“YOGA” 2011 – Vol. 2

“YOGA” 2011 – Vol. 2

Fate Amicizia con la Mente di Swami Satyananda Saraswati

Tratto da: Rikiapeeth Blog del 10 Gennaio 2011.

Non ho mai lottato con la mia mente. La mente è mia amica. Talvolta la mente fa degli errori, ma ho sempre accettato questo. Sono una persona diretta e schietta. La mente ha certamente delle debolezze e delle fissazioni. Chi in questo mondo, dopo essere entrato in una canna fumaria piena di fuliggine, ne è mai uscito pulito? Se c’è qualcuno fra voi che può dichiarare di essere senza macchia, allora alzi la mano. Nessuna persona saggia si aspetterebbe di uscire pulita da una casa piena di fumo nero.
Chiunque in questo mondo ha tre imbroglioni dentro di sé: kama (il desiderio), krodha (la rabbia) e lobha (l’avidità). Questi tre difetti sono i contrabbandieri nascosti nella mente delle persone. Tutti quelli che sono nati in questo corpo fisico hanno desiderio, rabbia e avidità. Nessuno lo può negare, nessuno è libero da queste tre cose. Talvolta la mia mente è influenzata da tutte e tre le cose e dico: “Va avanti”. Non lotto mai con la mente. Essa mi è compagna e intima amica. Vive, pensa e lavora per me; ma abbiamo fatto un accordo. Essa dice: “Swamiji, tu sei il mio guru, io sono la tua discepola”.
Swami Shivananda e molti altri santi ci hanno raccontato della casa in cui è accesa una lampadina da cento watt. Essa emette un debole raggio di luce attraverso le fessure della porta e delle finestre. La lampadina accesa all’interno è paragonata alla mente. La mente è un piccolo frammento del sé divino. La potenza mentale è semplicemente una frequenza molto limitata del sé divino, di Dio. La potenza mentale non è demoniaca, è semplicemente una potenza con una frequenza limitata. Perciò non comportatevi male con la mente. Rendetela vostra amica ma non siate prepotenti con essa. Questa è l’era della democrazia; anche la mente sostiene di avere dei diritti.
La vostra mente vi parla in un amichevole rapporto di uguaglianza. Non vi prende come padrone. È come i vostri figli che vi brontolano. In questo mondo di sofferenza, di dolore e di desideri, la mente continua a bramare le cose. Così, in questo carnevale di ventiquattro ore che è il mondo, dite ciò che volete e lasciate che io dica ciò che voglio prima che sia troppo tardi. Talvolta la mente trionfa su di me e talvolta sono io che vinco sulla mente. Talvolta la mente mi ascolta, e talvolta io ascolto lei; ma ora essa è mia discepola e mi chiama guru.
Tutti voi potreste raggiungere un tale rapporto con la mente, ma avete già creato un’inimicizia con essa, come quella fra i Kaurava e i Pandava. Ora come ora non è possibile che abbiate una relazione amichevole con la mente. Per voi la mente è peccatrice, sorgente di ogni sofferenza e di ogni vizio, l’origine delle preoccupazioni e delle ansie. Essa è il magazzino della passione, della rabbia e di ogni debolezza umana. Per voi la mente è un gabinetto sporco dove non potete entrare. Questa è la vostra definizione di mente. È una concezione della mente sbagliata, profondamente radicata, e dovrete cambiarla, poiché la mente è molto potente.
Tutte le grandi persone del mondo hanno comandato la propria mente perché compisse delle meravigliose imprese nei rispettivi settori: che si trattasse di artisti, di scienziati, di uomini di lettere, di guru o di mahatma, come Buddha, Mahavir, Gandhi, Newton e Einstein. Valmiki e Tulsidas comandarono alla propria mente di scrivere il Ramayana e il Ramacharitamanas; non stavano semplicemente seduti nella foresta. La mente è una minuta frazione dell’imponderabile Brahman. Nessuno dovrebbe comportarsi male con essa.
La mente ha una vulnerabilità, una debolezza. Se pensate alla sofferenza e alla sfortuna degli altri, la mente si scioglie. Si spoglia della sua dura corazza. Immaginate di avere dieci o ventimila rupie e vi passa per la mente di voler aiutare i poveri con quei soldi. Se durante quella giornata fate realmente qualcosa per aiutarli, la vostra mente sarà contenta e molto tranquilla. Vi sentirete tanto tranquilli che non riuscirete a esprimerlo con le parole.
Molti anni fa andai a Rajgir con una famiglia che conosco molto bene. Il signore aveva un figlio di otto anni. Il padre andò direttamente alla sorgente di Taptakunda, una sorgente calda, senza badare ai mendicanti che chiedevano l’elemosina ai suoi piedi. Il figlio pregò suo padre perché desse dei soldi ai mendicanti. Il padre ignorò le sue richieste, sostenendo che i mendicanti erano tutti imbroglioni e che fingevano di essere poveri, ma il ragazzo continuò a insistere e finì per dare al mendicante le pochissime monete che, per un ragazzo di otto anni, erano tutto ciò che possedeva. La vicenda finì lì.
Quando tornarono all’hotel dove soggiornavano, il padre continuò per tutto il giorno ad apprezzare i pensieri gentili del ragazzo. Continuava a ripetere: “Guardate che ragazzo gentile. È pieno di buoni pensieri. Non mi faceva andare avanti se non davo qualche elemosina ai mendicanti”. Così, anche il padre avaro aveva una mente che poteva apprezzare la gentilezza del figlio. Se volete rendere la mente vostra amica, ascoltatemi. Trattate tutto il mondo come se fosse la vostra famiglia e tendete la mano verso il maggior numero possibile di persone.

Osservate la Mente Vulcanica – Satsang con Swami Satyananda Saraswati

Tratto da: Rikiapeeth Blog del 13 Gennaio 2011.

Come si sviluppano i problemi mentali

Nei tempi antichi, molti secoli fa, la vita era diversa da quella che viviamo oggi, quindi erano differenti anche le reazioni nella mente delle persone. Le persone riuscivano a concentrarsi su un unico punto senza dover passare attraverso dei problemi psicologici. Non avevano così tante tentazioni, così tanti desideri, passioni e paure. Quando quelle persone iniziavano a praticare la concentrazione, la mente diventava automaticamente calma e tranquilla.
Tuttavia, oggi le persone non sono così. La loro mente vibra in continuazione; non è mai tranquilla. Se desideraste concentrare una mente di questo genere, dovreste sforzarvi molto. Non potete tranquillizzare la mente tramite la mente. È precisamente per questo motivo che migliaia di persone nel mondo intero, si stanno rivolgendo alle droghe per calmarla. E una buona percentuale di coloro i quali hanno lavorato sodo sulla mente attraverso delle pratiche di concentrazione, finiscono all’ospedale psichiatrico.
Oggi, quando vi sedete per la concentrazione e tentate di controllare la mente, di reprimere le espressioni spontanee della mente, è necessaria una grande forza per fermare quelle vibrazioni che si creano al suo interno. È per questo motivo che le persone che tentano di concentrarsi in questo modo, sperimentano nella loro vita delle tensioni e delle emozioni abnormi. Questo è precisamente il concetto di yoga che sto tentando di trasmettervi.
Riflettete su questo. Perché desiderate concentrare la mente? È proprio necessario farlo? Non è forse possibile trascendere la mente? Non è forse possibile saltare al dì là di essa? E, quando tentate di concentrare la mente, in realtà non state creando un conflitto tra uno schema mentale in guerra con un altro schema mentale?
Vi è una scissione fra il vostro desiderio di essere e l’impossibilità di riuscirvi, ed è così che si sviluppano i problemi mentali. Questo atteggiamento si riflette poi nella vostra personalità e nelle vostre azioni. Per questo motivo è necessario che io vi dica che la forma di yoga adatta alla nostra era dovrà essere un po’ diversa da quella praticata alcune centinaia di anni fa.

Rendete amica la vostra mente

Vi è anche un altro punto importante che tutti dovrebbero ricordare. Quando praticate il vostro mantra, o qualunque altro tipo di concentrazione che il vostro guru vi ha insegnato, la mente inizia a oscillare. È in quel preciso momento che la vostra mente inizia a far esplodere le sue esperienze e la sua conoscenza. Se questo è ciò che siete, perché non farne esperienza? Da dove vengono queste cose? Di cosa sono composte? Sono esoteriche o essoteriche? Se fanno parte della vostra mente, se sono inerenti in voi, qual è la loro forma? Per quello che io ho capito, esse sono le impressioni latenti, samskara, radicate nella mente inconscia. Prima di tentare di sperimentare la luce, la realtà dentro di voi, dovrete esaurire queste impressioni, o in meditazione o nel processo della vita.
Sarà necessario riprogettare un genere di yoga che serva a questo scopo e il mantra dovrà avere un ruolo importante da svolgere affinché, senza dover concentrare la mente, tutto inizierà a succedere spontaneamente dentro di voi. Poi scoprirete che, quando non concentrate la mente, farete un’esperienza migliore. Potete vivere senza lottare con la mente, senza lottare con voi stessi, rendendola semplicemente vostra amica, comprendendola e vivendo con i suoi scherzi e i suoi infantilismi. Allora tutta la vostra vita avrà un’atmosfera migliore.
Tuttavia la maggioranza delle persone lotta con la mente. La mente vuole fare una cosa e voi consultate un libro che dice: “No, non farlo”. La mente vuole pensare a qualcosa e voi consultate un libro o una scrittura che dice: “No, non pensare così!”. Consultate sempre un libro! Vi comportate così con i vostri figli? Se un neonato piange, consultate una scrittura? Se un bambino piange, consultate un libro? Allo stesso modo, cessate di lottare con la mente, diventate suo amico.
Dovrete trovare una pratica di yoga di quindici o venti minuti che funzioni per voi. Non potete praticare ogni giorno tre o quattro ore di yoga. Le persone moderne semplicemente non hanno il tempo. Dovete condensare la qualità della vostra pratica eliminando ciò che non è essenziale e poi, ogni giorno, fare la vostra pratica di yoga in modo tale da non interferire con la mente.

La materia al di sopra della mente

Oggi la mente umana è diventata vulcanica. Per esempio, una madre dice alla figlia: “Guarda, ti dico di non farlo”. La figlia esce, prende delle pasticche e si uccide. Questo è il genere di persona che siamo diventati oggi. Marito e moglie dormono. Il marito russa e quindi lei divorzia da lui! Questo è il genere di persona che siamo. Reagiamo senza un senso di equilibrio interiore.
Non critico alcuna cultura o paese in particolare. Il mondo intero è diventato così poiché questo è il Kali Yuga. Questa è l’era in cui la materia regna sulla mente, in cui la mente è totalmente satura, completamente sopraffatta dalla consapevolezza della materia piuttosto che dalla consapevolezza del Sé.
Un’altra tendenza della mente di oggi è quella di essere irretita in un viaggio dell’ego, da qualche parte lungo il percorso. Non dovreste mai pensare di essere evoluti, di aver risvegliato la kundalini o di avere raggiunto savikalpa samadhi, nirvikalpa samadhi o qualche altro samadhi. Non dovreste mai pensare di essere una persona speciale; tutti sono soggetti all’ignoranza. Tutti sono soggetti ai destini del karma. Nessuno è libero dal karma.
In India diciamo: “Anche se Dio onnipotente si incarnasse nella forma di un essere umano, sarebbe soggetto alle leggi del karma”. Cosa dire, quindi, di una persona ordinaria? Non siete oltre il corpo fintanto che siete nel corpo. La tradizione dello yoga dice che perfino un jivan mukta, un saggio liberato, deve vivere nel corpo, deve vivere con la mente; deve quindi seguire le leggi della mente.

I Condizionamenti Mentali

Una lunga carovana di cammelli stava attraversando il deserto quando arrivò in un’oasi nella quale si fermò a riposare per la notte. I carovanieri non vedevano l’ora di dormire, ma quando iniziarono a legare i cammelli perché non fuggissero, si accorsero che mancava un legaccio. Così tutti i cammelli poterono essere adeguatamente assicurati tranne uno. Il carovaniere cercò disperatamente un qualche mezzo per legare il cammello, ma non riuscì a trovarne alcuno. Nessuno voleva stare sveglio tutta la notte per adocchiare il cammello, e nello stesso tempo il guidatore non voleva perdere l’animale.
Dopo aver riflettuto a lungo, uno dei carovanieri ebbe una splendida idea. Egli andò dal cammello, prese la corda e scrupolosamente fece tutti i movimenti per legare il cammello a un cavicchio, un cavicchio immaginario. Questo fece scattare nel cervello dell’animale il segnale di essere bloccato e più tardi, quando il cammello fu fatto accucciare, se ne restò fermo immobile nel suo posto per tutta la notte.
Il mattino successivo gli animali furono liberati e furono tutti pronti a continuare il viaggio tranne uno. Esso si rifiutava di alzarsi. I carovanieri provarono a blandirlo e persuaderlo ma senza risultato alcuno: non si muoveva. Alla fine uno dei guidatori comprese la ragione della sua ostinazione. Egli aveva scordato di annullare il segnale di prigionia dal cervello del cammello ed esso così pensava ancora di essere vincolato al cavicchio.
Allora si mise in piedi dietro al cavicchio immaginario e fece finta di slegare la corda e liberare l’animale. Subito dopo il cammello si eresse in piedi senza la benché minima esitazione, credendo di essere nuovamente libero.
Naturalmente il cammello era stato libero tutto il tempo, ma si era lasciato convincere di essere legato. Succede la stessa cosa con gli esseri umani: l’uomo è sempre potenzialmente libero, ma la maggior parte delle persone si lascia braccare dai propri problemi. Per esempio, non appena sentiamo un disordinato movimento nell’intestino, scatta immediatamente il pensiero nella nostra testa di avere la diarrea. Allora la diarrea effettivamente si sviluppa perché crediamo sia inevitabile e in questo modo veniamo legati da essa come il cammello al cavicchio immaginario. Accade la stessa cosa con qualsiasi problema di carattere emozionale che ci affligge. In alcune situazioni diventiamo arrabbiati, impauriti, insicuri, preoccupati o depressi perché la memoria delle passate esperienze entra nella mente innescando il meccanismo. Queste risposte si traducono in un riflesso condizionato, in un’abitu¬dine in modo talmente forte che arriviamo a identificarci con esse e ad aspettarcele. Questo processo si ripercuote su di noi con diversi effetti, com’è stato provato da ricerche mediche e scientifiche. Il biofeedback, in particolare, ha dimostrato una diretta correlazione tra gli stati della mente e la malattia fisica.
Quando la brama, la gelosia, le preoccupazioni, la rabbia, la paura, l’insicurezza o il dubbio entrano nella mente, un certo tipo di vibrazione viene a crearsi nel cervello. Questa è trasmessa, attraverso il sistema nervoso, alle ghiandole endocrine che secernono i corrispettivi ormoni. Quando questi ormoni vengono immessi nel flusso sanguigno, si producono diverse patologie: emicrania, disordini gastrici, epilessia, ipertensione, diabete, asma, ecc.
Nessuna quantità di farmaci potrà mai eliminarle, perché esse prendono origine dalla mente. Naturalmente possiamo attenuare la sofferenza di questi disturbi alleviando i sintomi, ma fintanto che il meccanismo mentale ed emozionale resta, le stesse malattie si manifesteranno nuovamente nel tempo. Non c’è alcun antidoto per i sottili conflitti della mente, se non lo yoga, e nessuno può sciogliere il nodo immaginario delle nostre paure e problemi se non noi stessi. Questi disturbi indesiderati potranno essere definitivamente sradicati soltanto quando riusciremo a comprendere di essere realmente liberi.
Questo è un servizio enorme che lo yoga rende all’umanità. Mostrandoci la via per capire e controllare la mente, le malattie psicosomatiche e i problemi emotivi, ci indica che essi potranno essere valutati per ciò che realmente sono: immaginari e illusori condizionamenti mentali.

La Bhagavad Gita

Tratto da: Swami Niranjanananda Saraswati, Yoga Sadhana Panorama, vol. V, Yoga Publications Trust, Munger, Bihar, India.

Capitoli 7-12

Man mano che la meditazione diviene più profonda, nasce una consapevolezza che conosce la differenza fra ciò che è impermanente e ciò che è permanente, fra il transitorio e l’eterno. Questo è Jnana Vijnana Yoga, il settimo capitolo della Bhagavad Gita. Nella meditazione, man mano che la coscienza va in profondità e vi dissociate dal dolore della sofferenza, trascendete le esperienze una dopo l’altra. Comprendete se un’esperienza è di tipo permanente o semplicemente un avvenimento che è successo in un dato momento, in un dato spazio, in un dato luogo, e se n’è andato via per non tornare mai più, che esso non ha alcuna influenza su di voi. Quindi perché portarvi dietro il fardello di un ricordo e soffrire? Viveka, il discernimento fra ciò che è eterno e ciò che è impermanente, viene sviluppato attraverso questo processo di meditazione.
Una volta acquisita l’abilità di discernere fra l’eterno e l’imperma¬nente vi è una naturale inclinazione a riconoscere o a identificarsi con l’eterno, ciò che voi siete in realtà, con l’idea di Tat Twam Asi, “Io sono Quello”. Riconoscete l’eterno come ciò che siete realmente attraverso la connessione con la sorgente permanente dell’ispirazione, della gioia e della motivazione che vi permette di svolgere i vostri karma senza alcuna aspettativa o desiderio di un risultato. Il karma diventa semplicemente il mezzo per esprimere la propria creatività e perfezione. Non vi è alcuna identificazione con l’esito ma vi è l’identificazione con come, in ogni momento, accrescere sempre di più la creatività. Questo è il tema dell’ottavo capitolo, Akshara Brahma Yoga.
Il nono capitolo, Rajavidya Rajaguhya Yoga, dice che il segreto nella vita, per avere successo e ottenere qualcosa, è l’osservanza del dharma, la virtù, la rettitudine. Fintanto che osserverete il sentiero del dharma sarete liberi dalla sofferenza perché non diventerete la causa del dolore e della sofferenza né per gli altri né per voi stessi. Avrete trovato la pace, l’equilibrio e l’armonia. Senza questo equilibrio non esiste il dharma, perché il dharma rappresenta ciò che è retto e virtuoso. Ovunque ci sia la rettitudine e la virtù è inevitabile che ci sia la chiarezza, sattwa, la purezza, e la luminosità. Non vi è nessun ritorno al sentiero di adharma, la non rettitudine.
Il capitolo dieci è Vibhuti Yoga. Osservando il dharma, auspicabili compimenti, o vibhuti, sono realizzati. Pensare in maniera corretta è un raggiungimento. Essere capaci di controllare degli sfoghi negativi è un raggiungimento. Essere capaci di dormire tranquillamente di notte è un raggiungimento. Essere capaci di mantenere il coraggio di fronte alle difficoltà è un raggiungimento. La fede è un raggiungimento. La forza di volontà è un raggiungimento. La capacità di sedersi tranquillamente per due o tre ore è un raggiungimento. Essere capaci di comunicare è un raggiungimento. Essere capaci di pensare correttamente è un raggiungimento. Essere capaci di vivere correttamente è un raggiungimento. Non pensate che i raggiungimenti siano qualcosa di grandioso, pensateli come delle piccole cose che riuscite a realizzare e ad esprimere nella vita di tutti i giorni, nelle vicende della normale routine. Questo è il significato di “raggiungimento” ed è possibile realizzarlo osservando il dharma. La persona si identifica con questi raggiungimenti, li vive, diventa tutt’una con essi. Vi sono molte figure storiche che hanno vissuto una vita virtuosa, disciplinata e spirituale.
Quando riuscite a vivere una vita virtuosa, disciplinata e spirituale si sviluppa la consapevolezza cosmica. Questo è il tema dell’undicesimo capitolo, Vishwarupa Darshan. Allora la consapevolezza trascende il sé egoista, l’essere concentrato su se stesso, e il radar si estende verso l’esterno, verso i cieli, pronto a ricevere ogni segnale che arriva da qualunque sorgente. Quando riuscite a dirigere il vostro radar interiore verso lo spazio che vi contiene e siete pronti a ricevere qualunque segnale che arriva da lì, quel raffinamento di voi stessi è l’inizio dello sviluppo della coscienza cosmica in voi.
Man mano che vi identificate sempre di più con il sé interiore, con la sorgente, ha origine un naturale rifocalizzarsi e reincanalarsi dell’energia e la coscienza diventa stabile nella realizzazione della divina grazia. Attualmente l’energia scorre verso l’esterno e siamo il risultato di quella corrente di energia. I nostri sensi scorrono verso l’esterno, le nostre esigenze ci portano verso l’esterno. Desideriamo perfino trovare la pace, la felicità e la realizzazione all’esterno. Tutto avviene all’esterno, nulla avviene interiormente. Ma nel Bhakti Yoga, l’argomento del dodicesimo capitolo, il punto focale, l’attenzione è rovesciata. È più difficile da praticare. Nella sua forma più pura è molto più difficile praticare bhakti yoga che raja yoga.
Bhakti ha nove stadi e, a mano a mano che progredite attraverso questi nove stadi, anche la coscienza si evolve. Si identifica sempre di più con l’energia. Nello stadio finale di bhakti vi è sayujya, l’unione finale, la fusione fra la coscienza e l’energia. L’unione del sé individuale con il Sé superiore è interiore, perché continuate ad esistere nel corpo, ma la vostra coscienza è connessa al Sé superiore. Siete consapevoli del Sé superiore come una madre, la quale nonostante le altre attività che svolge, è sempre consapevole del suo bambino. Qualunque cosa faccia o che faccia il bambino, la connessione è permanente. Quando questa connessione percepisce una minaccia, la madre si assicura subito che il bambino sia al sicuro e poi ritorna al suo lavoro, senza interrompere la connessione. Questo è il genere di connessione che esiste fra il sé individuale e il Sé superiore. A quel livello la persona è nota come un siddha, come un bhakta.

Capitolo 7

Il capitolo sette è Jnana Vijnana Yoga, lo yoga della saggezza e della realizzazione. Qui jnana è stato identificato come saggezza e vijnana come realizzazione. Krishna ha fatto una bellissima divisione fra jnana e vijnana. Egli dice che jnana è in relazione al mondo materiale e vijnana è in relazione all’esperienza spirituale.
Nei versi 4 e 5 Krishna spiega ad Arjuna l’estensione di jnana e quella di vijnana:

Bhuumiraapo’nalo vaayuh kham mano buddhireva cha
Ahankaara itiiyam me bhinnaa prakritirashtadhaa.
Apareyamitastvanyaam prakritim viddhi me param
Jiivabhuutaam mahaabaaho yayedam dhaaryate jagat.


La terra, l’acqua, il fuoco, l’aria, l’etere, la mente, l’intelletto e l’ego questa è la Mia Natura (Prakriti) divisa in otto parti. Questa è la Prakriti inferiore, Oh Arjuna; sappi che essa è differente dalla Mia Prakriti (Natura) superiore, l’elemento stesso della vita attraverso cui questo mondo è sostenuto.

L’estensione di jnana o saggezza ha otto componenti. Ognuno di noi ha una natura con otto componenti che comprendono la terra, l’acqua, il fuoco, l’aria, l’etere, la mente, l’intelletto e l’ego. Queste otto componenti, che sono presenti in ognuno che sia nato ed è membro a vita di questo pianeta, rappresentano la natura inferiore o manifesta di prakriti. Come esseri umani, noi giriamo intorno a queste otto componenti di prakriti, dal corpo all’ego. Questa è la nostra natura. Comprendere queste otto componenti che ci controllano e ci governano nello stato manifesto è jnana, la saggezza.
Vijnana è la Prakriti o Natura superiore, l’elemento della vita che sostiene il mondo macrocosmico. Noi viviamo nella dimensione microcosmica, creiamo i nostri mondi personali ma, oltre il nostro mondo, vi è una dimensione universale. L’universo è sorretto da quella Prakriti cosmica. Dobbiamo sviluppare questa realizzazione per capire che siamo connessi con il cosmo. Questa realizzazione è l’esito di un processo di meditazione che occorre attraversare prima di poter distinguere e differenziare fra le componenti manifeste e quelle universali della vita e conoscere la connessione e la relazione fra di esse. Questa comprensione di jnana, la prakriti inferiore, e di vijnana, la natura superiore, fornirà una comprensione della coscienza imperitura, l’argomento dell’ottavo capitolo.

Capitolo 8

Il capitolo otto è Akshara Brahma Yoga, lo yoga dell’imperituro Brahman. Brahman non significa Dio né creatore. Bhraman significa la coscienza che è in continua evoluzione ed è imperitura. Esso non muore; è la continuità dell’esistenza, la continuità di tempo, spazio e oggetto. È la realizzazione di quell’esistenza cosmica che deve essere sperimentata in questa vita.
Nei versi 3 e 4 Krishna afferma:


Aksharam brahma paramam svabhaavo’dhyaatmamuchyate
Bhuutabhaavadbavakaro visargah karmasanjnitah.
Adhibhuutam ksharo bhaavah purushashchaadhidaivatam
Adhiyajno’hamevaatra dehe dehabhritaam vara.

Brahman è la coscienza imperitura, il Supremo; la sua natura essenziale è la conoscenza del Sé. L’offerta sacrificale che causa l’esistenza e la manifestazione degli esseri, e che anche li sostiene, è chiamata karma, azione. La conoscenza degli elementi appartiene alla Mia natura peritura e la conoscenza dello spirito incarnato e la sua connessione con il Sé cosmico è la conoscenza di Brahman.

La conoscenza del sé perituro: il corpo, i sensi, l’ego, l’intelletto, che esistono soltanto finché siamo in vita, questa è la conoscenza del sé perituro. Poi c’è la conoscenza del Sé imperituro, della coscienza che sempre si evolve e sempre si espande. Invece di identificarsi con ciò che nel corso del tempo perirà, la persona sviluppa una consapevolezza e una comprensione di ciò non che va a pezzi, ma di ciò che sostiene tutto l’universo ed è la causa della creazione, della vita. Questa è la teoria data per indicare un’altra dimensione e l’aspetto della percezione che occorre sviluppare.

Capitolo 9

Il nono capitolo è Rajavidya Rajaguhya Yoga, lo yoga della scienza importante e del segreto importante. Raja è stato definito come “reale, appartenente ai re”, in questo ambito significa “importante”. Rajavidya significa “scienza importante” e rajaguhya significa “il segreto importante”. Quali sono la scienza importante e il segreto importante?
Nel verso 3 Krishna racconta il segreto ad Arjuna:

Ahsraddhadhaanaah purushaa dharmasyaasya parantapa
Apraapya maam nivartante mritynsamsaaravaartmani.

Coloro i quali non hanno alcuna fede in questo dharma, o conoscenza del Sé, Oh Arjuna, ritornano sul sentiero di questo mondo di morte, senza ottenere l’illuminazione.

Coloro i quali sono senza fede nel dharma della conoscenza del Sé tornano nuovamente al mondo della morte, al ciclo della nascita e della morte. Siamo sotto l’influenza di questo ciclo fintanto che ci identifichiamo con le coppie degli opposti. C’è talmente tanta identificazione da essere incapaci di sottrarci, così restiamo intrappolati in questo circolo vizioso. Non vi è nessuna comprensione del Sé superiore, dello scopo superiore della vita. Viviamo soltanto per noi stessi, per il nostro piacere, per le necessità e i desideri. Dal momento in cui siamo diventati il punto focale della nostra vita non c’è nessuna conoscenza di noi stessi. Quando siamo presi nel ciclo della nascita e della morte torniamo sempre, di nuovo. Non possiamo liberarci dall’influenza della nascita e della morte.
Qual è il segreto? Avere fede nel dharma della conoscenza di se stessi. Qui Krishna adopera la parola dharma indicando che è d’obbligo per il bene dell’essere spirituale dentro di voi, realizzare quello che è il suo ruolo nella vita. Proprio come conoscete il ruolo dell’emozione, dell’intelletto, del desiderio, del dolore e del piacere, dovete anche conoscere il ruolo svolto dalla conoscenza del vostro Sé superiore.

Capitolo 10

Il decimo capitolo è Vibhuti Yoga, lo yoga dei raggiungimenti divini. Krishna descrive questi ottenimenti nei versi 4 e 5:

Bhuddirjnaanamasammohah kshamaa satyam damah sahmah
Sukham duhkham bhavo’bhaavo bhayam chaabhayameva cha.
Ahimsaa samataa tushtishtapo daanam yasho’yashah
Bhavanti bhaavaa bhuutaanaam matta eva prithagviidhaah.

L’intelletto, la saggezza, la non illusione, il perdono, la verità, il controllo di sé, la calma, la felicità, il dolore, l’esistenza o nascita, la non esistenza o morte, la paura così come l’assenza di paura, il non ledere, l’equilibrio mentale, l’appagamento, l’austerità, la beneficenza, la fama, la cattiva fama questi diversi tipi di qualità degli esseri nascono soltanto da Me.

Krishna dice ad Arjuna che, se la persona ha fede nel dharma della conoscenza del Sé, allora diversi tipi di qualità o caratteristiche scaturiranno dall’interno. Queste qualità sono note come vibhuti, conseguimenti divini, e sono le virtù che si ottengono quando si è in grado si trovare la stabilità nello yoga.
Nel verso 7 Krishna dice:

Etaam vibhuutim yogam cha mama yo vetti tattzatah
So’vikampena yogen yujyate anatra samshayah.

Colui che è nella verità conosce queste molteplici manifestazioni del Mio essere e questo potere yogico diventa saldamente stabile nello yoga inamovibile. Non vi è nessun dubbio al riguardo.

Di conseguenza, quando avete attraversato questo processo e la personalità è stata ulteriormente raffinata, le virtù positive si manifestano nella vostra vita. Ciò che acquistiamo sono questi attributi positivi.

Capitolo 11

L’undicesimo capitolo è Vishwarupa Darshan Yoga, lo yoga della visione della forma cosmica. Tutto questo tempo Arjuna è stato ad ascoltare Krishna e ora nel verso 3 dice:

Evametadhyathaattha tvamaatmaanam parameshvara
Drashtumichchhaami te ruupamaishvaram purshottama.

Giacché Tu sei un essere illuminato, Oh Signore Supremo, desidero vedere la Tua forma universale.

Krishna mostra la sua forma universale ad Arjuna. A vederla Arjuna è terrorizzato perché non riesce a percepirne alcun inizio né alcuna fine. Immaginate che, per un momento, perdiate la coscienza del corpo e raggiungiate la coscienza universale. Ciò vi terrorizzerebbe perché l’improvvisa perdita del senso del corpo e della mente e il raggiungimento del significato universale creerebbe un enorme scompiglio nel normale comportamento dell’essere umano che lo sta sperimentando. Per questo, quando Krishna mostrò ad Arjuna la forma universale, disse: “Guarda, tutto è il Sé cosmico”, Arjuna fu terrorizzato. Nel verso 46 supplicò: “Cessa! Mostrami te stesso come prima; mostrami il tuo essere di prima”.

Kiriitinaam gadanam chakrachastamichhaami tvaam drashtumaham tathhaiva
Tenaiva rupena chaturbujena sahasrabaaho bhava vishvamute.

Desidero vederTi come prima, incoronato, mentre porti una mazza, con un disco in mano, nella tua precedente forma soltanto con quattro braccia, O Forma Cosmica dalle mille braccia.
Quest’affermazione può essere vista in un’altra prospettiva. A un dato momento, quando state trasformando la vostra natura fondamentale, perdete la connessione con il vostro sé ancorato al terreno. All’improvviso si sviluppa una consapevolezza astratta; non è una consapevolezza concisa o precisa, e la vostra mente non è in grado di gestire quella consapevolezza astratta. Essa ha bisogno di un nome, di una forma e di una qualità che sono i tre attributi che costituiscono la mente. La mente funzionerà soltanto se si identifica con il nome, con la forma o con la qualità. Se questi attributi vengono persi, se non vi è né nome né forma né qualità, è come se all’improvviso vi ritrovaste in fondo all’oceano senza una maschera ad ossigeno, entrereste in uno stato di panico.
Questo è ciò che successe ad Arjuna. Si trovò all’improvviso senza né base né supporto, senza né corde attaccate al corpo al quale aggrapparsi né mente. Semplicemente fece la terrificante esperienza che tutto era scomparso e che egli era diventato universale. Quindi pregò Krishna: “No, non voglio questo. Lascia che ti veda come eri prima”. Questa è un’esperienza reale. Il samadhi non è da desiderare perché questo è ciò che vi succederebbe nel samadhi. È come dire: “Desidero avere caldo”. Il sole è una sorgente di calore. Così volate verso il sole come fece Icaro nella mitologia greca. Man mano che vi avvicinate al sole da caldi diventate roventi, da roventi iniziate a bruciare e bruciando vi dissolvete.
È desiderabile andare vicino al sole? È desiderabile ottenere il samadhi, moksha o la realizzazione del sé? Se siete disposto a lasciarvi andare e a bruciare completamente, andate avanti e diventate una sola cosa con quello, fondete tutti i vostri atomi in quello. Ma se dovete vivere e svolgere il vostro ruolo in questa vita, allora dovete riconnettervi con il vostro corpo e, se vi riconnettete con il corpo, quello (il samadhi) è lasciato alle spalle e non è più desiderato.
Per chiarire questo punto Swami Satyananda disse una volta che noi cerchiamo il trascendentale con una mente non trascendentale. Come può essere compreso il trascendentale da una mente non trascendentale? Un’unica tazza non può contenere le acque dell’oceano. La nostra mente è come la tazza e la realtà trascendentale è come l’oceano. Se metteste la tazza nell’oceano essa sparirebbe e nessuno saprebbe dove sia andata a finire. Però, se dovete nuovamente adoperare le facoltà del corpo, dei sensi, della mente, dell’ego e dell’intelletto, per continuare a vivere in questo mondo, allora a un certo punto anche quell’esperienza va rigettata. Abbiate la comprensione, fate l’esperienza e tornate indietro.

Capitolo 12

Il dodicesimo capitolo è Bhakti Yoga, lo yoga della trasformazione emozionale. Prima del dodicesimo capitolo Krishna ha parlato della trasformazione della personalità umana attraverso il percorso del karma, l’azione, la meditazione, la riflessione e l’introspezione. I capitoli da 1 a 11 coprono l’aspetto della partecipazione umana nel mondo. I temi sono: lo yoga della sequenzialità, lo yoga dell’azione, lo yoga dell’azione e della conoscenza, lo yoga della rinuncia all’azione, lo yoga della meditazione per equilibrare le influenze delle azioni e tutti gli yoga successivi fino all’undicesimo capitolo sono in relazione al karma. Definiscono il ruolo del karma e i modi per gestire i karma attraverso lo sviluppo e il ricondizionamento delle nostre facoltà e motivazioni.
Il fatto che il mondo è dominato dal karma è riconosciuto. Al karma sono stati assegnati molti nomi: si potrebbe chiamare karma la vita, si potrebbe chiamare karma il destino. Non è possibile immaginare la vita senza il karma. Il karma fa nascere afflizioni e sofferenze oppure piacere e contentezza. La nostra vita gira intorno alle influenze di questi karma. Dobbiamo prima imparare come gestire i karma a livello fisico, mentale e sensoriale. Questo è trattato nei primi undici capitoli della Bhagavad Gita. La componente emozionale arriva nel dodicesimo capitolo in cui Krishna si sposta verso un’altra dimensione: quella di bhakti. Bhakti non è devozione. È la gestione delle emozioni. Come può una persona gestire l’emozione? Nel verso 2 Krishna afferma:

Mayyaaveshya mano ye maam nityayukta upaasate
Shraddhayaa parayopetaaste me yuktatmaa mataah.

“Coloro i quali fissano la mente su di Me (il Sé superiore), sempre fermi e stabili e dotati di suprema fede, sono i migliori nello yoga nella Mia opinione”.

Questa è bhakti secondo Krishna. Non c’è molta differenza fra bhakti e dhyana. Dhyana è meditazione e anche bhakti è la focalizzazione unidirezionale. L’unica differenza è che in dhyana lavorate con la mente, mentre in bhakti lavorate con il cuore. Ma focalizzare, arrivare a quello stato di consapevolezza unidirezionale è lo scopo sia di dhyana sia di bhakti. Con dhyana portate la mente su un unico punto; con bhakti portate le emozioni su un unico punto.
Swami Satyananda ha detto che le emozioni sono delle energie grezze, delle energie che non sono state incanalate. Queste emozioni sorgono come risultato di un’associazione con un oggetto. Se c’è una borsa piena di denaro per terra, essa genererà un senso di avidità. La relazione fra genitore e figlio evoca l’emozione dell’affetto. La relazione fra due innamorati evoca l’emozione dell’amore. La relazione fra due avversari evoca l’animosità. In questo modo è possibile identificare tutte le vostre reazioni emozionali nei termini della relazione. Quando le stesse emozioni sono dirette verso l’interno per scoprire il sé interiore, ciò è noto come bhakti.
Bhakti non significa devozione, recitare e cantare il nome di Dio. Bhakti significa sviare le emozioni dal movimento esterno verso la dimensione interiore, nella quale liberate voi stessi dalle associazioni esteriori dell’affetto, dell’avidità, dell’invidia, dell’odio, della compassione e così di seguito, e vi trovate centrati, identificandovi con l’esistenza cosmica, conoscendo la vostra natura universale. Ci si concentra su un nuovo orientamento delle energie fissandole o concentrandole sull’esperienza interiore.
Qualunque sia il vostro livello di esperienza la tranquillità, un senso di pace, gioia, felicità e realizzazione qualunque sia il sentimento che vi domina e vi aiuta a concentrarvi su quell’esperienza interiore, diventa bhakti. Proprio come gli oggetti esterni evocano diverse reazioni emozionali, anche la stabilità interiore evoca una specifica reazione emozionale nota come bhakti. Bhakti è un sistema di gestione emozionale e di trasformazione che comporta nove stadi o passi.

Educare il Sé Interiore – Aspetti Pratici della Bhagavad Gita (Parte 1)

Tratto da: Swami Niranjanananda Saraswati, Yoga Sadhana Panorama, vol. 4, Yoga Publications Trust, Munger, Bihar, India.

Sri Krishna interpretò molti ruoli nel corso della sua vita, tuttavia inizieremo dal suo carattere di yogi. Lo guarderemo non come un’incarnazione del Divino ma come un uomo che visse lo yoga e che, in base alla sua conoscenza dello yoga, creò una nuova personalità ed ebbe la visione di un nuovo genere di società. Questo uomo è noto come Yogeshwara. Nel termine Yogeshwara sono contenute due parole: yoga ed ishwara. Lo yoga ci porta verso Ishwara o lo stato divino. La nostra vita è soggetta alla decomposizione, nashwara, ma la realtà della vita è Ishwara, ciò che non si decompone. Nashwara significa mortale, mutevole. Ishwara significa immortale, immutabile, imperituro. La parola Yogeshwara non è un titolo ma piuttosto definisce l’intera sequenza dello yoga.

Lo yoga per le persone comuni

Iniziamo con il capire ciò che è lo yoga. Coloro che hanno studiato gli Yoga Sutra di Patanjali dicono che lo yoga sia un sistema, una serie di pratiche finalizzate a migliorare la qualità della mente attraverso una disciplina personale e un controllo delle modificazioni delle mente Yogaschitta vritti nirodhah. Questa trasformazione del sé conduce all’esperienza del principio eterno della vita, che è l’atma, lo spirito. L’atma è il fondamento, la radice della vita. Una volta che siete collegati con la radice della vita, le qualità positive, satguna, iniziano a manifestarsi. Sono i satguna che rendono un uomo un superuomo.
Nei tempi antichi fu detto che dovremmo tentare di connetterci con la luce che è dentro di noi atma dipo bhava. Il metodo per unirsi con questa luce interiore è lo yoga sadhana. Il significato letterale di yoga è unione. Per noi questo significa l’unione fra la nostra natura esteriore e quella interiore e non l’unione fra l’anima individuale con l’anima cosmica, che è un concetto filosofico. Forse questa filosofia può diventare una realtà per alcune persone che hanno la capacità di sperimentare l’esistenza dello spirito e del divino ma queste persone sono rare. Quindi non parleremo dello yoga in termini dell’unione dell’anima individuale con l’anima superiore, perché noi siamo persone ordinarie. Abbiamo la nostra natura, le nostre fobie, complessi, atteggiamenti e comportamenti e questi costituiscono la qualità della nostra vita.
Il nostro punto di vista verso la vita, la nostra natura, le esperienze che facciamo, la nostra formazione culturale, l’educazione e l’istruzione sono differenti per ciascuno di noi. Siamo tutti delle entità con una propria serie di valori. Condividiamo universalmente pochissime qualità. Possiamo aspirare a condividere alcune qualità, ma qualunque cosa sperimentiamo e sviluppiamo verrà espressa in base alla programmazione della nostra mente, della società, cultura, religione e tradizione familiare. Anche la pace, la beatitudine o la realizzazione possono avere significati diversi per persone differenti. L’unica cosa che tutti hanno in comune è il desiderio per la pace e la beatitudine, ma ogni individuo sperimenta la pace e la beatitudine in un modo differente.
L’educazione spirituale non è l’educazione accademica, dove tutto è uniforme e dove passate da una classe a quella successiva. L’educazione spirituale è unicamente un’educazione individuale. Anche se vi è un unico obiettivo, vi sono vari processi e quindi lo yoga ha un significato diverso per tutti coloro che lo praticano, secondo l’ambiente e la situazione. Infine, se cominciamo a pensare allo yoga come ad un processo di trasformazione personale, come ad un metodo per sviluppare la coscienza e risvegliare l’energia addormentata, allora lo yoga diventa una pratica e non una filosofia.
Proprio come ogni grano di un mala è indipendente ma collegata da un filo, le religioni e le filosofie del passato, del presente e forse del futuro, hanno ognuna una propria unicità. Quando si arriva alla pratica, quando si arriva alla reale purificazione della natura e della mentalità attraverso la sublimazione della mente, allora si adotta un sentiero comune di meditazione, asana e pranayama, mantra e japa, kriya e kundalini yoga. Lo yoga, diventando il filo comune delle pratiche, collega queste varie filosofie e religioni.

Sanyam un’attitudine equilibrata

Bisogna capire lo yoga in questa luce, non come una parte di tapasya, austerità, né come un sadhana che conduce verso moksha, liberazione, ma come una pratica che trasforma la personalità umana. L’esito di quella trasformazione può essere espresso sia come un jnani, attraverso l’intelletto, sia come un bhakta attraverso le emozioni, oppure attraverso le azioni come un karma yogi. Dobbiamo cominciare il processo dello yoga riconoscendo dove ci troviamo attualmente e che cosa manca nella nostra vita.
Non abbiamo bisogno di pace, prosperità e felicità. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è sanyam. La parola sanyam viene approssimativamente tradotto come “controllo del corpo, della mente e delle emozioni”, ma significa un’altra cosa. Sam significa “equilibrio” e yam significa “atteggiamento”. Sanyam è un’attitudine equilibrata verso la vita. Un’attitudine equilibrata è l’inizio di una trasformazione personale. Sappiamo di non essere equilibrati. Talvolta la nostra natura è attratta verso il piacere e talvolta verso il dolore, sempre influenzata dalla felicità e della tristezza, dal positivo e dal negativo. Oscilliamo come un pendolo da un polo della vita all’altro. Nello yoga questa oscillazione del pendolo si chiama raga e dwesha, identificazione e nonidentificazione, accettazione e rifiuto. Quando accettiamo qualcosa siamo sukhi, felici, e quando rifiutiamo qualcosa, siamo dukhi, infelici. Questa è l’altalena. Quando siamo dal lato positivo, le nostre attitudini e i sentimenti si elevano. Quando siamo tristi, addolorati e sofferenti, i nostri atteggiamenti cambiano di nuovo.
Un’attitudine equilibrata può essere mantenuta guidando e dirigendo le attività della mente, perché è la mente che fa l’esperienza. Nelle Upanishad si afferma che siete voi l’attore, karta, e bhokta, colui il quale sperimenta. Dalle buone azioni traete buone esperienze e dalle cattive azioni traete cattive esperienze. Il karma, l’azione, può essere positiva o negativa, elevante o limitante, egoista o disinteressata. L’esito dell’azione sarà simile all’azione.
Se le nostre azioni sono cattive, l’esito sarà negativo. Allora come possiamo sperimentare shanti, pace? L’insicurezza e la paura saranno sempre associate a delle cattive azioni. Potete giustificare le azioni tramite la logica, ma questo non basta. Potete razionalizzare dicendo: “Danneggerò quella persona per questi motivi” ma il fatto è che state svolgendo un’azione negativa e quell’azione negativa distruggerà la vostra pace mentale, la salute e la felicità. Quindi lo yoga dice: “Imparate a gestire la mente e trovate l’equilibrio. Sviluppate un atteggiamento equilibrato”.
Questo atteggiamento o approccio equilibrato è sanyam ed è questo il nostro bisogno primario, non la pace. Una persona che ha ottenuto il sanyam, l’equilibrio nell’atteggiamento, nell’azione, nei pensieri e nel regno delle emozioni è definito uno yogi.

Satyam, Shivam, Sundaram

Nella Bhagavad Gita (2:48) si afferma: Samatvam yoga uchyate, “l’equilibrio è lo yoga più elevato”. Una persona che abbia equilibrio, che sia centrata ed equilibrata, è uno yogi e ottiene l’abilità di innalzarsi oltre le influenze della dualità, del bene e del male, del piacere e del dolore, della felicità e della tristezza. Una volta che siete capaci di innalzarvi oltre la dualità, iniziate a sperimentare tre fattori costanti nella vita: Dio è Satyam, verità, Dio è Shivam, buon auspicio, e Dio è Sundaram, bellezza.
Quando iniziate a sperimentare satya, come conseguenza dell’associazione con ciò che è reale, vi è assenza di dualità, vi è realizzazione della verità e non identificazione con ciò che è falso. Poi comincia il percorso di sviluppo della consapevolezza di ishwara tattwa.
Ishwara tattwa è la realtà immutabile e costante, che governa l’intera esistenza, l’intero creato di cui noi siamo un’espressione. Questo è il concetto di Yogeshwara. Tramite il controllo della mente, del corpo, dei sensi e delle emozioni, attraverso la trasformazione delle azioni, con lo sviluppo e il mantenimento di un atteggiamento equilibrato e armonioso, che innalza lo spirito, realizziamo la vera natura del sé e otteniamo Yogeshwara.

Krishna, l’uomo

Krishna fu Yogeshwara. Conoscete bene gli eventi della sua vita, la tragedia e la confusione che dovette affrontare. In effetti, prima ancora di nascere, fu in cima alla “lista delle priorità” di Kansa (re cattivo e geloso, zio materno di Krishna, intenzionato a uccidere Krishna n.d.t.). A causa di una profezia fu, nell’arco della sua vita, il bersaglio di molti attentati che avevano lo scopo di causare la sua morte e distruzione. Eppure egli sopravvisse grazie alla sua singolare personalità e perché questo era il suo destino e il suo karma. Qui non parliamo di Krishna come incarnazione di Dio, ma come persona ordinaria la quale fu capace di raggiungere qualche cosa di così inestimabile da ispirarci, attraverso il suo esempio, a crescere e a percorrere il sentiero del dharma.
Fu un bersaglio fin dal momento della sua nascita, ma il destino volle diversamente. Che lo chiamiate destino o volontà di Dio, è sempre la stessa cosa. Proprio come non siete consapevoli di quello che è la volontà di Dio, così non siete consapevoli nemmeno di quello che è il destino umano. Eppure esso si sviluppa nel corso della nostra vita, man mano che passa il tempo e, quando ci avviciniamo alla fine, ci rendiamo conto che abbiamo vissuto in base al nostro destino e non in base ai nostri desideri.
I confini della nostra espressione nella vita sono creati dal destino. Il modo in cui riuscite a esprimervi dentro i confini del destino è il vostro purushartha, il vostro sforzo, la vostra scelta, il vostro desiderio e il vostro ambiente. I confini dunque sono stabiliti dal destino e dovete vivere in base a quello. Spesso le persone chiedono: “Qual è il ruolo dello sforzo umano e del destino?”. Quando traslocate in un nuovo appartamento, lo trovate già pronto, potete fare soltanto dei cambiamenti minori. Questo è il vostro purushartha, lo sforzo personale. Non potete cambiare l’intera struttura dell’appartamento e farne qualcosa di diverso; dovete vivere all’interno della struttura esistente. L’appartamento è il vostro destino, l’arredamento interiore è il vostro purushartha. Vi è uno sforzo personale, il desiderio di cambiare, di ottenere il vostro scopo, di diventare qualcosa, ma tutto succede all’interno della struttura del destino.

Educare il sé interiore

Krishna interiorizzò lo yoga da bambino quando viveva in presenza del suo guru. Il suo guru gli dette un’educazione la cui base era lo yoga. Oggi la struttura del nostro sistema educativo è in relazione all’intelletto. Tuttavia, in tempi antichi, l’educazione che il guru impartiva ai discepoli non era semplicemente in relazione all’intelletto; era in relazione all’espressione del sé interiore, l’atma. L’espressione di quel sé interiore poteva poi essere vista nel loro modo di pensare, di comportarsi e nel tipo di associazioni. Questa educazione era anche collegata alle emozioni perché la tenerezza emotiva è una necessità per noi tutti alfine di rendere più generoso e più espansivo il nostro comportamento.
Anche l’azione è un’esigenza perché è attraverso l’azione che possiamo progredire nella società e nella vita. Così il comportamento, l’intelletto, l’emozione e l’azione sono i quattro aspetti dell’educazione del sé interiore o atma. Quando riceviamo una tale educazione, essa non influenza soltanto l’intelletto ma l’intera personalità.
Oggi le persone ricevono un’educazione intellettuale, ma non viene insegnato loro come infondere quella educazione nel loro comportamento. Per esempio non viene insegnato come esprimere il sentimento della generosità. In effetti si dice che, nella vita pratica, la generosità sia una debolezza, un ostacolo sul sentiero di nome, fama e prosperità. Se volete il successo materiale dovete diventare parte della competitiva corsa al successo e non preoccuparvi delle altre persone. Ciò che riceviamo nell’educazione moderna sono i valori dell’egoismo e del guadagno personale.
L’educazione che riceviamo in compagnia di un guru incorpora i valori di paramartha, l’azione disinteressata. Questa fu l’educazione ricevuta e interiorizzata da Krishna durante la sua vita. Questa educazione arricchì la sua personalità, lo fece più generoso, saggio, attivo ed equilibrato. Aveva una personalità integrata e non una personalità divisa. Nella società odierna soffriamo di una personalità divisa. Ci mettiamo diverse maschere per proiettare noi stessi in una luce diversa. Ma una persona che ha perfezionato lo yoga e che riesce ad integrare i fattori maggiori della personalità non ha bisogna di mettersi maschere differenti. Potete vedere questo nella vita di Krishna. Egli aveva una natura birichina ma vi era saggezza nelle sue marachelle, non ignoranza. Vi era sia sanyam sia saggezza, il risultato del sadhana.

Vivere naturalmente

Krishna era già un principe quando si recò a vivere nell’ashram del suo guru. Dopo aver distrutto Kansa, mise suo nonno sul trono di Mathura e prese il proprio posto come principe di Mathura. Poi andò a ricevere l’educazione nel gurukul, dove visse come una persona ordinaria, senza particolari richieste. Noi siamo abituati così: se non disponiamo di sufficienti comodità, lasciamo l’albergo o cambiamo casa. Se nostro marito o nostra moglie non è di nostro gusto, li cambiamo. Abbiamo sempre delle aspettative che tutto ciò che avviene, debba avvenire in base alle nostre esigenze.
La vita spirituale non si oppone alla felicità, ma dice che dovremmo vivere secondo la situazione. Se vi offrono del pane, accettatelo. Qualunque sia la situazione a cui dovete far fronte, dovete accettarla e vivere e comportarvi in base a ciò che la situazione richiede. Questo si chiama vivere naturale. Una vita naturale non significa che dovete sacrificare la ricchezza e il lusso, vivere sotto un albero e portare vestiti confezionati con le foglie. Significa adattarsi all’ambiente nel quale vivete, alla situazione attuale, senza imporre i vostri desideri, le vostre aspettative e il concetto di conforto e di felicità. Vita naturale significa adattamento.
La vita artificiale è non riuscire ad adattarsi, desiderando sempre più sicurezza, maggiori comfort, volendo sempre di più la cosa desiderata. Volete soltanto soddisfare il vostro ego, ma non è realmente un bisogno, è un desiderio di soddisfare un’ambizione. Quando tentate di soddisfare delle ambizioni non necessarie, è un vivere artificiale. Quando tentate di soddisfare semplicemente i vostri bisogni, è un vivere naturale. Un vivere naturale non significa negare i comfort e il lusso ma adattarsi all’ambiente. Se oggi avete l’opportunità di soggiornare in un albergo a cinque stelle e domani dovete vivere all’ombra di un albero, senza riparo, siate felice in entrambe le situazioni. Questo equilibrio è la vita naturale. Krishna visse una vita naturale, adattandosi all’ambiente, realizzando il bisogno e non le ambizioni della vita. Là poteva vivere lo yoga e non soltanto praticarlo. Quello divenne il punto della trasformazione dei suoi atteggiamenti e della sua mentalità.
La stessa cosa avvenne nella vita di Rama. Quando i quattro fratelli, Rama, Lakshman, Bharata e Shatrughna, andarono all’ashram del loro guru e loro padre, Dasharatha, disse: “Costruirò una foresteria e manderò dei servi in modo che Rama, Lakshman e i fratelli non abbiano nessun problema”, il guru disse: “No, non nel mio ashram perché questo non è l’obiettivo dell’educazione spirituale”.
L’adattamento alle circostanze rappresenta l’inizio della vita yogica. Lo yoga dice: imparate a riconoscere le vostre ambizioni e le vostre necessità. Non confondete le ambizioni con le necessità. Quando siamo capaci di riconoscere le nostre necessità e di filtrare e comprendere le nostre ambizioni, è l’inizio della vita yogica, della vita spirituale.

Dharma nella Bhagavad Gita

Krishna visse lo yoga, sperimentò lo yoga e poi lo diffuse sul campo di battaglia di Kurukshetra. L’affermazione iniziale della Bhagavad Gita è:

Dharmakshetre kurukshetre samavetaa yuyutsavah,
Maamahaah paandavaashchaiva kimakurvata Sanjaya.

Oh, Sanjaya, raccontami ciò che succede in Dharmakshetra, in Kurukshetra, fra i miei figli e i figli di Pandu.

Sul campo di battaglia di Kurukshetra si sono radunati due eserciti, quello dei Pandava e quello dei Kaurava. Il patriarca della famiglia, Dhritarashtra, chiede al suo ministro, Sanjaya, di raccontargli ciò che sta succedendo. È importante capire che la parola iniziale è Dharmakshetra, il campo del dharma. Perché Dhritarashtra non ha detto semplicemente: “Sanjaya, cosa succede in Kurukshetra?” Dopo tutto, Kurukshetra è il nome del luogo nel quale fu combattuta la guerra. Ma la prima parola è Dharmakshetra e Kurukshetra è soltanto la seconda parola.
Quello di dharma è un concetto unico. Le persone dicono che dharma sia la religione ma, secondo la tradizione indiana, dharma non è la religione bensì un’espressione di tre qualità: il pensiero positivo, il comportamento equilibrato e la retta azione. Il pensiero positivo è satvichara. Vi è un intero sistema scientifico per questo tipo di mente. Se vi fermate un attimo a pensare a quello che sono un atteggiamento equilibrato o un comportamento giusto da adottare, scoprirete anche un intero sistema di espressione umana e di realizzazioni relative alla natura umana e alla mente, prima ancora che un retto comportamento, satyavahara, possa avere luogo. Se pensate alle azioni di buon auspicio, satkarma, vedrete se siete in grado di svolgere un’azione di buon auspicio. Prendetevi una giornata, analizzate le vostre azioni dalla mattina alla sera e tentate di osservare quante di queste azioni erano di buon auspicio o rette. Forse scoprirete che il dieci o quindici percento erano delle azioni rette. Le altre erano di scarso significato, erano delle azioni superflue. Anche questo implica un’intera scienza della trasformazione dell’azione in espressione positiva.

Dharma contro adharma

Duryodhana, il principe capo ed erede del clan dei Kaurava, sapeva che il suo atteggiamento e il suo comportamento verso i Pandava non erano appropriati. Egli dice nel Mahabharata:

Janami dharmam na cha me pravritti.
Janami adharmam na cha me nivritti.

Io so che cos’è la rettitudine ma non sono attratto verso di essa. So che cos’è l’azione sbagliata, ma non riesco a fermarmi dallo svolgerla.

L’affermazione iniziale della Bhagavad Gita è: “Oh, Sanjaya, mi racconti ciò che succede in Dharmakshetra, l’area in cui vi è conflitto tra dharma e adharma? Che cosa succede tra i miei figli e quelli di Pandu, nel luogo fisico noto come Kurukshetra?”. Il patriarca della famiglia riconosce che le azioni svolte dal suo clan non sono dharmiche e sa che quando le azioni non sono dharmiche condurranno sempre al caos, al conflitto, al dolore, alla sofferenza e alla confusione. Fu su questo campo di battaglia, che tante persone chiamano “il campo di battaglia della vita”, che Krishna impartì la saggezza dello yoga ad Arjuna.

La Bhagavad Gita un trattato psicologico

I filosofi dicono che la Bhagavad Gita è filosofica perché i suoi contenuti non sono in relazione con la nostra vita di oggi. Ma esso è un trattato psicologico, non un trattato filosofico. Contiene il concetto dello yoga in relazione allo sviluppo e alla gestione della personalità umana, del pensiero, dell’azione e della saggezza. È un approccio pratico verso la vita. Questa educazione fu impartita a Krishna in due forme come teoria e come pratica.
Dove si trova la pratica dello yoga nella Bhagavad Gita? Krishna non parlò da nessuna parte dello yoga in termini specifici come lo fece Patanjali. Gli Yoga Sutra definiscono chiaramente il processo e la sequenza dello yoga come yama, niyama, asana, pranayama, dharana, dhyana e samadhi, ma dove si trovano queste cose nella Bhagavad Gita? Parlando con tutto rispetto, se siete un filosofo e non uno yogi, non siete in una posizione di sapere dove stanno gli insegnamenti pratici nella Bhagavad Gita. Se diventate uno yogi allora saprete dove sono gli insegnamenti pratici. L’aspetto pratico sarà l’argomento delle nostre discussioni. Indagheremo questo argomento attraverso gli occhi di uno yogi.

Hatha Yoga Pradipika

Tratto da: Sw. Muktibhodhananda Saraswati, Hatha Yoga Pradipika, Yoga Publications Trust, Munger, Bihar, India.

Capitolo 1: Asana

Verso 15 (continuazione)

Benché Swatmarama ammonisca che un sadhaka non dovrebbe attaccarsi a regole e a regolamenti rigidi, le istruzioni del guru devono essere seguite. Per quanto riguarda i rituali e le dottrine religiose, non è necessario mantenerli per il progresso spirituale. Il sadhana non è condizionato da morali sociali, né i suoi effetti sono favoriti da pratiche religiose. Essere attaccato alle regole rende l’individuo di “mente limitata”. Lo yoga intende espandere la coscienza, non limitarla. Uno yogi dovrebbe avere una mente libera e aperta. Se siete abituati a fare un bagno freddo ogni mattina prima della pratica, e un giorno non avete acqua, non dovreste esserne disturbati. Fate il bagno quando potete avere l’acqua. La vostra mente dovrebbe essere flessibile e dovreste essere in grado di adattarvi alle circostanze.
Con instabilità s’intende un metabolismo del corpo squilibrato, l’incapacità a mantenere una postura per un periodo di tempo ed una mente fluttuante. Ovviamente, lo yoga non può essere realizzato in queste condizioni. Quando c’è uno squilibrio fisico, mentale, emozionale e psichico, l’energia è dispersa; ma se l’energia è canalizzata adeguatamente, tutti i sistemi del corpo diventano stabili e l’immobilità fisica e mentale si sviluppa automaticamente. Instabilità significa anche forza di volontà ondeggiante. Un giorno vi alzate alle tre del mattino e il mattino successivo dormite sino alle sette perché vi sentite pigri. Quando ci sono frammentarietà e irregolarità, ne consegue un ulteriore squilibrio nel corpo. Una mente irremovibile e un corpo immobile praticano lo yoga.
Se potete vivere in un eremo come descritto nello sloka precedente, tutti questi ostacoli saranno evitati naturalmente. Tuttavia, se non potete vivere in tale luogo, cercate di sviluppare l’abitudine di evitare tutte le attività che sono inutili, che richiedono molto tempo e privano di energia, e canalizzate tutti i vostri desideri e le azioni nell’impresa spirituale.
Oltre questi ostacoli, il Tantraraja Tantra dice che: “I sei ostacoli allo yoga sono kama (lussuria), krodha (rabbia), lobha (avidità), moha (infatuazione), abhimana (invidia), mada (orgoglio)”. I sei ostacoli descritti in hatha yoga e tantra sono intrecciati e interconnessi. Quelli del tantra hanno un obiettivo più ampio e mettono in evidenza gli ostacoli che si devono realmente superare per cambiare l’atteg¬giamento mentale.

Verso 16 (I)

Entusiasmo, perseveranza, discriminazione, fede incrollabile, coraggio, evitare la compagnia della gente comune, sono le sei (cause) che portano il successo nello yoga. (i)

Per riuscire nello yoga è assolutamente necessario l’entusiasmo o, potremmo dire, “un’atteggiamento positivo”. Un’ispirazione costante e l’ideale di ottenere la perfezione generano energia e aiutano a mantenere regolarità nella pratica. Ogni giorno dovrebbe apparire come il primo giorno di pratica. Tra un sadhaka e il suo sadhana dovrebbe esistere lo stesso zelo che c’è tra una coppia di neosposi. Allora il sadhana sarà rinvigorente ed entusiasmante. Questo, spontaneamente, genera perseveranza.
Non importa ciò che accade esternamente, pioggia, grandine o bel tempo, il vostro sadhana deve essere fatto con regolarità. Che siate afflitti da perdite materiali o acquisiate proprietà di valore, che nel vostro sadhana ci siano segni visibili di progresso oppure no, dovete perseverare nei vostri sforzi. Anche se avete praticato per quindici anni, dovete continuare sino a raggiungere la meta finale. Può essere necessario ancora un solo mese di pratica, o ci può volere una vita intera. Ciascuno si evolve a una diversa velocità, perciò è inutile confrontare voi stessi con gli altri. Indipendentemente da qualsiasi cosa, il vostro atteggiamento dovrebbe essere sempre ottimista.
Il discernimento è il terzo prerequisito per avere successo nello yoga. Tutto ciò che fate, ogni aspetto della vostra vita, inclusa la vostra dieta, l’abbigliamento, la compagnia, le necessità materiali, le conversazioni, ecc. dovrebbe contribuire al vostro sadhana. Se qualcosa può essere di pregiudizio, lasciatela.
Una fede incrollabile nel guru e nella verità ultima, o realtà, è lo strumento più importante per un sadhaka. Se dubitate del vostro guru, come potete aver successo in quello che lui vi ha insegnato? Se perdete la fede nel guru, non c’è speranza per aver successo nello yoga. La fede assoluta in qualunque cosa lui dica o faccia è l’unica chiave per aprire la porta all’esperienza suprema. Potete dubitare della vostra propria abilità nel farlo, ma se avete fede nel guru e lui dice che potete spostare una montagna, lo farete.
C’è una storia che illustra questo punto. Un eremita viveva da solo in una piccola isola. Egli era totalmente assorbito nella coscienza di Dio e praticava giornalmente Ishwara puja secondo le istruzioni del suo guru. Un giorno un religioso, molto pio e devoto, remò fino all’isola per incontrare l’eremita. Quando il religioso lo vide praticare la puja, ne fu scandalizzato. L’eremita stava facendo tutto sbagliato. La sua devozione aveva raggiunto le vette più alte, ma il suo rituale era tutto sottosopra. Il religioso lo istruì nel modo giusto e l’eremita fu sinceramente grato.
Così il religioso andò via dall’isola sentendo di aver compiuto una buona azione, ma quando era in mare, a una distanza di un centinaio di metri, vide una figura che correva sull’acqua verso di lui. Era l’eremita ed era molto agitato. Gli disse in tono preoccupato: “Ora sono confuso; non ricordo se mi hai detto che deve essere in questo modo o in quest’altro”. Il religioso rimase sbigottito e poi, riprendendosi, rassicurò l’eremita che in qualunque modo avesse praticato, sarebbe stato corretto. L’eremita ne fu sollevato e riprese a correre sull’acqua verso la sua isola. Anche se avete a vostro favore solo la fede nel guru e l’obiettivo finale, avrete sicuramente successo.
Anche il coraggio è raccomandato per mantenere la fede nello yoga, il coraggio di affrontare le visioni e le realizzazioni interiori quando si presentano. Coraggio, perseveranza e fede vanno mano nella mano. Non solo di fronte a sofferenze interiori ma anche esterne.
Durante il periodo del sadhana potete trovare inutile avere rapporti con persone che hanno aspirazioni inferiori. In quella fase, meno siete coinvolti con altri, maggiormente può crescere la vostra conoscenza interiore. Per un certo periodo è benefico anche tenervi distanti dalle interazioni sociali. Naturalmente, un sadhaka non deve considerare inferiore la persona comune ma, fino a quando la sua resistenza fisica, mentale, emozionale e psichica non sono sviluppate, è meglio rimanere lontano da influenze negative.
Sia che viviate in una città con la vostra famiglia o da solo in un eremo, questi sei fattori possono essere coltivati ovunque. Benché essi si applichino in modo specifico a un hatha yogi, un capofamiglia dovrebbe modificarli per adattarli al proprio stile di vita.

Verso 16 (II & III)

Non violenza, verità, non rubare, continenza, (essendo assorbiti in uno stato puro di coscienza), perdono, tolleranza, compassione, umiltà, dieta moderata e pulizia sono le dieci regole di condotta (yama). (II)

Penitenza (austerità), continenza, fiducia (fede) nel Supremo (Dio), carità, adorazione di Dio, ascolto della recitazione delle sacre scritture, modestia, un intelletto che discerne, japa (ripetizione del mantra) e sacrificio sono le dieci osservanze (niyama). (III)

Nel raja yoga sono elencate dieci regole di condotta e dieci osservanze, dette yama e niyama, ma, in realtà, l’hatha yoga non pone molto l’accento su di esse. Il raja yoga afferma che yama e niyama devono essere praticati prima di cominciare l’hatha yoga. Esso dice: “controllate la mente e poi purificate il corpo”, ma ai giorni nostri e in quest’epoca, possono sorgere troppi problemi se un aspirante si confronta direttamente con la propria mente all’inizio della sua ricerca spirituale. È come scappare dalla tana dei leoni nella gabbia delle tigri. Perciò, nell’hatha yoga, tutto il sistema è stato progettato per le persone del kali yuga. L’hatha yoga comincia con la purificazione del corpo, gli shatkarma, poi vengono asana e pranayama. Yama e niyama possono essere praticati successivamente, quando la mente è diventata stabile e le sue tendenze a rivolgersi verso l’esterno possono essere controllate.
Qui, Yogi Swatmarama sta semplicemente elencando ciò che è richiesto a un sadhaka a uno stadio successivo della pratica. Egli ha citato i modi in cui lo yoga può essere esaltato ed i fattori che possono portare al fallimento. Gli yama e niyama sono indicati per verificare il motivo per cui egli ha stabilito queste cause e così, in alcuni punti, ci può essere qualche piccola ripetizione. Swatmarama avverte anche di “non attaccarsi alle regole”. Yama e niyama sono regole, e in un certo senso, anche codici morali. Inizialmente non è essenziale praticarli e non si dovrebbe pensare che senza di questi non si possa aver successo. Yama e niyama devono essere dati come linee guida, per mantenere un sadhaka sul sentiero, al termine della sua pratica.
Il primo yama è ahimsa o “non violenza”; rimanere passivi in ogni situazione, senza il desiderio di far male a nessuno o a niente, né fisicamente, né emozionalmente, né psicologicamente o psichicamente. In India, la setta jainista è molto rigida in questo codice di comportamento. Essi spazzano persino davanti ai propri piedi quando camminano, così da non calpestare neanche un insetto e ucciderlo. Essi filtrano tutta l’acqua che bevono e tagliano le verdure scrupolosamente così da non far male a nessuna forma di vita. Ahimsa significa non agire con la volontà di ferire niente, neanche l’atmosfera. Si devono mantenere sia l’armonia sia la serenità.
Non c’è alcun bisogno di mettere alcuna connotazione religiosa alla parola “ahimsa”. È un processo di autocontrollo, autoconsapevolezza e consapevolezza di tutto ciò che vi circonda. Se intenzionalmente fate del male a un’altra persona e perdete il controllo della vostra mente e delle vostre azioni, state creando uno squilibrio in voi stessi. Violenza significa allontanarvi dalla vostra vera natura; ahimsa significa avvicinarsi al puro spirito. Il Mahatma Gandhi era un esempio vivente di questa dottrina.
“Onestà” è qualcosa che troviamo raramente in questo mondo moderno di corruzione, ed è sicuramente qualcosa che c’è nuovamente bisogno di coltivare e instillare. Se prendete l’abitudine di raggirare o imbrogliare gli altri, iniziate voi stessi a credere alle bugie. Siete solo disonesti con voi stessi. Fondamentalmente, onestà significa essere sinceri con se stessi e non tendere a imbrogliare gli altri per il proprio tornaconto personale o per screditarli.
“Non rubare” è facile da comprendere, non prendere ciò che non vi appartiene, non solo per ragioni sociali o morali, ma per evitare ripercussioni psicologiche o karmiche. Rubare genera colpevolezza. Nello yoga stiamo cercando di sciogliere i complessi e i samskara dalla nostra mente e dalla nostra personalità, dunque non vogliamo realmente crearne altri. Se avete bisogno di qualche cosa, ed è veramente essenziale, in qualche modo vi arriverà.
“Continenza” o brahmacharya è lo yama successivo. In genere, brahmacharya è considerato come astensione dal coinvolgimento o dai rapporti sessuali. Alcune persone vanno anche oltre non avendo assolutamente alcun contatto col sesso opposto, neanche parlare né guardare una donna o un uomo. Tuttavia, questo non è il vero significato di brahmacharya. Brahmacharya è la combinazione di due parole: Brahman, pura coscienza e charya, colui che si muove. Significa “colui che vive nella consapevolezza costante di Brahman”; “colui la cui consapevolezza è assorbita nella pura coscienza, la cui mente è oltre la dualità di maschio/femmina, colui il quale vede l’atman in tutto”. Colui il quale è in comunione costante con l’atma è un brahmachari.
Un vero brahmachari può essere coinvolto in relazioni sessuali e mantenere consapevolezza soltanto dell’esperienza suprema. Le passioni non nascono nella mente quando lui o lei entra in contatto con il sesso opposto. In yoga e tantra lo spiegano come mantenimento di bindu, cioè senza perdita di bindu, o seme. Il bindu deve essere mantenuto nel centro del cervello, dove si è prodotto. Non deve scorrere via attraverso gli organi sessuali, e se lo fa, deve essere richiamato. A questo scopo ci sono molte tecniche yogiche che limitano la produzione degli ormoni sessuali e ristrutturano gli organi riproduttivi. Lo yoga influenza l’intero sistema endocrino regolando le ghiandole pineale e pituitaria.
Brahmacharya era generalmente utilizzato per indicare l’astensione dall’attività sessuale perché, con l’astensione dalla stimolazione sessuale, gli impulsi sessuali e la produzione di ormoni sessuali sono ridotti. All’inizio, mentre state cercando di raggiungere la padronanza del corpo e della mente, può essere necessaria l’astinenza sessuale, ma una volta che l’avete ottenuta e potete mantenere la consapevolezza della realtà suprema, l’interazione sessuale non è di alcun impedimento. In realtà, nel tantra non si è mai detto che le interazioni sessuali sono nocive per il risveglio spirituale. Al contrario, il tantra dice che l’atto sessuale può essere usato per indurre il risveglio spirituale.
Non si diventa automaticamente brahmachari evitando il contatto sessuale. Potete astenervi dalle interazioni sessuali per trenta o quarant’anni e non essere ancora un brahmachari. Se la vostra mente è tormentata da fantasie sessuali o avete una perdita incontrollata di seme anche evitando ogni genere di contatto, allora, sicuramente, non siete un brahmachari. Voi state reprimendo e causando frustrazione, e questo farà più male che bene.
Perciò, in hatha yoga ci sono particolari tecniche che aiutano brahmacharya, regolando le secrezioni ormonali ed il funzionamento delle ghiandole. I pensieri e i desideri sessuali sono così dominati. Dopotutto, qual è la causa dell’impulso sessuale? Una reazione chimica nel cervello e nel corpo, gli ormoni. Il controllo degli ormoni induce il vero brahmacharya. Quando il bindu è mantenuto nel centro cerebrale, gli impulsi sessuali sono controllati e la mente può rimanere assorbita nella consapevolezza del supremo. Questo è il vero brahmacharya. (continua)