Kirtan: Razzo verso la Realizzazione del Sé
Tratto da: Rikhiapeeth Blog del 29 Novembre 2013 – Satsang con Swami Satyananda Saraswati.
Il kirtan è un aspetto importante dello yoga. Come i rasgula sono incompleti senza lo zucchero, anche lo yoga è incompleto senza il kirtan. Il kirtan non è un canto religioso, non si tratta solamente di cantare una parola molte volte. È una parte del nada yoga, lo yoga del suono, in cui producete onde sonore e le seguite con la consapevolezza. Cantando il kirtan divenite in grado di ritirarvi dal corpo e dalla consapevolezza esterna. State viaggiando con il jet delle emozioni, così non vi dovete confrontare con la mente. In raja yoga dovete combattere la mente ma nel kirtan la bypassate.
Il santo che cantava
Cinque secoli fa visse in India un grande sannyasin di nome Chaitanya. Egli era conosciuto anche come Gauranga per la sua imparzialità. Gauranga fu un grande studioso e intellettuale del suo tempo e scrisse un’importante tesi sull’economia. Ma improvvisamente ebbe una visione più elevata e realizzò che l’intelletto è una barriera nella vita spirituale. Allora rinunciò a ogni cosa e abbracciò il sannyasa. Egli era deciso a sviluppare l’aspetto devozionale del suo essere e, per questo scopo, trovò molto efficace il sistema dei kirtan. Egli cantava il nome del Signore giorno e notte mentre viaggiava per il paese. Ogni volta che Chaitanya cantava kirtan, andava in trance e continuava a cantare “Hare Krishna, Hare Krishna, Krishna Krishna, Hare Hare” per ore. C’erano sempre folle di abitanti dei villaggi che cantavano e danzavano quando si spostava da un villaggio all’altro.
Chaitanya era un devoto di Krishna e diceva che quando i pensieri dell’uomo sono totalmente corrotti ed egli non trova la forza sufficiente per controllare la mente, allora tutte le altre forme di yoga non agiscono realmente. Quando la vostra mente è scossa da desideri e passioni, allora anche la vostra devozione a Dio non è una devozione sincera. Quando fantasticate sulla sensualità della vita e la vostra mente è colma di crudeltà e terrore, come potete pensare realmente a Dio e trascendere la consapevolezza grossolana della vita? Allora il modo più semplice è cantare il Suo nome. E oltre a questo, non c’è altro sadhana.
A un devoto si richiedono solo tre qualità per raggiungere Dio: dovreste considerare voi stessi come parte inseparabile del progetto universale della vita e diventare umili come un filo d’erba; dovreste essere resistenti e tenaci come un albero che affronta estate, inverno, tempesta e vento; dovreste sintonizzarvi con Dio cantando il Suo nome. Se incarnate queste tre qualità, allora potete avere una visione del divino.
Lo yoga del kirtan
Sin dal tempo di Chaitanya c’è un’ininterrotta tradizione che incorpora i kirtan con le altre forme di yoga. Fianco a fianco con le forme di yoga rigorose e la pratica di meditazione, si dovrebbero praticare anche melodie e il sensibile e delicato yoga del kirtan.
Imparate alcuni semplici kirtan e poi cantateli insieme in un gruppo, non da soli. Formate un gruppo di circa quindici persone, scegliete un kirtan e una melodia e lasciate che una persona guidi il kirtan. Chi conduce canterà le parole per primo e poi gli altri le canteranno dopo di lui. Sono necessari solo pochi semplici strumenti – cimbali, un harmonium e in particolare un tamburo. Questo è lo strumento più importante perché le sue vibrazioni hanno un effetto immediato sulle onde cerebrali e la circolazione sanguigna. In effetti, il ritmo del tamburo è un suono per massaggiare sia il corpo che la mente.
Cantate kirtan per circa mezz’ora, poi sedete tranquilli per la meditazione. Attraverso i kirtan potete liberarvi da blocchi e complessi. Se vi immergete completamente nel kirtan, quando sedete per la meditazione troverete che la strada è libera. Non ci saranno ingorghi di traffico sul piano mentale.
Dimenticate di essere un signore, un grand’uomo o una grande donna, un professore, un ingegnere, uno scienziato o un medico. Queste sono limitazioni della personalità. Non è ciò che vi definisce; sono sovrimposizioni. Quando dite “sono un professore” o “sono una signora di una famiglia importante” state sovrapponendo qualcosa a voi stessi. Quando cantate i kirtan dovete abbassarvi a un punto di umiltà tale da pensare “io sono niente”. Solo se riuscite a mantenere questa attitudine sarete in grado di trascendere i vostri complessi e i vostri blocchi.
Intelletto ed emozione
Il kirtan non è uno yoga intellettuale; ogni suono prodotto nel kirtan va in profondità nella coscienza. Gli intellettuali cercheranno di capire il kirtan ma per loro sarà molto difficile poiché il kirtan è principalmente in relazione con la personalità emozionale dell’individuo.
Sebbene le emozioni non siano propriamente comprese e utilizzate, sono degli strumenti molto potenti nelle mani dell’uomo. Attraverso l’intelletto non potete andare molto in profondità; non potete realizzare la coscienza. Attraverso l’intelletto potete sapere molte cose su Dio, sulla verità e molto altro ancora ma non potete farne esperienza.
Vi è una grande differenza fra conoscenza ed esperienza. Per illustrare questo punto vi racconterò una storia vera. Una volta, mentre ero in viaggio in aereo per l’Australia, ho incontrato un professore inglese che aveva scritto un libro sui dolci indiani e lo aveva presentato all’università come sua tesi. Era un bel libro e ben scritto e il professore aveva una buona conoscenza dei dolci indiani. Così parlammo dell’argomento per ore. Più tardi, mentre cenavamo, aprii una scatola di dolci che ci era stata offerta dalla compagnia aerea. I dolci erano dei rasgula, un dolce indiano molto famoso. Quando iniziai a mangiarli, mi ricordai del professore e gliene diedi alcuni. Lui li mangiò e ne fece esperienza. Dopo un po’ venne da me e mi chiese che tipo di dolci fossero!
Ora, sto cercando di distinguere fra conoscenza ed esperienza. Senza dubbio il professore aveva una buona conoscenza dei dolci indiani, ma non ne aveva esperienza. L’intelletto è un mezzo di conoscenza e l’emozione è uno strumento di esperienza. Se volete fare esperienza di pace e di Dio in voi stessi, dovete sviluppare il lato emozionale della vostra natura. Se le vostre emozioni sono flebili, potete andare al tempio e parlare di Dio per giorni interi o parlare di Dio dal pulpito della chiesa, ma lui sarà lontano da voi. Tuttavia, se le vostre emozioni sono intense, solo sentendo parlare di Dio potete entrare in trance e farne esperienza. Questo perché le emozioni sono gli occhi attraverso cui potete fare esperienza di grande amore e consapevolezza.
Quindi è di grande importanza per un raja yogi o un hatha yogi sviluppare la personalità emozionale. Come fare questo? Vi sono molte vie, ma il metodo più facile, più economico e sicuro è il kirtan.
La mia esperienza col kirtan
Nel 1943, quando per la prima volta andai all’ashram a Rishikesh, non ero un tipo di persona molto emozionale o devozionale. Quindi, il primo impegno quotidiano che mi fu dato era qualcosa che non mi piaceva. Un anno prima del mio arrivo, Swami Shivananda aveva adottato la risoluzione che per tutto il giorno sarebbe stato cantato ininterrottamente il kirtan del Mahamantra. Così, in un angolo della sala, uno swami o un laico sedeva e cantava “Hare Rama, Hare Krishna, Hare Hare”. Dopo un’ora, un’altra persona lo sostituiva. Così, il kirtan continuava per ventiquattro ore.
Fu una risoluzione molto difficile da mantenere ma quell’ininterrotto kirtan divenne il nucleo della missione di Swamiji. A me fu dato il compito di cantare per un’ora durante la notte. Così dovevo dormire nella sala, svegliarmi a un’ora precisa e cantare il mantra che all’epoca trovavo sterile e insipido, ma comunque lo facevo.
Dopo qualche tempo, tuttavia, iniziai ad avere delle esperienze. Non so dire perché mi vennero ma una notte, mentre cantavo il Mahamantra senza né vita né sentimento, improvvisamente mi trovai in mezzo ad animali selvaggi, tigri, lupi e iene. Stavano tutti arrivando per attaccarmi e farmi a pezzi ed io ero atterrito. Quella fu la prima volta che sperimentai il sentimento della paura. Prima di allora non avevo mai avuto paura. Potevo viaggiare da solo attraverso le foreste selvagge per tutta la notte senza alcuna paura. Potevo affrontare qualsiasi cosa impavidamente. Non avevo mai saputo cosa fosse l’esperienza della paura.
In sogno, tuttavia, ho sperimentato quella paura. Iniziai a urlare perché non sapevo come fuggire. In quel momento venne verso di me un elefante molto grande. Con la proboscide mi sollevò sulla sua groppa e tutta la paura svanì. Dopo un po’ scoprii che non ero io quello seduto lì, era Buddha. Fu un sogno meraviglioso o una visione che ebbi mentre cantavo il Mahamantra. E molte altre visioni seguirono.
In realtà, era per quel particolare genere di esperienze che stavo lavorando da molti anni. Praticavo pranayama, ecc. ma non era così efficace. Forse la mia costituzione, i miei samskara erano molto consistenti. Comunque, ciò che non riuscii a ottenere con così tanti anni di sadhana, lo ottenni cantando un nome in cui non credevo neanche. E dopo che accadde ciò, anche se non mi piaceva il compito del kirtan, lo facevo perché mi dava esperienze dopo esperienze ed erano tutte fantastiche e belle.
Danzare come un folle
Swami Shivananda amava immensamente i kirtan. Quando cantava i kirtan iniziava a danzare. Durante i kirtan diventava completamente ispirato e trasmutato. C’era un sannyasin, appartenente al più elevato ordine dell’Advaita Vedanta, la filosofia del gyana yoga, che danzava come un folle. Era una persona che rappresentava la più alta filosofia nella religione Hindu, il precettore di una filosofia di puro monismo, e quando lo vidi danzare come un folle iniziai a dubitare del mio approccio razionale alla realtà. Iniziai a pensare che tutti i miei concetti riguardo la vita spirituale erano semplicemente intellettuali. Tutta la mia conoscenza derivava dalla crosta più superficiale dell’esistenza umana. Allora iniziai gradualmente a entrare nello stato d’animo per cantare i kirtan.
Anche oggi il mio approccio alla vita è totalmente razionale; io non credo nella moltitudine di dei del pantheon Hindu. Non credo neanche in un Dio personale. Io credo nella coscienza suprema e totale. Per me immaginare che qualcuno siede in cielo guardando giù verso tutti è folle. Non penso che Dio esista come un giudice dell’uomo. Non penso neanche che senta le nostre preghiere. Quando prego so che io sento, ed io ipnotizzo me stesso. Ma anche con questo approccio razionale sono però molto influenzato dai kirtan.
Una Via Sicura per il Successo nella Vita
Tratto da: Rikhiapeeth Blog del 7 Dicembre 2013 – Satsang con Swami Shivananda Saraswati.
Cercate di avere uno stile di vita semplice e modesto. Non vivete per mangiare ma mangiate per vivere. Non siate invidiosi. Non calunniate. Non dite falsità. Non siate dei truffatori. Non nutrite malizia. Sarete sempre gioiosi, felici e in pace. La rettitudine è la regola della vita. Conducete una vita virtuosa. Aderite al dharma. La vita umana non è umana senza virtù. Il sale della vita è il servizio altruistico. Il pane della vita è l’amore universale. La vita non è vissuta pienamente, la vita non si realizza completamente se non servite e amate l’umanità intera. Il segreto della vera vita è nell’amore a Dio e nel servizio all’umanità.
Vivete per aiutare gli altri. Il potere divino scorrerà attraverso di voi come una forza vitale. Studiate la vita dei santi e traetene ispirazione. Coltivate un cuore tenero, una mano che dona, parole gentili, una vita di servizio, una visione equa e un atteggiamento imparziale. Servite, amate, donate, purificatevi, meditate. Il vostro viaggio vi porterà in un nuovo regno di beatitudine infinita. Scoprirete tesori scintillanti. Riscoprirete Dio. Sarete forti, sani, liberi, felici e pacifici. Ispirerete e benedirete tutti quelli con cui entrerete in contatto.
Rendete la vita una gioia perpetua. Traete gioia da satya, la verità, da tapas, l’austerità, da daya, la compassione, da daan, il donare. Conducete una vita semplice e regolata. Conducete una vita dura. Considerate ogni giorno come fosse l’ultimo e utilizzate ogni secondo in preghiera, meditazione e servizio. Fate che la vostra vita diventi un sacrificio continuo a Dio. Vivete nel presente. Dimenticate il passato. Abbandonate le speranze del futuro. Comprendete bene il significato della vita e poi iniziate la ricerca. La vita è il dono più grande. Utilizzate ogni secondo in modo proficuo.
Espandetevi. Evolvete. Abbiate un grande cuore. Socializzate con tutti. Siate gentili e compassionevoli. Siate puri e affabili. Siate dolci e amorevoli. Siate comprensivi. Siate amichevoli con i poveri. Vivete con loro. Serviteli. Rallegrateli quando sono in difficoltà. Percepite l’immanenza di Dio in tutte le cose. Tutti i tormenti spariranno e godrete la Pace suprema.
Swami Satyasangananda Saraswati
Tratto da: Swami Niranjanananda Saraswati, “Sankalpa Putri”, 2013 Golden Jubilee Edition, Edizioni Yoga Publications Trust, Munger, Bihar, India.
“Quando arrivai a Rikhia per la prima volta non ci cresceva niente, nemmeno un albero, un arbusto o un cespuglio; quest’area era desolata, era tutta sassi. Quando vi arrivai per la prima volta molti abitanti intorno a noi non avevano niente da mangiare a casa. Ne divenni consapevole quando Swami Satsangi mi parlò delle pietose condizioni della gente intorno a me. Soltanto quando lei visitò le case delle persone intorno a questo ashram potei capire le loro condizioni”.
Swami Satyananda
“Se volete aiutare la vostra mente, considerate il mondo intero come la vostra famiglia e allungate la mano a quante più persone potete. Questo è un sadhana pratico che vi do. Io lo faccio e Swami Satsangi lo fa”.
Swami Satyananda
Cardiochirurgia a Rikhia
(continuazione)
Rikhia significa la terra dei rishi. Ha una ricca storia spirituale, ma quando Sri Swamiji vi giunse nel 1989, era una terra sperduta, senza alcuna connessione col suo passato, senza legami percepibili col ventesimo secolo e apparentemente senza futuro. Per chilometri intorno al suo piccolo accampamento non c’erano strade, edifici, negozi o telefoni. Non c’era elettricità e non c’erano nemmeno alberi.
La gente in quell’area era la più povera e trascurata di tutta l’India, abbandonata dalla società e lasciata a lottare per sopravvivere. La condizione della vita di quelle persone era inimmaginabile. Mancavano loro perfino le cose più indispensabili: il cibo era scarso, vivevano in tuguri, non c’era acqua pulita, brandelli di stracci ricoprivano a malapena i loro corpi gracili e non esistevano medicine e assistenza sanitaria.
Si potrebbe credere a stento al livello di povertà di Rikhia e Swami Satsangi non aveva mai nemmeno concepito tanta miseria. Lei stessa non aveva mai conosciuto un giorno di fame in vita sua, nemmeno quando era all’estero e vendeva le ciabatte per procurarsi i pasti. Assistere alla situazione di Rikhia la scosse profondamente, sconvolgendo completamente la sua realtà: la ragazza super cittadina si ritrovò improvvisamente catapultata nel posto dell’India più sottosviluppato, desolato, vuoto e brullo, circondato da sofferenza e infelicità.
I primi anni a Rikhia richiesero modifiche di primaria importanza e c’erano molte sfide. Non sapendo nulla della vita rurale, Swami Satsangi dovette adattarsi al nuovo ambiente. Dovette imparare un modo del tutto nuovo di pensare e di essere mentre si adeguava alle abitudini poco familiari e allo stile di vita di Rikhia.
Alla ricerca di operai che aiutassero nei progetti dell’Akhara, cominciò a visitare i villaggi. Durante queste prime interazioni con le persone di Rikhia, osservava le loro usanze, il loro comportamento e la grande lotta che affrontavano ogni giorno semplicemente per sopravvivere. Queste persone sopportavano la loro sofferenza con tale accettazione che le sembrò che i suoi problemi svanissero al confronto.
Comprendendo le loro necessità, il cuore di Swami Satsangi si aprì alla loro difficile situazione. Eppure, per poterli aiutare e perché loro potessero aiutare lei, dovette farsi breccia nel patriarcato profondamente radicato nella vita dei villaggi e conquistare la loro fiducia in lei: una straniera e una donna che parlava inglese, andava in bici, non aveva idea delle loro usanze e poteva guardare qualunque uomo negli occhi. La volontà di Sri Swamiji era con lei e, abbastanza presto, non solo si era assicurata la fiducia degli abitanti dei villaggi, ma essi finirono anche per ammirarla e contare su di lei. Le donne aprivano il loro cuore a lei e gli anziani la consultavano su questioni importanti. Divenne la loro Madre.
Nel 1992 Sri Swamiji ricevette l’ordine divino di servire i suoi vicini e, improvvisamente, tutto divenne chiaro. In quei primi anni Swami Satsangi aveva compilato dettagliate informazioni su ogni persona in ciascun villaggio. Sapeva i loro nomi, la loro età e, cosa più importante, le loro necessità.
La lista era lunga, ma col mandato di Sri Swamiji era sicura che la qualità della vita nella regione sarebbe cambiata. Questo fu un momento importantissimo nella sua vita, che alimentò il suo spirito con risolutezza, azione e ispirazione. Liberandosi dagli ultimi legami della sua vita mondana, vendette il suo appartamento a Mumbai e incassò la liquidazione del suo ultimo lavoro. Così furono disponibili i fondi per avviare il progetto e furono messi in atto dei sistemi per dare speranza e dignità alla vita della gente di Rikhia.
Il primo passo era stato fatto. Coperte, indumenti, pentole per cucinare e cibo venivano distribuiti direttamente agli abitanti dei villaggi. La gratitudine delle persone era immensa; vedere il fortissimo impatto che un gesto così semplice poteva avere induceva in Swami Satsangi un senso di umiltà.
I progetti crebbero rapidamente includendo la costruzione di case, lo scavo di pozzi e il miglioramento della produttività agricola. Fu aperta una clinica per distribuire medicine; furono creati posti di lavoro; i bambini ricevettero un’istruzione e presto si accese una luce di speranza in molti cuori. Gli oggetti non erano dati come carità; no, era tutto prasad, il frutto del sadhana di Sri Swamiji che egli distribuiva gratuitamente.
Il lavoro iniziato in quei primi anni continua ancora oggi. Rikhia è fiorita e prospera come un centro per servire e dare.
Quello che era partito come il luogo tranquillo del sadhana di un sadhu è divenuto una destinazione di richiamo internazionale, un fiorente ashram e un luogo di pellegrinaggio che attira gente da tutto il mondo per servire, amare e dare.
Sri Swamiji ha portato Swami Satsangi a Rikhia, l’ha messa in braccio alla povertà eseguendo un intervento chirurgico unico al suo cuore. È lei la fondatrice di Rikhiapith in ogni senso: finanziariamente, amministrativamente e nella concretizzazione della visione di Sri Swamiji. Molte persone hanno contribuito con il loro tempo, denaro e sforzi, ma è il suo sogno e la sua creazione. Sri Swamiji diceva che è la sua maya; lei è la creatrice della realtà che vedete qui.
Swami Satsangi ha una personalità molto forte. Dice pane al pane e vino al vino. Una persona che si assume delle responsabilità deve essere molto forte. Naturalmente, dopo di me, porterà avanti benissimo il lavoro di Shivananda Math a Rikhia.
Swami Satyananda
“Nei primi anni lavorò molto duramente costruendo e apprendendo la vita di campagna. Poi la Bihar School of Yoga e Shivananda Math si offrirono di assisterla. Quando Swami Satsangi venne a Rikhia per la prima volta, ignorava tutto sull’India rurale e sulla vita rurale ma, da quando ha cominciato a vivere qui con me, naturalmente si è dovuta sintonizzare con questo ambiente”.
Swami Satyananda
“Swami Satsangi conosce uno a uno tutti gli operai e loro conoscono bene lei. A volte li delizia con ordini pungenti come: “Vuoi lavorare o no? Se non vuoi lavorare, allora vattene. Non ti abbiamo assunto per buttar via quaranta rupie ogni giorno”. Tutto il giorno essi discutono e controbattono a voce alta. Lei è ben nota in tutta quest’area”.
Swami Satyananda
Lo sviluppo di una visione
La trasformazione di Rikhia non è stata facile, specialmente nei primi tempi. Swami Satsangi dovette imparare a costruire case, scavare pozzi, piantare alberi, a preparare adeguatamente il terreno per l’irrigazione e la piantagione. Non sapeva nulla di queste cose quando arrivò, ma oggi conosce tutti i dettagli pratici. Conosce l’edilizia, l’idraulica, gli impianti elettrici e l’agricoltura dalla A alla Z e sa insegnare agli altri a fare queste cose. Sri Swamiji l’ha guidata nei primi anni, ma lei ha mandato avanti tutto da sé per la maggior parte del tempo. Adesso è un’esperta nei minimi dettagli di ogni progetto che viene attuato a Rikhia.
Una volta uno swami dalla Svezia donò una mucca. Sri Swamiji fu deliziato, perché le mucche sono sacre in India; dare una mucca a una persona è l’atto più puro che si possa compiere. Egli istruì Swami Satsangi sulla creazione di un piano per distribuire mucche alla gente di campagna. Da bambina aveva la passione per gli animali e teneva porcellini d’India e scoiattoli come animali da compagnia, ma questo andava ben oltre la sua esperienza con gli animali. Allora non sapeva neanche distinguere una mucca da un toro, essendo del tutto ignorante al riguardo e anche intimorita da animali tanto grossi. Tuttavia, Swami Satsangi è molto determinata e, una volta che si mette in testa qualcosa, niente la può fermare. Fece visita a un veterinario locale e scoprì tutto sulle mucche: come ispezionarle, quali problemi cercare, come stabilirne lo stato di salute, come mungerle, come dar loro le medicine e come badare nel complesso all’animale. Avendo imparato tutto quello che poté sulle mucche, visitava quindi le case delle persone che avrebbero ricevuto una mucca e scopriva tutto su di loro. Si assicurava che potessero prendersene cura nel modo appropriato, che sapessero capirne le necessità e che la mucca potesse avere un buon riparo. Era così per ogni cosa nuova che imparava; che si trattasse di gettare le fondamenta, scavare un pozzo o arare un campo, imparava il modo corretto di farlo, il modo migliore per farlo, e si accertava inoltre che ognuno intorno a lei imparasse esattamente. È così che gestiva Rikhia: con efficienza, cura e con un occhio per ogni minimo dettaglio.
La qualità più ispirante di Swami Satsangi è il suo totale impegno nel servire Sri Swamiji. Il lavoro che si svolge a Rikhia ne è l’espressione; è un’offerta al suo guru e lei questo non lo perde mai di vista. Sviluppare una visione del genere è un compito arduo e impegnativo, ma lei sostiene ogni lotta, ogni scompiglio con dignità e comprensione, ispirando gli altri a fare altrettanto. Si rende conto fin troppo bene delle tensioni, degli sforzi e del carico di lavoro. Ha una grande compassione e comprensione, ma conosce anche il valore della lotta e incoraggia gli altri a guardare più a fondo nelle difficoltà che affrontano per trarne la lezione più grande. L’ambiente che ha stabilito a Rikhia è un ambiente di sadhana pratico; non è un posto per lo yoga. Non c’è tempo per asana e pranayama. Come per un povero abitante dei villaggi che lavora sodo tutto il giorno per sopravvivere, la routine quotidiana è fissa e impegnativa. Questo è il sadhana. A Rikhia si impara che le tensioni quotidiane della vita possono servire come strumenti per sviluppare pazienza, accettazione e comprensione, attraverso cui si cresce in consapevolezza e devozione.
“Ci sono molti fattori da prendere in considerazione (nella donazione di una mucca) e Swami Satsangi lo sa. Le mucche sono esaminate dal nostro veterinario e completamente controllate per le malattie. Poi Swami Satsangi parla al capo del villaggio per decidere chi dovrà ricevere le mucche e per stabilire se possa imparare a mantenere bene una mucca. Il suo dipartimento è organizzato molto efficientemente. Nel computer ha i dettagli completi di tutte le famiglie che vivono in centinaia di villaggi in quest’area, cosa che talvolta non ha nemmeno il governo”.
Swami Satyananda
“A Rikhia abbiamo adottato da cinquemila a seimila bambini e bambine, kanya e batuk. Questi bambini poveri, umili, semplici, innocenti e miti sono tutti i bambini benedetti di Rikhia, nati dopo che io venni a vivere qui. Questi bambini non mi vedono mai, perché vivo in solitudine. È Swami Satsangi che organizza tutto e interagisce con loro, e questo lo ha fatto nel corso degli ultimi diciotto anni”.
Swami Satyananda
“Quando le ragazze videro Swami Satsangi parlare inglese così speditamente, furono sorprese. Rimasero ancora più sbalordite quando la videro alla guida di alcuni veicoli. Seguirono il suo esempio e così ebbe inizio il processo educativo fra le ragazze”.
Swami Satyananda
Modello comportamentale per kanya e batuk
Swami Satsangi è un modello comportamentale per la nuova generazione di Rikhia, specialmente per le kanya. Chiunque vada a Rikhia è a conoscenza delle kanya, le bambine dei villaggi che trascorrono tantissimo tempo in ashram. Queste bambine, considerate i membri più sottovalutati della società a causa della classe sociale e del sesso, ora conducono tutti i programmi che si tengono a Rikhia con sicurezza e abilità. Le mahayajna, che a volte raggiungono folle di diecimila persone, non riescono ad attenuare la loro sicurezza e compostezza. Le avete viste e ascoltate: sono professioniste! Il loro canto, anche dei più difficili stotra e path, è eseguito alla perfezione; esse conducono kirtan con disinvoltura, talvolta per ore senza stancarsi o lamentarsi. Danzano con eleganza e grazia, parlano un buon inglese e imparano l’utilizzo del computer con la massima facilità. Hanno assorbito tutto questo e altro da Swami Satsangi. Chi meglio di qualcuno come Swami Satsangi potrebbe insegnare alle bambine elasticità mentale e fiducia in se stesse? Il loro amore per lei brilla nei loro occhi e radiosi sorrisi illuminano i loro volti quando la vedono. Molte kanya dicono che vorrebbero essere come lei da grandi, anche loro vogliono essere forti e senza paura, vogliono essere felici, intelligenti e libere. Con la grazia di Sri Swamiji e la guida di Swami Satsangi, queste ragazze trascurate sono state elevate allo status di dee a beneficio dell’intera comunità.
Il lavoro dell’ashram di Rikhia coi bambini iniziò con le kanya e, dopo alcuni anni, furono inclusi anche i batuk, i bambini. I loro volti splendenti ed entusiasti adesso sono ben noti a tutti quelli che visitano Rikhiapith. Insieme alle kanya partecipano a tutte le attività, come condurre abhisheka e havan. La perizia dei batuk sul palco di danza è divenuta leggendaria. Durante gli eventi principali, i ragazzi Boogie Woogie Batuk incantano tutti con le loro speciali esibizioni. Questo è un modo per permettere loro di scoprire il proprio potenziale, esprimere la loro creatività, migliorare il livello della loro sicurezza e anche canalizzare la loro energia.
I bambini di Rikhia amano e ammirano Swami Satsangi. È lei che ha dato loro speranza, opportunità, sicurezza e amore. Motivata dal ricordo della sua infanzia felice e sicura, ha lavorato instancabilmente per accertarsi che tutti i bambini di Rikhia ricevessero lo stesso tipo di opportunità per diventare adulti sani e positivi. Come una madre premurosa, adesso si assicura pure che ogni bambino affidato all’ashram riceva due pasti sostanziosi al giorno, tramite il sankalpa di Sri Swamiji della Kanya Kitchen (cucina), che aprì i battenti nel 2010.
Sri Swamiji diceva spesso che aveva salvato Swami Satsangi dalle afflizioni del matrimonio e le aveva dato invece l’opportunità di essere madre per migliaia di bambini. Le kanya e i batuk di Rikhia sono i suoi figli.
“I sannyasin dovrebbero condurre la vita di Swami Satsangi. Dovrebbero rimanere felici nell’impartire la conoscenza e nell’eseguire i loro doveri. Un sannyasin dovrebbe servire tutti”.
Swami Satyananda
“C’è una qualità che Swami Satsangi possiede e che è rara in un discepolo. Le piacciono le persone che a me piacciono e accetta tutti quelli che io accetto. Di solito ai discepoli non piace nessuno che piaccia al guru. Lei è in grado di avere simpatia per quelli che mi piacciono”.
Swami Satyananda
“Un discepolo che è gurumukhi riesce a prevedere le necessità del guru ancora prima che gliene si parli. Swami Satsangi appartiene a questa categoria. Non ho bisogno di dirle che cosa mi serve o che cosa voglio che si faccia. Ci pensa lei per conto suo”.
Swami Satyananda
“Un sadhana particolare viene rivelato soltanto tramite un discepolo che è riuscito a praticarlo e a trarne i benefici. Così come il mio guru mi ha insegnato il kriya yoga e me ne ha rivelato la pratica, allo stesso modo, tramite Swami Satsangi, la pratica di tattwa shuddhi viene rivelata a tutti”.
Swami Satyananda
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Tratto da: Satya Ka Avahan – Invoking the Divine, anno 1, numero 2, Marzo-Aprile 2012, Sannyasa Pith, Munger, Bihar, India.
Editoriale
Il fatto di parlare di un’esperienza trascendentale toglie un po’ del suo lustro? Questa è una domanda che prima o poi nasce in ogni aspirante. Talvolta, diventato consapevole che non è quello il momento adatto l’aspirante, mentre narra un evento pieno di beatitudine, si fermerà a metà frase. In altri momenti potrebbe raccontarlo per poi rimanere con la scomoda sensazione che averlo fatto non era proprio in armonia. Tuttavia, vi sono delle rare occasioni in cui, condividendo la gioia di un momento divino, si crea di nuovo la beatitudine per se stessi e per chi ascolta. Si tratta di quelle occasioni in cui l’ego è sospeso e resta soltanto il fatto di dare: “Ciò che mi è stato donato, lo do a voi, poiché non era destinato soltanto a me”.
Ognuno di noi potrebbe diventare un mezzo per un dono di questo genere. Questo è un altro insegnamento che Sri Swami Satyananda ci sta impartendo attraverso i numerosi eventi miracolosi in cui sperimentiamo la sua presenza. “Date, date, date”: così disse. Abbandonate l’attaccamento ai vostri preziosi momenti di grazia. Dateli dappertutto intorno a voi credendo dal fondo del cuore che non vi furono dati perché siete degli eletti ma perché li possiate donare a ognuno. Percepite la particolarità di ognuno e, attraverso il vostro dare, sentitevi uniti nelle vostre particolarità. Oggi siete stati voi i trasmettitori. Domani sarà il loro turno. Attraverso questa mutua condivisione e questo dare reciproco, io e voi continueremo a ricreare e a raddoppiare l’infinita grazia del cosmo.
Swami Niranjan ci sta conferendo questa esperienza attraverso il racconto dei momenti più intimi dei suoi tirtha (pellegrinaggi, n.d.t.). Che ognuno di noi possa imparare ad amare e a condividere per il benessere di tutti!
Tutto è Brahman
“Fate in modo di sentire che lo stesso atman che è in voi ed è nel tempio, dimori nei recessi più intimi del cuore del povero e della persona ignorante. Amateli così come amate il vostro ishta devata. Serviteli con atmabhava. All’inizio potreste provare apatia e perfino ostilità, ma se coltivate sempre pensieri d’amore sicuramente vincerete. Siate sicuri di questa semplice verità. L’amore è vita e l’odio è morte. L’espansione del cuore è vita, la contrazione è morte. L’uomo dovrebbe morire una sola volta. Un avaro muore mille volte; un uomo debole ed egoista muore un milione di volte; una persona piena di odio muore ogni secondo della sua vita. Abbiate sempre un grande cuore. Sentite la forza “atmica” dentro voi stessi. Siate perfettamente disinteressati. Amate ognuno. Sarvam khalvidam Brahma. In realtà tutto è Brahman. Non vi è null’altro, null’altro”.
Swami Shivananda
Rendete Tenero il Vostro Cuore
Dio dimora in ogni cuore ma trova difficile vivere in un cuore sporco così come trovereste difficile vivere in una casa piena di sudiciume. Per ricevere la grazia di Dio bisogna mantenere pulita la sua dimora. Per fare sì che Dio dimori nel vostro cuore, per assicurarvi che vi rimanga sempre, che benedica voi e la vostra famiglia, pulite il vostro cuore.
Se il cuore è pulito i vostri pensieri saranno liberi da gelosia, avidità, lussuria, rabbia, vendetta, preoccupazione, paura e insicurezza. Questo è il barometro di una persona buona. I pensieri non fanno di voi una persona buona; sono il cuore, i sentimenti che vi rendono una persona buona. Dovete cambiare il corso dei vostri sentimenti. L’emozione attraverso cui sperimentate rabbia, passione e gelosia può essere portata a cambiare il suo corso. Tuttavia non è possibile che teniate qui metà della vostra parte emotiva e là l’altra metà. Rabbia e bhakti non vanno d’accordo. Qui non funziona la regola del cinquanta percento di qua e cinquanta percento di là. È necessario che vi sia una sublimazione delle emozioni al cento percento, un completo cambiamento di corso. Che cosa si ottiene con ciò? La grazia.
Dio dimora in coloro che hanno sublimato le emozioni e purificato il cuore. Quando il cuore è diventato puro attraverso una corretta gestione, Dio dimora in esso. Perciò il poeta Rabindranath Tagore dice:
“Ammorbidite i vostri prana attraverso l’affetto, l’amore, la compassione e la devozione; inondate ognuno di consolazione e togliete loro ogni afflizione”.
Swami Satyananda Saraswati
Le Colline della Trasmissione
Data: Settembre 2010
Occasione: Il pellegrinaggio di Swami Niranjan
Luogo: Mukteshwar, Colline Kumaon
L’antica catena di Lohitgiri delle colline Kumaon si erge come una torre e in cima alla vetta più alta, a 2.300 metri di altitudine, sventola una bandiera color vermiglio. Essa segnala una presenza alle colline più basse che la circondano: la presenza di Mukteshwar Mahadeva. Le vette distanti di Nanda Devi, Trishuli, Kedar, Badri e Nilakandan la illuminano e tutto intorno, assomiglianti a delle sentinelle, i cedri “deodar” sussurrano dolcemente come se stessero recitando dei soavi mantra. Sotto la bandiera, all’interno delle antiche mura del tempio di 355 anni, viene invocata un’idea più antica del tempo. La forma di Shiva che qui si adora è quella di Mukteshwar, chi offre mukti o liberazione.
All’interno del tempio un lingam di marmo bianco è collocato su una yoni di rame ed è circondato dalle immagini di Brahma, Vishnu, Parvati, Hanuman, Ganesh e Nandi. Dicono che in questa sacra dimora montana di Shiva, tutte le preghiere siano esaudite. Nel 1942 fu questo il primo posto dove si recò Sri Swami Satyananda dopo aver lasciato la casa natale, cercando un’indicazione per la sua ricerca di un guru e del sannyasa. Non vi è dubbio che in quel luogo la coscienza risvegliata guidò i suoi passi che lo portarono infine a Rishikesh e da Swami Shivananda.
Il 7 Settembre 2010 Swami Niranjan arrivò a Mukteshwar insieme a Swami Shivaraja per passare del tempo in solitudine e fare mantra anushthana. Dopo essersi sistemati in un alloggio a Mukteshwar, si avviarono in direzione del tempio in cima alla montagna per stabilire i particolari del sadhana.
A Munger Swami Niranjan, prima ancora della partenza per Mukteshwar, fece un sogno: Sri Swamiji, splendente e radioso, era dinnanzi a lui e gli diceva che a Mukteshwar avrebbe incontrato un sadhu il quale gli avrebbe dato un sadhana da fare e da perfezionare. Arrivato nella zona del tempio, Swami Niranjan cercò il sadhu e lo trovò: viveva in una caverna fangosa su un pendio sotto il tempio. Dopo le presentazioni e una conversazione generica, emerse il fatto che anche il sadhu in un sogno aveva avuto una visione del suo guru che gli aveva raccontato dell’arrivo di un sannyasin e che, per una grande causa, avrebbe dovuto trasmettere la sua vidya, la sua conoscenza, al sannyasin.
Nella notte del 7 Settembre un altro sogno confermò la luce guida dei guru. In questa occasione fu Swami Shivaraja ad avere la visione: Sri Swami Shivananda era seduto in profonda meditazione sotto un albero accanto ad un lago di montagna. Anche Sri Swamiji era seduto in profonda contemplazione sulla riva opposta del lago. La mattina seguente raccontò il sogno a Swami Niranjan e poi si allontanò per ordinare la colazione. Quando tornò, portava con sé il giornale di quel giorno. Sull’ultima pagina c’era un articolo di una pagina intera sui contributi di Swami Shivananda e di Swami Satyananda alla spiritualità. L’articolo portava il titolo: Achamatkari Adhyatma (La Spiritualità non miracolistica)!
Swami Niranjan iniziò il suo sadhana nel fausto giorno dell’8 Settembre, compleanno di Sri Swami Shivananda. Avrebbe iniziato ogni giorno alle cinque del mattino con un mantra anushthana di tre ore rimanendo nel proprio alloggio. Poi sarebbe andato a piedi fino al tempio e ci sarebbe rimasto dalle nove a mezzogiorno a recitare stotram, a fare japa e condurre Rudrabhisheka. Dopo un breve riposo, nel pomeriggio sarebbe tornato al tempio. Fra le due e le cinque avrebbe recitato gli stotram e ricevuto la vidya superiore dal sadhu all’interno della sua caverna. Di nuovo, iniziando di sera e continuando fino a tarda notte, dalle diciannove alle ventidue, nell’alloggio si sarebbe immerso nel mantra anushthana.
Nella notte dell’8 Settembre Swami Niranjan offrì la sua adorazione a Sri Swami Shivananda e poi si preparò per andare a dormire. Man mano che la sua coscienza andava sempre più in profondità, ebbe una visione: davanti a lui brillava uno Sri Yantra splendente che rifletteva dei raggi dorati e l’inequivocabile presenza di Swami Shivananda s’irraggiava dallo yantra.
Il 9 e il 10 Settembre avvenne un’altra cosa curiosa. Swami Niranjan, a conclusione del Rudrabhisheka nel tempio, usava sempre offrire alle divinità un prasad di ilaishi dana, palline di zucchero, e fare arati. In quei due giorni apparvero due grandi api che ronzarono intorno allo Shivalingam bianco, presero ognuna fra le zampe una pallina di zucchero e volarono via attraverso la porta. Questo potrebbe non sembrare per niente strano, ma il pandit del tempio sottolineò il fatto che una delle api aveva un grande segno color vermiglio o tika sulla testa e l’altra aveva sulla testa un segno bianco di pasta di legno di sandalo. “Esse rappresentano Shiva e Shakti”, disse, “e il fatto che abbiano scelto l’ilaichi dana indica che vi hanno sentito e che le vostre preghiere saranno esaudite”.
Il 12 Settembre, l’ultimo giorno del sadhana e anche l’anniversario del Giorno del Sannyasa di Sri Swamiji, Swami Niranjan e Swami Shivaraja uscirono dal tempio dopo aver concluso Rudrabhisheka e offrirono il loro pranam finale alle divinità. Tenevano tra le mani dei fiori di montagna che erano stati offerti al Signore Shiva. Mentre sostavano al cancello del tempio due piccioni, uno grigio e l’altro bianco come la neve, scesero dal cielo e si posarono sugli avambracci degli swami. Ciascun uccello prese col becco un fiore, sbatterono le ali e volarono via verso il cielo.
Riflettendo su questo strano fenomeno, i due swami si lasciarono alle spalle la salita del tempio e raggiunsero la caverna del sadhu. Quando egli seppe dei piccioni raccontò che Mukteshwar è anche un Pakshi Tirtha. Una volta l’anno i due piccioni, che si crede siano Shiva e Shakti, appaiono fra le montagne e chi è fortunato ne riceve il darshan. Gli swami si sentirono umili e benedetti davanti a queste straordinarie esperienze.
Il 12 Settembre era anche l’ultimo giorno della trasmissione di vidya dal sadhu a Swami Niranjan. Dopo che fu completato l’ultimo sadhana nella caverna, un’altra visione trascendentale colmò completamente Swamiji. C’era Sri Swamiji, seduto in mezzo ad uno yantra, che lo benediceva in abhaya mudra.
Il 13 Settembre Swami Niranjan e Swami Shivaraja partirono da Mukteshwar. Essi si misero in viaggio verso la casa della famiglia di origine di Sri Swamiji, vicino ad Almora, per rendere omaggio alla terra dove nel 1923 nacque Sri Swamiji e dove visse durante i suoi primi vent’anni di vita. Da lì viaggiarono fino a Naintal ed ebbero un unico darshan di Naina Devi presso il suo santuario sul lago Naini.
A Naintal ebbero anche il darshan della caverna dove aveva vissuto la Yogini Sukhman Giri. Quando studiava a scuola a Naintal, Sri Swamiji incontrò questa yogini tantrica del Nepal accanto al lago. La invitò ad alloggiare nella sua tenuta di famiglia ad Almora e là lei gli insegnò i vidya tantrici che sono in relazione con la kundalini e con i chakra, e lo invitò a trovare il giusto guru. In riconoscimento del suo contributo allo sviluppo della sua vita spirituale, Sri Swamiji ha chiamato un lotto di terra a Rikhiapith Sukhman Marhi, la dimora di Sukhman.
Terminata l’ultima fermata a Naintal, nella colline Kumaon, gli swami tornarono in pianura.
Satsang con Sw. Satyananda e Sw. Shivananda
Tratto da: Calendario 2014, Aprile, Maggio, Giugno, Shivananda Math, Rikhiapith, Deoghar, Jharkhand, India.
APRILE
Satsang con Swami Satyananda Saraswati
Dio mi disse: “Swami Satyananda, fino a quando non accumulerai ricchezza per il tuo benessere e lusso, avrai tutto quello che vorrai”. Madre Lakshmi ha staccato un assegno in bianco, ma non è per la mia agiatezza personale. Che si tratti del terremoto in Bhuj o della catastrofe in Orissa, posso spendere quanto voglio per le misure di assistenza alle popolazioni colpite dai disastri. Quel dono divino c’è sempre. È un servizio alla nazione. Voglio far rilevare un punto. La tendenza ad accumulare e ammassare proprietà dà origine ad una condotta sbagliata, porta a processi di pensiero indesiderabili e ad attitudini empie. Invece, la tendenza al sacrificio produce un totale cambiamento nell’espressione, nel comportamento e nel modo di pensare dell’uomo. Questa è la dichiarazione dei nostri saggi e profeti. Se riempite una bottiglia di acqua e non la usate, l’acqua imputridisce. Se l’acqua continua a scorrere, non imputridisce mai. Questa dovrebbe essere l’attitudine del comportamento umano: il servizio e non moksha.
I santi sono nati per aiutare gli altri, per servire gli altri. Santi e asceti non nascono per cercare la propria liberazione: non è la loro missione. I capifamiglia cercano la liberazione, le persone comuni cercano la liberazione o la salvezza finale perché sono infelici. Chi è in schiavitù ha bisogno della libertà. Chi si sente prigioniero vuole essere liberato. Se sentite che questo mondo è una vera e propria schiavitù, solo allora cercherete la liberazione da quella schiavitù.
Ma perché dovrei cercare la liberazione? Che cosa farò nell’altro mondo? Potrei essere felice anche nell’altro mondo dove servirò Dio. Sono anche perfettamente a casa a Rikhia. Se dovrò spostarmi da qualche altra parte domani, sarò felice lì. Io resto felice in qualsiasi situazione, paese, associazione, abito, sfumatura e colore, in ogni circostanza. Mi adatto a qualunque modo e maniera. Santi e profeti non cercano mai la liberazione finale: non ne hanno bisogno. Hanno bisogno di moksha solo quelli che sono in catene, in schiavitù, che sono infelici, che si trovano in terribili tormenti, che sono frustrati e preoccupati. Uno che è malato ha bisogno del dottore.
La più grande debolezza dell’uomo è l’avarizia. I deva rincorrono il godimento, i demoni sono crudeli e gli esseri umani sono avari. Quindi i deva devono imparare l’autocontrollo, i demoni devono imparare a essere gentili e gli esseri umani devono imparare a dare.
La mia filosofia è molto semplice. Tutto il panchayat (distretto) è il mio ashram. Ogni casa qui è la mia casa. I loro dolori e piaceri sono i miei. La loro povertà è la mia povertà e la loro felicità è la mia felicità. Se qualcuno è malato, è un residente del mio ashram che è malato. Questa non è una filosofia sociale, è filosofia vedantica. Dovete vedere voi stessi in tutti e dovete vedere tutti in voi stessi.
Messaggio di Swami Shivananda: la Pazienza
La pazienza è forza. È il sostegno della debolezza. È il potere più grande e sublime. La pazienza può fare meraviglie. Può spostare le montagne. Il lavoro paziente può ottenere qualunque cosa al mondo. Supererà ogni ostacolo nella ricerca della verità. Una persona paziente può avere quello che vuole. Tutto arriva se aspetterete. Sapere come aspettare è il grande segreto del successo. La pazienza sta alla radice di ogni piacere. La pazienza sviluppa la forza di volontà e la capacità di resistenza. Siate pazienti nelle piccole cose. Imparate a sostenere le prove e le seccature quotidiane con calma e tranquillità. Svilupperete grande forza e saprete sostenere dure calamità, privazioni, sofferenze e avversità. La pazienza rafforza lo spirito, addolcisce il carattere, spegne l’ira, sviluppa la forza di volontà, estingue la gelosia, soggioga la superbia, controlla l’organo della parola e tiene a freno la mano.
MAGGIO
Satsang con Swami Satyananda Saraswati
La yajna ha tre componenti essenziali. La prima è l’adorazione della divinità. La seconda comprende l’installazione rituale e il canto di mantra. La terza è dare e ricevere. Il povero, il misero, il benestante, tutti devono partecipare alla yajna. La yajna non può essere completa senza daan o donare. Questa era la tradizione quando Sri Rama governava la terra. La tradizione era seguita durante il periodo Dwapara e la stessa tradizione dovrebbe essere seguita anche nell’epoca attuale, il Kali Yuga.
Nei tempi antichi il Re Harshavardhana, alla conclusione dello svolgimento della Rajasuya Yajna, donò tutta la sua proprietà personale. È un fatto storico, non un mito. Egli aveva partecipato al Maha Kumbha al Prayag. Lì diede via tutti i suoi possedimenti personali e da allora mangiò i suoi pasti su piatti di foglie, bevve acqua da una scodella di terracotta e dormì sulla nuda terra. Pensate, l’Imperatore dell’Hindustan diede via tutto quello che possedeva e dormì per terra! Lo fece perché l’offerta è una delle tre componenti della yajna.
Il procedimento dell’offerta è molto semplice. Prima di offrire gli articoli del prasad alla Madre, prepariamo una lista. Poi preghiamo affinché, dopo che gli articoli le sono stati offerti, siano distribuiti da Lei come prasad alle persone che ne hanno più bisogno. Una volta che Lei dà la sua approvazione, vengono distribuiti. Dare significa che anche voi date e anche io do. Voi presentate le vostre offerte alla Madre Divina e la Madre Divina vi dà il suo prasad in cambio. Il prasad che ho distribuito consiste nelle offerte fatte da voi alla Madre Divina.
Oggigiorno il significato di quest’offerta è preso molto alla leggera. Le persone imparano a prendere nel grembo della loro madre. Le yajna ci istruiscono sull’offrire. Offrire non indica solo il dare. Se tirate fuori qualcosa dalle vostre tasche e la consegnate a qualcuno, quella non può essere veramente un’offerta. Il sentimento di offrire tutto quello che avete, compresa la vostra vita, è veramente un’offerta nel senso più autentico.
Messaggio di Swami Shivananda: la Misericordia
La misericordia è compassione o benevolenza. La misericordia è sublime bontà. Essa conosce e comprende le sofferenze degli altri ed è pronta ad aiutarli. Misericordia, compassione, sensibilità e pietà sono virtù dello stesso genere. La misericordia è la prima fra esse. È divina. Include non solo la compassione, ma anche il perdono, l’amore e il servizio. La persona misericordiosa serve e ama chi le ha fatto un torto. Abbiate compassione per le sofferenze degli altri. Siate misericordiosi nei vostri giudizi sugli altri. Ricordate i vostri difetti, fragilità e debolezze. Non criticate gli altri tanto facilmente e siate generosi verso quelli che commettono azioni cattive. La misericordia è un grande potere. È forza intensa e dà forza. La misericordia apre la porta della libertà, dell’immortalità e della beatitudine eterna. Rende il cuore ristretto grande come il cielo e dona le ali per volare alti nel regno della Pace Suprema.
GIUGNO
Satsang con Swami Satyananda Saraswati
Swami Shivananda sottolineava sempre che servire gli altri è il trampolino di lancio verso la vita spirituale. Nishkama seva, il servizio disinteressato, è necessario per la trasformazione di sé e per purificare l’aspetto tamasico e rajasico della mente. Servizio disinteressato non significa soltanto lavoro, dovete sentirlo nel cuore.
Le persone sono così impegnate a correre dietro ai soldi che non hanno tempo per il servizio disinteressato. Il nucleo familiare è l’inizio e la fine di tutto l’egoismo. Nessuno si preoccupa della famiglia di qualcun altro. In India, se visitate quaranta case, vi imbatterete in ristrettezze, sofferenza, povertà, oscurità e abbattimento. Milioni e milioni di persone non hanno riparo, cibo, attrezzature per cucinare, il bagno e nemmeno l’acqua per bere.
Che cosa avete fatto per queste persone? Perdete il vostro tempo se lottate soltanto con la vostra mente ventiquattro ore al giorno. Per trovare la pace della mente non dovete andare in un tempio o in chiesa. Non dovete diventare un sannyasin o uno yogi. Non dovete praticare asana, pranayama o meditazione. Fate soltanto quello che potete con la vostra mente, conoscenza, influenza e forza per aiutare i bisognosi.
Potreste praticare raja yoga, gyana yoga e bhakti yoga quanto volete, ma essi calmano la mente solo per un tempo limitato. Per produrre un cambiamento è necessario coinvolgere la vostra mente e le vostre emozioni e per questo serve un sistema.
Per trattare con la mente, datele un compito appropriato che le piaccia, dedicatela al servizio di un ideale che la renderà felice. La mente gioisce nel servire i bisognosi, nello scoprire i problemi degli altri e nell’offrire aiuto. Che siate giovani o vecchi, ricchi o poveri, competenti o incompetenti, ci si può occupare della mente solo con una programmazione sattwica di dedizione e sacrificio di sé.
Se pensate alla sfortuna degli altri, la mente si intenerisce. Immaginate di avere dieci o ventimila rupie e che vi venga in mente il pensiero di aiutare i poveri con quel denaro. Se fate davvero qualcosa per aiutare i poveri quel giorno, la vostra mente sarà molto soddisfatta e piena di pace. Vi sentirete così in pace che non riuscirete a esprimerlo a parole.
Ho vissuto una vita spirituale per più di sessant’anni. Ho praticato ogni forma di yoga, ma alla fine ho scoperto che quando ho cominciato a pensare agli altri, Dio ha cominciato a pensare a me. Il mandato che ricevetti da Dio di avere cura dei miei vicini mi ha portato a chiedermi come il mondo avrebbe potuto trarre beneficio dal mio guadagno e dalla mia realizzazione spirituale. Avvenne una metamorfosi nella mia personalità, nel mio modo di vivere e nel mio destino. Ho cambiato il mio insegnamento e il mio modo di pensare.
Servite l’umanità, quelli che sono malati, poveri, cattivi, che vogliono la vita spirituale, che vogliono il vostro amore. Il vostro dharma è lavorare per gli altri. Finché il vostro cuore non si aprirà alla sofferenza e all’infelicità degli altri, il vostro sadhana sarà inutile, come versare dell’acqua in una bottiglia chiusa. Qualunque servizio fate per gli altri vi aiuta a purificarvi. Il servizio disinteressato agisce come un detergente e lava via lo sporco del karma. Per fare esperienza della vita spirituale vivendo nel mondo, espandete lo scopo del vostro sadhana da asana, pranayama, japa e meditazione fino a includere il servizio ai bisognosi.
Beve un fiume le sue stesse acque? I frutti e gli ortaggi mangiano se stessi? No, danno tutto a noi. Questo è paramartha, il servizio più alto. Servire gli altri disinteressatamente, fare del buon lavoro per gli altri senza nessun altro motivo diventerà la filosofia sociale del ventunesimo secolo. Sarà un’epoca in cui ognuno avrà un pensiero per gli altri. Pensare agli altri è pensare a Dio. Adorare gli altri è adorare Dio. Questa è una lezione che coloro che stanno percorrendo il cammino spirituale devono imparare. Il servizio disinteressato è un sadhana spirituale completo.
Messaggio di Swami Shivananda: la Magnanimità
Generosità, nobiltà di sentimenti, cavalleria, grandezza di cuore, nobiltà d’animo sono sinonimi di magnanimità. La magnanimità è quell’elevazione o dignità d’animo che affronta il pericolo e l’incomodo con tranquillità e fermezza, che pone chi la possiede oltre la vendetta e lo fa gioire degli atti di benevolenza, che gli fa disdegnare l’ingiustizia e la meschinità e lo ispira a sacrificare la comodità, l’interesse e la sicurezza personale per la realizzazione di obiettivi utili e nobili. Una persona magnanima è elevata nei sentimenti. È coraggiosa e generosa. Disdegna le tentazioni, ciò che è vile e meschino e lo sfarzo e la sontuosità terreni. La magnanimità è grandezza d’animo. È elevazione della dignità, della mente. È quella qualità della mente che innalza una persona oltre tutto ciò che è vile o ingiusto. È generosità. È nobiltà.
Hatha Yoga Pradipika
Tratto da: Sw. Muktibhodhananda Saraswati, Hatha Yoga Pradipika, Yoga Publications Trust, Munger, Bihar, India.
Verso 10 – Capitolo II
Quando il prana è inspirato dalla narice sinistra, deve essere espirato dall’altra. Quando è inspirato dalla destra, trattenetelo all’interno e poi espirate dall’altra narice. Lo yamini che pratica in questo modo, con la narice destra e la sinistra, purifica in modo alterno tutte le sue nadi nell’arco di tre mesi.
Se state appena imparando il pranayama, potreste facilmente confondervi su quale sia la narice con cui dovete respirare. Dovete mantenere la consapevolezza di quello che state facendo. Dopo l’inspirazione, si trattiene il respiro e poi si espira dalla narice opposta. Quindi inspirate dalla stessa narice da cui avete espirato. Dopo qualche settimana di pratica diventa un modello ritmico e non ci sarà più confusione.
In questo verso è stato omesso un fattore importante e cioè il giusto rapporto di inspirazione/ritenzione/espirazione. Non basta praticare pranayama soltanto inspirando ed espirando. Si deve contare la durata di ogni respiro. Iniziate prudentemente col rapporto 1:1:1, anche se siete in grado di trattenere il respiro più a lungo. Dopo una settimana o più potete aumentare il rapporto a 1:2:2 e da lì proseguire.
La durata di ogni respiro dovrebbe aumentare gradualmente. Per esempio, supponendo che iniziate inspirando per un conto di 3, trattenendo per 6, espirando per 6, ogni tre giorni potete aumentare la durata di ogni fase di un conto fino a quando raggiungete la vostra capacità. Il pranayama deve essere sviluppato lentamente e sistematicamente, in modo che i polmoni e il sistema nervoso non siano mai danneggiati in alcun modo. Per questo si raccomanda sempre di praticare pranayama soltanto sotto la guida di un insegnante o di un guru.
Secondo il Gherand Samhita: “Ci sono tre stadi di pranayama. Nel primo stadio, l’inspirazione è per 12 matra o unità di tempo, la ritenzione per 48 e l’espirazione per 24. Nel secondo stadio, l’inspirazione è per 16 matra, la ritenzione per 64 e l’espirazione per 32. Lo stadio più alto è con l’inspirazione di 20 matra, la ritenzione di 80 e l’espirazione di 40”. (5:55) Nello stadio finale e completo del pranayama, si fa la ritenzione anche dopo l’espirazione.
Il tempo di ogni matra o conto è molto importante. Oggi si può usare un metronomo, ma tradizionalmente c’erano quattro modi per stimare il tempo: 1) il tempo che ci vuole per fare un cerchio intorno al ginocchio e schioccare le dita; 2) il tempo che occorre per battere le mani tre volte; 3) il tempo che ci vuole per inspirare ed espirare nel sonno profondo; 4) il tempo impiegato per cantare Om. Naturalmente, durante la pratica di pranayama, non è pratico schioccare le dita, ecc. Il conto deve essere fatto mentalmente in modo calmo: uno, Om, due, Om, tre, Om…
Quando il pranayama viene eseguito senza la ripetizione di mantra, è noto come nigarbha. Quando si ripete il mantra con l’inspirazione/ritenzione/espirazione, è noto come sagarbha. Il metodo di sagarbha nadi shodhana dato nel Gherand Samhita si effettua “inspirando (attraverso la narice sinistra) mentre si ripete il vayu bija mantra (yam) per 16 matra, trattenendo il respiro mentre si ripete yam per 64 matra ed espirando attraverso la narice destra mentre si ripete il bija mantra per 32 matra. Quindi elevando il “fuoco” dalla radice dell’ombelico, contemplate la sua luce associata all’elemento terra. Ripetendo l’agni bija (ram) per 16 matra, inspirate attraverso la narice destra e trattenete il respiro mentre ripetete ram per 64 matra”. Questo è il metodo tradizionale ma ci sono delle varianti.
Swami Shivananda di Rishikesh, per esempio, descrive un metodo di nadi shodhana che comprende la visualizzazione del processo di purificazione. Contemplate la sfera luminosa della luna sulla punta del naso. Inspirate dalla narice sinistra ripetendo tham per 16 matra. Eseguite la ritenzione mentre ripetete vam per 64 matra ed immaginate il nettare che fluisce attraverso le nadi purificandole. Quindi espirate dalla narice destra mentre contemplate fermamente il mantra lam per 32 matra, cioè il rapporto 1:4:2. Tuttavia, non sono necessari rapporti così lunghi di inspirazione/ritenzione/espirazione. Il rapporto deve essere adattato alla capacità individuale.
Durante la pratica di pranayama cercate di ridurre il movimento del respiro al minimo e di aumentare la durata della respirazione al massimo. Se vi accorgete che rimanete senza fiato o che diventate irrequieti ed esausti, state forzando il respiro e dovete ridurre il rapporto e il conto. Se compaiono bolle, foruncoli, diarrea, costipazione o febbre, molto probabilmente ciò è dovuto al fatto che le nadi si stanno riequilibrando e purificando. Comunque, dovreste controllare che la vostra dieta e il vostro stile di vita siano adeguatamente equilibrati e regolari e che la vostra pratica di asana sia sistematica.
Yogi Swatmarama asserisce che nadi shodhana purifica le nadi in tre mesi. Naturalmente, devono essere soddisfatte anche altre condizioni affinché ciò avvenga. Dovete praticare regolarmente per periodi prolungati, dedicando molte ore soltanto alla pratica di pranayama. Probabilmente, se si praticasse lo stadio finale di nadi shodhana col rapporto 20:80:40:60, le nadi sarebbero purificate in tre mesi. Per la maggioranza delle persone ci vorrà di più. Se regredite a uno stile di vita indulgente, le nadi torneranno di nuovo impure. Certe discipline vanno mantenute finché la kundalini sia risvegliata, altrimenti ritorneranno le vecchie condizioni.
Verso 11
Si dovrebbe praticare alla perfezione la ritenzione quattro volte al giorno: al mattino presto, a mezzogiorno, alla sera e a mezzanotte, in modo da arrivare gradualmente a mantenere la ritenzione fino a ottanta (conti per volta).
Coloro che si dedicano completamente a una vita di hatha sadhana dovrebbero praticare pranayama nei quattro orari specificati ma, naturalmente, col nostro attuale stile di vita e con gli impegni sociali, pochi di noi lo troverebbero possibile. Per la persona media è sufficiente praticare una volta al giorno. È meglio alzarsi al mattino presto, fare la doccia, fare neti/kunjal se necessario, poi asana e pranayama. Se avete anche l’opportunità di praticare sadhana di sera, allora fatelo prima di mangiare.
Gli orari specificati per la pratica sono importanti riguardo ai ritmi del corpo e alle attività solari e lunari. In quelle ore c’è un cambio nei ritmi del corpo e delle energie esterne ed è più probabile che sushumna nadi diventi attiva.
Mattino presto significa un’ora e mezzo prima del sorgere del sole e si chiama brahmamuhurta, “il periodo di Brahma”. In questo periodo la mente subconscia è attiva e se allora state dormendo, è molto probabile che sognate. È un momento in cui le esperienze inconsce si manifestano più facilmente.
La sera, intorno al momento del tramonto, si chiama sandhya. Sandhya è l’incontro fra il giorno e la notte. Rappresenta il momento in cui ida e pingala si uniscono con sushumna in agya chakra. Le influenze esterne dell’alba o dell’inizio della sera coinvolgono i ritmi e le funzioni del corpo, rendendolo adatto all’unione dei prana in sushumna.
Allo stesso modo, a mezzanotte e mezzogiorno c’è un cambio nelle energie esterne e interne. Tutto diventa tranquillo. Mezzanotte in particolare è il momento per i sadhaka di risvegliare shakti. Si chiama “l’ora delle streghe”, perché i “fantasmi” della mente diventano attivi. Di notte le funzioni cerebrali operano in maniera diversa e vengono rilasciati ormoni chimici diversi.
In questi precisi momenti c’è un cambiamento nei livelli di energia in ida e pingala. Durante ogni ciclo di ida e pingala ci sono fasi di massima e di minima in cui l’energia raggiunge un picco o un calo. Tra un ciclo e l’altro c’è un periodo in cui l’energia è stabile e, perciò, quello è il momento più adatto per il sadhana e la ritenzione del respiro. Dunque, i periodi raccomandati per la pratica della ritenzione sono stati scelti in base alle attività praniche e biologiche che avvengono.
Per molte persone non è consigliabile praticare pranayama a mezzanotte, a meno che non venga specificamente indicato dal guru. Se praticate a quell’ora, ciò disturberà il normale modo di vivere e le persone che vivono intorno a voi vi riterranno assurdi. Inoltre, poiché a quell’ora la mente inconscia diventa attiva, se giungono in superficie impressioni negative, potreste avere esperienze spaventose che potreste non riuscire a gestire.
Se praticate pranayama al mattino o alla sera e vivete una vita semplice, i vostri pensieri puri esorcizzeranno questi “fantasmi” e così si svilupperanno esperienze positive. Finché la mente e il corpo non sono purificati, procedete lentamente con le vostre pratiche secondo le istruzioni del guru. Non siate esageratamente entusiasti.
Il pranayama si dovrebbe eseguire in proporzione corretta rispetto ad altre pratiche e alle altre attività della vostra routine quotidiana. Nel vostro sadhana dovrebbero essere integrate anche altre forme di yoga per uno sviluppo equilibrato della personalità. Una persona che si butta a capofitto nel sadhana non può mantenerne il programma per molti anni. Aumentate gradualmente il vostro sadhana secondo il tempo a disposizione e le vostre capacità mentali, psichiche e fisiche.
Non ci sono soltanto momenti particolari del giorno indicati specificamente per la pratica di pranayama, esistono anche raccomandazioni stagionali. Il Gheranda Samhita elenca i periodi dell’anno in cui si dovrebbe praticare l’hatha yoga: “Non si dovrebbe iniziare la pratica dello yoga in queste stagioni, cioè in hemant, l’inizio dell’inverno, shishira, l’inverno inoltrato, grisma, l’estate, e varsha, la stagione monsonica. Se si pratica, lo yoga causa malattia. È scritto che si dovrebbe cominciare la pratica dello yoga in vasant, la primavera, e sharad, l’autunno. In questo modo lo yogi ottiene il successo e diviene veramente libero dalle malattie”. (5:8,9)
Verso 12
All’inizio c’è sudorazione, nello stadio intermedio tremore, nello stadio più elevato completa stabilità e perciò il respiro deve essere trattenuto.
Quando il corpo e la mente sono purificati e la quantità di prana è aumentata, durante il pranayama si manifestano vari sintomi fisici. Il corpo si scalda per la maggiore attività del sistema nervoso simpatico. Se suda malgrado il tempo freddo, il risveglio pranico si è certamente verificato. È possibile che capitino vampate di calore, oppure potreste anche non notare alcun eccesso di calore.
Nel secondo stadio, ci potrebbero essere brividi o sensazioni lungo la colonna vertebrale, o magari contrazioni involontarie delle mani, del volto e di vari altri muscoli. Quando la mente, il corpo e il respiro diventano completamente stabili, la pratica è quasi perfetta. Lo stadio finale è quando il respiro cessa spontaneamente di muoversi.
All’inizio, quando il flusso pranico diviene intenso, le parti periferiche del corpo possono vibrare. Gli impulsi sfrecciano attraverso il sistema nervoso centrale e creano sensazioni di prurito o formicolio. Il prana si accumula in differenti regioni e può creare strane sensazioni nel torace, nell’addome, negli intestini o negli organi escretori e a volte giungono suoni sibilanti dal basso intestino o dal passaggio escretorio.
Il Gherand Samhita dichiara: “Il primo stadio del pranayama dà calore, lo stadio intermedio produce tremore, specialmente nella colonna vertebrale, mentre lo stadio finale del pranayama porta alla levitazione”. (5:56) Lo Shiva Samhita asserisce anche: “Con la forza della pratica costante lo yogi ottiene bhuchari siddhi (il controllo sull’elemento terra). Egli si muove come una rana che salta sul terreno quando è spaventata dal battito delle mani”. (3:46) Si possono ottenere varie siddhi o perfezioni col risveglio dei diversi chakra.
Il primo centro o chakra che dovrebbe essere attivato è muladhara. Muladhara è l’origine dell’elemento terra. Che cosa rappresenta l’elemento terra? “Terra” significa la qualità della coesione, del peso e della gravità. È associata al senso dell’olfatto e controlla la struttura fisica di base del corpo. Quando la kundalini si eleva da muladhara, si dice che avvenga la levitazione perché la forza magnetica dentro di voi, che normalmente vi trattiene a terra, subisce un cambiamento. Diventate leggeri come una piuma.
Il flusso di prana si può comprendere in termini di raggi di luce. La scienza finora ha definito la luce in due modi: uno come onde, l’altro come particelle. Si dice che le onde e le particelle vibrino a diverse velocità e frequenze, creando così i vari colori dello spettro luminoso, ma quando le onde o le particelle si muovono simultaneamente in linea retta, allora si ha un raggio laser. Similmente, nel corpo, ida e pingala rappresentano le onde di luce fluttuanti. Se l’intensità della loro vibrazione aumenta e funzionano assieme invece che in modo alternato, si muoveranno insieme attraverso il passaggio centrale, sushumna, come un raggio laser. Quella è la kundalini e in quel momento non ci possono essere condizioni estreme nel corpo.
Quando la kundalini shakti raggiunge il centro più alto, sahasrara, vi rimane per un certo periodo. Tutto diviene calmo, non c’è creazione, non c’è respiro. Il prana è mantenuto nel centro più alto del cervello, unito alla coscienza.
Verso 13
Strofinando il corpo con il sudore derivante dalla fatica (del pranayama), il corpo ne trae fermezza e stabilità.
Quando il corpo è impuro, le impurità vengono eliminate attraverso i pori della pelle sotto forma di sudore. Quando il corpo è stato purificato, soltanto acqua, sale e ormoni vengono eliminati attraverso la pelle. Quando il corpo si scalda a causa del pranayama, si può perdere troppa acqua. Lo Shiva Samhita afferma: “Quando il corpo suda, sfregatelo bene, altrimenti lo yogi perde il suo dhatu”.
Ci sono sette dhatu noti come sapta dhatu: sangue, grasso, carne, ossa, midollo, pelle e seme/ovuli. Per mantenerli, vengono prodotti determinati ormoni e, quando non si possono immagazzinare, sono espulsi dall’organismo. Se c’è sudorazione dovuta al pranayama, vengono rilasciati degli ormoni inutilmente. Perciò si deve frizionare il sudore per farlo assorbire alla pelle, in modo che gli ormoni vengano riassorbiti dai pori. Questo aiuta anche a riequilibrare l’organismo e a tonificare i nervi e i muscoli.
Verso 14
Negli stadi iniziali della pratica, si raccomanda cibo costituito da latte e ghi. Dopo essersi stabiliti nella pratica, tali restrizioni non sono più necessarie.
Quando un sadhaka comincia a praticare il pranayama, il metabolismo fisico subisce un cambiamento. Il ritmo cardiaco e la pressione sanguigna si attivano e tutti i processi dell’organismo ricevono energia. Le secrezioni digestive e i processi escretori sono stimolati. Per aiutare a mantenere l’equilibrio fino a quando il corpo non si adatta, si consiglia di assumere del latte perché ha un effetto neutralizzante sul corpo e aiuta a lubrificare l’organismo. I derivati del latte aiutano ad aumentare i grassi che sono importanti per isolare il corpo quando aumenta il prana altrimenti, se i grassi sono utilizzati velocemente, potreste squilibrare il sistema energetico. Se i grassi sono bruciati prima di essere distribuiti, le funzioni linfatiche migliorano. Il sistema linfatico rilascia i grassi nel corpo dal tratto digerente. Il pranayama influenza direttamente questo meccanismo.
C’è un altro fattore importante: il latte contiene ormoni animali che hanno un effetto diretto sul corpo e sulla mente. Il pranayama può suscitare uno stato alterato di coscienza, ma gli ormoni animali aiutano a mantenere il normale funzionamento della coscienza. Se le esperienze psichiche avvengono troppo rapidamente, prima che la vostra mente sia pronta, avrete delle difficoltà da affrontare. Una volta che tutto l’organismo si è adattato, non è più necessario prendere il latte. Il Gherand Samhita inoltre afferma che: “Bisognerebbe prendere il cibo due volte al giorno, una volta a mezzogiorno e l’altra alla sera”. (5:32) Quando si pratica pranayama, lo stomaco deve essere completamente vuoto e, dopo la pratica, non si dovrebbe assumere cibo per almeno mezz’ora. Un cibo leggero, facilmente digeribile e nutriente facilita la pratica del pranayama.