Era il 1986; ero appena arrivato in ashram, alla Bihar School of yoga, ed avevo già fatto la mia figuraccia, complice il cambio di fuso orario e la stanchezza del viaggio, addormentandomi profondamente durante la lezione di yoga nidra.
Passeggiavo lungo i viali della scuola, allora in costruzione, guardandomi intorno, quando sentii una voce che mi chiamava.
Stupito mi domandai chi mai fosse, visto che ero appena arrivato e non conoscevo nessuno.
Mi guardai intorno e vidi Swami Niranjananda, sorridente da un orecchio all’altro, magro ed allampanato che mi salutava con in mano il palo di un’antenna televisiva, in cima al tetto del kutir dove abitava Paramahansa Satyananda.
Mi sono immediatamente rincuorato e sentito a casa e, guarda caso, ogni volta che incontro Swamij in ashram, a Munger, mi ripete “questa è casa tua”.
Ricordo la sua semplicità, la sua cordialità, il suo giocare con i ragazzini dell’ashram durante la pratica serale del kirtan quando si instaurava una gara a chi fosse più rapido nel ritmo del tamburo.
Sempre sorridente, sempre aperto, sempre disponibile. Successivamente l’ho reincontrato in Italia, poi a Palma di Maiorca, ma un blocco emozionale, sino al festival di Venezia, mi ha impedito di parlargli; mi parlava, lo vedevo ma non riuscivo a tirar fuori una sola parola.
Successivamente sono andato diverse volte in India, alla Bihar School, per i miei pellegrinaggi annuali, come li definisce Swamij, e tutto si è sbloccato.
Gli parlo, gli pongo le mie domande ed ho trovato un fratello, un amico, un maestro che, nella sua semplicità di linguaggio e nella sua chiarezza della visione della vita e dello yoga, trova sempre una risposta adeguata e fondata ad ogni quesito.
E’ incredibile come in una persona così giovane si ritrovi una saggezza antica che ci riporta alle origini dello yoga e del tantra.
Non posso che essere felice di averlo incontrato, e di godere della sua amicizia.
E non posso non pensare a Paramhansa Satyananda ed alla sua visione: un grande maestro ed un grande erede.
