwa; in swadhisthana, apas tattwa; in manipura, agni tattwa; in anahata, vayu tattwa; in vishuddhi, akasha tattwa. Il particolare elemento che governa ciascun chakra indica a quale livello il chakra vibra ed agisce.
L’intero campo della coscienza, dei pensieri e delle azioni è governato dalle attività di questi chakra. I chakra sono energizzati da pingala nadi e resi completamente attivi dall’ascesa della kundalini. Finché non vengono completamente attivati, siamo limitati in ogni nostra azione ed esperienza. Nel sadhana di tattwa shuddhi, i chakra sono direttamente influenzati dalla concentrazione su ciascun tattwa.

Prana shakti come campi di energia

Per controllare le funzioni del corpo, prana shakti si manifesta anche sotto la forma dei cinque principali prana vayu conosciuti come prana, apana, samana, udana e vyana. Oltre a questi vi sono cinque upaprana o prana sussidiari. Tutti insieme questi dieci prana controllano ogni processo del corpo umano come la digestione, l’evacuazione, lo starnutire, il battito delle ciglia, parlare, muoversi, respirare. Fra questi, i vayu più influenti sono prana e apana. Prana è la forza che si muove verso l’interno e si ritiene crei un campo di energia che si muove verso l’alto, dall’ombelico alla gola. Apana è la forza che si muove verso l’esterno e si dice crei un campo di energia che si muove verso il basso, dall’ombelico all’ano. Sia prana che apana si muovono spontaneamente nel corpo, tuttavia possono essere controllati mediante pratiche di tantra e di yoga. Nelle Upanishad è detto che si deve utilizzare un metodo per invertire il movimento opposto delle due forze di prana e apana, così da farle unire con samana nel centro dell’ombelico, questo ha come risultato il risveglio della kundalini.
Attraverso questo sistema di manifestazioni del prana a livello fisico, sottile e cosmico, prana shakti crea, sostiene e infine distrugge la nozione di esistenza individuale negli esseri umani.

Prana shakti come Devi

Shakti nel mondo trascendentale non ha connotazioni sessuali. Nel mondo immanente viene invece dipinta come la dea “Devi”. Il termine stesso di shakti denota un principio femminile ed intorno a questo concetto ha preso vita tutto un gruppo di divinità femminili, ciascuna delle quali è una rappresentazione della shakti suprema, sia come “purna shakti”, manifestazione completa, che parziale come “amsa rupini”. Gli aspetti di shakti sono molteplici e ciascuno di essi rappresenta un differente aspetto o potere che si trova nell’individuo. Le purna shakti sono Kali, Durga, Laxmi, Saraswati e Parvati. Le amsa rupini sono molte, fra cui Dakini, Rakini, Lakini, Kakini, Sakini e Hakini.
Nel corpo umano, le purna shakti sono rappresentate dall’ascesa della kundalini e le amsa rupini dall’apertura dei chakra. Proprio come innaffiare le piante per alcuni giorni fa sì che i fiori sboccino, così kundalini shakti, quando si risveglia, fornisce l’energia ed il nutrimento per attivare le amsa rupini affinché manifestino tutte le loro potenzialità.
In tattwa shuddhi la kundalini, nella forma di prana shakti, è rappresentata come una bellissima dea. Questa tradizione di simboleggiare ciascun aspetto dell’esistenza umana come un mandala è parte essenziale del tantra. Tali mandala sono ben più che semplici simboli: essi rappresentano gli aspetti sconosciuti del subconscio e dell’inconscio dell’uomo. Si crede che la concentrazione su queste immagini faccia esplodere i samskara o archetipi che offuscano la creatività e la genialità nell’uomo.
Il mandala di prana shakti è creato in tattwa shuddhi per influenzare questo processo. I diversi aspetti della sua forma non sono scelti in modo arbitrario, ma sono stati selezionati con attenzione per esprimere particolari livelli di coscienza.

La Teoria della Meditazione

Tratto da: Sw. Satyananda Saraswati, “Meditations from the Tantras”, Edizioni Yoga Publications Trust, Munger, Bihar, India.

Cos’è la Meditazione?

La meditazione è qualcosa di cui molte persone hanno sentito parlare, pochi ne hanno una reale concezione e solo pochissimi ne hanno fatto esperienza. Come tutte le esperienze soggettive, la meditazione non può essere descritta a parole, chi legge dovrà cercare di scoprire da sé cos’è realmente. L’esperienza è qualcosa di reale, mentre una descrizione è veramente una non esperienza, specialmente quando si tratta di meditazione. Faremo comunque del nostro meglio per portare un po’ di luce sull’argomento. Definiamo innanzi tutto il modo in cui la moderna psicologia ha classificato i diversi elementi della mente. La mente subconscia o inconscia può essere approssimativamente divisa in tre gruppi come segue.
La mente inferiore – è in relazione con l’attivazione ed il coordinamento delle varie attività del corpo come la respirazione, la circolazione, gli organi addominali e così via. È anche l’area della mente dove hanno origine gli stimoli istintivi ed è in questa parte della mente che si manifestano complessi, fobie, paure e ossessioni.
La mente intermedia – è la parte della mente in relazione con le informazioni che utilizziamo nello stato di veglia. È questa parte della mente che analizza, confronta, raggiunge conclusioni in relazione alle informazioni che riceve. I risultati di questo lavoro si manifestano alla nostra attenzione conscia secondo le necessità. Questa è la parte della mente che ci fornisce le risposte. Per esempio, molti di noi hanno dovuto affrontare problemi la cui soluzione non è stata immediata ma che è emersa successivamente. È la parte subconscia della mente intermedia che ha risolto il problema senza l’aiuto della nostra consapevolezza. Questo è il regno del pensiero razionale o intellettuale.
La mente superiore – è l’area dell’attività superconscia. È la fonte dell’intuizione, dell’ispirazione, dell’estasi e delle esperienze trascendentali. È da questa regione che i geni ricevono i lampi di creatività. È la fonte della più profonda conoscenza.
Durante le ore di veglia siamo coscienti solo di alcuni fenomeni, solo di una piccola parte delle attività della mente, di solito nel regno della mente intermedia. È questa coscienza che ci permette di leggere queste parole e di comprenderne il significato.
Un’altra parte della mente è l’inconscio collettivo; Carl Jung lavorò molto per portarlo a livello di credibilità scientifica. È in questa parte della mente che è registrato il nostro passato evolutivo, che sono registrate le attività dei nostri avi e i nostri archetipi. È la parte della mente che ci collega a tutti gli altri esseri umani perché è la matrice del nostro passato comune. Oltre a tutte queste diverse parti della mente vi è il sé, il nucleo dell’esistenza. È il sé che illumina ogni cosa che facciamo, anche se non ne siamo consapevoli. Molti pensano che il centro del nostro essere sia l’ego, mentre in effetti non è che un’altra parte della mente. È il sé che illumina anche l’ego.

Cosa accade quindi quando meditiamo?

Quando meditiamo siamo in grado di dirigere la consapevolezza nelle diverse aree della mente. Come abbiamo già detto, la nostra consapevolezza, nelle attività superficiali, è confinata in piccole aree della parte intermedia o razionale dell’inconscio. Durante la meditazione siamo in grado di discostarci dall’intellettualizzazione. La normale esperienza della gran parte delle persone che cominciano a meditare è quella di vedere apparizioni grottesche oppure di diventare consapevoli di complessi profondamente radicati che non sapevano esistessero in loro oppure di comprendere di avere timori e paure di cui non erano mai stati consapevoli. Questo perché la coscienza funziona a livello della mente inferiore, mettendo in evidenza complessi, paure, ecc. di cui precedentemente non si era consapevoli Prima si era solo consapevoli dell’espressione di queste paure nella forma di rabbia, odio, depressione, ecc. Una volta che questi complessi profondamente radicati sono stati affrontati possono essere rimossi (vedi cap. “Riprogrammare la Mente”) ottenendo una grande felicità nella vita. Durante la meditazione molte persone divengono consapevoli dei processi interni del corpo. Ciò succede perché la coscienza diviene consapevole delle attività che controllano le funzioni corporee.
È difficile raggiungere elevati stadi di meditazione senza prima rimuovere quelle paure compulsive presenti nella mente inferiore. Non è possibile attraversare stati meditativi più profondi poiché questi complessi sono così compulsivi che sembrano attrarre quasi automaticamente l’attenzione della coscienza. Sebbene la coscienza possa dirigersi verso molte altre aree, essa viene attratta dalle attività della mente inferiore come il ferro da una calamita. Sembra che provi un piacere perverso nell’indugiare sulle nostre ansie, fobie e paure.
Negli stati più elevati di meditazione la coscienza si dirige verso la mente superiore o regione della supercoscienza. La coscienza si eleva oltre il pensiero razionale permettendoci così di vedere le attività che sembrano essere più vicine alla realtà. Colui che medita entra nella dimensione dell’ispirazione e dell’illuminazione; si cominciano così ad esplorare le verità e gli aspetti più profondi dell’esistenza, si attraversano nuove sfere e luoghi di esistenza finora impossibili da raggiungere e considerati semplici fantasie dell’immaginazione.
Il culmine della meditazione è l’autorealizzazione. Questo avviene quando si trascende anche la mente superiore. La coscienza abbandona l’esplorazione della mente e si identifica con il nucleo centrale della propria esistenza, il sé. A questo punto diventa pura coscienza. Quando una persona raggiunge l’autorealizzazione significa che è entrata in contatto con il suo essere centrale e identifica così la sua esistenza, la sua vita, dal punto di vista del sé e non più da quello dell’ego. Quando si agisce dal centro del proprio essere il corpo e la mente operano quasi come due entità separate e cessano di essere il vero lui; sono semplicemente manifestazioni del sé, della sua vera identità. Si può vedere quindi che lo scopo della meditazione è l’esplorazione delle differenti regioni della mente per poi successivamente trascendere completamente la mente.

Meditazione passiva e attiva

La meditazione attiva è quella che si genera durante le normali occupazioni quotidiane, mentre si cammina, si parla, si mangia e così via. Questo infatti è lo scopo dello yoga, permettere la meditazione mentre si è coinvolti nelle attività quotidiane. Ciò non significa che le varie attività non siano svolte o siano svolte senza entusiasmo. In realtà il lavoro o le attività esterne saranno invece svolte con maggiore efficienza ed energia. La meditazione attiva può essere sviluppata attraverso le pratiche di meditazione passiva illustrate in questo libro, sviluppando l’identità del proprio sé e perfezionando le tecniche di karma e bhakti yoga (vedi cap. 8 “Altre Forme di Yoga”).
La meditazione passiva mira a realizzare, in una posizione seduta, una pratica meditativa come quelle illustrate in questo libro. Il suo scopo è di fermare la mente sempre irrequieta e vagante e renderla focalizzata cosicché l’esperienza meditativa possa fluire automaticamente. Può essere grossolanamente suddivisa in quattro stadi in successione.
Stadio 1 – fissare la mente su una pratica meditativa, un oggetto, un suono, il respiro, un’immagine e così via. Questo calma la mente e la rende introversa.
Stadio 2 – il successo nello stadio 1 conduce automaticamente al libero flusso di pensieri, complessi, visioni, ricordi, ecc. dalle dimensioni inconsce della mente. È ora possibile esplorare la personalità e la mente inferiore rimuovendone i contenuti indesiderabili.
Stadio 3 – quando la mente inferiore è stata completamente esplorata si cominciano ad esplorare le dimensioni del superconscio. La vera meditazione comincia ora. L’illimitato deposito di conoscenza e di energia presente entro ognuno di noi inizia a mostrarsi spontaneamente. Alla fine, il proprio essere inizia a entrare in sintonia con il cosmo e con tutto ciò che ci circonda.
Stadio 4 – successivamente si trascende anche la mente e colui che medita raggiunge l’unità con la coscienza suprema. La meta dell’autorealizzazione è così raggiunta.
Una riuscita meditazione passiva porta automaticamente alla meditazione attiva: più profondamente ci si immerge nella mente durante la meditazione passiva, più facilmente si sarà in grado di vivere in un perpetuo stato di meditazione anche durante le occupazioni quotidiane. Così l’espressione della mente nelle attività quotidiane diventerà più elevata. Esplorare la mente significa renderla più forte divenendo quindi più efficienti nella vita, nel lavoro, nel gioco, ecc. realizzando cose ritenute prima impossibili.
La meditazione passiva diventa poi superflua e questo succede quando si consegue l’autorealizzazione. In questo stadio l’individuo vive totalmente secondo i valori interiori più profondi e spirituali, rimanendo in grado nello stesso tempo di esprimere se stesso nel mondo esterno. In questa situazione chi ha raggiunto l’autorealizzazione è in grado di vivere sia una vita spirituale sia materiale senza conflitti. In questo stadio vi è una continua e spontanea esperienza di meditazione attiva.
Generalmente si ha la tendenza a identificarsi con gli oggetti che percepiamo. Se per esempio vediamo un tramonto, tutta la nostra consapevolezza è coinvolta nel tramonto, così tanto da dimenticare completamente la nostra identità. Dimentichiamo il fatto che stiamo facendo esperienza dello spettacolo. Come possiamo vivere così l’esperienza della gioia del tramonto? L’individuo, il soggetto, colui che fa l’esperienza dimentica la sua natura perché è eclissato dall’oggetto della percezione.
La coscienza si è identificata con l’oggetto fino all’esclusione del soggetto. Chi legge può notare che questo accade anche mentre si leggono le parole di questo libro. Siete consapevoli del fatto che state facendo esperienza di queste parole o vi siete identificati completamente con esse? La situazione ideale la troviamo quando facciamo l’esperienza del tramonto o di un qualsiasi altro oggetto senza perdere nello stesso tempo la consapevolezza di noi stessi. Si dovrebbe sentire l’esperienza oggettiva della percezione. In questo modo eleviamo la percezione spirituale di questa esperienza; l’anima o il sé ora conoscono consciamente l’esperienza dell’oggetto. La beatitudine del sé può ora mostrare se stessa in risposta all’esperienza oggettiva esterna. Prima la natura del sé era oscurata dall’esperienza dell’oggetto, ora il sé può risplendere nella sua piena e immacolata gloria.
Questo dovrebbe essere applicato a tutta la nostra esistenza materiale. Dobbiamo fare esperienza dei fenomeni esterni, poiché fanno parte della vita, tuttavia dobbiamo integrare la nostra vita di relazione con la vita interiore. In questo modo saremo in grado di godere più pienamente la vita materiale. Attualmente gran parte di noi vive una vita quasi totalmente estroversa ignorando l’oceano di beatitudine che esiste nelle profondità del nostro essere. Questa è una delle mete della meditazione: allontanare la coscienza dalla confusione esterna, anche solo per un breve tempo, per dirigerla all’interno. Lo scopo è dare uno sguardo alla vita interiore per poi connetterla con la vita esteriore. Questa connessione esiste da sempre ma non ne siamo consapevoli. La meditazione ci dà la consapevolezza di questa connessione, ci conduce alla pace e alla felicità spirituale e ci rende consapevoli dell’importanza vitale dell’esperienza soggettiva, quella natura interiore essenziale che è nostro retaggio.
La meditazione è il legame, il collegamento di tutto. È qualcosa che dovremmo essere in grado, e lo siamo, di sperimentare spontaneamente, ma non possiamo ancora a causa del nostro modo di vivere. Siamo in un continuo stato di tensione perché non conosciamo ancora noi stessi e la nostra natura interiore. Cerchiamo continuamente di fare cose perché sentiamo che dobbiamo farle, anche quelle che potrebbero essere contrarie alla nostra natura. Vi è un continuo conflitto tra ciò che è e ciò che vorremmo. Siamo sempre più motivati a diventare qualcosa più che semplicemente ad essere. Se solo riuscissimo a stabilire un collegamento tra ciò che siamo e ciò che vogliamo allora la meditazione avverrebbe spontaneamente.
La conoscenza di cui la maggior parte di noi fa esperienza è di natura intellettuale e deriva dalla parte razionale della mente. Questa effettivamente è una forma di conoscenza relativa, non è la vera conoscienza, in quanto consiste in un campo limitato di fatti e di immagini da cui desumiamo teorie, concetti e le nostre relazioni con l’ambiente. Questo è il modo di ragionare della mente razionale in termini scientifici, tecnologici, filosofici e altro ancora. L’inganno è che le supposizioni iniziali in se stesse sono adeguate, ma questo tipo di conoscenza si dimostra a volte errata, alla luce di nuove teorie sul soggetto. Un esempio è la teoria di Newton sulla gravità che fu accettata come verità assoluta. Alcuni secoli più tardi Einstein dimostrò con le sue teorie che la gravità è qualcosa di diverso. Questo fatto non è applicabile solo alla scienza ma ad ogni atto intellettuale che effettuiamo. Tutte le conclusioni che possiamo trarre per mezzo della mente razionale possono essere soppiantate alla luce di nuove informazioni.
Possiamo anche acquisire conoscenza nella forma di sensazioni o emozioni; mentalmente possiamo percepire la verità di un’idea e allo stesso tempo percepire la verità attraverso la nostra sensibilità emotiva. Molte persone confondono questo tipo di conoscenza con la conoscenza intuitiva.
Oltre alla conoscenza intellettuale ed emotiva vi è un altro tipo di conoscenza che si può raggiungere nello stato meditativo ed è una forma più reale di conoscenza. È la conoscenza intuitiva che abbraccia la totalità di una situazione. Diversamente dalla conoscenza razionale che cerca di costruire un quadro completo del tutto dall’insieme delle parti, l’intuizione comprende direttamente il tutto. Questo ha origine dalla parte superconscia della mente di cui normalmente non siamo consapevoli. Questo tipo di conoscenza non dipende né dall’intelletto né dalle emozioni, che tendono a colorare e a deformare la forma reale della conoscenza. La meditazione non dipende da una proiezione personale, se ciò accade non è meditazione.
Durante la meditazione si genera una connessione tra le regioni più elevate della mente (cioè la parte superconscia della mente) associate all’espansione della coscienza e il campo della consapevolezza vigile. Questo collegamento permette a chi medita di percepire attraverso la propria consapevolezza le più elevate vibrazioni mentali. Queste sottili ed elevate vibrazioni, pur esistendo da sempre, non sono normalmente percepibili. In qualche rara occasione possono essere presenti nella forma di ispirazioni, di illuminazione creativa, di lampi di intuizione, ecc. Normalmente non si è consapevoli di queste vibrazioni, di queste verità e della conoscenza superiore a causa dello stato della mente impuro e dominato dai complessi. Queste forme superiori di conoscenza, queste elevate vibrazioni mostrano molto di più delle cause e delle verità fondamentali oltre le manifestazioni che vediamo nella vita di ogni giorno. Durante la meditazione si manifestano gli aspetti più profondi della vita.