“YOGA” 2012 – Vol. 4

“YOGA” 2012 – Vol. 4

Il Tempo

Tratto da: Rikhiapeeth Blog del 2 Novembre 2011 – Satsang con Swami Shivananda.

Il tempo è più prezioso del denaro. Il tempo è più prezioso della cosa più preziosa al mondo. Esso è il più ricco dei tesori. Il tempo è l’anima del mondo. Il tempo è vita. Utilizzate il tempo proficuamente per le occupazioni spirituali. Non sprecatene nemmeno un secondo.
Il tempo è senza forma, ma divora tutto. Il tempo non risparmia nessuno. Il tempo è implacabile. Il tempo è il Signore Yama. Il tempo è Kala. Elimina tutto ciò che in apparenza sembra duraturo. Il tempo non risparmia, per un momento, neppure la persona più grande. Il tempo pervade e controlla ogni cosa. Assume la formidabile fattezza di un fuoco ardente durante la dissoluzione e riduce in cenere il mondo intero. Nulla può fermare la sua corsa. Soltanto i saggi, i veggenti e i santi che hanno realizzato Dio hanno sfidato la sua potenza.
L’Eterno è senza tempo. Brahman trascende il tempo. Brahman è eterno. È una realtà senza tempo. Questo mondo svanirà con tutti i suoi abitanti. Il sole, la luna e le stelle svaniranno. Ogni gioia e ogni dolore svaniranno. I cinque elementi, la terra e il cielo svaniranno. Soltanto Brahman, il puro Satchidananda, splenderà in eterno. Raggiungete Brahman e vincete il tempo. Trascendete il tempo e diventate una sola cosa con l’Eternità.

La natura fugace della vita sensoriale

Questo mondo è un gioco di colori e di suoni. Questo universo dei sensi è un gioco di nervi. È un falso spettacolo sostenuto dalla magia di Maya, dalla mente e dai sensi. Per vent’anni godete i piaceri sensoriali, finché i sensi sono giovani e forti. Che cos’è questo periodo evanescente di vent’anni davanti all’eternità? Che cos’è questa vita sensoriale monotona in confronto alla vita eterna e tranquilla nell’immortale Sé interiore?
Essendo molto limitati su ogni fronte in questo mondo sempre fluttuante, state sempre roteando fra illusioni e afflizioni dolorose. Se riflettete sul tempo, che nella sua natura più vera è eterno, potete soltanto dire che cent’anni della vostra vita sono soltanto un attimo. Perché allora date un così grande valore alla vita, se poi cadete in ogni genere di depressione a causa degli insaziabili desideri?

Lo scopo della vita umana

Siete arrivati qui con uno scopo preciso. La vita non è intesa per mangiare, bere, vestirsi e procreare. Vi è qualcosa di grande e di sublime, una vita eterna di beatitudine che va oltre a tutto questo. Ogni secondo dev’essere utilizzato al meglio per raggiungere questo scopo della vita. La vita è breve. Il tempo fugge. Molti sono gli ostacoli. Applicatevi diligentemente al sadhana yogico. Questa vita è una bolla che dura due secondi. Siete arrivati da soli. Ve ne andrete da soli. Nessuno vi seguirà. Siete arrivati nudi. Ve ne andrete nudi. Nessuno vi seguirà. Fate i bhajan, fate i kirtan perché soltanto questi vi seguiranno.
Ci sono persone che sono assurte a grandezza e importanza utilizzando ogni secondo in modo proficuo. Tenete un diario giornaliero. Riducete le ore di sonno. Abbandonate l’abitudine di parlare inutilmente. Osservate mouna. Comprendete il valore del tempo. Create un programma giornaliero e seguitelo con tenacia. Crescete. Evolvetevi. Espandetevi. Abbiate successo nella vita. Realizzate Dio. Riflettete. Meditate. Dispiegate la coscienza spirituale più nascosta.

L’incertezza della vita terrena

Le foglie della vita cadono. La giovinezza appassisce. I giorni passano. Il tempo, il distruttore, mette le sue gelide mani sul mondo intero. L’esistenza in questo mondo è transitoria come una bolla o un lampo!
Un medico parla al telefono ignaro del fatto che sta per colpirlo un infarto. Un uomo perde il padre. Il giorno seguente perde anche suo figlio. Qui la natura della vita è così incerta ed evanescente, eppure uno continua a sperperare scioccamente il suo tempo. Nonostante le persone venute al mondo, prima o dopo di lui, siano morte, egli è così sciocco da pensare che vivrà per sempre, e continua a rimandare di fare il sadhana.

Come utilizzare il tempo

Proprio come le persone mondane s’impegnano negli affari e stanno molto attente al loro tempo, così anche gli aspiranti spirituali stanno molto attenti al loro tempo e lo utilizzano per contemplare Dio. Non diranno una sola parola inutile. Vogliono passare ogni secondo a servire Dio. Per questo motivo osservano mouna e si nascondono nelle grotte dell’Himalaya. Se avrete cura dei secondi, le ore avranno cura di se stesse.
Il tempo è indubbiamente molto prezioso. Esso non può più tornare. Va avanti a un’enorme velocità. Quando le campane suonano, ricordate che vi state avvicinando alla morte. Quando l’orologio suona, tenete in mente che un’ora è stata sottratta alla durata della vostra vita. Dovete tremare di paura e ripetere: “La morte si avvicina. Perdo il mio tempo. Quando realizzerò l’obiettivo della vita? Quando avrò il darshan del mio ishta devata? Quando sarò libero da questa ruota del samsara?”.
Il vostro compleanno vi ricorda che la vita si è accorciata di un anno. In questo giorno fate una solida risoluzione di rendere la vita futura più fruttuosa e più utile. Non rimandate di fare opere di bene, poiché nella vita non vi è nessuna certezza. Ciò che vi proponete di fare domani, fatelo oggi, in questo stesso istante. Fate durante il giorno ciò che vi farà vivere felicemente la sera. Nella prima parte della vita fate quello per cui vivrete felicemente nella vecchiaia. Durante tutta la vita fate ciò per cui vivrete felicemente dopo la morte.
Prima di andare a letto sedetevi e contate le azioni che avete svolto. Se, con una parola di conforto e di gioia, avrete asciugato le lacrime anche di una sola persona, con una sola buona azione, allora potrete contare quella giornata come una giornata ben spesa. Avrete svolto un’azione che piace al Signore. Mentre se non avrete fatto nessuna azione che abbia portato sollievo a qualcuno, se non avrete detto una sola parola che abbia sollevato il cuore di una persona che soffre, avrete vissuto invano quel giorno.
La vita è una catena del tempo. Se sperperate il tempo, allora sperperate la vita. Dovete conoscere il valore del tempo. Non potete recuperare nemmeno un secondo del tempo speso invano. Il tempo è prezioso. Non scherzate con il tempo. Utilizzatelo al massimo. Utilizzate ogni secondo nella ricerca spirituale e nel servizio.

La natura del tempo

Il tempo è una creazione della mente. Esso è un’illusione. Esso dipende dalla natura di ciò che succede. Quando la mente è profondamente concentrata, un periodo di due ore passa come cinque minuti. Se la mente è distratta e vaga, mezz’ora langue come due ore. Questa è l’esperienza di ognuno. Anche nei sogni molti eventi che rappresentano un periodo di cinquant’anni hanno luogo in uno spazio di dieci minuti. Il tempo non è altro che un modo della mente. Esso è kala shakti È illusorio.
Senza la mente, non c’è nessun concetto di tempo. Annientate la mente. Voi andrete oltre il tempo. Entrerete nel regno dell’Eternità. Vivrete nell’Eterno. Non vi è tempo nell’Assoluto. Il tempo è una misura o una durata delle esperienze. Vi sedete a pranzo all’una e vi alzate alle due. Avete passato un’ora a mangiare. Vi è un intervallo tra le due esperienze. Laddove c’è soltanto l’omogenea esperienza del Sé, come può esserci il tempo?

Ieri, oggi, domani

Il tempo è senza forma, appare quando qualcosa si muove nella natura. Le ruote del tempo sono misteriose. Il passato, il presente e il futuro sono tutti relativi. Il presente diventa il passato. Il futuro diventa il presente. Soltanto il presente è reale. Vivete sempre nel presente. Oggi diventa ieri. Ieri è il ricordo di oggi. È soltanto una reminiscenza. Domani è il sogno di oggi. È solamente una bramosia. Vivete soltanto nel solido presente. Cancellate ieri e domani. In Dio non vi è né passato né futuro. È tutta eternità. È soltanto il solido presente. Il presente è la solida realtà.
Non potete rimediare al passato. Non siete sicuri del domani. L’unica e miglior cosa da fare è rendere oggi il più utile possibile. Ieri è passato. Dimenticatelo. Domani non è ancora qui. Non preoccupatevi. Oggi è il presente. Utilizzatelo bene. Oggi vi appartiene. Domani potrebbe non arrivare mai. Non preoccupatevi di ieri che è morto e di domani che non è ancora nato, ma concentratevi su oggi, l’eterno presente.
Vivete bene ogni giorno come se fosse l’ultimo. Ogni momento è effettivamente importante; ogni giorno è come girare una nuova pagina; e ogni anno è come l’inizio di una nuova speranza.

Satsang con Swami Satyananda Saraswati

Tratto da: Calendario 2012, Ottobre, Novembre, Dicembre, Shivananda Math, Rikhiapith, India.

Rama e Shiva

La vita senza il darshan del Signore Shiva è incompleta. Il Ramacharitamanas ha creato un legame d’amore fra i devoti di Shiva e quelli di Rama. Prima che fosse scritto, c’era un’aspra inimicizia fra loro. Tulsidas l’ha ideato affinché Shiva adorasse Rama e Rama adorasse Shiva. Li ha resi amici e ammiratori reciproci così che, di conseguenza, anche i rispettivi devoti diventassero amici.
Io sono stato un devoto di Rama fin dall’infanzia. Al momento dell’iniziazione, Swami Shivananda mi diede il mantra “Om Namah Shivaya” e mi disse che Rama era il mio ishta devata. Canto “Om Namah Shivaya” ogni mattina, meditando su un’immagine di Sri Rama seduto sul suo trono nella beatitudine totale. Ho sempre aspirato ad avere un’apparizione di Rama, con l’arco e la freccia, la corona, i bei vestiti e con Sita, il simbolo della forza, della rettitudine e della gentilezza.
Tuttavia, sebbene “Om Namah Shivaya” sia il mio mantra, non ho mai pensato di avere un’apparizione di Shiva. Ho letto nel Ramacharitamanas che la parola Rama è lo shabda mantra con cui il Signore Shiva dà l’iniziazione. Quel Rama non è soltanto il cittadino di Ayodhya, l’abitante del cuore, il creatore del mondo o il trascendentale Rama. Egli è la totale combinazione di tutti e quattro i Rama. Lo scopo di cantare il nome di Rama è di materializzare il Signore Shiva. Shiva ama così tanto il nome di Rama, che sicuramente verrà in visita ovunque si canti il nome di Rama. Allo stesso modo, se vi dedicate al nome di Shiva, Rama se ne compiace.
Shiva era presente quando nacque Rama. Quando Rama si sposò, per Shiva fu di nuovo essenziale essere presente. Quindi, quando avviene il matrimonio di Sita e Rama qui a Rikhiapith, ci sono tutte le possibilità che Shiva discenda in mezzo a noi. Il matrimonio è per attirare Shiva, perché Rama è il suo ishta devata. Anche se voi non potete vederlo non importa, perché egli lascerà sicuramente dietro sé una scia di fragranti benedizioni.
Tutti gli esseri umani hanno la cataratta, non solo fisica, ma anche interiore. Una cataratta è un errore nella percezione, drishti dosha. Per togliere questo errore dobbiamo intraprendere molti sadhana. Quando l’errore di percezione è corretto, possiamo avere la realizzazione. Sono diventato vecchio facendo japa, tapasya e anushthana, ma tutto ciò che ho ottenuto è stato solo superficiale. Il vero raggiungimento è avere il darshan di Shiva. A Rikhia ho subito un intervento oculistico. Adesso è il momento di vedere se è stato un successo o un fallimento. Solo Dio lo sa. Non importa se ho una visione sfocata di Shankara. Se Egli dà un darshan radiante, anche questo è molto gradito. Qualunque forma è gradita, poiché Dio non appare solo in una particolare forma.
La via del fare esperienza di Dio, del ricordarlo e del sommergersi in Lui, del fondere la mente in Dio, è l’unica via. Non preoccupatevi della via dura, sul filo del rasoio. Prendete la via più facile e semplice. È molto lunga, ma come una formica continuate a camminare lentamente, ma costantemente. Nel 1947, Swami Shivananda mi ha detto di aspettare ancora per quarant’anni. Disse: “Il tuo momento deve ancora venire. Devi esaurire molti karma”. Così cominciai a camminare lentamente e costantemente. Ora sono quasi arrivato.

IncontrarLo, VederLo

Dio è molto sensibile. Egli sta ascoltando tutto il mio discorso e, per quanto ne sappiamo, potrebbe parlare a tutti voi attraverso di me. La sua maya è strana. Egli è colui che ascolta ed Egli è anche l’oratore. Egli è il vagabondo, il viandante, il mendicante. Egli è anche chi parla, chi muove, chi motiva. Egli stesso è l’autore; è tutto un Suo lila. Questo è il principale obiettivo e scopo di questo Ram Naam Aradhana: incontrarLo, vederLo. Oh Shiva, qual è la tua forma? Come ti si può vedere? Vieni in qualunque travestimento, come un mendicante o un cantante, come uomo, donna o bambino. Visitaci in qualunque forma, ma vieni, anche soltanto per un istante, come lo scatto di una macchina fotografica. Anche così andrà bene.
Non è necessario vedere Dio per un’ora o due. Quando il Signore Krishna mostrò ad Arjuna la sua forma cosmica, la mente di Arjuna trasalì (Gita 11:45): Bhayena ca pravyathitam mano me: “Dio, sono tanto spaventato”. Ricordate che se vi troverete di fronte alla forma del Signore Shiva con i capelli scompigliati da cui scorre il Gange, adornato da un serpente intorno al collo, con grandi sopracciglia, con tre occhi, che cavalca un toro verso il terreno di cremazione, sarete terrorizzati e griderete: “O Dio, no, no! Fammi vedere la tua forma ordinaria”.
Voglio enfatizzare questo punto, che la ripetizione del nome di Rama è gradita a Shiva. Si dice sempre che si dovrebbe ripetere il nome di Rama a Deoghar e Om Namah Shivaya ad Ayodhya. Ad Ayodhya ripetete il nome di Shiva e Rama ne sarà compiaciuto; a Deoghar ripetete il nome di Rama e Shiva ne sarà compiaciuto.
Quando venni a Rikhia, gli abitanti del villaggio mi salutarono dicendo: “Pranam, Swamiji”. Io dissi loro “Namo Narayan”. Oggi tutti i bambini del nostro panchayat, i villaggi del nostro distretto, cantano un solo mantra: “Namo Narayan”. In tutta la loro vita non hanno mai pronunciato Om Namah Shivaya. Questo dimostra quanto queste persone siano semplici e innocenti. Sono una massa di infelici e sfortunati. La società, i dignitari, il governo, tutti li hanno traditi, ma i loro figli dicono: “Namo Narayan”. Quando si passa da questa via camminando lungo la strada, essi dicono: “Namo Narayan”.

Il Signore Rama – l’uomo ideale

Devo dirvi ancora una cosa. Nacqui in una famiglia kshatriya, la casta dei guerrieri, nel lignaggio di Ikshvaku, la linea familiare di Rama. Perciò ho un’affinità speciale con il Signore Rama, è semplicemente naturale. Amo tutto di lui e della sua vita straordinaria: il suo autocontrollo, la compostezza, la moderazione, la cultura, la civiltà, le sue maniere nell’affetto e nell’inimicizia, il suo atteggiamento fisico e l’attitudine verso i nemici. Il Signore Rama è un modello per l’umanità e tutti dovrebbero emularlo.
Da ragazzo veneravo il Signore Rama come il mio eroe. Tutti i bambini cercano un modello, un ideale da emulare. Se chiedete ai bambini come vorrebbero che fossero i loro genitori, rimarranno in silenzio per timore, ma ammirano i genitori come i loro modelli comportamentali. I genitori devono rispondere alle attese dei loro figli ed essere i loro modelli. Quando i modelli non sono all’altezza degli ideali, i figli non ascoltano i genitori. Un padre beve e consiglia a suo figlio che è male bere. Di conseguenza i figli si fanno beffa dei genitori.
Anch’io nell’infanzia avevo bisogno di un modello. Ne ho cercati, ma non ne ho trovati. Fui educato in un convento, ma scelsi Rama come modello. Gli abiti di Shiva sono stracciati, i suoi capelli arruffati e aggrovigliati. Non ha bisogno di vestiti. Le sue maniere sono barbare. Il suo modo di parlare è privo di fascino. I suoi compagni sono rozzi. Che razza di modello potrebbe rappresentare? Potete imitare Shiva? Potete indossare una pelle di tigre? No! Potreste indossare un dhoti come il Signore Rama? Si! Potete anche indossare il pitambar, un dhoti giallo di seta, come lui. Tutti vorrebbero indossare begli indumenti come il Signore Rama.
Il Signore Shiva assume bhang: Bam Bam Mahadev, Alakh Niranjan! Le grandi anime erano solite dire così nei vecchi akhara. Può Alakh Niranjan essere un modello per la gente? Possono le persone emulare l’esempio di Shiva? La società ha bisogno di un modello, un ideale, e questo è il Signore Rama. Egli è il modello universale per tutti i tempi e per tutte le persone del mondo: africani, americani, britannici, australiani, cinesi, russi, tedeschi. Rama è un modello per tutti. Potrebbero esserci controversie sul Signore Krishna, ma Rama è incontestabile.

I Cinque Attributi di Shiva

Nel tantra, la creazione inizia con la comparsa di Shiva dalla coscienza immanifesta. La trascendentale coscienza di Shiva ha cinque attributi o poteri principali: sarva kartritwa rupa, sarva tattwa rupa, nityatwa rupa, purnatwa rupa e vyapatattwa rupa.
Il primo attributo, sarva kartritwa rupa, si riferisce alla forza creativa, al potere che ha la capacità di creare un intero universo dal nulla. Sarva significa totale, kartritwa significa la capacità di agire.
Il secondo attributo, sarva tattwa rupa, si riferisce a tutti i tattwa o elementi necessari per la comparsa di una nuova identità che sono insiti nella forma invisibile, proprio come un albero è contenuto in un seme. Non si può vedere l’albero nel seme, ma si conosce la potenzialità del seme di creare un albero.
Il terzo attributo è nityatwa rupa, Shiva come l’energia che è nitya, eterna, continua e ininterrotta.
Il quarto attributo è purnatwa rupa, l’attributo della pienezza, della completezza. A questo concetto si riferisce lo Shanti mantra della Ishavasya Upanishad:

“Om purnamadah purnamidam purnaat purnamudachyate, purnasya purnamaadaaya purnamevaavashishyate”.

Ogni cosa è emersa da purnata, la completezza.
Il quinto attributo è vyapatattwa rupa, la caratteristica di essere onnipervadente.
Il tantra ritiene che l’umanità abbia la sua origine nella coscienza onnipervasiva di Shiva. Nel viaggio dell’evoluzione, tuttavia, l’individuo ha dimenticato la sua origine e la sua vera identità. C’è identificazione con il nome e con la forma ricevuti in una particolare vita, ma questa non è la vera identità. La vera identità è stata dimenticata e non può essere riconquistata fino a quando l’individuo non si arrende completamente a quel puro stato di coscienza.

Forma del Signore Shiva

Il Signore Shiva non indossa indumenti. Non invecchia mai. Non c’è un letto su cui dorma. Ogni cosa di lui è scompigliata. Se Ganga non si fosse seduta fra i suoi capelli arruffati, sarebbero stati pieni di pidocchi. Il Signore Shiva è esattamente l’opposto di suo figlio, Ganesha. Ganesha mangia buon cibo. Ama i dolci. Non potete immaginare quanti laddu mangi. Sta in compagnia di un topo. Shiva è la sua antitesi; segue una via diametralmente opposta a quella di Ganesha. Perciò seva, il servizio, al Signore Shiva significa il servizio a quelle persone che sono svantaggiate, misere e bisognose. La sua forma è panchavaktram e trinetram, cinque teste e tre occhi. Gli yogi si struggono dall’ardente desiderio del darshan di questa forma.
Con Ganga in cima alla testa,
il serpente che gli fa da ghirlanda al collo,
ampie sopracciglia, tre occhi,
cosparso di bianco,
così è Shivashankara,
il consorte di Girija.
Questa forma del Signore è oltre la portata anche degli yogi, ma noi possiamo vederlo incarnato nell’umanità sofferente. Questa è la possibilità nel Kali yuga. Tutti voi che aspirate ad avere l’esperienza del Signore Shiva dovreste cercare di ricordare che si farà vedere in una forma molto decrepita, nei poveri, nelle persone che soffrono per le malattie, che sono completamente indifese. È facile vedere Dio in un tempio, con cinque teste e tre occhi, ma è difficile vedere Dio fra i poveri. Tutti vogliono vedere Dio solo nel mandir, il tempio, ma dovreste cercarlo fra i poveri.
Perciò, se volete invitare il Signore Shiva, cantate il nome del Signore Rama che vive ad Ayodhya. Se volete attrarre Rama a voi, adorate Shankara. Essi si adorano l’un l’altro; sono reciprocamente devoti. Il Signore Shankara adora sempre il Signore Rama. Questo è il suo punto debole, il suo segreto, l’unico modo per indurlo a dare il suo darshan.

I Dodici Jyotirlingam

Tratto da: Calendario 2012, Ottobre, Novembre, Dicembre, Shivananda Math, Rikhiapith, India.

Trayambakeshwar – Il Signore dai Tre Occhi

Nasik, Maharashtra

Il jyotirlingam del Signore Mrityunjaya è l’ishta devata di Sri Swamiji e il luogo in cui l’8 settembre 1989 ricevette il suo mandato e la visione di Rikhiapith. È un luogo ispirante e inebriante, dove nasce il fiume Godavari, circondato da montagne a forma di shivalingam. Si dice che sia il luogo in cui Ganga fu definitivamente assicurata alla terra e obbligata a scorrere a Trayambakeshwar, nascondendo qui le trecce del Signore Shiva.
Fu qui che, nel 1963, fu rivelato a Swami Satyananda il capitolo della sua vita successivo a quello di Rishikesh, portandolo a Munger e alla diffusione dello yoga. A quell’epoca egli promise al Signore Mrityunjaya che dopo venti anni avrebbe rinunciato a tutto e sarebbe venuto da lui per attendere ulteriori istruzioni. Così, dopo ventisei anni, nel 1989, Sri Swamiji ritornò dopo aver lasciato tutto quello che aveva costruito a Munger e rimase ancora qui in una “goshala”, una piccola stanza di quasi tre metri per tre metri. Mentre era seduto in meditazione sotto un albero di gular fuori dal suo kutir, ricevette il comando di andare al terreno di sepoltura di Shiva, lo shmashan bhumi, con la missione di “perfezionare l’ininterrotta consapevolezza del suo Guru mantra con ogni respiro”.

Kedarnath – La Sacra Sede del Signore Shiva

Tehri-Garwhal, Uttar Pradesh

Si dice che Shiva prese stabile dimora a Kedarnath nella forma di un jyotirlingam. Essendo così vicino all’Himalaya, un pellegrinaggio qui è come un viaggio in capo al mondo e si dice che questo sia l’ultimo luogo in cui Adi Shankaracharya fu visto nel corpo fisico prima di andarsene nella foresta per non essere mai più visto. Si può sentire l’intensità di questo jyotirlingam con le benedizioni di un grande santo e yogi che qui inondano ancora tutti quelli che vengono.
Quando Sri Swamiji vanne a Kedarnath nel 1988 scrisse: “Oh Signore Kedarnath! Qui ho perso me stesso, il senso del tempo, la direzione e tutto ciò che è empirico”. Questa sacra sede di Shiva arricchisce quelli che la visitano, facendo perdere loro il senso della realtà solo per un istante, quando tutto si fonde nell’unità.

Ghushmeshwar – Il Signore di Ghushma

Ellora, Maharashtra

Questo jyotirlingam prende il nome da “Ghushma”, una grande devota del Signore Shiva, che trascorse i suoi giorni adorando shivalingam fatti di argilla. La sua sincerità, dedizione e pura devozione furono riconosciute da Shiva ed egli le concesse il beneficio che sarebbe stato eternamente presente in quel luogo. Così questo jyotirlingam è anche conosciuto come Shivalaya.
Sri Swamiji lo visitò e sentì che la risoluta devozione al Signore Shiva è sempre presente. Con l’adorazione di questo jyotirlingam le qualità di un bhakta possono dischiudersi dal profondo, coltivando così un’amorevole e intima relazione con Dio.

Pratica ed Esperienza nello Yoga

Di Swami Anandananda Saraswati, conferenza conclusiva tenuta durante il Seminario del 7-8-9 Ottobre 2011 “Le Tecniche Meditative del Metodo Satyananda Yoga”, Villa Braida, Mogliano Veneto.

Vi ho parlato del mantra e dell’esperienza del suono del mantra che fanno parte del sistema di nada yoga. Vorrei spiegare qualcosa che riguarda il nada yoga per diversi motivi, uno dei quali è che è una delle pratiche che preferisco e che pratico da tanto tempo, dal 1986, con la guida di Swami Satyananda, quando era ancora a Munger. Nada yoga e nadanusandhana sono la ricerca dell’esperienza di nada, del suono, e del suono trascendentale. La ricerca della vibrazione del suono nella sua forma completa che include sia la forma sia il colore. Per questo è necessario un lungo periodo di pratica sia del mantra sia del nada yoga nella forma di scale musicali o anche di kirtan. È un procedimento che richiede molta assiduità, regolarità e tempo, perché l’oggetto della pratica è fare esperienza del suono. Quel suono che non è provocato da qualcosa che vibra, dalla frizione, dal contatto, dall’urto di due oggetti, come per esempio nel caso della voce, aria e corde vocali; degli strumenti musicali, aria e ance o la pennetta e le corde della chitarra. Se si prende uno stecchino di legno, un ramo e lo si muove velocemente cosa si sente? Un suono. Quel suono è provocato dalla frizione tra lo stecchino e l’aria. Tutti questi sono suoni che appartengono alla dimensione manifesta, empirica e sono di natura dualistica, esterna, esteriore. Nada indica quello che è conosciuto come Anahada Nada, il Suono che non è provocato dall’urto, dal contatto di due cose. Quindi il procedimento di nada yoga è la ricerca, l’avvicinarsi all’esperienza di Anahada Nada, il Suono trascendentale. Equivale anche al Sé, quello con la S maiuscola, ed è anche per questo che il termine è nadanusandhana. Anusandhana significa: “andare alla ricerca di”. Se si perdono le chiavi di casa cosa si fa? Si cercano le chiavi, si sta facendo anusandhana, si stanno cercando le chiavi. In nadanusandhana cosa si cerca? Nada. Questo nada non è nel nome. Quando si suona e si canta Sa-Re-Ga-Ma, quello è il nome, non è la nota, non è la frequenza, la bellezza, il colore della nota musicale, è il nome. Quando facciamo degli esercizi, stiamo usando solo i nomi. Dai nomi all’esperienza della nota c’è molta differenza. Tale differenza risiede nella nostra consapevolezza, nell’interferenza del nostro intelletto, nell’interferenza della mente estroversa e superficiale. Lo stesso vale anche per il mantra. Parlavo l’altro giorno del mantra “Om-Na-Mah-Shi-Va-Ya”, quelle sono le lettere dell’alfabeto, non il suono. Sono due cose differenti. Il nome definisce qualcosa, ma non è l’esperienza di quella cosa.
Stamattina mi sono ricordato di un episodio accaduto durante un viaggio in aereo di Swami Satyananda e di Swami Satsangi. Sw. Satyananda aveva cominciato a parlare con un signore inglese seduto vicino a lui che, vedendolo con il vestito gheru, voleva sapere chi era. A sua volta Swami Satyananda gli chiese cosa facesse e il signore rispose che aveva scritto un libro sui dolci indiani e che stava appunto andando a Londra perché lo avevano appena pubblicato. Nel frattempo era arrivata l’ora di pranzo. Sw. Satyananda quando viaggiava portava sempre con sé qualcosa che veniva dall’Ashram che alcuni devoti gli davano per il viaggio. Aprì due, tre contenitori e fra questi ce n’era uno con dei dolci: i rasgulla. Ne mangiò uno lui, uno Satsangi e ne offrì uno al signore che dopo averlo guardato chiese cosa fosse. Sw. Satsangi allora gli rispose: “Leggi il tuo libro così lo saprai!”.
Questo per evidenziare come vi sia una tendenza verso l’intellettualizzazione delle cose. Il nome di qualcosa rappresenta l’aspetto dell’intellettualizzazione, non è l’esperienza. Il senso di ciò che si fa, soprattutto nello yoga, è nell’esperienza. Scrivete tante cose, ma dalla carta che state usando non esce l’esperienza. L’esperienza nasce dalla pratica e non solo dalla pratica. Nella pratica e nelle pratiche yoga è necessario che sia chiaro un senso, una direzione, una motivazione, un Sankalpa. Altrimenti le pratiche non hanno nessun senso. Devi sapere dove ti stai dirigendo, dove vuoi arrivare. Tante volte faccio un esempio che è quello della stazione ferroviaria. Vai in una stazione ferroviaria, ma se non hai nessuna idea di dove andare, sei lì alla stazione, guardi i treni, ci sono quelli rapidi, veloci, lenti, locali, intercity, nuovi, rossi, bianchi, ci sono quelli vecchi, ci sono tanti treni, ma se non sai dove vuoi andare, tutti i treni vanno bene e tutti i treni sono inutili. Puoi metterti lì a dire questo è il treno verde che va così, costruito in quell’anno, questo è un altro treno più moderno, è costato tot, questo capotreno mi piace, quest’altro capotreno è antipatico, si possono fare tutti questi confronti, ma alla fine rimanete lì. Se dovete andare alla stazione ferroviaria e prendere un treno per Roma, dovete solo guardare i treni che vanno a Roma. Tutti gli altri sono inutili, perché vi interessano solo quelli che vanno dove volete andare voi e tra quelli potete scegliere, uno parte subito, un altro è già partito, un altro lo avete perso, su questo c’è lo sconto, questo è troppo caro, questo arriva troppo tardi. Alla fine ne scegliete uno, comprate il biglietto, sapete l’orario in cui dovete salire sul treno e partite. Durante il viaggio vedete tante cose, incontrate altre persone, fate tante esperienze e infine arrivate a destinazione. Quando arrivate alla stazione Termini di Roma cosa fate? Scendete dal treno, non vi portate dietro tutti i passeggeri, il capotreno, il controllore, quello che vende le bibite, non vi portate dietro il vagone, no. Lo dovete lasciare, siete arrivati a destinazione. Il treno ha finito il suo scopo. Da quel momento in poi vi dimenticate di quel treno come degli altri treni che andavano chissà dove. Allo stesso modo dovete avere un’idea di dove volete andare. Qual è il senso, quali sono le pratiche, le tecniche, gli esercizi comodi e più adatti a voi. Così come prendete il treno che è adatto alle vostre tasche, dovete scegliere quello che è più adatto a voi, non dal punto di vista del costo ma dal punto di vista della vostra costituzione e delle vostre reali possibilità. Se avete settantacinque oppure ottant’anni lasciate perdere hatha yoga o kundalini yoga, se avete delle difficoltà o un certo stile di vita, dovete trovare quelle cose adatte che potete praticare comodamente e facilmente. A un certo punto il discernimento è necessario.
Il discernimento è una facoltà che abbiamo, ma non usiamo mai. Bisogna fare una distinzione tra quando si va alla lezione di yoga e si pratica una nuova asana che ci risulta difficile, un pranayama che non ci riesce, un mudra che non riusciamo a capire. Questo è qualcosa che si sta imparando e sperimentando, accorgendosi che si fa fatica. Un’altra cosa è quello che si pratica e si dovrebbe praticare regolarmente tutti i giorni. Quello che è facile per me, quello che riesco a praticare facilmente con comodità. Non si deve stare lì a pensare se si doveva iniziare dal lato destro o sinistro o si doveva inspirare o espirare, perché di nuovo si sta intellettualizzando. Bisogna praticare quello che è facile. Quello che è facile e si riesce a fare con comodità. La pratica personale di yoga non deve essere un qualcosa in cui per dieci minuti o un quarto d’ora vi è sforzo e tensione nell’eseguirla. Nel frattempo si può sempre coltivare la possibilità che un giorno si potrà fare una certa pratica se proprio se ne è ossessionati e la si vuole eseguire per forza. Ti alleni un po’, piano piano, quando ti diventa facile e comoda la fai. Il vero problema è che non si pratica regolarmente, il difficile è questo, il difficile è farlo tutti i giorni. Così come tutti i giorni si mangia, ci si pettina, ci si lava, la sera si va a dormire, si fanno delle cose regolari tutti i giorni, tutti i giorni fai un po’ di manutenzione della personalità interiore, tutti i giorni fai un po’ di questo. Deve essere una cosa semplice, non di tensione o di rigidità, ma semplice e facile. Ti metti lì con il tuo tappetino, ti siedi, devi fare due asana, indipendentemente da quali siano le fai senza aspettarti niente, le fai e basta. Devi fare nadi shodhana pranayama? Ti siedi, inspiri ed espiri, inspiri ed espiri, ma fallo per cinque minuti. Devi praticare il mantra? Ti siedi, prendi il mala sempre lì sul tuo tappetino e inizi, qualunque sia il mantra, e anche se la mente pensa e ci sono tante distrazioni, va bene, non fa niente, tu fallo lo stesso. L’oggetto non è quello di fermare tutti i pensieri, no. Ripetete il mantra così come vi ho spiegato in questi giorni, semplicemente. Poi si può aggiungere qualcos’altro. Se volete allenarvi, prepararvi, troverete il tempo anche per questo, ma prima bisogna includere lo yoga nel quotidiano, nella routine di tutti i giorni per un bel po’ di tempo.
Bisogna divenire stabili in questo. Divenire stabili come dicevo l’altro giorno, quando s’impara a leggere e scrivere, quando si arriva alla fine delle elementari. Ormai si è divenuti stabili nello scrivere tranquillamente e fluentemente, ma ci sono voluti degli anni, ci vuole tempo. Così è necessario stabilizzare la regolarità di una pratica continua di qualcosa che è comodo, semplice, facile da praticare, che si può fare tutti i giorni e quando hai finito metti giù il mala e vai a fare il tuo lavoro, vai dove devi andare. Il pomeriggio, una volta finito di lavorare torni a casa. Prima di aprire il frigo o accendere la televisione, per cinque minuti ti metti in shavasana e scarichi la mente dalle impressioni accumulate durante il giorno al lavoro. Libera la mente, rilassa la mente dalle impressioni accumulate in un ambiente di tensione, di stress, di pressione, di antagonismo, di accelerazione, di velocità, di paura, d’insicurezza. Rilassa la mente da quelle cose. Basta stare dai cinque agli otto minuti in shavasana ripetendo mentalmente pollice, indice, medio, anulare, mignolo… Completa la rotazione della consapevolezza attorno al corpo, poi sii consapevole del movimento del respiro ombelicogola, golaombelico. Dopo vai, apri il frigo, accendi il televisore, guardi un film, guardi la partita, stai nell’ambiente familiare, nell’ambiente di tranquillità, di rilassamento. La sera, prima di dormire, se hai tempo e vuoi farlo, completa un mala con la ripetizione del mantra e poi vai a dormire. L’indomani mattina le stesse cose, ma piccole cose. Per questo Sw. Niranjan parlava di Capsule di Yoga: semplici pratiche introdotte durante l’arco della giornata, un po’ la mattina, un po’ a metà giornata, un po’ la sera, ma regolarmente. Un senso, una direzione potrebbe anche essere: “pratico yoga per divenire regolare nella pratica yoga”. Lascia perdere: “pratico yoga per risvegliare la kundalini!” Abbiamo perso quella corriera, è una fantasia, al momento è una fantasia, un’illusione. Se una persona ha un problema di salute che rappresenta un ostacolo, un impedimento nella propria vita, quello è il sankalpa. Pratica per quello. Poi però, quando passa il diabete, passa l’ulcera, quando passano quelle cose, lo yoga non finisce lì. Adesso che il mal di schiena è passato, scegli come sankalpa la pace interiore, il rilassamento della mente.
Non serve avere chissà quali enormi fantastiche direzioni, altrimenti potrebbe succedere che alla fine dei seminari, quando si va a mangiare la pizza, qualcuno dice: “Il mio sankalpa è quello di risvegliare prima sushumna e poi la kundalini” e qualcun altro pensa: “Io invece che avevo il sankalpa dei chakra quasi quasi lo cambio, faccio il suo sankalpa”. Poi alla prossima pizza: “Oh sai che anch’io ho lo stesso sankalpa, risvegliare la kundalini e sushumna” e gli altri: “Oh adesso anch’io devo cambiare il sankalpa”. No, questo fatelo per la moda, per le macchine, per altre cose, ma non con lo yoga. Il sankalpa è una cosa personale, non è oggetto di discussione, non riguarda nessun altro. Cosa fai nel momento in cui stai esalando l’ultimo respiro? Mandi un sms a tutti i tuoi amici di facebook e dici: “Ragazzi andiamo, venite si va nell’al di là!”. Vedrete che non risponderà nessuno, ti cancellano da facebook. Lo yoga è qualche cosa di individuale, personale ed è una scelta individuale e personale, una decisione individuale e personale. Perché faccio yoga? Io lo so perché voglio fare yoga e questo non riguarda nessuno. È una mia questione, è solo mia. Io posso capire il motivo per cui ho deciso di farlo. Io posso dire che ti fa bene ed è una cosa buona. Sono trent’anni che lo dico, ma non obbligo nessuno. Nessuno è obbligato a fare niente. Yoga, mantra, gli argomenti di natura spirituale non devono essere discussioni da salotto o da tenere al bar. Concernono il discernimento, il vero discernimento. Dove tenete i vostri soldi, i gioielli, l’oro e le gemme? Nel tavolo da cucina? Nell’ingresso? Nel gabinetto? Sul tavolo da pranzo? In balcone? Dove li tenete? Al sicuro, nelle cassette di sicurezza, in banca, nascosti sotto terra, nel cavò. Dove per entrare ci vuole un mese. Protetti, perché non volete che ve li rubino. Proteggi allo stesso modo quello che è il tuo desiderio, intento, visione di quello che vuoi veramente realizzare. Proteggilo, coltivalo e fertilizzalo. Giorno dopo giorno lo stai coltivando e fertilizzando. Serve il discernimento.
Indipendentemente dal tipo di pratica, che sia la ripetizione del mantra o nada yoga con le scale musicali, bisogna andare oltre il nome, oltre l’intelletto, andare oltre l’alfabeto. E per questo serve che ci sia un cambiamento e una trasformazione. Finché non c’è quel cambiamento e quella trasformazione, non c’è neanche esperienza. Da alcuni giorni, forse ve ne siete accorti, porto qui con me questa frase di Swami Satyananda, perché ultimamente c’è una cosa che mi ha veramente colpito nella sua semplicità e chiarezza. Fino a poco fa non ci avevo pensato, ma adesso ho deciso di dirvelo. Riguarda soprattutto l’aspetto della dimensione spirituale dello yoga e dello yoga in generale. La frase dice: “Cambia il tuo modo di parlare, cambia le tue ambizioni, cambia i tuoi punti di vista, cambia la lista delle cose in cui credi, cambia tutte le convinzioni che ti sei autocreato*, cambia i pensieri. Solo allora, dalla profondità della tua vita, uscirà la potenza del Sé”. (*i paletti del cammello). Quello che dice, cioè cambia, cambia le ambizioni, ecc. non si riferisce ai cambiamenti intellettuali. Possiamo dire sì, sono cambiato o sto cambiando perché lo pensiamo, ma deve succedere. Bisogna accorgersi che si sta cambiando e in cosa si sta cambiando. E il cambiamento deve essere sempre in meglio, sempre in positivo. Noi non facciamo questi cambiamenti. L’ostacolo a questi cambiamenti è l’identificazione della consapevolezza con i pensieri, con le impressioni, con i condizionamenti. Questo è quello a cui mi sono riferito prima con l’esempio del treno. Quando arrivate a Roma scendete dal treno e vi volete portare dietro tutti i passeggeri, vi volete portare dietro il vagone, vi volete portare dietro l’omino che vende le bibite e il capotreno. Questo è attaccamento. Così ci portiamo dietro il passato. E anche se ci sono aspetti, elementi, impressioni del passato che ci hanno fatto soffrire, anche se da una parte ce ne vogliamo liberare, dall’altra ci siamo attaccati. Cosa vuol dire ci siamo attaccati? Questo attaccamento è causato dall’identificazione. L’effettivo cambiamento è nel processo del diminuire, pacificare, rallentare, se non eliminare le diverse forme di questo tipo di attaccamento. L’attaccamento e il distacco non hanno a che vedere con gli oggetti esterni, anche se a volte li proviamo verso gli oggetti esterni. Ad esempio, tante persone hanno l’angavastra ricevuto a Venezia durante il programma con Swami Niranjan, poi c’è quello che avete ricevuto adesso. Ne avete tre o quattro, uno lo usate e due li mettete nel comodino. Fra un anno o due viene qualcuno che ve ne chiede uno perché gli serve e rispondete che non potete darglielo perché lo avete ricevuto da Swami Niranjan nel 2006. Ora è inutile che si parli di nada, del Sé e di tutto il resto quando c’è ancora un effettivo e reale tipo di lavoro da fare che riguarda questi aspetti sottili, interiori della personalità.
Ci sono degli istinti come l’insicurezza e la paura che fanno parte della natura umana. Ci governano e controllano ampiamente. Però, nonostante il senso d’insicurezza e paura, continuiamo a uscire tutti i giorni da casa, andiamo al lavoro, a portare i figli a scuola e a prenderli, continuiamo a mettere, se ci sono, i soldi in banca, e continuiamo a funzionare, continuiamo a essere un padre, una madre, un fratello, una sorella, un marito, una moglie. Continuiamo a farlo nonostante ci sia insicurezza. Allo stesso modo, nonostante la presenza di una certa insicurezza, possiamo muoverci nel cambiare interiormente ed è lì che si riconosce l’effettivo progresso nello yoga. Non serve se a un certo punto riuscite a mettervi con i piedi dietro la testa. Per un po’ di anni riuscirete a farlo, però poi non potrete più farlo, non è un cambiamento, non significa niente. Il vero cambiamento, il vero progresso sta in qualche trasformazione interiore dei punti di vista. Ad esempio le ambizioni. Guardate adesso quali sono le vostre effettive ambizioni e controllatele dopo un po’ di tempo. Nella mia esperienza personale, i primi anni di yoga pensavo ai chakra e alla kundalini e basta, ma adesso non ci penso neanche lontanamente. Posso insegnare tecniche che riguardano chakra e kundalini, ma al momento non sono una mia ambizione. Nel modo di relazionarmi con gli altri, con Swami Niranjan, con Paramahamsaji, in quello c’è stato un cambiamento dovuto a un procedimento di costanza, di regolarità e di crescita. Posso decisamente riconoscere ciò, che non è come era cinque, dieci, quindici anni fa. Il cambiamento non deve essere nelle grandi cose, ma nelle piccole cose, nel tipo di pensieri, nella qualità di pensiero, nei punti di vista. Passiamo quasi tutto il tempo della vita basandoci solo sul nostro punto di vista, e un eventuale cambiamento può consistere in questo: cominciare a includere, accettare, considerare altri punti di vista. In chiave yogica possiamo dire che questo cambiamento consiste nel muoversi da un tipo di pensiero, ambizione o punto di vista tamasico a un tipo di pensiero o ambizione sattwico. Da uno stato fermo, bloccato, ristagnante, limitato a uno luminoso. Da un’attitudine autocentrata ed egoistica a una altruistica. In questo cambiamento non perdiamo niente, anzi ci guadagniamo. Ma non guadagniamo in oggetti, non guadagniamo in cose materiali, non guadagniamo soldi. Guadagniamo nel nostro stato d’essere interiore, guadagniamo in pace, in comprensione, guadagniamo nell’imparare, nel saper accettare le nostre condizioni, il nostro essere per com’è, con tutti i suoi pregi, con tutti i suoi difetti, con le positività e le negatività. Accettare, così come quando pratichi ajapa japa o il mantra e vengono fuori tutti i pensieri della mente. Cosa vi sto dicendo di fare? Accettateli, lasciateli venire, non dite no, no. Accettare, è questo che piano piano si coltiva con quelle pratiche. Ho preso un po’ di tempo per dire queste cose, adesso passiamo alle domande. La prima è su mantra diksha.

Domanda: Si può ripetere il mantra ininterrottamente durante la giornata, oppure mi devo attenere ai due mala indicati?

Risposta: Questa è una domanda interessante e importante. Nelle indicazioni, quando ricevete il mantra, viene indicato: pratica due mala al giorno, uno la mattina e uno la sera. Però oltre a questo, il mantra può essere praticato non ininterrottamente, ma ulteriormente. Quando cammini, in sincronia con i passi, ripeti lentamente il mantra. Stai facendo qualcosa di ripetitivo o vai a lezione di yoga e pratichi nadi shodhana. Invece di contare i numeri fai il tuo mantra. Nel corso della giornata, quando senti che la mente è tesa, confusa, fermati un momento, chiudi gli occhi, pensi al mantra con il respiro. Lo si può decisamente fare e dovrebbe essere fatto. Non praticate mentre guidate l’auto, non praticate mentre siete al lavoro e dovete concludere qualcosa. Prima finite il lavoro e poi fate il mantra. Con la pratica regolare, nel corso del tempo, la pratica del mantra culmina nella forma di ajapa japa. Quando vi sedete con il mala e praticate, questo è japa. Ad esempio, nel ripetere “Om Namah Shivaya, Om Namah Shivaya…” vi è uno sforzo cosciente, si sta pensando ad altro e ci si sforza per dire “Om Namah Shivaya” sincronizzandolo anche con il respiro. In questa ripetizione c’è l’intento, c’è l’intenzione, lo metti tu il mantra. Ma dopo, a lungo andare, perfezionando la pratica, questo sadhana assume la forma di ajapa japa. Questo vuol dire che il mantra si ripete spontaneamente, che tu non devi fare niente perché è lì presente; tutto il tempo nella mente c’è “Om Namah Shivaya, Om Namah Shivaya…”. Fai quello che devi fare e quando ti fermi e chiudi gli occhi, dentro senti risuonare “Om Namah Shivaya, Om Namah Shivaya, Om Namah Shivaya”. Questo è il culmine, questo è ajapa japa. Però, tornando alla domanda, il mantra potete farlo anche in altri momenti e dovreste farlo, come vi ho detto, mentre camminate. Se siete da soli lo potete cantare, cantatelo nei kirtan. Lo potete scrivere nella forma di likhit japa, prendete un foglio di carta a quadretti con una penna verde e scrivete il mantra in ordine, scrivete piccolo e chiaro “Om Namah Shivaya”, riempite tutto il foglio, quando lo avete riempito, mettete via la carta e fate quello che dovete fare. Fatelo, si può fare. Se fate ajapa japa ombelicogola, golaombelico, inserite il vostro mantra, So Ham per chi non ha un mantra. Se l’avete utilizzatelo, più si utilizza meglio è, ma non dev’essere un uso inappropriato o inadeguato, come ad esempio farlo mentre stai guidando o mentre c’è qualcuno che ti sta parlando e rimani incantato perché stai recitando il mantra. Così mostri di essere una persona che fa yoga e si comporta come uno fuori di testa. Lo yoga non è per essere fuori di testa. Yoga non è fare castelli in aria, yoga non è essere fra le nuvole, non è nell’al di là, è nell’al di qua. I piedi devono stare tutti e due per terra, perché qui c’è già tutto. Un altro argomento sempre in relazione al mantra è quello dell’utilizzo del mala. Nella pratica del mantra, il mala va tenuto come segue: poggia su pollice e anulare, che sono uniti a livello dei polpastrelli, con il medio si muovono i grani del mala facendoli scorrere verso l’interno. Dev’essere usato solo per il mantra. Quello che metti al collo, lo metti al collo. Quello del mantra lo tieni in un sacchettino e lo usi solo per il mantra.

Domanda: Quali tecniche sono basate sulla contemplazione?

Risposta: La contemplazione è riflessione. Contemplazione vuol dire riflettere su qualche cosa di importante. Normalmente si contemplano cose importanti, grandi, cose mistiche, cose spirituali, religiose. Ora, contemplazione e riflessione sono una cosa, concentrazione e meditazione sono un’altra cosa. Per la contemplazione, se si deve riflettere, contemplare cose importanti, fatelo quando la mente è calma, tranquilla e rilassata, pacifica. Fate yoga, praticate il mantra; il mantra calma la mente, rilassa la mente. Rendetevi interiormente aperti e ricettivi, poi contemplate qualcosa Il termine contemplazione porta questo significato. Questo senso di riflettere su qualcosa da cui poi spaziare, da cui poi fare delle connessioni, da cui puoi avere delle deduzioni. È differente da concentrazione. Se si deve riflettere, contemplare cose importanti, non fatelo mentre state guidando l’auto, non fatelo quando tornate a casa dal lavoro stressati, tesi, confusi, impauriti, no. Bisogna creare le condizioni. Quanto più le condizioni sono favorevoli, tanto più ci può essere chiarezza. Perché alla fine abbiamo bisogno di chiarezza, chiarezza di percezione, chiarezza di visione. La chiarezza della mente è un risultato della pratica dello yoga e delle pratiche di tipo meditativo e di consapevolezza. Avere chiarezza mentale, vedere le cose in modo chiaro ed essere pronti a cambiare può essere una nostra aspirazione.

Domanda: Puoi dirci qualcosa sul bhakti yoga?

Risposta: Questo è un argomento molto ampio e richiederebbe un seminario intero. È possibile che il prossimo anno ci cimenteremo nell’organizzare un programma di bhakti yoga nell’Ashram a Montescudo. Allo stesso modo in cui c’è il raja yoga, c’è anche il bhakti yoga. Il raja yoga ha otto stadi. Il bhakti yoga ha nove stadi di cui il mantra è una componente, il kirtan è una componente, il satsang è una componente. Satsang vuol dire interazione, frequentare persone che hanno avuto delle precedenti realizzazioni, associarsi con persone che la pensano come te. Il bhakti yoga è molto dettagliato e lungo. Ci sono nove stadi. Ha i suoi testi, scritture, ci sono i “Bhakti Yoga Sutra” di Narada, ci sono differenti testi e scritture sul bhakti yoga così come ci sono gli “Yoga Sutra” di Patanjali. In breve bhakti yoga è tutto quello che ha a che vedere con l’aspetto emozionale della personalità. Se ti viene davanti qualcuno che ieri o l’altro ieri ti ha offeso e insultato che emozione genera? Ditemi, vedi una persona che da tre anni ti deve dare diecimila euro, che emozione genera? Se sei un uomo e incontri una super modella, che emozione genera? Se sei una donna e incontri un super mega attore, che emozione genera e provoca? Se incontri e ti presentano un neonato, che emozione provoca? Ti metti di fronte o ti confronti con l’idea, l’immagine di Dio, che emozione ti provoca? Devozione. Quindi bhakti yoga è l’aspetto devozionale. Ma l’aspetto devozionale ha necessità di avere un catalizzatore. Swami Satyananda ha insegnato e ha detto che la sfera delle emozioni, la dimensione delle emozioni, è come il cristallo. Il cristallo per se stesso non ha nessun colore, ma se metti il cristallo su una stoffa rossa, che colore vedi? Rosso. Se metti il cristallo su una stoffa nera, che colore vedi? Nero. Metti il cristallo sul verde, vedi il verde. Quindi, in sintesi, essenzialmente il bhakti yoga è cambiare il colore della stoffa su cui appoggiamo il nostro cristallo emozionale.

Domanda: Quali sono i collegamenti fra yoga e Tantra?

Risposta: Collegamenti come? Ferroviari? Collegamenti di yoga che manda gli sms al Tantra? La pagina di facebook di yoga? Yoga e Tantra sono la stessa cosa. Sono così come dire la mano sinistra e la mano destra. Sono due mani dello stesso corpo. Non so quale concetto avete voi di Tantra, ma Tantra è espansione della coscienza, espansione della mente, liberazione dell’energia, questo è Tantra. Tanoti e trayati formano Tantra. Tanoti è espandere, espansione della mente, espansione della consapevolezza, espansione della coscienza. Lo yoga è uno strumento pratico che origina dal Tantra, anche se c’è stato un prevalere dell’aspetto del Tantra nella forma di pratiche sessuali, derivante dai media o da altre interpretazioni. Questa, ragazzi, è un’altra fantasia, lasciate che ve lo dica chiaro e tondo. È una grande illusione che serve a qualcuno per vendere libri o fare programmi e seminari. Mi arrivano e-mail che parlano di seminari di Tantra nel fine settimana: “Venite che ci divertiamo”, no! Queste cose ci piacciono e ci interessano perché attutiscono un po’ il senso di colpa che viene dal Cristianesimo. Pensiamo: “Quasi quasi se facciamo così ci sentiamo più liberi di …”. Ma il senso di colpa non ce lo tolgono i libri, non ce lo toglie quel seminario, non ce lo toglie niente, ce l’abbiamo, c’è. Questo è poi un altro degli eventuali cambiamenti a lungo termine. È un ostacolo alla nostra realizzazione interiore e ci dobbiamo in qualche modo confrontare con esso e accettarlo. Questo non è Tantra. Il Tantra include tante vie, una delle vie è lo yoga, ma il Tantra include varie possibilità per tutti. Le scritture e i testi tantrici sono sempre in forma di dialogo fra due persone: Shiva e Parvati, coscienza ed energia in forma incarnata. Qualche volta Shiva è il guru e Parvati il discepolo, a volte invece Parvati è il guru e Shiva il discepolo. Parvati è donna, materna, compassionevole, amorevole, e chiede a Shiva: “Cosa si può fare per la sofferenza dell’uomo?”. Shiva le fa l’elenco delle diverse forme di yoga. Parvati gli chiede se tutti possono farlo o se è solo per quelle persone che sono pie o pure. Shiva dice che tutti hanno la possibilità, tutti, sia una persona pia, buona e caritatevole sia un gran debosciato o un gangster; chiunque sia ha una possibilità. Ci sono storie di criminali incalliti che sono diventati santi illuminati. Tulsidas, autore del Ramayana, si faceva portare da sua moglie nei bordelli. Poi la moglie è scappata e lui è rimasto disorientato e quella stessa notte voleva raggiungerla. È corso fuori, c’era il fiume e in qualche modo l’ha attraversato su qualcosa che galleggiava, ha scavalcato una parete arrampicandosi su qualcosa di lungo per andare a svegliare sua moglie e chiederle di tornare da lui. La moglie gli chiese come fosse riuscito ad arrivare fino a lei e come avesse attraversato il fiume. Aveva attraversato il fiume su un cadavere gonfio galleggiante, ma non se ne era reso conto e si era arrampicato servendosi di un serpente. Sua moglie, guardandolo negli occhi gli disse: “Se tutta questa passione l’avessi dedicata a Dio, saresti illuminato”. Tulsidas le rispose che era vero e se ne andò. Anche nelle storie di Buddha troviamo criminali incalliti che sono diventati suoi discepoli. Anche Swami Satyananda ha incontrato criminali incalliti tra cui uno, che ho conosciuto anch’io, che aveva ucciso diciassette persone come niente per la proprietà di alcuni terreni. In India le questioni riguardanti la proprietà della terra sono molto complicate. C’è gente che si porta dietro un processo di questo tipo per quattro generazioni, allora, per fare presto, alcuni individui risolvono il problema con l’omicidio, perché, per questo reato il processo dura solo un anno. Questa persona, che aveva a suo carico diciassette processi, a un certo punto ha avuto una totale, completa trasformazione. Quindi il tantra include tante vie, ma bisogna avere le possibilità secondo il proprio stato d’essere, le proprie condizioni. In effetti, le pratiche, le tecniche, l’aspetto di maithuna, che esiste nel tantra, è solo ed esclusivamente per le persone che sono già di natura sattwica, quelli che non lo vogliono fare. Questo tipo di persone non guardano le donne per strada e viceversa se sono donne, lo fanno solo per risvegliare la kundalini. Capite questo? Noi invece lo vogliamo fare e cerchiamo tutti i modi. Di tutte le cose che ci sono nel tantra (mantra, yantra, asana, mudra, pranayama), ci rivolgiamo solo al tantra in quel senso.

Domanda: Vi sono persone che durante la sessione di yoga provano molta avversione quando si ripete il mantra, per esempio Gayatri Mantra. Cosa si può dire a queste persone per accompagnarle in questa pratica?

isposta: Niente, se hanno avversione hanno avversione. Cosa puoi dire? Perché devi far cambiare l’idea? L’avversione può essere per differenti motivi e ragioni. Il mantra non ha niente a che vedere con la religione. Uno è cristiano, musulmano, giudeo, zoroastriano, buddhista e continua a esserlo. Fa le sue preghiere, va in chiesa eccetera e può decisamente praticare anche il mantra, perché il mantra è suono, ed eventualmente, se lo pratichi, diventi un miglior cristiano, un miglior musulmano, un miglior zoroastriano, un miglior buddhista. Sono due cose differenti. La religione, il samskara della religione è quello che seguiamo, la religione che abbiamo è il nostro samskara. Se nasci in una famiglia cristiana non è per una scelta, nasci lì e diventi cristiano perché ti dicono che sei cristiano, così come ti insegnano a camminare, a mangiare. Così ti dicono che sei italiano o sei giapponese o sei indiano, dopo lo diventi. Qualcuno ti dice: questo è tuo padre, questo è tuo zio, questa è tua zia, questo è il nostro mangiare, questa è la nostra cultura, sei cristiano, devi fare questo, non devi fare quest’altro. Questo è un samskara, un’impressione. “Om Namah Shivaya” non è il nome di nessuno. Anche se ci sono delle forme, delle immagini, sono solo un modo per rappresentare la coscienza. Altrimenti come fai a rappresentarla? Se vuoi insegnare qualcosa, comunicare che vi è coscienza, come la puoi rappresentare? La coscienza è un qualcosa d’invisibile. Non ci sono nemmeno le parole per descriverla. Le si dà una certa forma, ad esempio la rappresentazione di una persona che è lì con gli occhi chiusi. Questo vuol dire che per fare l’esperienza devi stare seduto con gli occhi chiusi e fermo. Devi esserti liberato da tanti attaccamenti. Devi aver trasceso tante altre limitazioni. Allora puoi farne esperienza. Se mi scappa la pipì e vedo il cartello dove c’è scritto toilette, vado lì e ho risolto il problema. Quel cartello ti dice solo dove devi andare, ti dà un’indicazione, ti fa capire la strada che devi prendere, non ti svuota la vescica. Quindi è un simbolo di qualche cosa, rappresenta qualche cosa. Per questo, ad esempio, l’India è considerata come una terra con molte Divinità, ma in realtà queste rappresentano differenti tipi di esperienza ed energia che esistono in natura. C’è il simbolo, la forma, lo yantra dell’intuizione, dell’intelligenza, della coscienza, della saggezza, dell’illuminazione, della realizzazione. Sono simboli di qualcosa, tutti sono simboli di qualcosa. E noi cosa facciamo? Ci fermiamo al cartello, stiamo a vedere questo cartello e discutiamo su di esso, parliamo della differenza tra i diversi cartelli, perdiamo tempo utile a litigare per i cartelli invece di andare al gabinetto e risolvere il problema.

Domanda: Puoi dare una spiegazione riguardante le cinque vritti di Patanjali.

Risposta: Le vritti non sono di Patanjali, sono nostre. Patanjali non è il depositario, il custode, il proprietario delle vritti, lui è solo colui che ha scritto e ci ha ricordato questo: se volete chiarire il quesito di chi siete veramente, prima di tutto dovete imparare a gestire le vritti. Patanjali dà la definizione di yoga: “Yogas chitta vritti nirodhah”. Lo stato di yoga, la condizione di yoga, l’esperienza di yoga si ha quando le cinque vritti sono state dissolte. Per esempio, visto che stiamo parlando di simboli, c’è un lago, un bel laghetto di montagna, la sua superficie è assolutamente liscia come uno specchio e riflette le montagne, riflette le nuvole. Quando passano, riflette gli uccellini che volano. Ci troviamo lì sulla riva di questo laghetto. Sulle rive dei laghetti ci sono dei sassi e il più delle volte, quando si arriva vicino all’acqua, si prende un sasso e si butta nell’acqua. Quando un sasso entra nell’acqua cosa fa? Cominciano le increspature. Qui siamo in tanti, settanta. Il primo tira un sasso e tutti gli altri vogliono imitarlo, così tutti i sassi che vengono buttati fanno tante increspature. Poi arriva qualcun altro che dice che vuole specchiarsi per vedere com’è. Cerca di specchiarsi e cosa vede? Un orecchio che galleggia di là, il mento che se ne va da un’altra parte, un occhio che galleggia più in là. Non vede niente. Deve fermare tutti quelli che tirano i sassi e aspettare che il lago torni a essere liscio. Solo quando è liscio guarda e si riconosce. Le vritti sono quelle increspature sulla consapevolezza, sulla coscienza individuale. Finché quella consapevolezza non è priva di movimento non è possibile specchiarsi, riconoscersi e dire: “Io sono questo”. Patanjali non dice solo questo, dice anche che una volta che le vritti si sono fermate allora riconosci la tua vera natura e ti stabilisci. Scopri “chi sono io, cosa sono, chi sono”. Questa è la domanda che è alla base di tutti i sistemi come yoga e tantra. Chi sono io? Da dove vengo? Dove vado? Qual è il senso di questa vita, di questa esistenza? Perché sono nato? Dove sto andando e soprattutto chi è che sta andando da qualche parte? Diciamo pratico yoga, ma chi è che pratica yoga? Nella maggior parte delle persone è solo l’intelletto che pratica yoga, perché non siamo consapevoli. Ci sono cinque cose insieme che praticano yoga: l’intelligenza – tutta la mente – il corpo, il prana, il corpo psichico-astrale e il Sé.

Domanda: Qual è la ragione del peso che sento quando mi concentro nell’area al centro fra le sopracciglia?

Risposta: La prima risposta è non lo so. Però posso dire che è possibile che rivolgendo la consapevolezza lì, si verifichi una sensazione fisica. A volte questa sensazione è momentanea, nel momento della pratica, a volte questa sensazione è periodica, dura alcune settimane, alcuni mesi o anni. La motivazione, se non è un qualcosa di fisico, è nell’aspetto pranico, anche perché quando ci si concentra da qualche parte, in quel punto va il prana, si condensa, si concentra prana. Prana e mente sono due facce della stessa medaglia. Nelle monete c’è testa e croce, se butti la moneta tutte e due, testa e croce vanno via, non rimane una o l’altra. Quindi, se ti concentri in un punto c’è un accumulo di prana ed è questo accumulo che provoca una certa sensazione. Può essere pressione, può essere formicolio, può essere una pulsazione ritmica – tac tac tac – come un nervo che batte, può avere differenti fasi, si può verificare durante la pratica per poi terminare, o rimane nel tempo per un po’, poi va via e certe volte ritorna. Questa è una cosa che so bene, perché mi capita molte volte. Ci sono periodi in cui per due o tre mesi di seguito c’è questa sensazione. Anzi, se c’è non fai fatica a concentrarti, perché lì c’è qualcosa che ti attira. Sii consapevole di questo e basta. Continua a lavorare, continua a funzionare, a fare tutto quello che fai normalmente. Sono cose che per un periodo ci sono e poi vanno via. Poi eventualmente ritornano o forse non ritornano più. Non si sa. Però, se c’è un momento di concentrazione in un punto in particolare, anche il prana è convogliato nello stesso punto. Il centro fra le sopracciglia, bhrumadhya o trikuti, è connesso ad agya chakra attraverso le nadi, i meridiani. Agya chakra è anche il distributore di prana nel corpo. Quindi è facile che concentrandosi al centro fra le sopracciglia si accumuli prana e questo provochi anche una sensazione fisica. Però dovete capire che non è ancora l’esperienza del prana che è accumulato lì e neanche l’esperienza di quello che c’è dietro agya chakra.

Domanda: È più utile iniziare le asana sul lato debole o si può operare solo sul lato debole per equilibrare un corpo asimmetrico?

Risposta: Serve sempre praticare su entrambi i lati. Inizia da quello forte, cambia. Se manca qualche cosa, se c’è una debolezza, devi occuparti di rinforzare. Se ti rivolgi solo al lato debole, già è debole, poveretto, cosa ne esce? Devi mettere forza, la forza dov’è? Dall’altra parte. Sto parlando dal punto di vista dell’asana. Destra e sinistra, normalmente tutte le pratiche di yoga e di asana iniziano dal lato destro. Non lavorare solo dal lato debole, ma iniziare dal lato dove c’è forza. Ci sono in noi sempre tante condizioni di forza e di debolezza, però a noi piace il debole, il lato negativo, andare a cambiare, trasformare, manipolare, infilare le dita, farci chissà che cosa sul debole. A volte serve lasciar perdere la parte debole e occuparsi di creare la forza. Genera forza, lavora sulla forza, sulla distribuzione e circolazione del prana in tutto il corpo. Rinforzati dove puoi e quella forza va poi anche dove c’è debolezza, dove c’è bisogno. Per questo motivo, quando andate a una lezione di yoga che è condotta bene e con equilibrio, le persone che frequentano la stessa lezione hanno differenti effetti, differenti sensazioni, differenti risultati, differenti benefici. Deve essere così, perché una lezione di yoga condotta in modo equilibrato porta gli effetti e i benefici nelle aree, nei punti dove c’è bisogno in quel momento. Se vai alla lezione di yoga e hai debolezza nell’apparato digerente, il risultato di quella lezione può essere che migliora la condizione del tuo apparato digerente, perché quella era la tua debolezza in quel momento. Anche per questo non si deve stare lì al bar a dire: “Io ho sentito questo, io ho sentito quello”, no. Ognuno di noi ha delle aree di debolezza in cui in quel momento c’è un bisogno, c’è una carenza, un calo, un vuoto, una lacuna. Allora una lezione di yoga equilibrata e ben condotta provvede a rinforzare lì dove hai bisogno. Magari tu sei lì che pensi ai chakra e alla kundalini, invece ti sta aggiustando lo stomaco, perché hai bisogno di quello e non dei chakra e della kundalini. Capite questo? Se hai mal di testa e fai pawanmuktasana delle dita dei piedi, ti chiedi: “Ma se ho mal di testa perché devo muovere le dita dei piedi?” Perché generi energia, forza, vitalità. Fai circolare il prana, risvegli il prana, quel prana circola anche nella testa. Ma se hai mal di testa e continui a lamentarti del dolore, rimani nell’area della debolezza. Lì c’è l’identificazione, l’attaccamento, il coinvolgimento con l’area di debolezza. Praticate simmetricamente, ma che la pratica sia appropriata per il tipo di debolezza, perché ci sono tanti tipi di debolezza.

Domanda: È vero che nel sonno profondo non sentiamo nulla? Le sensazioni di cui non abbiamo coscienza come agiscono nel subconscio e nel mentale? Creano anch’esse samskara?

Risposta: È vero. Nel sonno profondo non sentiamo nulla. Questo solo se è sonno profondo, ma nello stesso tempo c’è una forma di percezione; l’informazione entra e va nell’inconscio. In yoga nidra, quasi sempre, qualcuno dorme o tutti. Alla fine si dice: “Muovete le dita delle mani, muovete le dita dei piedi . . .”. Qualcuno stava russando eppure muove le dita delle mani e dei piedi. Che cosa vuol dire? Ha sentito qualcosa che è entrato nell’inconscio. L’inconscio ha inviato l’informazione e questo qualcuno si è svegliato. Bisogna capire che i samskara sono impressioni di esperienze avute con una certa intensità e con la partecipazione di una forte emozione. Se per esempio qualcuno sta andando in bicicletta e va a sbattere contro un albero, o ha una grossa paura, o litiga con qualcuno e c’è paura, c’è panico, questo è quello che crea samskara. Un conto è questo tipo di samskara, un conto è sentire la sveglia durante il sonno profondo. Ti svegli, ma non vuol dire che la sveglia necessariamente crei un samskara. Sono stati fatti tanti studi, tante ricerche. Ad esempio, vi è un metodo che era stato sviluppato da un polacco in cui durante il sonno si imparava una lingua, la chimica e tante altre cose. Ma questo metodo non ha avuto seguito, perché la conoscenza entrava, andava nel subconscio, ma così in profondità da rimanere nell’inconscio e bisognava fare ore e ore di esercizi di richiamo dall’inconscio per portare in superficie le informazioni o la conoscenza. L’inconscio è come l’oceano, c’è l’Atlantico e il Pacifico. Se da una nave si butta giù qualcosa nel mezzo dell’oceano, dove va? Va giù, non torna più su. Entra qualcosa nell’inconscio e va giù, giù, giù, in profondità, e non viene più a galla. Mentre le informazioni e la conoscenza devono essere richiamate consciamente. Quindi non necessariamente tutto quello che passa nell’inconscio genera un samskara. Il samskara è quello che condiziona il tuo comportamento. Il samskara è quello che ti condiziona nel fare le cose in un certo modo, ad andare in una certa direzione, a comportarti in un certo modo, a reagire in un certo modo. Quello è il samskara. Le altre cose non sono samskara. Sono solo informazioni che entrano, come ad esempio l’informazione: “È ora di svegliarti”. E uno si sveglia.

Domanda: Come possiamo capire se ci stiamo realmente liberando dai nostri schemi mentali o se stiamo semplicemente cambiando abitudini?

Risposta: Essendone consapevole e osservandoli, riconoscendoli. Gli schemi mentali li riconosci, perché ne sei consapevole, perché li incontri. Ne fai esperienza tutti i giorni perché ti accorgi che sono una limitazione. Continuando a vivere e a fare esperienza, se vedi che non ci sono più dici: non ci sono più. Ma non è che ti arriva un sms o una e-mail che dice: “Congratulazioni, da oggi questo condizionamento non c’è più. Iscriviti alla nuova pagina dei senza condizionamenti”. No. Te ne accorgi. Come fai ad accorgerti che sei ubriaco se bevi una bottiglia di whisky? Non serve nessuno per accorgertene, lo sai. Sei ubriaco, te ne accorgi. Come ti accorgi se il condizionamento diventa un’abitudine? Devi osservare. Quando ti accorgi che una cosa è un’abitudine? Quando te la tolgono. Quando non ce l’hai. Allora dici la voglio, perché sei abituato. Quando ti accorgi che sei abituato a bere il caffè? Non te ne accorgi mentre prendi il caffè al bar, così non puoi accorgerti che è un’abitudine. Quando vai in un posto dove non puoi bere il caffè, ad esempio nell’Ashram a Montescudo, allora ne diventi consapevole. Per questo serve l’Ashram. I corsi, le lezioni, i centri sono una cosa, ma servono anche brevi periodi, una settimana, dieci giorni, e l’ambiente ideale per queste cose è l’Ashram. Molta gente vuole stare tranquilla, rilassata, riflettere, contemplare. Questo non si può fare nell’agriturismo, nell’hotel, in spiaggia. Devi andare nell’ambiente adatto. Così come se vuoi mangiare cerchi un ristorante, se vuoi una medicina vai in farmacia, se vuoi delle scarpe vai dove le vendono, se vuoi approfondire lo yoga o sapere cos’è il karma yoga o il bhakti yoga vai in Ashram. In Ashram non c’è il caffè, ma chiunque può stare qualche giorno senza caffè. Mangi in modo semplice, ricevi quello che ti danno. È semplice, ma lo ricevi come prasad. Hai il modo e il tempo di praticare yoga. C’è una routine: la mattina per mezz’ora, tre quarti d’ora il mantra, poi c’è un po’ di karma yoga, il pranzo, dopo il pranzo, nel primo pomeriggio yoga nidra, poi ancora un po’ di karma yoga, quindi di nuovo il mantra o una lezione di yoga, un corso di yoga, satsang o un evento. Diverse persone che sono qui hanno fatto quest’esperienza, potete parlare con loro. Tutti vi diranno che è servito ed è stato utile. È solo per una settimana che stai senza qualcosa, senza caffè, senza il tuo gabinetto con la pila di giornali o riviste. In Ashram ci sono anche gli altri, ti devi adattare, accordarti anche con gli altri. Questo è un aspetto che fa parte del bhakti yoga. Le altre persone sono lì per lo stesso motivo per il quale anche tu sei venuto in Ashram. Allora, dopo alcuni giorni di permanenza, cominci a vedere che ti rilassi e quando ti sei ambientato, le cose vengono spontaneamente, e soprattutto è un’occasione per approfondire lo yoga. In Ashram si svolge una pratica più regolare di yoga con la combinazione di asana, pranayama, yoga nidra, molto importante e utile fatto tutti i giorni alla stessa ora, e poi mantra e karma yoga. Per questo esistono gli Ashram. E questa è la nostra base e la nostra esperienza di Montescudo. Chiunque sia presente in Ashram, sia che sia lì da tanti anni o mezza giornata, un mese o due, si trova la mattina per la pratica del mantra. Io vedo che s’impara, vedo la crescita, lo sviluppo. Tutti i mantra che facciamo li sappiamo a memoria, chi è qui da tanto tempo li impara a memoria perché si fanno tutti i giorni e quando non c’è più lo sforzo di imparare, allora arriva l’effetto. Visto che sto parlando di Montescudo e di Ashram, abbiamo iniziato a organizzare un programma di tre, quattro settimane, suddivise nel corso dell’anno, dedicate a periodi di vita in Ashram, aperto a chiunque voglia fare questa esperienza. Il 5 e 6 di ogni mese per noi sono delle date costanti di programma perché c’è la ricorrenza del Guru Bhakti Sadhana in relazione al Mahasamadhi di Sw. Satyananda. Il giorno 5 è il giorno in cui c’è stato il Mahasamadhi e il 6 il giorno in cui Paramahamsaji è stato seppellito. I Guru non sono cremati, è un’eccezione, non è uguale per tutti. I Guru, i siddha non sono cremati, ma sono seppelliti nella posizione meditativa, nella stessa posizione in cui è avvenuto il Mahasamadhi. A Munger e a Rikhia, Sw. Niranjan e Sw. Satsangi hanno iniziato il programma del 5 e del 6 di ogni mese in modo regolare, è una costante, e anche noi seguiamo questo calendario. Segnatevi la data del 5 e 6 Maggio 2012 a Montescudo. Per questa occasione e anche in occasione dei trent’anni di Satyananda Ashram Italia, abbiamo il progetto, l’idea di collocare nell’Ashram, vicino al Vedi, un piccolo, semplice memoriale dedicato a Sw. Satyananda. Swami Satyananda è venuto in Italia e ha insegnato e ispirato tanta gente anche qui vicino, a Mestre. Ha ispirato tante scuole, tanti centri, tanti insegnanti. Se non fosse per lui io ora non sarei qui e voi non sareste qui. Non si insegnerebbe yoga nidra, né ajapa japa, né antar mouna, né chidakasha, yantra, mantra e qualunque altra cosa. È nostro compito e dovere ricordarci da dove vengono le cose che impariamo e che il Guru esterno, il Guru esteriore, come persona fisica, non è altro che il simbolo, la replica, la rappresentazione del Guru interiore. Se hai paura del Guru esterno, hai paura del tuo Guru interiore. A parte l’aspetto del rapporto gurudiscepolo, anche nel campo, nell’ambito dello yoga, il motivo per cui abbiamo organizzato questo programma è di ricordarvi da dove vengono le cose che state imparando. Non dimenticate: lo yoga non appartiene a nessuno e dobbiamo essere grati e riconoscenti con senso di rispetto. Swami Satyananda ha influenzato l’intera dimensione dello yoga nel mondo, ma anche in Italia è un simbolo, per questo ci sarà sempre. Il Guru del mondo reale è un simbolo, un riferimento per tutti e quando non ci saremo rimarrà dentro come ricordo. Adesso noi ci siamo, ma quando non ci saremo cosa succederà? È necessario pensare anche a questo. Tutto quello che hanno fatto fino ad adesso da trenta, quarant’anni persone come Sw. Shivananda, Sw. Satyananda, Sw. Niranjan l’hanno fatto per noi, pensando al dopo, pensando al futuro, alle condizioni future, alle esigenze future, alla continuità di crescita, di evoluzione per continuare ad avere gli effetti e i benefici. Non l’hanno fatto per il 1940 o per il 1950. Sw. Shivananda è morto nel 1960, ma spiritualmente nello yoga è vivo. Ha ispirato, ha incoraggiato, ha proposto, ha dato ispirazione, conoscenza, indicazioni, pratiche e tecniche a milioni di persone. Oggi stiamo beneficiando di qualcuno che è morto sessant’anni fa. La stessa cosa sarà per Sw. Satyananda. Egli per tutta la vita ha tenuto un profilo estremamente basso. Uno dei più grandi esempi lasciati a noi dalla sua personalità è stata la sua enorme, immensa umiltà. Sw. Satyananda non ha mai detto: “Io sono un guru”. No, ha sempre detto di essere un discepolo di Sw. Shivananda. Quello che ha fatto è stato sempre per comando di Sw. Shivananda. Non era suo desiderio andare in Bihar a costruire un Ashram e gestire una banda di disperati, disgraziati, debosciati, drogati, alcolizzati che andavano lì a frotte. Ma il suo Guru, Sw. Shivananda, gli aveva dato un ordine: portare lo yoga, insegnare lo yoga, diffondere lo yoga. Ma Sw. Satyananda non sapeva niente di yoga, ha chiesto a Shivananda come avrebbe potuto fare essendo un seguace del Vedanta, la cui filosofia afferma che solo l’Atman è reale, tutto il resto è illusione. Quindi, per un puro vedantin la pratica di asana non significava niente. Secondo il Vedanta il corpo è un’illusione. Shivananda gli ha detto di non preoccuparsi, di seguirlo nella sua stanza e sedersi. Gli ha trasmesso attraverso kriya yoga e shakti path la conoscenza. Cosa ha fatto? Un download, come scaricare un programma. Ha scaricato un programma yoga. Quando poi Swami Satyananda è andato via da Munger, da Ganga Darshan non si è guardato indietro una volta. Non so se avete visto che cos’è Ganga Darshan? Una struttura enorme di sei piani, avrebbe potuto vivere come un re. Invece è uscito con due dothi e 108 rupie ed è andato a Rikhia. È importante sapere e ricordarsi queste cose. Penso a tante persone che mettono il gheru e anche il giallo. Ricordatevi l’aspetto della dedizione di alcune persone è un esempio per noi, un modello. Questo non vuol dire che dobbiamo andare a costruire un altro Ganga Darshan, ma è importante il modello della qualità spirituale. Swami Satyananda ha sempre avuto un profilo basso. Mai, mai e poi mai ha mostrato ed esibito una qualche forma di siddhi. Non ha mai materializzato niente, non si è mai sdoppiato, non è mai successo niente di straordinario per quanto fosse una persona straordinaria e avesse tutte le siddhi, assolutamente tutte. Da nessun libro, da nessuna registrazione e da nessuna conferenza risulta che abbia detto o mostrato di essere chissà chi. Io sono andato insieme a Sw. Satyananda, in occasione del Kumbhamela del 1989, e ci siamo andati come persone ordinarie, come swami, sannyasin che camminavano insieme a milioni di individui, ci fermavamo a bere un chai per terra, abbiamo dormito per terra, siamo andati a fare il bagno nel Gange, niente palchi, eravamo come normali aspiranti, persone, individui, semplicemente. Questa semplicità è anche stata la semplicità del suo modo di comunicare una scienza così complessa e profonda come lo yoga, che però è stata chiara a tutti quando l’ha spiegata. Egli ha parlato in modo semplice e chiaro, non ha mai fatto discorsi incomprensibili. Ne traevamo tutti ispirazione, incoraggiamento e chiarezza. Abbiamo pubblicato un libro l’anno scorso in India sulle conferenze di Swami Satyananda in Italia negli anni ’80-’84. Un libro con foto, che non è in vendita, è un ricordo. Io lo chiamo P.P.F. cioè Past, Present, Future. Contiene conferenze inedite come quella tenuta a Mestre nel 1984. Stiamo lavorando per pubblicarle in italiano prossimamente. Con il nome di Sw. Satyananda concludiamo questo programma.

Hari Om Tat Sat