Hari Om,
nel settembre 1982 lessi sul quotidiano locale che un Guru indiano di nome Swami Satyananda Saraswati avrebbe tenuto una conferenza pubblica a Trieste alla quale sarebbe seguito un seminario oltre confine, a Lipizza nell’allora Jugoslavia (ora Slovenia). Praticavo yoga da sette anni con vari metodi e la cosa m’interessava perché ero alla ricerca di Dio e di una Sua manifestazione che mi potesse illuminare: il mio Guru. Così andai e rimasi subito colpito quando incrociai il suo dolce sguardo sorridente mentre entravo nella sala; sentivo che lui sapeva di me, che sarei venuto ad ascoltarlo, come se già ci conoscessimo. Ha parlato in inglese per quarantacinque minuti, Swami Anandananda traduceva in italiano; era chiaro e semplice e sebbene la sala fosse gremita, c’era un silenzio totale al punto che il microfono non gli è servito per amplificare la voce, ma solo da metafora. Disse che come al suo interno c’è un filo positivo e uno negativo dove passa la corrente elettrica, così all’interno del nostro corpo ci sono due canali uno positivo e uno negativo dove passa il prana. Questo l’ha chiarito con una semplice esposizione scientifica e filosofica in un’atmosfera di pace profonda dando più importanza all’esperienza che alla conoscenza. Finalmente incominciavo a capire; fino a quel momento ero pessimista, depresso, confuso, senza entusiasmo, non vedevo un futuro, ero insoddisfatto. Sapevo dell’esistenza di Dio, avevo studiato le religioni e letto le vite e gli insegnamenti dei grandi Santi del passato, ma non li avevo incontrati, non potevo parlare con loro, essere in loro presenza e chiedere qualche cosa. Ora lo avevo lì e lo scrutavo cercando di vedere se ci fosse qualcosa che non andasse in lui; ma era perfetto in tutto. L’atmosfera che lo circondava era divina, non un gesto o una parola fuori posto, pieno di compassione e rispetto verso tutti; finalmente avevo di fronte a me un “Essere” nel quale ho potuto riconoscere la Via, la Verità e la Vita. Quello che diceva non era in contrasto con la mia fede religiosa o con miei principi, anzi li avvalorava, li chiariva. Era in accordo e parlava a tutta l’umanità, non solo con una sua parte. Nei satsang non ho mai avuto bisogno di porgli domande, mi bastava quello che usciva dalla sua bocca; mentalmente le avevo e Lui, mentre rispondeva ad altri, diceva quello che io pensavo di chiedergli. Ero cosciente che lui sapeva quello che io pensavo e me l’ha ripetutamente dimostrato per dissipare anche i miei dubbi più profondi. Così il 23 settembre gli chiesi il Mantra Personale e il Simbolo Psichico; ero pienamente soddisfatto, non mi serviva altro. E’ stato il giorno più bello della mia vita: ero felice, sereno, in pace e non capivo come mai mi potessi sentire così bene. Come se avesse pulito tutte le mie preoccupazioni, mi sentivo rigenerato. Ritornando a casa, la stessa strada e l’ambiente che mi circondava li sentivo diversi, anche se era lo stesso degli altri giorni; c’era qualcosa in più o in meno che non capivo? Che cosa? La mia esistenza aveva assunto un sapore diverso ed ero cosciente solo di questo.
Quattro anni più tardi ho chiesto il karma sannyasa e quando ho visto il mio nome spirituale, Dayaswarupa, ho avuto qualche dubbio. Mi son chiesto: com’è possibile che una persona come me, riceva un nome così bello? Forse si è sbagliato? Stentavo a crederci. Poi ho capito che anche stavolta aveva ragione; era proprio l’essenza della compassione quello che col tempo dovevo realizzare e manifestare. Nella mia ricerca interiore ho capito che la strada che stavo percorrendo era quella giusta e sicura; mi bastava proseguire in modo serio e sincero sapendo che quello che facevo era buono, giusto e a vantaggio di tutti. Da Karma Sannyasin ho capito che solo offrendo il mio tempo e le mie risorse verso un alto ideale, verso qualcosa in cui credevo, potevo essere felice e in pace; aveva un senso il vivere. Così ho incominciato a sostenere il suo messaggio ed è stato un modo per ringraziare l’insegnamento che ho ricevuto: azione disinteressata, dare, amare e servire. Mi sentivo soddisfatto e continuavo a ricevere grazia su grazia, miglioravo, continuavo a ricevere più di quello che davo. Come insegnante di yoga da subito mi sono reso conto che avevo ancora molte cose da imparare; ho iniziato con un corso presentando solo quello che conoscevo e che avevo sperimentato a lungo. Il metodo Satyananda da subito ha permesso agli allievi di sentirsi bene, di essere consapevoli del corpo e di rilassarlo con delle semplici tecniche; da lì ho capito che avevo una base sicura da cui iniziare un vero percorso; sapevo che dovevo studiare e praticare sempre di più, aggiornandomi e continuando a frequentare corsi, seminari e quando possibile essere alla presenza del Guru per avere il suo darshan. I suoi insegnamenti e la sua vita me l’hanno dimostrato fino in fondo e ancora per sempre. Quando ho seguito i suoi insegnamenti, ho sempre fatto bene; mi ha fatto solo migliorare, esprimere i miei talenti, quello che mi dispiace è di non aver fatto di più, di non averlo amato di più.
Voglio ringraziarlo per tutto quello che mi ha dato e per come mi ha fatto sentire; e sentirsi amato e accettato è la cosa più bella che abbia potuto provare. Grazie per sempre.