Sono stato a Rikhia – l’ashram in cui Paramahamsa Satyananda nell’ultima parte della sua vita si era ritirato in meditazione – numerose volte, non ricordo quante. Ci sono andato partendo da Munger negli anni in cui soggiornavo lì per frequentare i Corsi Insegnanti o il Sannyasa Training Course. Diverse altre volte sono partito direttamente dall’Italia più che con l’intento, con la speranza di poter nuovamente incontrare questo grande Guru.
Negli ultimi anni Paramahamsa Satyananda si mostrava poco, ma io ho sempre avuto fortuna: ogni volta che sono tornato a Rikhia, mi è stato concesso il privilegio d’avere il dharshan di Paramahamsaji. Ed ogni volta che sono stato ammesso alla sua presenza, egli mi è apparso – questo è lo straordinario – come in una veste diversa. Non so dire se ciò sia dipeso dal mio modo di percepire o dal suo modo di presentarsi. Fatto sta che mi sono trovato ogni volta davanti allo stesso uomo, ma sotto aspetti così diversi da sembrare a volte quasi contraddittori. Ho potuto vedere in lui il vecchio saggio compassionevole che comprende ed incoraggia. Il severo maestro intransigente che redarguisce in maniera aspra chi gli sta davanti prima ancora che questi possa aprir bocca. Ho visto in Paramahamsa Satyananda l’indomito, fiero conquistatore di anime. Ho ammirato il suo sguardo carezzevole posarsi sul discepolo come quello di un nonno affettuoso sul figlio del figlio.
Ho visto dardeggiare il lampo dei suoi occhi quando aveva da poco terminata la pratica di Panchagni ed allora ho dovuto repentinamente abbassare i miei per non essere accecato da quella folgore. Dalle sue labbra sono giunte al mio orecchio parole a volte dolci come miele. A volte la sua voce ha tuonato così potente da mettermi paura. Sempre, comunque, le sue parole hanno raggiunto la camera più segreta del mio cuore.
L’ultima volta che ho avuto l’onore di vederlo, egli ha proferito, rivolto ad un folto gruppo di indiani e di occidentali tra i quali mi trovavo, parole di una forza e, insieme, di una semplicità sconvolgenti: “Quando costruite una casa non costruitela soltanto per voi, costruitela per gli altri, ogni volta che cucinate, non cucinate soltanto per voi, cucinate per gli altri”. Parole piane, eppure impegnative da tradurre in atti. Sono le ultime sue parole che ho ascoltato. Come un lascito. Non le potrò scordare.
