“YOGA” 2014 – Vol. 1

“YOGA” 2014 – Vol. 1

Il Capitolo Successivo dello Yoga

Tratto da: Living Yoga With Swami Niranjan, 18 Gennaio 2014

Oggi è la prima volta dalla World Yoga Convention di Ottobre che abbiamo l’occasione di incontrarci. Dopo il Convegno sono successe molte cose riguardo allo yoga e a Munger. La World Yoga Convention ha segnato una tappa importante della storia della Bihar School of Yoga.

La diffusione dello yoga

La storia della Bihar School of Yoga dura da cinquant’anni e il Convegno ne ha commemorato il Giubileo d’Oro. Nel corso dei primi cinquant’anni della sua storia, il primo capitolo della tradizione del Bihar Yoga, la priorità, è stata la diffusione dello yoga. Dal momento della fondazione della Bihar School of Yoga, nel 1963, e fino al 1983, quando arrivai io, Sri Swami Satyananda ebbe un unico obiettivo, un’unica visione e missione: la diffusione delle tecniche di yoga come scienza e come stile di vita. Per raggiungere questo obiettivo, ha viaggiato instancabilmente per molti anni in ogni parte dell’India e del mondo, inducendo le persone a comprendere e a fare esperienza dello yoga, a realizzarlo e adottarlo nella propria vita. Si è messo in comunicazione con persone appartenenti a ogni comunità del mondo, ha insegnato loro i principi e le pratiche dello yoga e ha dato ad ognuno uno scopo, una visione e un’aspirazione da realizzare per mezzo dello yoga.
Grazie al suo sforzo, coloro che sono stati ispirati dalla sua visione hanno dato un proprio contributo. Alcuni sono diventati insegnanti di yoga con i propri centri, per insegnare a un piccolo numero di persone; altri sono diventati insegnanti di yoga senza un proprio centro e hanno raggiunto piccoli gruppi di vari settori della comunità, altri hanno fondato dei centri per facilitare l’apprendimento dello yoga. In questo modo Sri Swamiji ha piantato i semi del Bihar Yoga in ogni parte del mondo, ma la gente non ha capito quale fosse il vero scopo del Bihar Yoga, ha pensato semplicemente che fosse una pratica per migliorare la salute, fisica e psicologica, e, se possibile, anche quella spirituale.
Portare lo yoga nella società
Poi, quando nel 1983 sono arrivato alla Bihar School of Yoga e ne ho assunto la guida, per venticinque anni la priorità è stata di portare lo yoga in tutti gli altri livelli della società umana. Dal 1983 al 2008 lo yoga è stato integrato in diversi settori della società, portando comprensione e risultati fantastici a chi è stato coinvolto in questo processo e alle persone che hanno praticato le tecniche di yoga in diverse situazioni. Lo yoga ha raggiunto professionisti, industrie, l’esercito, le ferrovie, le prigioni, le facoltà di medicina, i club e anche i villaggi e le aree rurali. Lo yoga è anche entrato negli ambienti accademici e medici ed è diventato oggetto di ricerca medica, scientifica e fisiologica.
Questi sono i conseguimenti degli ultimi cinquant’anni. Così si è realizzato il mandato che Sri Swami Shivananda aveva dato al nostro guru Sri Swamiji: “Diffondi lo yoga da porta a porta e da sponda a sponda in ogni paese del mondo”. L’esito si è visto durante la World Yoga Convention tenuta a Munger nell’Ottobre del 2013, un evento mai visto prima e che non si potrebbe replicare neanche volendo.

Il capitolo successivo: mantenere il sistema classico e integrale dello yoga

Ora, dopo la World Yoga Convention, ho rivolto la mia attenzione e il mio impegno allo sviluppo dello yoga nei prossimi 20 o 30 anni: il prossimo capitolo. All’inizio del prossimo capitolo dello yoga, ogni persona dovrà reimpostare molte cose per scoprire la propria sincerità, la serietà e l’impegno verso lo yoga e la tradizione. Molti dei sistemi e delle procedure dell’istituzione saranno reimpostati per rispondere alle necessità future e all’ambiente che sta cambiando. Saranno raffinate anche molte altre cose per agevolare la nostra comprensione e adesione alle pratiche e ai principi dello yoga. Così possiamo dire che il nostro lavoro è pianificato e che i prossimi 20 o 30 anni di duro lavoro saranno incentrati a preservare, curare e promuovere il sistema integrale dello yoga così come lo hanno ideato Sri Swami Shivananda e Sri Swami Satyananda.
Negli ultimi 50 anni la parola “yoga” è diventata comune e sono emersi molti centri, gruppi e persone. Ma, se si osserva la situazione nel mondo, tutti i gruppi e i centri che sono sorti rappresentano solo un minuscolo aspetto dello yoga: quello fisico. E non si tratta nemmeno di un hatha yoga completo. Le asana sono state etichettate come yoga, ma non dovrebbero nemmeno essere chiamate hatha yoga, poiché non formano nemmeno la totalità dell’hatha yoga. Tutti i vari centri sorti nel mondo si concentrano solo sull’aspetto fisico e il messaggio che si trasmette alla società umana è che lo yoga è una pratica fisica.
Se si osserva la storia di tutte le organizzazioni di yoga in India e nel mondo, i loro conseguimenti, l’incentivo e le motivazioni, si scopre che la Bihar School of Yoga si distingue dalle altre. Si tratta della prima istituzione che, con un linguaggio moderno, lavora per conservare, proteggere e promuovere la scienza classica e tradizionale dello yoga nell’ambiente, nel linguaggio nello stile di vita moderno senza alterare i precetti dello yoga. Consolidare questo lavoro rappresenterà un importantissimo contributo nella storia dello yoga anche per il futuro.

Serietà, sincerità e impegno

Quello che sto dicendo a voi tutti è che il nostro lavoro non si è fermato. Anzi, ora bisogna stringere ancora di più la cinta, non tanto da non riuscire a respirare, quel che basta perché ognuno senta il bisogno, la spinta e la motivazione ad agire in base ai temi definiti durante la World Yoga Convention: con serietà, sincerità e impegno. Il tempo è limitato. Abbiamo molti chilometri da percorrere e il viaggio dovrebbe essere senza interruzioni. Come ha scritto Robert Frost:

“I boschi sono belli, oscuri e profondi,
Ma ho alcune promesse che devo mantenere,
E molte miglia da percorrere prima di dormire,
E molte miglia da percorrere prima di dormire”.

Le bellezze del mondo non dovrebbero più trattenerci ma dovremmo essere motivati dalla determinazione a raggiungere il nostro obiettivo. E questo obiettivo è interiore, non esteriore.

La lista di controllo nella vita quotidiana: i sei amici

Come individuo, aspirante yoga, sadhaka e sannyasin, una persona deve imparare a gestire i sei amici: kama, le passioni, il desiderio; krodha, la rabbia; lobha, l’avidità; mada, l’arroganza; moha, l’infatuazione, l’attrazione; matsarya, l’invidia, la gelosia, l’odio. Tutti sono soggetti alla loro influenza. Un sannyasin che non riesce a gestire, a sciogliere il groviglio dei propri problemi, non potrà essere d’ispirazione per se stesso né per gli altri. Questa dovrebbe diventare una lista di controllo nella vita di ogni aspirante spirituale.
Non serve a nulla meravigliarsi delle idee elevate della spiritualità astratta come viene presentata da molte persone. È invece importante che si viva il precetto di migliorare se stessi, la propria natura, il comportamento e le reazioni che si esprimono ogni giorno nella vita quotidiana. Perché non migliorare le espressioni naturali?
È importante sforzarsi di essere persone che riescono a lavorare con serietà, sincerità e impegno a vari livelli: personale, organizzativo esteriore, yogico, spirituale, con gli altri, individualmente, senza ambizione, invidia, avidità o ego. È certamente un compito arduo e non si può essere perfetti, ma si può sempre cominciare.

L’impegno di cominciare

Francamente, dal mio punto di vista, ho osservato che, nonostante tutti i satsang che ho fatto nel corso degli anni, pochissime persone hanno preso l’impegno di cominciare. Le persone sanno quello che è giusto e quello che c’è da fare, ma non lo fanno. Invece permettono a Duryodhana di dimorare nella loro testa e nel loro cuore, e lui è il re dell’invidia, della gelosia, dell’odio, dell’avidità, dell’arroganza e della negatività. Nel Mahabharata, Duryodhana dice a Sri Krishna: “So quello che è giusto e corretto, ma non sono incline a queste cose”. Per esempio, le persone riversano le proprie responsabilità sugli altri, creando problemi e difficoltà anziché collaborare con loro. Si tratta di Duryodhana che sta nella testa di ognuno e si tratta dei sei amici che guidano le persone, fuorviandole, durante il loro viaggio spirituale. Le persone accettano il loro aiuto e ignorano invece l’aiuto dato dai guru nella forma di guida e istruzioni.
Quindi, bisogna fare lo sforzo e prendere l’impegno. Date un calcio a Duryodhana e allontanatelo per permettere ai vittoriosi Pandava di entrare nel regno insieme a Krishna e lasciate che sia la pace a regnare.

Swami Satyasangananda Saraswati

Tratto da: Swami Niranjanananda Saraswati, “Sankalpa Putri”, 2013 Golden Jubilee Edition, Edizioni Yoga Publications Trust, Munger, Bihar, India.

“Swami Niranjan, racconta la storia di Swami Satsangi in un libro e intitolalo Sankalpa Putri”. Swami Satyananda

“Ho ricevuto tre istruzioni dal mio guru, Swami Shivananda: Servi, Ama, Dona. Questi precetti divennero il sadhana da perfezionare nella mia vita e presero una forma precisa quando arrivai a Rikhia. Aiutare gli altri a crescere e diventare migliori sotto tutti gli aspetti, esteriore e interiore, sociale e personale, è il mio sankalpa. I metodi che ho adottato negli anni, siano lo yoga o le attività a Rikhia, sono stati solo mezzi per realizzare questo sankalpa. Tutti voi dovete imparare a vivere per gli altri oltre a fare propositi personali.
L’ashram di Rikhia sarà ora conosciuto come Rikhiapith. Pith significa sede, un termine appropriato per Rikhia poiché qui sono culminate e hanno fruttificato le indicazioni date da Swami Shivananda. Rikhia è un ashram nel senso originale del termine, perché qui si vive seguendo uno certo stile di vita. Swami Satyasangananda è la prima pithadhishwari o acharya di Rikhiapith e ha ricevuto il sankalpa che qui fossero messi in pratica e vissuti i tre insegnamenti cardinali di Swami Shivananda Servi, Ama e Dona. Questa è la visione per il futuro di Rikhia”.
Swami Satyananda Saraswati

L’anno 2013 è una pietra miliare per la famiglia Satyananda. Il 24 marzo di quest’anno Swami Satyasangananda Saraswati, pithadhishwari di Rikhiapith, ha completato sessanta orbite intorno al sole.
Quando i grandi guru discendono sulla terra, li seguono anche le shakti che li assisteranno nella loro missione. Alcune sono come piccole candele e pochissime sono come la luna, fulgide nel loro ruolo di riflettere i raggi del sole, permettendo ai viaggiatori stanchi di trovare la loro strada nel buio. Questa è stata la parte che il destino ha riservato a Swami Satsangi ed è nostra gioia e nostro onore ricordare il suo shashtabdapurti, il completamento di sessant’anni di vita sulla terra, che è un evento particolarmente importante per un sannyasin. Ogni sessant’anni Giove, il pianeta che governa il guru tattwa, e Saturno, il pianeta che governa il karma, si trovano in congiunzione. Ciò indica che i due aspetti più importanti della vita di sannyasa, la connessione col guru e il superamento dei karma, in questo momento raggiungono il massimo livello. Dei suoi sessant’anni sulla terra, Swami Satsangi ne ha trascorsi più di trentacinque come discepola e sannyasin e, in ogni momento di questi anni di sannyasa, ha tenuto fede al suo impegno. Poiché ha completato un ciclo nello schema cosmico, celebriamo la sua presenza fra noi traendo ispirazione dal cammino che ha percorso.

Un vero discepolo

Guru e discepolo possono essere in relazione su molti livelli; comunque, la natura della relazione dipende unicamente dalla qualità del discepolo. Se il discepolo è eccellente non nell’intelligenza o nel talento, ma nel livello della fede e della resa che dimostra la connessione col guru è elevata a un livello ben oltre il piano fisico. Questa connessione non è personale né emozionale. No, serve a un fine molto più elevato ed è di natura trascendentale. In questa relazione, il discepolo abbandona completamente l’identità personale, divenendo una cosa sola con il guru.
La possibilità di una relazione di questa profondità esiste, ma deve essere chiara una cosa: pochi ne hanno la capacità. Se la connessione col guru non è immediata e intensa, se il desiderio di stare con lui e di servirlo in ogni modo possibile non è l’unico pensiero nella propria mente, se non si è disposti a sopportare qualunque tipo di sofferenza e di critica per svuotarsi completamente di ogni fattore negativo e limitante della personalità, allora non può esistere una relazione di tale raffinatezza, sottigliezza e unione. Solo il discepolo più fedele è designato per questo genere di ruolo, solo chi desidera sperimentare i più elevati stati di coscienza può riuscire. In definitiva, questo va oltre la propria scelta; è il proprio destino.
Il guru che ha un tale discepolo può essere certo che la sua missione sarà mantenuta viva per le generazioni future. Sri Swami Satyananda Saraswati aveva questo tipo di relazione col suo guru, Sri Swami Shivananda Saraswati. Questa profonda connessione gli permise di rimanere in contatto con Swami Shivananda dopo aver lasciato l’ashram del guru a Rishikesh e perfino dopo che Swami Shivananda ebbe lasciato il suo corpo mortale. Questo è il tipo di connessione che Swami Satsangi aveva col suo guru, Swami Satyananda.
Nessuno ha conosciuto Sri Swamiji meglio di Swami Satsangi. Lo ha servito per più di trent’anni e in tutto questo tempo è sempre stata al suo fianco. Durante gli anni trascorsi col suo guru, ne ha accettato la volontà e quest’arrendevolezza è divenuta la sua forza.
Swami Satsangi ha permesso al suo guru di trasformarla. Gli ha permesso di plasmarla in una forma che soddisfacesse perfettamente le sue necessità. Sri Swamiji una volta mi ha chiesto: “Niranjan, chi pensi che sia la persona più adatta per trasmettere i miei insegnamenti?”. Ed io ho risposto: “Swami Satsangi”. Fino ad oggi nessuno ha assimilato i suoi insegnamenti così completamente, nessuno è stato così totalmente annullato da lui e nessuno è stato ricostruito così magnificamente. Ogni grande realizzazione nella sua vita è dovuta al sapere che ha assimilato dal suo guru. Swami Satsangi è una discepola nel più vero senso della parola.

I primi anni

Un sannyasin è come se fosse nato due volte, ma Swami Satsangi è come se fosse nata tre volte. La sua prima nascita è avvenuta nel 1953 a Chandernagore, nel Bengala occidentale. Era la più piccola di sei figli ed è stata benedetta con un’infanzia spensierata e amorevoli genitori che hanno dato ai loro figli tutte le opportunità possibili fino alle scuole superiori. Hanno frequentato le migliori scuole inglesi, praticato sport nei circoli sportivi e partecipato ad attività artistiche come teatro, musica e danza. Nello stesso tempo, una nota di fondo di spiritualità permeava la loro vita, poiché i loro genitori erano devoti seguaci della congregazione Radha Soami Satsang e in pratica avevano ricevuto il soprannome di “Satsangi”. Lei era una bambina amichevole e cordiale che andava bene negli studi e diventò una giovane donna indipendente dallo spirito libero.
Con la sua infanzia felice alle spalle, si laureò presso il prestigioso Miranda House College a Delhi col massimo dei voti e poi cercò lavoro nell’industria del turismo. Un breve periodo di lavoro con il Tourist Bureau of India la portò a lavorare come hostess con l’AirIndia. Iniziò a viaggiare per il mondo, incontrando gente nuova e stimolante, facendo esperienza delle varie culture del mondo. Manteneva il suo appartamento a Mumbai, aveva un’attiva vita sociale e lavorava anche part time come modella e documentarista. Sotto ogni aspetto, la sua vita era un grande successo a livello materiale, perfino in età così giovane. Il destino, tuttavia, aveva altri piani. Anche se la sua vita esteriore era fiorente, in privato, nel suo mondo interiore, cominciava ad avere barlumi di altre dimensioni del suo sé. In quel periodo, quando il mondo intorno a lei era pieno di fascino e sfarzo, Swami Satsangi sperimentò vari risvegli interiori che le fecero iniziare a porsi domande sullo scopo della vita, portandola al suo guru alla fine degli anni settanta. Il suo primo incontro con la Bihar School of Yoga fu nel corso di una lezione di yoga organizzata da Mani Umrolia a Mumbai. Lì vide una fotografia di Sri Swamiji e, nel giro di pochi giorni, era a Munger per incontrare la persona che aveva riconosciuto come suo guru. Durante quel primo incontro, Sri Swamiji disse a Swami Satsangi: “Tu avrai una parte nella mia missione futura”.
Nei primi giorni della sua vita con Sri Swamiji, Swami Satsangi scrisse un libro intitolato Luce sulla Relazione Guru Discepolo. Contiene l’essenza della sua stessa vita. Un guru è necessario per ogni aspirante spirituale, sia che percorra il cammino di sannyasa o che viva nel mondo. Il guru guiderà il ricercatore verso una pace più grande e, quando sarà pronto, lo guiderà verso la sua vera natura. Il guru tattwa è quell’aspetto della persona che è puro, luminoso e indistruttibile. È la sua luce interiore, il legame col Sé Superiore. Quando si ha un’espansione della consapevolezza o un cambiamento nella coscienza, ciò può indicare che questo elemento è divenuto attivo. Comunque, senza la guida di un guru vivente, la connessione con questa luce interiore rimane fuori portata. Prima ancora di essere in grado di esprimerlo a parole, Swami Satsangi fece esperienza dell’irrequietezza del suo guru tattwa. Sentiva la chiamata a cercare un guru che l’avrebbe aiutata a esprimerlo. Guru e discepolo furono attratti spontaneamente l’uno verso l’altra; il guru tattwa dentro di lei esplose e il suo destino fu segnato.

La seconda nascita

La seconda nascita di Swami Satsangi avvenne a Ganga Darshan. Il 6 luglio 1982, giorno di Guru Purnima, Sri Swamiji la iniziò al Dashnami sannyasa, dandole il nome di Swami Satyasangananda Saraswati, che significa “chi è beato nel rimanere in compagnia della verità”. Sri Swamiji l’avrebbe chiamata Satsangi ed è così che è stata conosciuta.
Nel 1982 ero stato mandato negli Stati Uniti per sviluppare alcuni ashram Satyananda. Fu lì che per la prima volta sentii parlare di Swami Satsangi. Sri Swamiji chiamò dall’Italia per dire che stava arrivando negli Stati Uniti con una nuova sannyasin che si chiamava Swami Satsangi. Atterrarono nel giorno stabilito e, nell’incontrarli all’aeroporto, offrii il mio pranam a Sri Swamiji, dissi “Hari Om” alla “nuova swami” e quindi procedemmo verso la macchina. Sri Swamiji e Swami Satsangi sedettero davanti e io e Jivat (il padre di Swami Suryaprakash) stavamo sui sedili posteriori. Mentre andavamo, quella testa lucente, appena rasata, sobbalzava su e giù proprio sotto i miei occhi. Le diedi un colpetto. La testa si girò leggermente. Dietro era tutto tranquillo, così la testa tornò al centro. Le diedi un altro colpetto. La testa perplessa si girò di nuovo leggermente. I volti di dietro non rivelavano nulla. Un altro colpetto. Con Sri Swamiji seduto lì, non era possibile esprimere una reazione. Un altro colpetto. Ora si volse a guardarci in pieno. Io indicai Jivat, che si turbò per l’imbarazzo, e nulla fu aggiunto.
In quei primi giorni Swami Satsangi aveva l’aria di una ragazza seria e concentrata che di tanto in tanto prorompeva in un radioso sorriso e a mala voglia cedeva ai nostri dispetti. Stavamo tutti a Denver con alcuni discepoli che nella loro casa ospitavano una trentina di gatti. Ora, Swami Satsangi è un po’ diffidente verso i gatti, soprattutto se c’è la possibilità che di notte condividano il letto con voi. Così, mentre Sri Swamiji ed io dormivamo nella stanza degli ospiti, lei si chiudeva in bagno e dormiva nella vasca!
Tornando al serio, sebbene fosse nuova alla tradizione, i suoi forti samskara, la sua determinazione e il suo impegno erano evidenti già allora. Quello che era più straordinario era la sua concentrazione focalizzata su Sri Swamiji, la sua attenzione alle sue necessità e il suo intenso desiderio di servirlo. Era lampante che avesse con lui una connessione senza tempo. Avevo anche la sensazione che il nostro futuro sarebbe stato collegato.
Tornai a Munger nel 1983 per assumere la presidenza della Bihar School of Yoga (BSY) e del movimento yoga. Per adempiere i miei obblighi rimasi a Ganga Darshan, imparando le mansioni amministrative e dirigenziali del ruolo. Col mio arrivo alla BSY, Sri Swamiji poté trascorrere più tempo all’estero, ispirando lo sviluppo di numerosi Satyananda Ashram e guidando gli swami responsabili di questi. Ogni volta che Sri Swamiji viaggiava, Swami Satsangi viaggiava con lui, sia in India sia all’estero. Senza dubbio molti considerano questi viaggi come un incarico di lusso: andare qua e là con il guru, stare in alloggi lussuosi, incontrare e salutare persone famose, influenti e ispiranti. Tuttavia, il guru dà a un discepolo queste opportunità solo per addestrarlo o addestrarla e Swami Satsangi imparava velocemente. Viaggiare con Sri Swamiji era come svolgere quattro lavori insieme senza ufficio né assistenti e Swami Satsangi si dimostrava perfettamente all’altezza della sfida. Faceva da organizzatrice dei viaggi, segretaria, relatrice e risolveva ogni problema, sempre pronta e vigile. Veniva preparata per il suo ruolo futuro.
Sri Swamiji aveva molti modi per insegnare ai suoi discepoli. A volte usava metodi diretti per trasmettere un messaggio, ma più spesso sceglieva un approccio indiretto che obbligava un discepolo a scoprire da sé la soluzione. Queste lezioni erano frequenti per Swami Satsangi e talvolta arrivavano nei momenti più inaspettati. Dovette affilare la sua saggezza creativa per superare le situazioni in cui si veniva a trovare, cosa che, naturalmente, faceva magnificamente.
In un’occasione erano in viaggio per Mumbai durante i tirtha yatra di Sri Swamiji. Si trovavano sul litorale di Panjim, a Goa. Era mattina presto e ancora buio. All’improvviso, Sri Swamiji disse a Swami Satsangi che avrebbe continuato per conto suo e lei avrebbe dovuto prendere l’autobus, che non era in servizio per diverse ore, per seguirlo. Un’altra persona avrebbe potuto essere sulle spine ma Swami Satsangi si fidava sempre delle azioni del suo guru. Quindi, che cosa fece? Nel silenzio del mattino, senza null’altro che una tanpura datale da Sri Swamiji, andò sulla spiaggia, si sedette sulla soffice sabbia e cominciò a cantare Raga Bhairavi al roseo bagliore del nuovo giorno che albeggiava all’orizzonte.
Un’altra volta, Sri Swamiji mandò Swami Satsangi a Londra per delle lezioni di computer. Le spese per il biglietto aereo e per gli studi erano coperte, ma non le fu assegnato altro denaro, e dovette provvedere a vitto e alloggio per conto suo. Che cosa poteva fare una swami indiana senza soldi in un paese straniero? Prima di lasciare l’India, Swami Satsangi saggiamente evocò i ricordi del suo periodo come hostess. Conoscendo il costo della vita a Londra e ricordando anche l’interesse occidentale per la moda esotica, comprò quaranta paia di sandali Chattisgarhi, quei sandali economici che indossano i contadini poveri nei campi. Con un’azione che avrebbe potuto sconvolgere la sensibilità della sua classe agiata, si mise per strada in un angolo di Londra e ne vendette ogni singolo paio, prendendo qualunque cifra la gente offrisse. Sopravviveva in questo modo creativo. Trovò un posto per stare e cibo da mangiare e alla fine tornò a casa a piedi scalzi, perché aveva venduto perfino i sandali ai suoi piedi!
Addestrandola in questo modo, Sri Swamiji mostrò a Swami Satsangi la via verso l’umiltà e il vero significato dell’autosufficienza. Le insegnò a credere nella propria capacità innata di sopravvivere e di riuscire, le insegnò a utilizzare ogni momento in modo creativo ed efficiente. Ancora più importante, le insegnò ad aver fede nella volontà del guru e di Dio.
In quel periodo, quando non viaggiava, si poteva spesso scorgere mentre studiava attentamente un grande volume di scritture che teneva fra le mani. Ogni sera faceva a Sri Swamiji domande su quello che aveva scoperto durante il giorno e fu così che egli affinò lo studioso in lei. Poi, l’8.8.88, Sri Swamiji lasciò Ganga Darshan. L’unica persona che lo accompagnò fu Swami Satsangi. Erano di nuovo sulla strada; solo che questa volta non ci sarebbero stati alberghi di lusso o aeroporti, né folle di devoti che aspettavano di salutarli. Lei non sapeva quali situazioni o compiti avrebbe dovuto affrontare dopo. L’unica ricchezza che si portava dietro era la fede e la fiducia nel suo guru ed era pronta a tutto.
Viaggiarono per tutti i siddha tirtha dell’India. Di tanto in tanto Sri Swamiji mi chiedeva di raggiungerli durante i loro viaggi e in quelle occasioni venivo letteralmente trasportato in un’altra dimensione. In quei momenti ammiravo anche come una moderna ragazza di città come Swami Satsangi, abituata a ogni genere di comodità e lusso, potesse dormire su pavimenti nudi e viaggiare in classe economica con la massima facilità, semplicemente grazie alla devozione verso il suo guru.
L’8 Settembre 1989 Sri Swamiji le diede il compito più arduo fino ad allora affidatole: trovare il luogo successivo per il suo sadhana nel “Chitabhumi”, basandosi sulla visione che le descrisse. La grazia del Divino era con lei e scoprì Rikhia. (continua)

La Missione – L’Ispirazione

Tratto da: Satya Ka Avahan – Invoking the Divine, anno 1, numero 1, Gennaio-Febbraio 2012, Sannyasa Pith, Munger, Bihar, India.

“Il ventunesimo secolo porta una nuova promessa nella tradizione di sannyasa. Il sannyasa è la chiave verso una vita più completa. È il sentiero universale sul quale è possibile realizzare la fondamentale necessità della vita di espandere l’esperienza e la consapevolezza, operando nel mondo per l’evoluzione di ogni essere. Il sannyasa non è per delle persone perfette ma per chi desidera rendere la propria vita spiritualmente dinamica”.
Swami Satyananda Saraswati

Quando la tua grazia fluisce attraverso di me
Il mio cuore inizia a splendere
Quando la tua grazia fluisce attraverso di me
La mia voce inizia a fluire
Quando la tua grazia fluisce attraverso di me
So tutto ciò che c’è da sapere
E una gioia che non posso descrivere
Mi colma fino nell’anima
Divento tutto, raggiungo ogni sponda
Vedo la luce in ogni cuore
Sento il calore delle stelle
Quando la tua grazia fluisce attraverso di me
Divento amore ed eternità
Divento completo.
Swami Niranjanananda Saraswati

Editoriale

Ci sono stati tre eventi significativi della missione di Sri Swami Satyananda sulla terra. Nel 1963, basandosi sul mandato del suo guru, Swami Shivananda Saraswati, Sri Swamiji fondò a Munger la Bihar School of Yoga (BSY) per la diffusione dello yoga. Nel 1989, a Rikhia, posò le fondamenta di Rikhiapith per la diffusione degli insegnamenti spirituali del suo guru. Nel 2009 Sri Swamiji diede al suo successore, Swami Niranjanananda Saraswati, la missione di realizzare la sua terza visione: quella di fondare a Munger il Sannyasa Pith, dove mettere in pratica gli ideali del sannyasa assorbendo samskara positivi e seguendo uno stile di vita olistico, per portare alla consapevolezza spirituale individuale e offrire un contributo dinamico all’evoluzione della società umana.

Le tre missioni rappresentano la visione di Sri Swami Shivananda e Sri Swami Satyananda per raggiungere uno sviluppo integrato dei principi di testa, cuore, mani. La BSY rappresenta il coltivare le facoltà della testa, Rikhiapith quelle del cuore e Sannyasa Pith quelle delle mani. Tutte e tre le cose insieme realizzano tutte le aspirazioni dell’umanità.
La fondazione formale di Sannyasa Pith ha avuto luogo il 5 Dicembre 2010, il primo anniversario del Bhu Samadhi di Sri Swamiji. Era anche il giorno dell’inizio della Sat Chandi Mahayajna a Rikhiapith. In questa occasione di grande auspicio Swami Niranjanananda ha tenuto uno speciale sannyasa abhisheka, una cerimonia di riconoscimento che gli ha conferito la veste di chi ha realizzato tutti i requisiti ed è arrivato all’apice della tradizione del sannyasa e che lo ha salutato come precettore di questa tradizione.
La sede del Sannyasa Pith è Paduka Darshan Ashram, conosciuto in precedenza come Ananda Bhavan. Sito storico e dimora per le vacanze della famiglia Goenka, fu la base del sadhana di Sri Swamiji dal 1956 al 1963, quando era solito visitare periodicamente Munger prima della fondazione della BSY. Durante quegli anni iniziali Sri Swamiji consolidò il suo sannyasa sadhana in questo stesso luogo che oggi è divenuto il catalizzatore per lo sviluppo del Sannyasa Pith.
Il primo sadhana di Sannyasa Pith fu iniziato da Swami Niranjanananda il 2 Gennaio 2011 a Satyam Udyan, a Ganga Darshan: Sri Durga anushthana, una havan che si svolgeva ogni giorno per invocare la Madre Cosmica per la realizzazione del sankalpa del suo guru. Furono recitati 11.111 sahasranam di Ma Durga durante l’evento che è durato un anno.
Dall’8 al 12 Settembre 2011, il Sannyasa Pith ha ospitato a Paduka Darshan il fausto evento della Sri Lakshmi Narayana Mahayajna. Durante questo evento dedicato ai guru della tradizione, sono state invocate le energie benevole di Narayana e di Lakshmi. L’8 Settembre è stato commemorato il compleanno di Sri Swami Shivananda e il 12 Settembre l’anniversario del sannyasa di Sri Swami Satyananda. Una folla senza precedenti di migliaia di persone è arrivata a questo programma senza preavviso per testimoniare la discesa della grazia divina e diventarne recipienti. La Sri Lakshmi-Narayana Mahayajna è un evento annuale di Sannyasa Pith.
Attualmente Sannyasa Pith sta conducendo un corso di tre anni di Formazione al Sannyasa che vede iscritti centinaia di aspiranti indiani e stranieri. Iniziato durante Basant Panchami nel 2012, si concluderà a Basant Panchami nel 2015. Il corso si prefigge di dare un’idea delle tradizioni e degli insegnamenti del sannyasa, facendo in modo che i partecipanti comprendano come gli ideali del sannyasa possono essere applicati e sperimentati nella vita quotidiana, raggiungendo maggiore creatività, efficienza, chiarezza e pace in tutto ciò che si intraprende.
Alfine di far pervenire a tutti l’eterno messaggio dei luminari della tradizione di sannyasa, Sannyasa Pith ha pubblicato Avahan, rivista bimestrale bilingue. Con inizio a Gennaio-Febbraio 2012, presenterà gli insegnamenti di Sri Swami Shivananda e Sri Swami Satyananda, condividendo le ispirazioni e i messaggi di Swami Niranjan, informando riguardo alle attività di Sannyasa Pith. In questo primo numero di Avahan si narrano alcuni degli eventi straordinari nei quali si è scorta la presenza universale di Sri Swamiji, inclusi anche i tirtha yatra di Swami Niranjan durante i quali ha sperimentato il flusso di grazia divina che lo conduceva sempre più vicino alla realizzazione dei sankalpa del suo guru. La rivista è compilata, redatta e distribuita dai sannyasin, devoti e simpatizzanti di Sri Swami Satyananda e di Swami Niranjanananda. Vi giunge come Guru Prasad per ispirarvi e innalzarvi nella comprensione spirituale e nella vita.

Prologo

Le ultime parole di Sri Swami Satyananda durante il suo penultimo darshan del 21 Novembre 2009 durante la Sat Chandi Mahayajna, sono state: “Potete chiamarmi in qualsiasi momento vogliate”. Quattordici giorni più tardi, a mezzanotte del 5 Dicembre, è entrato in Mahasamadhi.
Cambiò la morte in una celebrazione spirituale, un’esplosione di prana cosmico che ha pervaso tutti coloro che erano connessi con lui, sia le persone vicine sia quelle lontane, che fossero consapevoli o meno dell’evento. Con quest’azione magistrale di sublimazione yogica dei prana, egli trascese tutte le leggi di natura, tempo, spazio e oggetto a noi conosciute – impresa di cui avevamo soltanto sentito parlare e che veniva fatta dagli antichi rishi. Tuttavia, nel caratteristico stile Satyananda, egli non si fermò a questo punto. Anche dai regni dell’al di là, egli ruppe le barriere del mondo fenomenico come se fosse determinato a mostrarci ciò di cui lo spirito è veramente capace.
Molti di noi hanno sparso lacrime, si sentivano persi e si struggevano nel desiderio di vedere di nuovo il “modello 1923”, così come si brama di vedere il sole. Non ci saremmo dovuti preoccupare! Dovevamo soltanto ricordarci di quelle ultime parole.
Gli avvenimenti che si svolsero nei mesi a seguire dimostrarono chiaramente che ogni volta che lo chiamavamo, sia individualmente sia collettivamente, egli arrivava. Arrivava come luce, come fiamma, come movimento, come immagine scolpita nelle nevi, come letto in cui qualcuno ha dormito, come canto, come uccello, come serpente, come sogno e come… se stesso! Arrivava quando avevamo bisogno di una guida, di ispirazione o del contatto di un amore duraturo. In ogni occasione la sua luce trascendentale ci inondava e ci sentivamo un po’ più puri, più teneri, più espansi, un po’ più vicini a dove egli risiede. Dai regni dell’al di là, ci conferì la fede.
Eppure molte persone furono perplesse. Dopo tutto, che bisogno ha un essere evoluto di dimostrare dei “miracoli” per provare la sua presenza? E non una sola volta, non due, ma ripetute volte! Molte persone espressero dello scetticismo: erano reali questi eventi oppure erano prodotti dall’immaginazione febbricitante dei discepoli? Sri Swamiji farebbe sentire la sua presenza in dei modi così precisi soltanto per consolare i suoi tristi discepoli e per dar loro un breve momento di esperienza di beatitudine?
No, questo non può essere. Sri Swamiji ha sempre agito con uno scopo e questo scopo deve avere una risonanza più vera nel suo stato universale di esistenza. È poi possibile acquisire una comprensione degli eventi? Sì, facendosi una semplice domanda: qual è il filo che li congiunge tra di loro?
In tutti gli eventi “miracolosi” Sri Swamiji ha adoperato il mezzo del mondo oggettivo per farci fare esperienza della trascendenza. Così, la fiamma non rimaneva più soltanto una luce conica, un sogno non era soltanto una proiezione, un canto non erano soltanto le parole, una zanzariera non era soltanto una stoffa perforata… ognuna di queste cose divenne illuminata. In esse, noi sentimmo lui. Ci dette un’esperienza diretta della realtà oltre la realtà. Ci insegnò come raggiungere l’essenza delle cose, come abbandonare le cose esteriori e riconoscere la verità inerente a ogni cosa: agli oggetti, alle persone e al nostro sé. Questa essenza e questa verità è Swami Satyananda nella sua forma universale. È Swami Shivananda, è Narayana, Param Brahma, Param Shiva, Adi Shakti. Essa è ovunque, in ogni cosa. Sri Swamiji adoperò la tecnica yogica della ripetizione per incidere questo messaggio nelle nostre coscienze. Se fosse apparso soltanto una volta, forse l’evento sarebbe stato ricordato e raccontato, ma non avremmo avuto il beneficio della comprensione sperimentale che può dare soltanto la ripetizione di una pratica.
Può esserci un insegnante più grande di Sri Swamiji? Come sempre, egli sa esattamente ciò che occorre in un dato momento per l’evoluzione dell’umanità. Dai regni dell’al di là egli ci sta conferendo il salto quantico della coscienza attraverso il quale può essere percepito il divino nel mondo che vediamo e che tocchiamo. Egli ci sta insegnando il più grande dei metodi dello yoga: Satya Ka Avahan, l’invocazione del divino.

L’Ispirazione

Il 14 Settembre 2011, giorno successivo all’anniversario del Sannyasa di Sri Swami Satyananda e conclusione della prima Lakshmi-Narayana Mahayajna a Paduka Darshan Ashram, Munger, Swami Niranjan chiamò tutti i residenti di Ganga Darshan a Sri Niwas, la sua residenza al sesto piano, per uno speciale darshan.
La camera di Sri Swami Satyananda sta a destra della sala principale di Sri Niwas. Gli oggetti di uso quotidiano – il suo Ramayana, la Bhagavad Gita, i documenti di viaggio, i sumerini, lo yogadanda, il dhoti, l’alfie, il kaupin, i turbanti, i vestiti invernali, ecc., sono custoditi in un armadietto di vetro. La sua sedia a sdraio rimane in un angolo. Il bagno ha tutte le comodità per fare la doccia: asciugamani, saponette, ciabatte… Il letto viene rifatto ogni giovedì sera, nel giorno della settimana dedicato al guru. Il copriletto viene tolto, la coperta viene messa ai piedi del letto, viene sistemata la zanzariera e, se fa caldo, viene accesa l’aria condizionata e regolata sulla confortevole temperatura di 27 gradi. Se Sri Swamiji dovesse fare una visita, per lui la camera sarebbe pronta.
Un sannyasin al quale era stato assegnato il compito di preparare la stanza, raccontò al gruppo riunito in Sri Niwas: “La sera dell’11 Swamiji (Swami Niranjan che quel giorno era a Paduka Darshan) chiamò per verificare se la stanza era stata preparata. Non chiamò una ma due volte chiedendo tutti i particolari. Questo era piuttosto insolito e mi chiesi perché fosse così specifico… In ogni caso, finii le preparazioni e andai via. La mattina seguente, il 12 Settembre, un gruppo di noi andò su a Sri Niwas per pulire. Io aprii la porta della camera di Sri Swamiji e un brivido percorse la mia colonna vertebrale. L’intera stanza si sentiva viva! E poi mi accorsi che la zanzariera non era più rimboccata, un cuscino era stato spostato, la coperta era sgualcita in fondo al letto come se qualcuno l’avesse spinta con i piedi… Sentendomi stordito, mi guardai intorno. Una ciabatta da bagno era fuori posto come se qualcuno l’avesse adoperata e poi rimessa sbadatamente a posto. Era evidente che qualcuno aveva passato la notte là – Paramahamsaji! Chiamai immediatamente Swamiji e gli raccontai ciò di cui eravamo testimoni. Swamiji non sembrava meravigliarsi. Era chiaro che si aspettava la visita. Mi istruì di lasciare tutto così com’era ed è ancora così come lo trovammo”.
Poi tutti i residenti furono portati nella stanza in gruppetti di tre o quattro persone. Non appena entravano nella camera, ogni persona sentiva come se fosse entrata in un intenso campo energetico, come se un ronzio di frequenza elevata emanasse dalla stanza. Era colma di un prana tangibile, pervasa da una presenza di buon auspicio. La zanzariera rivoltata, il cuscino spostato, la coperta sgualcita, la ciabatta fuori posto, in realtà ogni oggetto nella stanza sembrava essere stranamente luminoso. Ognuno usciva sentendo come se fosse stato inondato di luce, benedetto di essere là in quel momento, benedetto di essere un discepolo di un maestro come Sri Swami Satyananda.
Poi, nella sala, tutti stavano seduti in silenzio, commossi oltre ogni parola. Lentamente le persone ritrovarono la propria voce e iniziarono a parlare dei segni, delle esperienze e dei sogni che avevano avuto in vari momenti in seguito al Mahasamadhi e che erano colmi della presenza di Sri Swamiji.
Swami Niranjan, con grande riservatezza, rimase in piedi sulla soglia della porta fra la sala e la cucina, tenendo in mano un bicchiere d’acqua. Molte persone non si erano neppure accorte che lui era là. Infine, quando le voci cessarono, uno dei sannyasin disse: “Swamiji, non diresti qualcosa?”. Swamiji, sorridendo teneramente, rispose con una voce piena di emozione: “Non riesco a dire quasi niente”. Tutti attesero. Infine Swamiji iniziò a parlare: “Questo era già successo in precedenza. A Buddha Purnima, a Maggio del 2010, fummo testimoni della stessa cosa. Sri Swamiji era arrivato e aveva dormito nel letto che avevamo preparato per lui. Ma questa volta eravamo pronti. Avevo una ferma convinzione che avrebbe dato il suo darshan durante la Lakshmi-Narayana Mahayajna poiché stavamo realizzando il suo mandato di tenere questa yagjna a Munger”.
“Ci sentiamo veramente benedetti”, disse un sannyasin.
“Sì, è vero”, disse Swamiji, “ma ricordatevi che vi è sempre un insegnamento in ciò che fa Sri Swamiji. Sottolinea sempre la fede. Non considerate questi eventi come dei miracoli religiosi. Sono delle esperienze che sono avvenute e che hanno toccato la vita delle persone. Non erano eventi che guarivano i malati, davano la vista ai ciechi e le gambe agli storpi. Dovete capirli come degli eventi straordinari che rafforzano la fede, la convinzione e la determinazione e che rinnovano l’ispirazione nella nostra vita”. Detto questo, Swamiji si sedette davanti ai sannyasin.
“Vi racconterò della prima volta che, dopo il Mahasamadhi, ho fatto esperienza della presenza di Sri Swamiji in maniera così tangibile. Fu il 7 Gennaio del 2010. Lo Shodashi Anushthana e Shraddhanjali Saptah si erano conclusi. Il 2 Gennaio io e Swami Satsangi lasciammo Rikhia e viaggiammo fino a Tryambakeshwar. Là tenemmo una puja e Rudrabhisheka, rendemmo omaggio al Goshala e poi partimmo per Rishikesh che raggiungemmo il 5. Passammo molto tempo nel kutir di Swami Shivananda – una bellissima esperienza che rafforzò la fede che egli stava vegliando su tutti noi. Il giorno dopo facemmo Rudrabhisheka a Vishwanath Mandir e Guru Paduka Pujan al Samadhisthal. Fu dato del bhoj per tutto l’ashram. Il 6 del bhoj (offerta di cibo, n.d.t.) fu dato anche a Tryambakeshwar ai sannyasin arrivati da tutti gli akhara, i pandit del tempio e i devoti dell’ashram. La sera seguente tornammo a Rikhia.
Le folle di discepoli e devoti erano per lo più partite. Mentre sedevo da solo, ripensando agli eventi del mese passato, mi resi conto che il mio ultimo darshan con Sri Swamiji era stato il 3 Dicembre e che lo desideravo ardentemente. Qualunque cosa mi dicessi per consolarmi, il mondo era differente: mancavano il calore e lo splendore del sole. Le leggere correnti di vento erano smorzate. La terra su cui camminavo sembrava priva di prana. Mi mancava il fatto di parlare con lui, di stare alla sua presenza. Poi mi chiesi se potevo chiamarlo, chiedergli di apparire in sogno, chiedergli di manifestarsi in carne e ossa. Con questa intenzione, meditai.
Quella notte ebbi una visione. In mezzo a una foresta fra delle colline vi era una piattaforma di pietra di circa 10 metri per 8. Era rivolta in direzione nord-sud. Un sole color rosso arancio sorgeva a oriente sopra il profilo della foresta e i raggi dorati del sole inondavano di splendore l’intera piattaforma. Io e Swami Satsangi eravamo rivolti, dal lato ovest della piattaforma, verso il sole nascente, in attesa che arrivasse Sri Swamiji.
La figura raggiante di Sri Swamiji arrivò. Camminava da sud verso nord. Portava un dhoti color geru con un drappo sulle spalle e sembrava che avesse circa cinquant’anni. Facemmo pranam ai suoi piedi e poi tutti e tre ci sedemmo sulla piattaforma di pietra per parlare. La sensazione fu che non si fosse mai allontanato da noi. La conversazione sembrava la continuazione di una normale interazione che avevamo avuto con Sri Swamiji.
Sri Swamiji mi guardò e disse: “Raccontami tutto ciò che è successo dal momento del mio samadhi”. Iniziai a raccontargli di tutti di eventi del Bhu Samadhi, Shodashi e Shraddhanjali, del nostro viaggio a Tryambakeshwar e a Rishikesh insieme alla famiglia Bhaskar di Delhi e del bhoj in quelle occasioni. Per tutto il tempo Sri Swamiji sorrideva e ascoltava il racconto preciso degli eventi. Alla fine del mio racconto mi fece una domanda: “Qual è stata la spesa totale?”. Quando gli dissi la somma esatta, egli esclamò: “Non occorreva che fosse così tanto!”. Lo disse in modo così semplice e gioviale che tutti e tre scoppiammo a ridere. E, con il suono del suo ridere nelle mie orecchie, mi svegliai.
Ripensando a questa visione, posso dire che egli venne, parlò e diede conforto a conferma del fatto: “Io sono sempre con voi”.
Le parole di Swamiji lasciarono tutti con un sentimento di profonda commozione e ispirazione. Poi Swamiji disse: “Scrivete tutte le esperienze che avete fatto e di cui siete testimoni. Condividetele in modo che tutti possano realizzare la presenza del maestro nella propria vita”.
Abbiamo fatto proprio così e la collezione di questi eventi rappresenta l’inizio di Avahan. Ciò che tenete in mano non è semplicemente un giornale ma è l’esperienza di una presenza divina.

Satsang con Sw. Satyananda e Sw. Shivananda

Tratto da: Calendario 2014, Gennaio, Febbraio, Marzo, Shivananda Math, Rikhiapith, Deoghar, Jharkhand, India.

GENNAIO

Satsang con Swami Satyananda Saraswati

La sostanziale filosofia di vita di Swami Shivananda era il servizio. Le sue priorità erano: “Servi, ama, dona, purificati, medita, realizzati”. La meditazione era verso la fine della lista, molto avanti. Mentre voi iniziate la vostra vita spirituale con la meditazione, la vita spirituale del mio Guru iniziava col servizio e culminava nella meditazione. L’inizio della vita spirituale deriva dal servizio all’umanità.
La cosa più importante che Swami Shivananda soleva dire era che così come c’è un sistema educativo dall’asilo all’università, allo stesso modo c’è un sistema scolastico nella vita spirituale. Il primo livello è il servizio, il secondo l’amore, il terzo il dare. Dio esiste, quindi dovete pensare a Lui. Dovete meditare e pregare. Dovete purificare il vostro cuore. Io chiesi: “Ma come?”. Egli disse che l’asilo d’infanzia della vita spirituale è il servizio. Che cosa viene dopo? Amare gli altri. Poi, la classe successiva è dare, dare e dare. Non dite: “Tu dai a me”; dite: “Io do a voi”. Questa è l’istruzione spirituale elementare: Servi, Ama e Dona. Queste classi elementari della vita spirituale si dimostreranno molto utili.
Dopo questo, Swami Shivananda diceva che dovremmo purificare il sé: purificate la mente, il cuore, le intenzioni e le azioni. Praticate ahimsa, la non violenza, satya, la sincerità, brahmacharya, il controllo sensuale, aparigraha, la non possessività, tapasya, l’austerità, asteya, l’onestà, shaucha, la pulizia, santosha, l’appagamento e così via. Purificazione significa che, come pulite i panni sporchi mettendoli nel detersivo, così mettete il vostro cuore nel detersivo, lo tenete a mollo e lo lavate.
Swami Shivananda diceva: “La sofferenza e il dolore sono il crogiolo in cui la natura getta un uomo quando vuole fare di lui un sublime superuomo”. Dovete accettare il dolore. Non abbiate paura della sofferenza. Non dipendete dalle cose della vita terrena. I ricchi non andranno con voi. Gesù disse: “È più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago che per un ricco entrare nel Regno dei Cieli”. Non dovreste dipendere dalla ricchezza come vostra sicurezza nella vita. La sicurezza nella vita è la purificazione.
Dopo la purificazione, Swami Shivananda parlava di meditazione. Diceva che la meditazione è come andare all’università, è l’istruzione superiore. Nella meditazione o nella preghiera entrate in uno stato di shanti, pace o tranquillità, in cui divenite una cosa sola con Dio. C’è solo Dio davanti a voi, che sia nella forma di Rama, Cristo, del Guru o di Govinda, poiché Dio è ovunque. Egli esiste in ogni particella. Non esiste un luogo dove Egli non sia presente. Infine, viene la realizzazione.
Così, Servi, Ama e Dona sono l’istruzione elementare. Purificati è l’istruzione intermedia e Medita è l’università. La Realizzazione è l’istruzione postlaurea. Questo è il curriculum dell’educazione spirituale. Swami Shivananda mi diede il mantra: servi, ama, dona, purificati, medita, realizzati, sii buono, fai il bene, sii gentile, sii compassionevole, sopporta l’insulto, sopporta l’offesa. È molto difficile, ma è il sadhana più elevato!
Ci vollero molti anni per emulare il mio Guru e mettere in pratica i suoi principi. Egli era solito dire: “Qualunque cosa tu abbia, dalla agli altri, non appartiene a te”. Allora non lo capivo, ma ora sì. Nulla appartiene a me, nulla è mio. Io sono solo un tramite.

Messaggio di Swami Shivananda: l’Umiltà

L’umiltà è la più elevata di tutte le virtù. È affermato nelle scritture: “Beati sono i miti, perché erediteranno la terra”. Potete distruggere il vostro egoismo sviluppando solo quest’unica virtù. Potete influenzare il mondo intero. Diventerete una calamita per attrarre molte persone. Tutte le forme viventi saranno attirate verso di voi. L’umiltà deve essere genuina. La finta umiltà è ipocrisia. Non può resistere. Se volete bere acqua dal rubinetto, dovrete chinarvi. Allo stesso modo, se volete bere il nettare spirituale dell’immortalità, dovrete chinarvi. Dovete essere miti e umili. Anche se siete un uomo di grande erudizione, dovete essere molto umile. Un uomo colto dotato di umiltà è molto riverito da tutti. Dio vi aiuta solo quando vi sentite completamente umili. Perciò sviluppate questa virtù in modo rilevante. Divenite una personificazione dell’umiltà. Divenite l’umiltà personificata.

FEBBRAIO

Satsang con Swami Satyananda Saraswati

Nel 1990, il primo anno del mio Panchagni sadhana, Dio mi diede un’idea eccellente. A luglio, al termine del mio sadhana, mi disse: “Aiuta i tuoi vicini come Io ho aiutato te”. Allora dissi ai sannyasin di aumentare la loro attività. Dissi loro: “Nei villaggi ci sono persone che dovrebbero avere vestiti, malati che dovrebbero avere medicine gratuitamente e ragazzi e ragazze che dovrebbero avere aiuti o borse di studio per la loro istruzione. Anche quelli che sono disoccupati dovrebbero in qualche modo guadagnare venti o trenta rupie al giorno, in modo da far quadrare il bilancio familiare: per questo bisogna dare dei rickshaw per il trasporto delle persone o delle cose”. Così ora qui c’è molta attività e le attività aumenteranno anche in futuro.
Se non espandiamo l’atmabhava, il senso di individualità, allora tutto il sadhana è inutile. Atmabhava significa provare per gli altri quello che provate per voi stessi. Quando vostro figlio si ammala, che cosa vi succede? Eppure, quando si ammala il figlio di qualcun altro nel vostro vicinato, dite semplicemente: “Dategli il cortisone”. Questo è tutto. Non ci pensate più di tanto. Non succede nulla nel vostro cuore. Neanche nella vostra testa succede nulla. Andate tranquillamente a dormire anche se suo figlio è ancora malato. Avete fatto il vostro lavoro, avete dato questa medicina, chiamato quel dottore. Potete fare le telefonate, potreste perfino portarlo dal dottore con l’ambulanza, ma non viene il sentimento che avete quando vostro figlio è malato perché non c’è atmabhava.
Non vivete solo per quelli che vi appartengono. Vivete anche un po’ per gli altri. Non potete condividere totalmente la felicità e la sofferenza del mondo, questo è possibile solo per Dio; ma, nel vostro piccolo, condividete le sofferenze degli altri. Dovete trovare un posto nel vostro cuore per le persone che non conoscete. Dovete mettere in atto la vostra compassione e i vostri sentimenti a favore di quelle persone. La consolazione solo a parole non basta.
Pensare nell’interesse degli altri allo stesso modo in cui pensiamo a noi stessi è la vera prova del Vedanta. Pensare “io sono Brahman, tu sei Brahman” non funziona. Potete dirlo, ma non c’è niente di vero. Atmabhava significa provare per gli altri quello che provate per voi stessi. È scritto proprio nella prima Upanishad, la Ishavasya Upanishad: “Che la vostra sofferenza sia la mia sofferenza e la mia sofferenza sia la vostra”.

Messaggio di Swami Shivananda: l’Onestà

L’onestà è un’inclinazione ad attenersi alla giustizia e a una condotta onorevole. È rettitudine della condotta in generale. È giustizia, equità, integrità, correttezza, rettitudine. Una persona onesta è caratterizzata da apertura mentale, autenticità o sincerità. È fedele, sincera, retta, vera, degna di fiducia, integra. È sempre propensa ad agire con attenta considerazione per i diritti degli altri, specialmente in questioni di affari o proprietà. Osserva scrupolosamente i dettami dell’onore personale, che è superiore a qualsiasi esigenza del diritto commerciale o dell’opinione pubblica e non farà niente di meschino grazie alla sua insita nobiltà d’animo. Non ruba, inganna o froda. Non trarrà ingiusti vantaggi che le sarebbero consentiti. L’onestà è integrità, franchezza, libertà dall’imbrogliare, schiettezza, comportamento leale. L’onestà è l’unica virtù su cui la vita dell’individuo e di una nazione può basarsi con sicurezza. La società può preservarsi solo quando è costruita con la malta temprata dell’onestà, della giustizia e della rettitudine.

MARZO

Satsang con Swami Satyananda Saraswati

Chi la dura la vince. Quando prendete una risoluzione, cercate prima di capire per quanto tempo sarete in grado di mantenerla. Non dovete essere troppo entusiasti o emotivi.
Dovete cominciare con le risoluzioni più piccole. All’inizio bisogna tentare piccole anushthana, brevi corsi di sadhana. Provate un sadhana di due giorni, nove giorni, undici giorni e poi un sadhana di un mese. Dovete rafforzare gradualmente la vostra volontà e poi prendere una risoluzione per un sadhana più lungo o difficile.
Avete anche bisogno dell’aiuto divino nel vostro sadhana. Non potete portare a termine un compito di buon auspicio senza divina assistenza, nemmeno se siete favorito dalla regalità o possedete immense ricchezze. Senza la grazia di Dio non potete raggiungere nulla. Ho eseguito molti sadhana nella mia vita e sono sempre riuscito a portarli a termine. Quando eseguivo il panchagni sadhana Dio disse: “Devo aiutare Swami Satyananda”. In base a che cosa lo diceva? Avevo già stabilito che i frutti del mio sadhana non venissero a me. Questa fu la mia prima risoluzione. Se stabilite che i prodotti della vostra tenuta non sono per voi, che chiunque ne abbia bisogno dovrebbe prenderne, avrete un raccolto molto buono. Tuttavia, questa è una risoluzione molto difficile da prendere. Se non raccogliete la produzione, perché dovreste arare il campo? Perché dovreste piantare i semi?
Le persone lavorano per se stesse; nessuno lavora per gli altri. Ho deciso che non voglio i frutti del mio panchagni sadhana. Tutto quello che voglio è riuscire a eseguirlo alla perfezione per nove anni e che non si presenti alcun ostacolo lungo il cammino.
Dunque, queste sono cose da prendere in considerazione. Osservare un anushthan è una cosa molto buona e ognuno dovrebbe pensare a quello che ho detto. Un capofamiglia dovrebbe anche pensare a queste cose. I conseguimenti materiali non dovrebbero essere l’unico scopo della vita familiare. L’obiettivo dell’istruzione non dovrebbe essere solo quello di trovare un lavoro e l’obiettivo di intraprendere una professione non dovrebbe essere solo quello di guadagnare un reddito. Dovreste essere in grado di pensare agli altri. Fate che la vostra preghiera sia: “Dio, qualunque cosa mi dai, la userò per i miei figli, visto che devo occuparmi di loro ma, soprattutto, la userò per il benessere degli altri”.

Messaggio di Swami Shivananda: il Coraggio

Il coraggio è quella qualità della mente che rende l’uomo capace di affrontare il pericolo, l’opposizione e le difficoltà con fermezza, calma e intrepidità o senza paura o abbattimento d’animo. Il coraggio è valore, impavidità, assenza di paura, intrepidità. È la qualità che rende capaci di affrontare i pericoli senza paura. Il vero coraggio non è la forza bruta di eroi volgari ma la ferma risoluzione della virtù e della ragione. Il coraggio di un soldato in battaglia è rajasico/tamasico, ma il coraggio di un aspirante, un saggio o un santo è sattwico. Il primo è la durezza dell’avventato e dell’incosciente, mentre il secondo è il coraggio del saggio. Se avete coraggio e sicurezza, potete compiere qualunque cosa in questo mondo. Il coraggio è la fonte di ogni successo. Le cose impossibili diventano possibili se avete coraggio e fiducia in voi stessi. Il coraggio espande le vostre risorse, mentre la codardia le fa diminuire. Abbiate il coraggio delle vostre convinzioni. Abbiate il coraggio di agire secondo le vostre vedute e opinioni. Il coraggio trionfa. Il coraggio ha successo. Il coraggio conquista.

Hatha Yoga Pradipika

Tratto da: Sw. Muktibhodhananda Saraswati, Hatha Yoga Pradipika, Yoga Publications Trust, Munger, Bihar, India.

Verso 5 – Capitolo II

Quando tutte le nadi e i chakra che sono pieni di impurità vengono purificati, allora lo yogi è capace di trattenere il prana.

Nel processo del risveglio di kundalini, il sadhaka non deve solo liberare i canali energetici (le nadi) ma anche aumentare la quantità e la qualità di prana e accumularlo. Il prana è accumulato in sei centri principali lungo la colonna vertebrale. Questi centri sono situati nel corpo sottile e corrispondono ai plessi nervosi nel corpo fisico. Nel corpo sottile sono noti come chakra. Chakra significa movimento circolare o ruota. Prana shakti e manas shakti si confluiscono nei chakra e formano masse turbinanti di energia. Ogni chakra è un punto di congiunzione per molte nadi. Ci sono numerosi chakra nel corpo ma i sette principali, situati lungo sushumna nadi, riguardano specificamente l’evoluzione umana.
Nella meditazione profonda, gli yogi hanno visto questi chakra e li hanno descritti come fiori di loto. Sebbene i chakra siano situati nel corpo sottile, la loro influenza si estende al corpo fisico e a quello causale. Ogni chakra vibra a una particolare frequenza e velocità. I chakra nel punto più basso del circuito energetico operano a una frequenza inferiore e si dice che siano più grossolani e che creino stati più grossolani di consapevolezza. I chakra al vertice del circuito operano ad alte frequenze e sono responsabili degli stati sottili di consapevolezza e dell’intelligenza superiore.
Alcuni testi yogici descrivono solo cinque o sei chakra, altri ne descrivono sette. Il chakra più basso è nel pavimento pelvico nel corpo maschile e nella cervice uterina nel corpo femminile. È un loto rosso di quattro petali chiamato muladhara e influenza gli organi escretori e riproduttivi, le ghiandole e le secrezioni ormonali riproduttive. Muladhara è collegato direttamente al naso, al senso dell’olfatto e ai nostri istinti animali. In muladhara ha inizio l’evoluzione umana ed emerge la kundalini.
Due dita sopra muladhara e strettamente associato a esso, si trova swadhisthana chakra, un loto vermiglio di sei petali. È collegato al plesso sacrale e alle ghiandole e agli organi urinari e riproduttivi. Swadhisthana è associato alla lingua e al senso del gusto. Il suo influsso sulla personalità più profonda suscita un individualistico senso dell’ego.
Il chakra successivo è dietro l’ombelico, entro la colonna vertebrale. È un loto giallo di dieci petali chiamato manipura ed è associato al plesso solare. Manipura influenza il processo digestivo e l’assimilazione di cibo e prana. È anche collegato agli occhi e alla vista. Al livello di manipura la coscienza è ancora vincolata ai livelli più grossolani dell’esistenza e della sensualità, dell’ambizione e dell’avidità.
Sopra manipura, in prossimità del cuore, si trova anahata chakra, con dodici petali blu. È collegato al plesso cardiaco, al cuore, alla respirazione, alla ghiandola del timo ed è responsabile delle emozioni di amore/odio, compassione/crudeltà, ecc. Anahata è anche collegato al senso del tatto e alle mani.
Nel centro della gola c’è il quinto chakra, vishuddhi, con sedici petali viola. È associato al plesso cervicale e alla tiroide e mantiene la purezza nel corpo e nella mente. Vishuddhi è collegato alle orecchie e al senso dell’udito, alla gola e alla parola. Suscita accettazione delle avversità della vita, equilibrio mentale e sensibilità ai bisogni degli altri.
Al vertice della colonna vertebrale, a livello del midollo allungato, c’è uno dei chakra più importanti, agya chakra, che ha due petali chiari o grigio argentato. Sopra vishuddhi, i chakra sono principalmente correlati all’intelligenza superiore. Alcuni testi autorevoli non li considerano nemmeno come chakra perché, col diminuire del potere velante di prana shakti, manas shakti diviene predominante. Agya chakra è il centro del comando. Opera congiuntamente al sistema reticolare attivante, al midollo allungato e alla ghiandola pineale. Agya chakra è il terzo occhio attraverso cui si può scorgere tutto il mondo sottile. È noto come la porta della liberazione.
Quando la kundalini shakti oltrepassa agya, la dualità e l’ego cessano di esistere. Essa raggiunge il centro più alto, sahasrara, il loto dai mille petali. Sahasrara è situato nella calotta del cranio ed è associato alla ghiandola pituitaria. Quando questo chakra è completamente attivato dalla kundalini si ha l’esperienza più elevata dell’evoluzione umana.
Fra agya e sahasrara ci sono altri tre chakra che sono brevemente citati nei Tantra. Di fronte all’ugola c’è lalana chakra, che è un loto di dodici petali. Sopra agya c’è manas chakra, un loto di sei petali e, sopra questo, si trova soma chakra, con sedici petali. Questi chakra sono in relazione al flusso di nettare da bindu visarga (che sarà esaminato successivamente) e sono responsabili degli stati superiori di coscienza ed intelligenza.
Con l’hatha yoga tutti questi chakra sono influenzati e stimolati eliminando i blocchi presenti. L’influenza di ogni chakra si può sentire nel corpo e si può vedere nel comportamento di una persona. Il corretto equilibrio energetico in ciascuno dei chakra è estremamente importante.
Il Dott. Hiroshi Motoyama del Giappone ha ideato strumenti in grado di rilevare l’attività di questi chakra ed ha scoperto che l’esaurimento di energia e il funzionamento paranormale di qualunque chakra causano squilibrio o malattia negli organi fisici e nelle funzioni corporee a esso associati. Questo è esattamente quanto si afferma nei testi di hatha yoga.
La purificazione dei chakra e delle nadi è il primo passo verso la salute fisica e mentale e il risveglio della kundalini. Perciò bisogna rinforzare i chakra e le nadi, così che siano in grado di condurre la kundalini shakti.

Verso 6

Perciò si dovrebbe eseguire pranayama quotidianamente con uno stato mentale sattwico, in modo che le impurità siano fatte uscire da sushumna nadi ed avvenga la purificazione.

Esistono tre modalità nella natura e nella mente note come guna: tamas, rajas e sattwa. Tamas è l’inerzia, rajas è il dinamismo e sattwa è la stabilità. Per esempio, una pietra rappresenta tamas, l’uomo rappresenta rajas e la divinità rappresenta sattwa. La mente ottusa o la mente in cui non c’è consapevolezza è tamasica o inerte, la mente che oscilla fra consapevolezza e non consapevolezza è rajasica o dinamica e la mente stabile, unidirezionale è sattwica. Tamas è il primo stadio dell’evoluzione ed evolve in rajas e poi in sattwa. Nello stato di tamas, rajas e sattwa sono forze potenziali. Nello stato rajasico ci sono tracce di tamas e di sattwa e, nello stato sattwico, tamas e rajas non esercitano alcun influsso.
Durante la pratica di pranayama, la mente dovrebbe essere stabile e consapevole e non muoversi da un pensiero all’altro. Allora tutto l’organismo è ricettivo. Quando la mente è inerte o tamasica, alcune delle nadi rimangono inerti e chiuse, si raccolgono impurità e l’energia non può passare. Comunque, ciò non significa che se siete tamasici non potete praticare pranayama. Che siate tamasici o rajasici, il pranayama deve essere praticato per eliminare i blocchi e per tirarvi fuori dallo stato tamasico e rajasico. Quando la mente è sattwica, la consapevolezza interiore aumenta velocemente e il prana si accumula.
Quando si risveglia sushumna questo rappresenta sattwa, quando funziona pingala rappresenta rajas e quando funziona ida, tamas. Così è meglio praticare pranayama quando sushumna fluisce. Quando il respiro fluisce spontaneamente attraverso entrambe le narici, significa che sushumna è attiva. Non respiriamo sempre con entrambe le narici, di solito una narice è aperta e l’altra è parzialmente o completamente chiusa. La scienza lo chiama “rinite alternata”. Nello yoga ciò è noto come swara.
La scienza dello swara yoga dice che il respiro si alterna da ida a pingala ogni ora. Anche la scienza moderna ha osservato lo stesso processo di alternanza e la sua associazione con l’attivazione degli emisferi destro e sinistro del cervello. Il cervello alterna la sua attività ogni sessanta/novanta minuti, come segnalato dal funzionamento delle narici. Quando il respiro fluisce dalla narice sinistra, indica che sono attivi ida e l’emisfero cerebrale destro. Quando fluisce dalla narice destra, significa che sono attivi pingala e l’emisfero cerebrale sinistro.
Pingala è il principio dinamico, maschile e ida è il principio passivo, femminile. L’emisfero cerebrale sinistro funziona con lo stesso principio di pingala. Elabora informazioni logicamente, in sequenza e funziona secondo la sequenza del tempo. L’emisfero cerebrale destro ha a che fare con l’intuizione, la creatività mentale e l’orientamento nello spazio. Quando entrambe le narici funzionano simultaneamente, l’energia viene trasferita da un emisfero all’altro. Passa attraverso una spessa lamina situata fra i due emisferi che si chiama corpo calloso. In quel momento può funzionare tutto il cervello e la percezione non sarà limitata a un’unica modalità di elaborazione.
Secondo lo swara yoga, durante il flusso di ida bisognerebbe svolgere mansioni tranquille e che richiedano creatività mentale. Durante il flusso di pingala bisognerebbe eseguire del lavoro fisico e, durante il flusso di sushumna, l’attività più adatta e produttiva è yoga abhyasa e dhyana.
I fattori che influenzano il flusso pranico nelle nadi sono: stile di vita, dieta, desideri, pensieri ed emozioni. L’hatha yoga influenza direttamente le nadi, ma bisogna prendere in considerazione tutta la propria vita esteriore. Quando la personalità è equilibrata e non ci sono condizioni estreme nella mente e nel corpo, anche il respiro sarà armonizzato.

Versi 7-9

NADI SHODHANA PRANAYAMA – (la respirazione a narici alternate)

Seduto in baddha padmasana, lo yogi dovrebbe inspirare attraverso la narice sinistra e trattenere il respiro finché gli è possibile e poi espirare attraverso la narice destra. (7)

Poi, inspirando attraverso la narice destra, riempire gradualmente l’addome, eseguire kumbhaka come prima, quindi espirare completamente attraverso la narice sinistra. (8)

Poi inspirare dalla stessa narice con cui si è espirato, trattenere il respiro al massimo delle capacità ed espirare dall’altra narice lentamente e non forzatamente. (9)

La prima pratica di pranayama è nadi shodhana pranayama, la respirazione a narici alternate, che attiva e armonizza le nadi ida e pingala. Shodhana significa purificare. In italiano questa pratica si chiama pranayama della “purificazione delle nadi”.
Se non avete mai fatto pranayama precedentemente, per impararlo e praticarlo correttamente è indispensabile che prima familiarizzate completamente col processo della respirazione naturale. Questo si può fare praticando la seguente tecnica.

Semplice tecnica di consapevolezza del respiro
Sdraiatevi in shavasana e rilassate tutto il corpo.
Portate la consapevolezza al respiro che entra attraverso le narici, scende nella trachea ed entra nei polmoni.
Sentite i polmoni espandersi con l’inspirazione, lo stomaco sollevarsi e una lieve tensione nella regione del torace.
Con l’espirazione, sentite lo stomaco abbassarsi, i polmoni contrarsi e tutto il corpo rilassarsi mentre l’aria sale verso il naso ed esce dalle narici.
Lasciate che il respiro sia naturale.
Praticate da cinque a dieci minuti.

Molte persone hanno la tendenza a fare delle respirazioni superficiali senza riempire i polmoni al massimo. Quando inspirate, i polmoni devono espandersi completamente e l’addome dovrebbe espandersi in fuori. Durante l’espirazione l’addome dovrebbe rilassarsi completamente e i polmoni dovrebbero espellere quanta più aria possibile. Questo procedimento si svilupperà con la pratica sopra descritta. Quando avrete perfezionato la consapevolezza e la regolazione del respiro, praticate in una posizione seduta.

Tecnica 1
Sedete in siddhasana/siddha yoni asana.
Col pollice della mano destra chiudete la narice destra, inspirate lentamente e completamente dalla narice sinistra ed espirate attraverso la narice sinistra.
Praticate così dieci volte e poi ripetete lo stesso procedimento con l’altra narice, chiudendo la narice sinistra con l’anulare della mano destra, lasciando le due dita intermedie piegate e libere.
Sviluppate il controllo del respiro in modo che inspirazione ed espirazione continuino esattamente per la stessa durata di tempo.
Contate fino a 3, 4, 5 o 6 mentre inspirate e poi espirate con lo stesso conto. Questo è il rapporto 1:1.
Praticate fino a dieci cicli.

In seguito il rapporto di inspirazione ed espirazione verrà modificato e quindi si aggiungerà anche kumbhaka (la ritenzione). Comunque, prima dovrete essere capaci di rendere inspirazione ed espirazione della stessa durata. La progressione dei rapporti deve essere: 1:1, 1:2, 1:2:2, 1:4:2, 1:4:2:3.
Ci sono due modi per chiudere le narici. Uno è utilizzando il pollice e l’anulare della mano destra con le dita intermedie piegate. Il secondo è eseguendo nasagra o nasikagra mudra, in cui l’indice e il medio sono posti fra le due sopracciglia alla radice del naso. Il pollice si usa per chiudere la narice destra e l’anulare per chiudere la sinistra. In entrambe le tecniche si usa sempre la mano destra, anche se siete mancini per altre attività.

Tecnica 2
Stadio 1: inspirate come nella Tecnica 1, attraverso la narice sinistra.
Quindi espirate dalla narice destra.
Praticate in questo modo per dieci volte.
Stadio 2: inspirate attraverso la narice destra ed espirate attraverso la
sinistra dieci volte.
Praticate da cinque a dieci cicli.
Continuate la pratica ancora per alcuni cicli rendendo l’inspirazione e l’espirazione perfettamente uguali.

Tecnica 3
Unite i due stadi della Tecnica 2. Cioè inspirate dalla narice sinistra, espirate dalla destra, inspirate dalla destra ed espirate dalla sinistra. Questo è un ciclo.
Praticate da cinque a dieci cicli.
Dopo che questi stadi preliminari sono stati perfezionati, si può cominciare nadi shodhana con la ritenzione del respiro. Mentre si trattiene il respiro, si dovrebbero tener chiuse entrambe le narici, in modo che siano leggermente premute. Premetele un poco sopra il bordo inferiore e assicuratevi che siano sigillate correttamente. Il Gherand Samhita dice: “Dopo l’inspirazione tenete le due narici col pollice, l’anulare ed il mignolo, senza usare il medio e l’indice, fintanto che viene trattenuto il respiro”. (5:53)
Mentre praticate, accertatevi che la testa e il corpo non si inclinino in nessuna direzione. Se il braccio destro si stanca, sostenete il gomito col palmo sinistro. Quando avete prolungato la durata di inspirazione ed espirazione e avete il pieno controllo del respiro, siete pronti ad aggiungere kumbhaka alla pratica. Comunque, non dovete mai sforzarvi; kumbhaka va sviluppato gradualmente.

Tecnica 4
Sedete in siddhasana/siddha yoni asana.
Praticate come nella Tecnica 3, ma aggiungete la ritenzione del respiro dopo l’inspirazione.
Iniziate col rapporto 1:2:2. Dopo circa un mese cominciate con 1:4:2.

Sebbene la posizione seduta raccomandata in questo sloka sia padmasana, per la maggioranza delle persone la più pratica è siddhasana/siddha yoni asana. Padmasana dovrebbe essere utilizzata da quelle persone che possono mantenerla per almeno quindici minuti senza la minima scomodità.