Era il 20 settembre 1982 e mi trovavo all’areoporto ad aspettare Paramahansa Satyananda, il quale stava arrivando a Trieste per la prima volta. Non l’avevo mai conosciuto anche se praticavo yoga dal 1978, dato che mi aveva apportato numerosi benefici, oltre a farmi porre delle profonde domande alle quali non sapevo dare risposta. Avevo che “quando il discepolo è pronto, il guru arriva”. E benché sembrasse impossibile a quell’epoca che un guru potesse arrivare fin qui a Trieste, nella mia fantasia lui arrivava perché io desideravo che venisse.
Quando lo vidi arrivare, così piccolo di statura; semplice, avvolto nel suo “drappo color arancione”- come diceva il giornale- e coi i suoi sandali da frate…mi sembrò di conoscerlo da sempre; la stessa che avevo avuto incontrando alcuni mesi prima quello che era diventato il mio maestro in Italia, Sw. Anandanada. Alla conferenza pubblica che tenne quella sera le sedie erano esaurite, la gente era seduta persino a terra, e c’erano file di spettatori in piedi che faticavano a vederlo: la sala quasi non riusciva a contenere le centinaia di persone che volevano sentire Swami Satyananda.
Mi impressionò il fatto che Swamiji sostenesse che lo yoga non era nulla di esoterico, occulto, magico e nemmeno una “scienza terapeutica” ma bensì “[…] una scienza umana, non conoscenza teorica ma esperienza diretta della trascendenza […]”.
Di fatto, moltissimi di noi praticavano Hatha yoga per divertimento, per tenerci in forma, per trattare il mal di schiena, o semplicemente perché eravamo agitati, malandati, curiosi o interessati al popolarissimo (in occidente) Tantra della mano sinistra. Inoltre, a quei tempi c’erano solo 2 libri in italiano di Swamiji.”La saggezza dello Yoga” e la prima edizione di Yoga Nidra, e sul giornale Lui veniva presentato come il più grande esponente vivente dello yoga tantrico.
La breve conferenza mi aveva entusiasmata, e Swamiji mi aveva affascinato per la sua eccezionale erudizione in campo yogico e allo stesso tempo la semplicità con cui riusciva a far comprendere le diverse sfaccettature dello yoga. Mi sentivo ansiosa di poter partecipare al seminario che avrebbe tenuto a Lipizza.
A Lipizza Swami Satyananda tenne un seminario di approfondimento sulle “Shat Kriya”, sei gruppi di pratiche di purificazione, indagando il loro ruolo quale parte principale del sistema Hatha yoga.
Swamiji rivelò una conoscenza che andò di nuovo ben oltre le nostre aspettative. Parlò di testi come Gherand e Shiva Samhita, Ratna Vali, Tara Vali nonostante si fosse accorto subito della nostra scarsa preparazione, in reazione alla quale non disse altro che: “Praticate lo yoga, se vi piace…il resto lasciatelo stare”, e introducendoci in modo più approfondito ad aspetti dello yoga che erano alla nostra portata.
Durante i tre giorni di seminario, il Guru diede il Mantra personale a centinaia di persone, e tra quelle centinaia che erano in fila ogni giorno c’ero anch’io. Ricordo con particolare felicità il momento in cui mi ricevette; ero talmente emozionata che non riuscii nemmeno a porgli una sola delle molte domande che avrei voluto fargli, tra le quali doveva esserci se lui credeva che potessi diventare insegnante di yoga. Ma non fu necessario: dopo avermi fatto lui alcune domande, mi disse che potevo insegnare, e che insegnando lo yoga avrei aiutato molte persone. Provai una gioia incredibile, e mi sentii piena di energia come non lo ero mai stata..dopo due mesi già insegnavo ai miei primi allievi.
Durante il seminario vennero poste molteplici domande al Guru, tra cui una che mi rimase particolarmente impressa: una donna chiese, alludendo alle domande secondo lei sciocche che venivano fatte a Swamiji: “Cosa sei venuto a fare qui?” e Lui rispose: “Chi sei tu, che mi fai questa domanda? Cosa fa una madre che è al servizio di qualcuno molto importante e che viene a sapere che i suoi figli stanno male? Lascia il servizio e corre da loro! I miei figli soffrono ed io sono venuto per loro, Sono venuto a prendere i miei figli.” Tutti tacemmo, chiedendoci cosa volesse dire. Cominciai a pensare di essere un filo d’erba tra tanti, ricoperto di rugiada, che vibra e non osa nemmeno sperare di essere Sua figlia.. “posso essere tua figlia, anch’io? Tu lo sai…ho un pozzo vuoto e profondo dentro di me….sento che mi manca qualcosa, anche se ho tante cose…non so neanch’io perché…ma forse Tu lo sai”. Stare con Swamiji era per me più che rilassante…quando era presente non occorreva praticare yoga, non occorreva fare niente. Questo è l’impatto che si ha quando si incontra il proprio Guru, secondo me. É come innamorarsi profondamente.
É forse questo il più bel ricordo che ho di quei tre giorni, la sensazione che tutto era chiaro, facile e possibile, naturale; che la vita aveva un altro senso dopo averlo visto, che è il più bel dono, la più bella occasione per esprimere i nostri talenti.
Dopo 28 anni posso dire che ho mantenuto la promessa di essere all’altezza di quello che sono, di essere una persona creativa propositiva e utile non solo a me stessa, anche agli altri, proprio insegnando lo yoga. Forse non l’ho fatto così bene come avrei voluto, ma credo di aver fatto il massimo.
Grazie a lui ho aperto un Centro di Yoga, proprio a Suo nome, dove con i miei collaboratori abbiamo insegnato, e ancora insegniamo a migliaia di persone quello che Lui ha insegnato a noi.
